BUONACCORSI, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONACCORSI, Stefano

Roberto Abbondanza

Denunziatosi ottantenne nel catasto fiorentino del 1430 e settantaseienne in quello del 1427, indicato come trentaduenne in un documento del 1382, dovette nascere nel 1350 o poco dopo. La nascita nel 1353 è data dal Martines senza prova. Era uno dei molti figli di Giovanni di Buonaccorso del popolo di S. Felice (quartiere di S. Spirito) - forse il Giovanni, o uno dei Giovanni, registrato nel Priorista Mariani agli anni 1304, 1309 e 1344 - e la sua famiglia risaliva probabilmente a un Buonaccorso del castello di Passignano, nel contado fiorentino.

Compiuti gli studi di diritto e conseguito il dottorato in diritto canonico in luogo e in data che ci sono sconosciuti - ma fu certamente allievo di Lapo da Castiglionchio il Vecchio -, il B. è dato dal Martines come immatricolato nel Collegio fiorentino dei giudici e notai intorno al 1384. Ma già due anni innanzi (31 genn. 1382) egli è qualificato "iudex" nello squittinio delle arti maggiori e degli scioperati del quartiere di S. Spirito, gonfalone di Ferza. Il 26 maggio 1388 gli ufficiali dello Studio fiorentino eleggono il B. alla lettura del Liber Sextus e delle Clementine per l'anno accademico seguente, con il salario di 90 fiorini, affiancandogli come concorrente, pochi giorni dopo, L. Ridolfi. Non si tratta del primo insegnamento del B., ché già due anni prima, a Firenze, un Antonio, verosimilmente suo allievo, aveva raccolto in iscritto un proemio al II libro delle Decretali "secundum d. Lapum de Castel., secundum quod legebat d. Ste. Io. de Bon., scriptum... in festo S. Katarine, 1386 de mense novembris". Allo Studio fiorentino il B. dovette restar sempre legato, come docente e come amministratore, anche se non sembra che la sua carriera di professore raggiungesse vette molto alte, almeno a quanto si può giudicare dai salari pagatigli: 60 fiorini nel 1402-1403 per l'insegnamento del Sextus e delle Clementine, e, sempre per il Sextus, 80 fiorini nel 1413-1414, quando il professore concorrente di venticinque anni prima, Lorenzo Ridolfi, aveva raggiunto, con l'insegnamento del Decretum, 1180 fiorini e Paolo di Castro ne guadagnava 250. Altri documenti ce lo mostrano prima, il 4 marzo 1390, come uno dei quattro ufficiali dello Studio che vanno ad aggiungersi ai quattro esistenti per tutta la durata della carica di questi ultimi; quindi, il 24 luglio 1398, testimone della laurea in diritto canonico di Francesco di Giacomo da Empoli, che avrà come professore concorrente nel 1402-1403; infine, il 21 genn. 1404, è ricordato come colui che ha dato il suo consenso a un "rotulus gratiarum" per la conservazione di benefici, indirizzato da chierici studenti al papa.

Dell'opera del B. quale lettore di diritto canonico ci restano alcune testimonianze nel manoscritto L.IV.LIII della Biblioteca nazionale Marciana. Si tratta anzitutto (cc. 13-253) di lezioni di Lapo da Castiglionchio sul secondo libro delle Decretali, raccolte, pubblicate e ordinate dal Buonaccorsi. Precede (cc. 3-10) il proemio, mutilo, cui si è già accennato, seguito (cc. 11-12) da altro proemio "secundum d. Lapum de Cast., extensum postea per d. Ste. de Flor. et in alia forma recitatum". Ha inizio quindi il testo delle lezioni vere e proprie, il cui explicit ci informa che il manoscritto è una copia, fatta da un Antonio - come già si è accennato, verosimilmente un allievo del B. - in vari tempi e luoghi e terminata il 7 sett. 1389, di un testo avuto dal maestro. Dopo il testo di una quaestio in materia di commissari (cc. 254-256), il manoscritto contiene ancora un Tractatus commissariorum (cc. 258-263), dal catalogo del Valentinelli senz'altro attribuito al B., che delle lezioni invece sul secondo libro delle Decretali - lequali occupano, come s'è visto, la maggior parte del manoscritto - sembra essere piuttosto un editore-rielaboratore che il vero e proprio autore. Da alcune note del manoscritto appare che il B., "docens decretorum doctor", lo donò il 25 apr. 1429 a Bernardo de Carvajal da Imola, alle orazioni del quale coglieva l'occasione per raccomandare l'anima "domini Antonii [il copista] olim familiaris mei, et postea propter virtutes suas sotii mei".

