STATISTICA ECONOMICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

STATISTICA ECONOMICA

Giorgio Marbach

Come è norma per ogni disciplina scientifica, e ancor più per le discipline che hanno per oggetto di osservazione i fatti sociali o quelli economici, convinzioni che in un certo momento appaiono come consolidate certezze sono successivamente ''aggredite'' da dubbi e ripensamenti causati sia dal progresso delle metodologie impiegate, sia dall'evoluzione dell'oggetto stesso dell'analisi. Quest'ultimo fenomeno ha assunto per la s.e. negli ultimi anni connotati particolarmente rilevanti, in ragione dei cambiamenti profondi e tumultuosi che hanno interessato la realtà economica da osservare e misurare (v. anche statistica: Statistica economica, App. IV, iii, p. 454).

Al riguardo, è persino scontato rilevare che negli ultimi due o tre decenni profondi mutamenti hanno interessato la realtà economica, il mondo produttivo, i rapporti tra soggetti e operatori economici, privati e pubblici. Naturalmente, non era pensabile che tali mutamenti non avessero conseguenze anche sulle convenzioni, sulle metodologie, sulle tecniche di registrazione dei fenomeni economici oggetto di analisi. Si pensi, per es., che l'eliminazione delle barriere doganali esistenti all'interno della Comunità Economica Europea ha imposto di modificare le procedure di formazione delle statistiche del commercio con l'estero finora applicate. Oppure, si rifletta sulla circostanza che la progressiva terziarizzazione dei sistemi produttivi evoluti e l'ampliamento della nozione stessa di ''servizi'' rendono sempre più obsoleta la tradizionale tripartizione delle attività economiche in primarie, secondarie e terziarie, e impongono, quindi, un ripensamento sulle nozioni stesse di produzione e di valore aggiunto, fin qui pietre angolari di ogni schema di misurazione dell'economia di un paese. O ancora, si ponga mente al fatto, davvero singolare, che gli schemi della contabilità nazionale (spesso assimilati, anche se non del tutto correttamente, a misure del benessere collettivo) non includono tuttora alcuna valutazione del degrado o della compromissione delle risorse ambientali.

In sostanza, sembrerebbe di assistere a una sorta di ''sfida'' tra una fenomenologia economica mutevole, instabile e comunque restia a farsi ingabbiare in schemi preordinati, e una disciplina − la s.e. − che cerca la sua legittimazione proprio nella predisposizione di tali schemi, nella ricerca di uniformità e coerenza al loro interno e tra di essi, nell'aspirazione a dominare per loro tramite, o quanto meno a interpretare con una certa sicurezza, i molteplici e talvolta contraddittori segnali provenienti dalla realtà economica in evoluzione. In verità, tale situazione si riscontra anche in altri ambiti scientifici (in quello dell'analisi dei fatti sociali, per es.), ma è stata indubbiamente avvertita con particolare acutezza in quello della misurazione e interpretazione dei fatti economici, anche in virtù degli effetti che questi producono sulla vita quotidiana delle imprese, delle istituzioni, dei semplici cittadini.

Non è dunque un caso, con ogni probabilità, che gli sviluppi teorici e applicativi di maggior rilievo conseguiti negli ultimi anni nell'ambito della s.e. si siano concentrati proprio sulle metodologie concernenti la misura e l'interpretazione dei fenomeni economici, quasi a voler colmare il lamentato divario tra fatti (che hanno rilievo se sono misurabili) e teoria (che ha rilievo se conduce a un'ipotesi interpretativa della realtà), confermando anche in tale circostanza il ruolo della moderna s.e. quale cerniera tra fatti senza teoria e teorie senza fatti (Marbach 1991a). Tali sviluppi teorici e applicativi hanno principalmente interessato: a) l'affinamento delle procedure d'indagine e di analisi dei dati, con particolare attenzione alla possibilità di utilizzare i cosiddetti microdati; b) la definizione di criteri, modalità e tecniche di rilevazione, in grado di soddisfare le più ampie esigenze della usuale informazione statistica, quali la sempre maggiore tempestività e la capacità di riferirsi ai più differenziati e dimensionalmente ridotti ambiti territoriali; c) la ricerca della coerenza tra aggregati contabili e variabili economiche, l'approfondimento delle teorie basilari per la costruzione dei conti economici nazionali e la conseguente formulazione di nuove metodologie di quantificazione degli aggregati che i medesimi considerano; d) l'ampliamento dell'ambito applicativo della s.e. e della contabilità nazionale, da perseguire includendo tra gli elementi da considerare anche indicatori sociali, conti ''satellite'', dimensione ambientale, misurazione del benessere, e altri aggregati specifici; e) l'individuazione di indici che rendano corretto, significativo e univoco il confronto spaziale e temporale tra aggregati economici.