Assai più vasta l'opera di giurista pratico, consigli e allegazioni, lasciateci dal Buonaccorsi. Una indagine non certo completa ci segnala anzitutto, come esistenti a stampa, due consigli in G. B. Ziletti, Consilia criminalia, I, Venetiis 1566, cc. 8v-gr; II, ibid. 1582, cc. 34v-35r; e uno nei Consilia matrimonialia (a cura sempre dello Ziletti). Presente nel celebre manoscritto 485 conservato alla Biblioteca Classense di Ravenna e nei Codici Vaticani latini 8067 (al n. 62 della descrizione Vigneaux) e 8069, f. 367v, il B. appare con suoi consilia, con consilia sottoscritti insieme con altri giuristi, o con subscriptiones a consigli altrui, in almeno nove codici della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dai quali si traggono le seguenti sommarie indicazioni: cod. Magl., XXIX, 117, n. 49, cc. 139v-140r (subscriptio autografa con sigillo); n. 83, pp. 248v-251v (consilum); n. 103, c. 265v (dicembre 1393, subscriptio a un consiglio di Angelo degli Ubaldi); n. III, pp. 280r-281r (22 apr. 1415, consilium); n. 111, pp. 282v-283v (5 sett. 1415, consilium); cod. Magl., XXIX, 161, cc. 125v-126v (consilium); cod. Magl., XXIX, 172, cc. 130v, 291v-292v (due subscriptiones, di cui una a un consiglio di Paolo di Castro); cod. Magl., XXIX, 174, cc. 199r-200v (consilium firmato insieme con Pietro d'Ancarano); cod. Magl., XXIX, 186, cc. 59r, 188r, 223r, 234v (subscriptiones); cod. Magl., XXIX, 187. cc. 47r (subscriptio), 78v-80v (consilium), 85v, 121v, 135v-136r (subscriptiones), 149v-153v (consiglio sottoscritto con Paolo di Castro); cod. Panciatichi, 138, c. 262r (ottobre 1404, subscriptio); Cod. II, III, 370 (terzo libro dei consigli di Lorenzo Ridolfi), n. 1, cc. 1r-2r (1º marzo 1412, consilium); n. 5, c. 7r (8 giugno 1413, subscriptio);n. 48, cc. 75v-76r (1414, consilium); seguono tutte subscriptiones, a cc. 157v (1415), 195r (1415), 204r (1416), 206v (17 giugno 1416), 209v (21 genn. 1416), 228r (5 marzo 1417), 265r (4 marzo 1418), 286r, 293v (15 ag. 1418), 318v (23 maggio 1419); Cod. II, IV, 434, n. 34, pp. 236r-239v (consilium).

È probabile infine che il B. sia presente - fra i tanti fondi archivistici e bibliografici ancora da esplorare - nella ricca collezione di consigli e altri scritti lasciata dalla famiglia Bonsi al convento di S. Maria in Monticelli di Firenze (Archivio di Stato di Firenze, Conventi soppressi, 98, nn. 237-280).

Il B., come si ricava oltretutto dalle sommarie indicazioni appena fornite, fu uno degli avvocati più ricercati e impegnati a Firenze tra la fine del sec. XIV e il primo terzo del sec. XV. A solo titolo indicativo (dal momento che non si possiede una serie sufficiente di dati), si può segnalare che un suo consiglio fu pagato 2 fiorini e 2 lire, mentre per consigli nella stessa causa Filippo Corsini ricevette 4 fiorini e 2 lire e Nello da San Gimignano 3 fiorini e 9 lire. La laurea nel solo diritto canonico non impedì certo, né a lui né ad altri canonisti, di essere spesso richiesti per consigli da tribunali secolari e da clienti laici. Ma, soprattutto, il B., con i sopraricordati Filippo Corsini e Nello da San Gimignano e con Lorenzo Ridolfi, Giovanni de' Ricci, Bartolomeo Popoleschi, Torello Torelli, Rosso degli Orlandi, Tommaso Marchi, Francesco Machiavelli, fu nel novero dei giuristi più frequentemente consultati dagli organi politici, amministrativi e giudiziari della Repubblica fiorentina e più largamente utilizzati per incarichi pubblici all'interno e all'estero (negoziati diplomatici). Nell'agosto 1392 il B. fu tra i cinque giuristi invitati dalla Signoria a fornire il loro parere sulla compatibilità di un trattato da stringere fra Firenze e Mantova, con trattati già esistenti con Pisa e con Genova. Nel luglio 1408 la Signoria lo spedì a Siena, insieme con un teologo, il frate minorita Antonio, per convincere Gregorio XII ad accettare il concilio di Pisa. La missione non ebbe successo (Ammirato): il 23 gennaio dell'anno seguente, nei dibattiti tenutisi a Firenze sull'atteggiamento da assumere nei confronti del concilio convocato a Pisa dai cardinali indipendenti per il 25 marzo 1409, il B. si pronunciò per la neutralità, il che significava l'abbandono di Gregorio. Poco dopo, decisa ormai la politica fiorentina nei confronti di quest'ultimo - che una commissione di giuristi ed esperti civili ed ecclesiastici aveva dichiarato dovesse essere deposto come eretico e scismatico - proprio il B., uno dei più conosciuti oppositori di Gregorio, fa spedito a quest'ultimo con la missione di persuaderlo a cooperare con i cardinali e gli altri prelati che si sarebbero presto raccolti nel concilio pisano. Partito per Rimini l'11 febbraio, il B. era di ritorno a Firenze 11 giorni dopo, per riferire l'esito ancora una volta fallimentare della missione. Nei rapporti della Repubblica fiorentina con Gregorio XII, con i cardinali indipendenti, con il concilio di Pisa e con il nuovo papa, Alessandro V, eletto il 17 giugno 1409 e riconosciuto da Firenze, il B. fu senz'altro una delle personalità maggiormente interpellate. Più tardi, nel 1411, lo si ritrova incaricato, insieme con altri giuristi, di esaminare due questioni di interpretazione del trattato concluso il 9 gennaio di quell'anno tra Firenze e re Ladislao: il parere fu presentato il 4 giugno 1411.