Come spesso accade, tali sviluppi innovativi sono stati originati più dalla pressione di problemi operativi concreti che non dall'astratta volontà di estendere e affinare sistemi teorici o metodologie preesistenti. Degli sviluppi tematici e metodologici che stanno interessando, dietro pressione degli utilizzatori pubblici e privati, la s.e. si fornirà una breve panoramica secondo un'esposizione ordinata per quattro distinti argomenti: la contabilità economica, le rilevazioni censuarie, le indagini campionarie, i metodi di previsione.

Sviluppi della contabilità economica. - Negli anni più recenti gli studiosi di s.e. hanno avvertito la necessità di approfondire i criteri in base ai quali gli elementi costitutivi della contabilità nazionale possono essere tradotti in sistemi economicamente significativi (Guarini 1989). L'approfondimento teorico e applicativo si collega, quindi, alla necessità di rendere disponibile un sistema di dati che risulti: a) inserito in un sistema di conti che rispecchi le principali fasi del processo economico (produzione, distribuzione, redistribuzione, utilizzazione del reddito, accumulazione di capitale, relazioni internazionali); b) in grado di considerare sia le interdipendenze tra gli aggregati economici, sia quelle che intercorrono tra i medesimi e altri aspetti rilevanti della realtà che si ritiene di dover in qualche modo misurare (ambiente, territorio, situazione sociale, ecc.); c) articolato per tipologia degli operatori istituzionali coinvolti nel processo economico di ciascun paese; d) in grado di fornire indicazioni in termini fisici e in valore senza dare adito a dubbi interpretativi; e) riferito ad aree territoriali le più piccole possibili, ma facilmente aggregabili secondo le più varie esigenze; f) in grado di consentire corretti raffronti territoriali (tra stati, regioni, aree subregionali, ecc.) e temporali.

Gli sviluppi e i miglioramenti più interessanti della contabilità economica che si sono registrati negli ultimi anni possono essere sintetizzati come segue.

Ampliamento dell'oggetto del sistema dei conti economici. È un tema di ricerca che ha fornito importanti risultati presso Nazioni Unite ed Eurostat e ha permesso di definire un sistema di conti integrati che prevede anche la costruzione delle tavole delle interdipendenze strutturali (Siesto 1991; Carbonaro 1992). In esso rientrano, inoltre, le attività di ricerca che dalla fine degli anni Settanta tentano di aumentare il grado di copertura e d'integrazione del sistema dei conti economici nazionali connettendone i tradizionali aspetti economico-finanziari con quelli ambientali. Tale connessione dovrebbe permettere d'inserire i molteplici benefici che l'ambiente apporta alla collettività − quale produttore di beni e servizi per lo smaltimento dei rifiuti, anche energetici, nonché di quelli utilizzati o utilizzabili a fini naturalistici, culturali, ricreativi, ecc. − tra le poste attive della contabilità nazionale. Per contro, le spese necessarie a preservarlo dal degrado, ricostituirlo, migliorarlo, ecc., dovrebbero essere inserite tra le poste passive della medesima contabilità (Di Palma e Mele 1993). Altra importante direttrice di ricerca, tuttora con scarsi riscontri nella contabilità ufficiale, è incentrata sulla misura del benessere, del quale PIL e consumi sono indicatori scarsamente significativi. Le suggestioni della household production e l'introduzione della variabile temporale nella funzione del consumo hanno stimolato lo sviluppo di procedure di stima e criteri di quantificazione in grado di prospettare concrete soluzioni operative per problemi notevolmente complessi dal punto di vista teorico-definitorio.

Definizione e costruzione delle tavole delle interdipendenze strutturali dell'economia. Lo sviluppo di modelli stocastici finalizzati a stimare i coefficienti tecnici, che misurano il ruolo e l'intensità della tecnologia nei rapporti di scambio tra le ''branche'' nelle quali i conti economici si articolano, costituisce una linea di ricerca che potrà conferire maggiore significatività e rappresentatività ai risultati desumibili dalle tavole input-output (Filippucci e Gardini 1987). Gli stessi metodi di ''aggiornamento'' delle tavole, basati sulle ormai collaudate tecniche di riproporzionamento dei coefficienti tecnici (il cosiddetto metodo RAS), rappresentano significativi sviluppi per la costruzione e pubblicazione delle predette tavole a livello annuale (tra i contributi più rilevanti, dopo quello pionieristico di R. Stone presso il Department of Applied Economics nel 1962, si vedano quelli di Bacharach 1970 e di Allen e Gossling 1975).

Quantificazione dei processi di distribuzione e redistribuzione. Nell'ambito di un sistema disaggregato di contabilità nazionale di tipo input-output, gli sviluppi teorici e i primi risultati forniti dalle Social Accounting Matrices (SAM) hanno consentito d'individuare un significativo campo di analisi (Pyatt e Round 1977 e 1985). In virtù delle elaborazioni modellistiche effettuate in tale ambito, infatti, è ora possibile calcolare non solo l'impatto che ipotesi alternative circa la domanda potrebbero avere sul sistema produttivo − risultato che poteva già essere ottenuto mediante l'utilizzazione delle consuete tavole input-output-, ma anche l'impatto che tali ipotesi produrrebbero sui livelli dei redditi da lavoro e da capitale e su quelli di occupazione.

Criteri di costruzione e quantificazione degli aggregati dei conti economici a livello nazionale. La necessità di effettuare interventi a livello di Unione Europea e dei singoli paesi che la compongono, al fine di correggere gli squilibri territoriali esistenti in ciascun ambito, postula la disponibilità di informazioni sempre più significative e comparabili circa il livello di sviluppo raggiunto dalle varie realtà subnazionali (Vitali 1987; Mazziotta 1993). Le ricerche e gli sviluppi in termini di: conti economici regionali, costruzione delle tavole input-output e delle sopra citate SAM (Appetito 1989; Pilloton e Schachter 1983; D'Antonio 1990); quantificazione delle principali variabili economiche a livello provinciale, principalmente a opera dell'Istituto Guglielmo Tagliacarne costituito presso la Unione delle Camere di Commercio (per es., Istituto Tagliacarne 1993); stima del reddito disponibile a livello comunale durante gli anni Ottanta (Marbach 1989) hanno fornito interessanti risultati, in gran parte già utilizzati per delineare le politiche regionali sopra citate.

Strettamente collegata ai temi della contabilità economica e all'evoluzione della medesima può essere considerata la problematica dei confronti temporali e spaziali tra gli aggregati dei conti economici. La necessità di comparare le condizioni economiche dei vari paesi e di valutare l'effettiva evoluzione di uno stesso paese richiede, com'è noto, che siano definiti e costruiti idonei indicatori. Questi devono consentire d'isolare, eliminandola, l'influenza delle variazioni temporali dei prezzi e dell'unità di misura (monete nazionali) adoperata per quantificarle. Si tratta di un problema a suo tempo affrontato dagli statistici economici, che hanno cercato di risolverlo tramite, da un lato, la costruzione di appropriati indici di prezzo (per il confronto nel tempo) e, dall'altro, l'utilizzazione dei tassi di cambio esistenti tra le diverse unità monetarie (per il confronto nello spazio).

La ''fragilità'' della struttura di riferimento, costituita dalla situazione annuale prescelta come base dei confronti, nonché dalle unità monetarie considerate come altrettante ''merci'', che però subiscono variazioni relative dovute anche a pressioni speculative, ha reso sempre più insoddisfacenti i predetti indicatori. La rapida diffusione di nuovi beni e l'accentuata differenziazione tra i medesimi (differenziazione che con sempre maggiore frequenza dipende dal contenuto innovativo che essi incorporano), nonché l'elevato e crescente apporto dei ''servizi'' alla composizione della produzione, rendono difficilmente interpretabile il significato degli indicatori temporali delle variazioni dei prezzi, dato che questi ultimi sono costruiti sulla base di un ''paniere'' fisso di beni, mediante il quale si procede a deflazionare gli aggregati economici espressi in valore al fine di renderli atti ai confronti in termini ''reali'', ossia espressi in quantità. Analogamente, le variazioni dei tassi di cambio, che dovrebbero misurare gli adeguamenti dovuti alle velocità differenziali delle variazioni dei prezzi interni di ciascun paese, non sono più idonee a rappresentare correttamente né le variazioni né i confronti dei poteri di acquisto delle monete stesse. Quest'ultimo problema − che rientra nel filone delle ricerche iniziate da I.B. Kravis e successivamente riprese dagli istituti statistici internazionali (Kravis e altri 1975; EUROSTAT 1983) − è stato risolto mediante la definizione e la quantificazione di opportuni indici, detti delle parità dei poteri di acquisto, ma ha ancora bisogno di essere perfezionato, soprattutto dal punto di vista applicativo.

Altre tematiche di studio approfondite e migliorate sono state quelle riguardanti: a) la definizione e la costruzione dei cosiddetti ''conti satellite'', collegabili ad aspetti e variabili considerati nei conti economici e finanziari nazionali; b) la definizione e la quantificazione di indicatori sociali (in senso lato) mediante i quali fornire un'immagine immediata dei problemi e dei bisogni d'intervento che caratterizzano le varie realtà sociali, settoriali e territoriali dei singoli paesi. Il ventaglio delle informazioni considerate nella contabilità nazionale deve essere opportunamente ampliato fino a comprendere elementi di natura quantitativa e finanziaria, possibilmente articolati per territorio, tipologia di attività e singolo operatore.

Gli indicatori sociali, che tra gli anni Sessanta e Settanta erano stati oggetto di numerose ricerche, vivono attualmente una sorta di seconda giovinezza, in ragione del fatto che la conoscenza quantitativa di una determinata situazione (indicatori di dotazione infrastrutturale, ritardo economico, inquinamento, ecc.), l'individuazione di obiettivi e di risultati da conseguire, oppure di fabbisogni da soddisfare, possono trovare, e in parte hanno già avuto, soddisfacenti soluzioni mediante la tecnica degli indicatori (per un'ampia e aggiornata rassegna al riguardo, cfr. Di Palma e Cicerchia 1994). La stessa Unione Europea ha ritenuto necessario predisporre e utilizzare indicatori strutturali allorché ha dovuto definire le varie tipologie delle aree ''in ritardo'' tra le quali ripartire risorse destinate al riequilibrio regionale. A tali indicatori, infatti, è stato attribuito, non senza critiche (Mazziotta 1993), il compito di verificare l'effettiva situazione di ''ritardo'' denunciata nelle singole aree, il reale fabbisogno di interventi settoriali, e, quindi, la validità delle scelte programmatiche, nonché delle conseguenti richieste d'intervento presentate all'Unione dai singoli paesi aderenti.

Le rilevazioni censuarie. - In molte delle principali nazioni europee e negli USA sono state effettuate, nel biennio 1990-91, numerose rilevazioni censuarie, che hanno riguardato molteplici aspetti della vita socio-economica dei paesi interessati. Il censimento demografico italiano del 1991 ha perseguito l'ormai tradizionale obiettivo di determinare ammontare della popolazione residente, numero delle abitazioni e relativa composizione (vani abitabili, servizi, accessori, pertinenze, ecc.), nonché quello di consentire la revisione delle anagrafi della popolazione finalizzata a eliminarne le sovraregistrazioni, che tipicamente interessano le località di emigrazione e i maggiori centri urbani (v. anche italia e censimento, in questa Appendice).

Le principali innovazioni di detto censimento rispetto a quello del 1981 possono essere così sintetizzate (cfr. ISTAT 1993b):

a) la tipologia familiare risulta maggiormente articolata. L'unità familiare di rilevazione è, infatti, attualmente definita prescindendo dal vincolo della comunione dei redditi dei componenti, e può essere formata sia da singles sia da persone che convivono con altre, alle quali sono unite da un vincolo di parentela, affinità, adozione, affidamento, o anche soltanto da affetto. Per tenere conto, però, anche di nuove tipologie di convivenza affermatesi negli anni più recenti, è stata per la prima volta considerata un'innovativa unità, denominata nucleo familiare, sempre costituita da almeno due persone che convivono unite dal cosiddetto vincolo di coppia oppure dal tradizionale rapporto genitore-figlio non coniugato;

b) la classificazione delle professioni è stata integralmente ristrutturata, per adeguarla alla nuova International Standard Occupational Classification predisposta dall'Ufficio internazionale del lavoro di Ginevra;

c) è stato più che raddoppiato, rispetto al censimento del 1981, il numero delle cosiddette sezioni di censimento, denominate anche microaree, le quali costituiscono le minime unità territoriali di riferimento. Le procedure di rilevazione e la geocodifica hanno infatti consentito di portarle a 275.000, pari a circa 34 volte il numero dei comuni (contro le 144.000 del 1981), di delimitare esattamente i confini di ciascuna e di registrarle in un apposito data base, al fine di costituire una sorta di nuova carta topografica muta del territorio italiano. Questa già attualmente consente molteplici e interessanti applicazioni, e molte altre ne renderà possibili quando le numerose variabili disponibili saranno state contraddistinte anche con il codice di microarea. Sarà allora possibile, per es., ascrivere a ciascuna microarea uno ''stile di vita'' prevalente e associarvi tipologie dei consumi, molteplici variabili economiche, di marketing, di pianificazione territoriale, ecc.;

d) maggiore rilievo è stato attribuito a completezza e qualità dei dati rilevati. A tal fine sono state realizzate apposite indagini − dette ''di copertura'' e ''di qualità'' − condotte su campioni rispettivamente formati da 65.000 persone e 9000 famiglie, rispettivamente distribuite su 85 e 90 comuni. I risultati di tali indagini saranno per la prima volta pubblicati in un apposito volume.

Il censimento delle attività produttive extra-agricole, effettuato anch'esso nel 1991, presenta molte novità rispetto alle analoghe indagini realizzate in Italia fin dal 1927. L'ISTAT è stato anzitutto costretto a contemperare l'esigenza di rapidità nel rendere disponibili i nuovi dati con quella di assicurarne la migliore qualità e coerenza possibile. Ciò al fine di superare le sempre vive polemiche riguardanti l'utilità stessa di una rilevazione censuaria, i risultati disaggregati definitivi della quale diventano disponibili con ritardi obiettivamente eccessivi per renderla utile a fini operativi, pubblici e privati.

L'ISTAT ha, inoltre, meglio articolato per dimensione aziendale, sempre parametrata al numero di addetti, i contenuti informativi del censimento e ha gettato le basi della revisione degli schedari delle imprese e delle unità locali (ISTAT 1993a). Per la prima volta, inoltre, è stata considerata la categoria delle cosiddette Istituzioni: ne è stato costituito uno schedario, nel quale sono state comprese tutte le unità produttrici di beni e servizi non destinabili alla vendita, che dispongono di autonomia decisionale e di un completo sistema contabile. Ciò dovrebbe finalmente consentire di conoscere con sufficiente precisione e dettaglio il vastissimo settore, attualmente pressoché sconosciuto, dell'amministrazione pubblica e delle istituzioni sociali private.

Tutte le attività censite hanno dovuto indicare il proprio codice fiscale, indispensabile sia per ricondurre a unità imprese e istituzioni plurilocalizzate, sia per consentire agevoli confronti con le informazioni contenute nelle principali banche dati. Per effettuare il censimento si sono utilizzati un questionario di rilevazione per così dire ''minimale'', destinato alle unità locali con 0÷9 addetti, e un altro questionario integrativo destinato alle imprese industriali con almeno 10 addetti e a quelle dei servizi con almeno 6 addetti.

Nonostante il notevole impegno profuso per minimizzare i tempi di rilevazione, controllo ed elaborazione delle informazioni elementari, i dati definitivi disaggregati per province e comuni sono stati resi disponibili soltanto nel 1995. Ciò ha rinfocolato le non nuove polemiche circa la possibilità di utilizzare operativamente dati riferentisi a una situazione ''vecchia'' di quasi un quadriennio, soprattutto considerando che in tale periodo il turnover delle unità produttive minori può essere valutato in un milione di unità circa.

Minori novità rispetto alle precedenti edizioni (Callegari 1989) caratterizzano, invece, il censimento delle attività agricole, svoltosi dall'ottobre 1990 al gennaio 1991. L'analisi della famiglia del conduttore dei ''fondi'' ha innovativamente riguardato tutti i componenti della medesima anziché soltanto quelli che prestano la propria opera nell'ambito dell'azienda agricola. È inoltre stato approfondito ex post il cosiddetto error profile dei dati rilevati − ovvero, il percorso di formazione del dato e la possibilità che in ogni fase si generino errori di stima (Quintano e altri 1987) − e valutato il ''tasso di copertura'' ottenuto (Schirinzi 1994).

In definitiva, facendo riferimento ai censimenti in generale, va registrato un sempre più diffuso giudizio d'inadeguatezza − soprattutto in termini di rapporto costo/risultato − delle rilevazioni esaustive di tipo censuario (basti ricordare le difficoltà di stimare il numero delle imprese con meno di 10 addetti, che hanno afflitto il censimento delle attività extra-agricole del 1991). Tale giudizio ha fatto sorgere e affermare l'esigenza di disporre di ricerche campionarie orientate alla specificità tipologica dei comportamenti individuali, predisposte per aree geografiche omogenee, indipendenti dalle tradizionali ripartizioni amministrative del territorio nazionale (Marbach 1991b).

Revisione delle principali ricerche campionarie ISTAT. - Negli anni più recenti, l'ISTAT ha avviato la revisione sia della rilevazione delle forze di lavoro, sia di quella sui bilanci di famiglia, al fine di adeguarle alla profondamente mutata situazione nazionale e di renderle meglio rispondenti alle necessità conoscitive degli operatori pubblici e privati. Dal 1985, la prima di tali indagini è stata coinvolta in un vasto progetto di ricerca (Trivellato 1991), cui hanno congiuntamente partecipato produttori e utilizzatori della medesima, che si prefiggeva di: a) vagliare la qualità dell'indagine e migliorare le stime delle variabili nella medesima considerate, avendo riguardo soprattutto al disegno di campionamento e agli effetti del turnover dei componenti il campione; b) completare la documentazione di base ed effettuare analisi sulle caratteristiche strutturali e sulla dinamica di breve periodo del mercato del lavoro. A tal fine è stata studiata con particolare attenzione anche la possibilità di elaborare dati riferiti ad aree subregionali, cross-section, ecc.

Analisi dinamiche, stima dei flussi e matrici di transizione, qualità dei dati, studio empirico-quantitativo dei comportamenti individuali e sviluppo dei relativi modelli interpretativi hanno iniziato a proporsi come alcuni dei più promettenti temi di ricerca della moderna s.e., proprio quando i macro-modelli aggregati avevano iniziato a manifestarsi incapaci di adeguarsi a una multiforme realtà in continuo divenire. Il riesame critico dell'indagine sui bilanci familiari ha posto ancora una volta in evidenza come la "osservazione empirica dei fenomeni economici, e quindi il disegno di una ricerca statistica, siano essi stessi un modello della realtà e pertanto non possano essere ridotti a mera questione tecnica" (Filippucci e Marliani 1992).

L'esame critico del piano di campionamento e degli errori, campionari oppure no, sembra suggerire alla s.e. di definire il disegno delle ricerche campionarie tenendo conto sia delle più recenti acquisizioni teoriche in proposito sia dei più stimolanti risultati della letteratura specialistica riguardante i consumi. In particolare, si ritiene opportuno che: tra le variabili strutturali vengano inseriti vari altri elementi, quali ciclo di vita delle famiglie, bilancio del tempo, stili di consumo precedenti, situazione patrimoniale, ecc.; la tipologia di merci, beni e servizi sia maggiormente dettagliata, e vengano poste in evidenza le principali differenze qualitative; sia altresì considerata la dimensione temporale dei consumi, esplorando la possibilità di effettuare studi longitudinali e abbinamenti dinamici delle unità indagate.

Maggiore attenzione a fonti dei dati e tecniche di rilevazione nonché al significato economico degli aggregati occupazionali da definire e quantificare si riscontrano nelle nuove stime dell'occupazione, che hanno costituito la base per la revisione della contabilità nazionale effettuata negli anni Ottanta (Mamberti Pedullà e altri 1987).

Le previsioni economiche. - Si tratta di un ambito di ricerca sostanzialmente autonomo e di crescente importanza, in una realtà in cui prendere decisioni economicamente rilevanti rende sempre più necessario disporre di una qualche previsione di ''futuri'' possibili e plausibili, più o meno prossimi. Dal punto di vista teorico, si segnala che le impostazioni in auge fino agli anni Settanta erano diffidenti verso la validità della metodologia statistica in tale settore di studio e, in ogni caso, sostanzialmente orientate in senso estrapolativo, in ciò condizionate dagli studi riguardanti l'analisi delle serie storiche. Si prospettava, inoltre, il dubbio che gli eventi non ancora manifestatisi potessero avere natura affatto diversa da quelli dei quali si aveva esperienza e disgregassero, così, quella continuità indispensabile per la corretta e proficua utilizzazione del metodo statistico. Ai fini degli studi che comunque dovevano essere effettuati, la stabilità o, in alternativa, la ridotta variabilità nel tempo degli eventi analizzati sembrava un buon presupposto per effettuare riferimenti al futuro, con margini di attendibilità tanto maggiori quanto meglio la curva interpolatrice si adattava ai dati storici disponibili.

Quale esempio emblematico di previsione economica si può ricordare l'esperienza condotta da numerosi studiosi prevalentemente presso l'ISPE (Istituto di Studi per la Programmazione Economica) in occasione della stesura del Programma economico nazionale per il quinquennio 1966-70 e degli studi propedeutici per il successivo quinquennio 1973-77. In tali documenti largo spazio fu dedicato allo studio evolutivo dei fenomeni socio-economici, alla critica di un quadro di sviluppo spontaneo non coerente con i desiderata politico-sociali, nonché all'individuazione dei correttivi che avrebbero permesso di conseguire un risultato socio-economico di fine periodo accettabile per tutte le parti sociali: tutte caratteristiche che dettero luogo a una previsione che oggi chiameremmo di carattere ''normativo'', o semplicemente di programmazione. Il sostanziale fallimento (politico, innanzitutto) di quel tentativo di programmazione e le rimarchevoli inesattezze delle previsioni formulate − anche per effetto dello sconvolgimento dell'economia mondiale provocato in quegli anni dalla crisi del sistema monetario internazionale e dall'esplosione dei prezzi del petrolio e delle materie prime − sembrarono segnare la fine della fortuna delle previsioni economiche di medio-lungo periodo.

Soltanto negli anni Ottanta si è affermata quella cultura della previsione che, rifiutando i tentativi d'individuare un futuro unico, preferiva prospettare quadri alternativi, ma internamente coerenti, di alcune delle possibili realtà future (cultura dei cosiddetti scenari). I sostenitori di tale impostazione sostengono la validità della previsione − o della ''prospezione'' − di futuri possibili, pur se consapevoli che la realtà effettiva sarà comunque diversa da quella prevista a causa, soprattutto, dell'inevitabile verificarsi di eventi mai sperimentati né accaduti (Mazziotta 1991). In concreto la previsione basata sugli scenari si sviluppa attraverso una descrizione quantitativa − che incorpora, però, anche variabili e giudizi qualitativi − dello stato futuro di una situazione complessa, per es. economica o demografica. Tale descrizione − spesso sorretta da opinioni di esperti, debitamente trattate, per es. con il cosiddetto metodo Delphi (Marbach 1991c) − è basata sugli espliciti sviluppi di gruppi di variabili e di dati, volta a volta prescelti come cruciali, e sui rapporti d'interdipendenza esistenti nell'ambito del sistema studiato. Lo spirito sostanziale è pertanto quello dello what-if (''cosa accadrebbe ... se''), eventualmente espresso in termini di tempi e modalità per conseguire un risultato normativo. In estrema sintesi, è ormai affermata la consapevolezza che la previsione non si arroga alcuna pretesa predittiva, ma si focalizza, invece, sugli obiettivi decisionali, a tal fine prospettando un ventaglio di futuri alternativi, coerenti e ragionevolmente possibili, in cui si possa sempre rintracciare la concatenazione logica e conseguenziale tra ipotesi formulate sulle variabili e sugli operatori economici, decisioni da prendere, rischi con esse connessi.

Partendo da un'impostazione culturale e metodologica alquanto diversa, fin dai primi anni Settanta G.E.P. Box e G.M. Jenkins hanno affrontato il problema di analizzare a fini previsivi le serie storiche − ovvero le concrete determinazioni dei fenomeni nel passato più o meno recente − attraverso l'applicazione di particolari metodologie statistiche, le quali consentono di operare in modo che siano le serie stesse a orientare lo studioso verso il modello da adottare, e non viceversa. Da tale impostazione è derivato lo sviluppo metodologico dei modelli integrati autoregressivi e a media mobile, noti nella letteratura specialistica con l'acronimo ARIMA (Auto Regressive Integrated Moving Average). Si tratta di un campo di ricerche che ha conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo metodologico e applicativo davvero imponente e che ormai costituisce quasi un sottoambito disciplinare a sé, con una letteratura abbondantissima e in continua espansione (per un approccio iniziale al tema, si vedano, tra i tanti, i contributi di Piccolo e Vitale 1981; Carlucci 1991; Rizzi 1991).

Un altro approccio alla previsione è quello basato sull'applicazione di modelli econometrici, in cui alcune variabili vengono prescelte come ''esplicative'' dell'andamento, passato e anche futuro, di determinati fenomeni economici: un esempio ben noto di tale approccio sono i modelli di previsione del consumo, incentrati su variabili esplicative quali il reddito spendibile, i prezzi, le aliquote fiscali, i gusti dei consumatori, gli investimenti pubblicitari, e così via (si vedano, per es., gli studi di Deaton e Muellbauer 1980). S'inseriscono in questo filone metodologico anche complessi modelli pluriequazionali, i quali si caratterizzano per la possibilità di considerare contestualmente, grazie anche al continuo aumento della potenza di calcolo degli elaboratori elettronici, sempre più numerose variabili. Questi modelli si sono sviluppati con riferimento ai principali sistemi economici nazionali, al fine di realizzare, tra l'altro, un continuativo monitoraggio a breve e medio termine degli aggregati di contabilità nazionale e di specifici settori economici. Al tempo stesso va tuttavia affermandosi l'esigenza d'influire esogenamente sui modelli stessi, al fine di ottenere da essi soluzioni differenziate secondo le ipotesi circa le possibili decisioni di politica economica dei governi, i comportamenti innovativi dei consumatori, le dinamiche dei prezzi delle materie prime, ecc.

In definitiva, l'attività di previsione in campo economico può ormai contare su una gamma molto estesa di impostazioni teoriche, di approcci metodologici alternativi o integrati, di esperienze applicative consolidate o in via di sperimentazione. Anche per questo le previsioni economiche costituiscono, oltre che un esemplare e cruciale punto d'incontro tra economia e statistica, un settore della statistica economica che si preannuncia molto fecondo di sviluppi e di risultati.

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