Nel giugno dell'anno seguente, la Signoria invita il podestà di Firenze ad assumere il B., insieme con Nello da San Gimignano, come arbitro nella disputa fra Antonio Mangioni e un gruppo di frati pisani. Altre volte, prima d'allora e in seguito, i documenti ci presentano il B. in veste di arbitro: così, il 27 marzo 1408 è designato a decidere le questioni esistenti tra l'ospedale di Bartolomeo del Mugnone e le monache di S. Martino del Mugnone; il 18 marzo 1428 è nominato con Zanobi Guasconi arbitro fra il convento di S. Salvatore a Settimo e il convento di S. Croce; il 17 apr. 1432 è chiamato a decidere sulla compatibilità fra l'ufficio dello Studio e quello dei Dodici buonomini.

Per tornare alle missioni diplomatiche e ai compiti connessi con la politica estera fiorentina, troviamo che nell'ottobre 1413 il B. è inviato con Alessandro degli Alessandri a papa Giovanni XXIII per indurlo a intervenire presso rimperatore ai fini della conclusione della pace con i Veneziani (Ammirato); nell'agosto 1415 è uno dei tre giuristi cui la Signoria commette di esaminare se le pretese finanziarie avanzate dal conte di Urbino siano fondate sul testo dell'accordo che lega quest'ultimo a Firenze; nel 1417 sottoscrive un consiglio di Alessandro di Salvo Bencivenni a proposito di una controversia tra Castiglione Aretino, che si rifiutava di pagare certe gabelle a Firenze, e la Signoria che asseriva la piena sovranità su Castiglione Aretino con il connesso diritto di esigere le gabelle. Ancora nel 1417 il B. viene chiamato a far parte di una speciale commissione composta di ventun persone, tra cui sei giuristi, che deve esaminare i negoziati avviati con Genova da Francesco Tornabuoni e Nello da San Gimignano. In particolare i sei giuristi furono richiesti di stendere un parere legale contro le pretese genovesi concernenti il carico delle navi nel Porto Pisano e l'uso fiorentino di navi genovesi negli ultimi dieci anni.

Del B. possediamo ancora, trascritto dal Gherardi, l'intervento nel "consiglio grandissimo" del 3 agosto 1424, tenuto dopo i rovesci subiti in Romagna dai Fiorentini; intervento che si conclude con l'invito: "cum aliis et cum domino papa veniamus in bona gratia, et maxime pro conducta racionata". Nel febbraio del 1432, ultraottantenne, è uno dei ventuno consiglieri, dei quali sei giuristi, sentiti dalla Signoria in merito alla richiesta dell'imperatore Sigismondo di arbitrare le trattative di pace fra Firenze, Milano e Venezia; la risposta sarà negativa, in quanto era già stato scelto in precedenza, come mediatore, il marchese di Ferrara. Infine, in data 28 giugno 1432 la Signoria ordina al B. e a Biagio Nicolini, avvocati del governo, di produrre un parere sulla controversia tra ser Paolo Fortini, cancelliere della Repubblica, nella sua veste di ufficiale delle Uscite, e gli ufficiali della Mercanzia. Il parere avrebbe dovuto essere presentato entro il 9 luglio, sotto penale di 500 fiorini.

Il B. morì tra la fine di giugno del 1432 e la data della denuncia catastale del 1431 dal momento che non appare registrato nel catasto di quell'anno. In quello del 1430 figurava invece per una sostanza complessiva di 1.790 fiorini e 2 soldi (nel 1427 2.124 fiorini, 8 soldi e 7 denari).

Abitava nel popolo di S. Ruffillo, quartiere di S. Giovanni, gonfalone del Drago, con la moglie Tancia e i figli Francesco, Antonio, Giovanni, che nel catasto del 1433 appaiono separatamente impostati. Ma aveva avuto, prima di sposare Costanza nel 1384, un'altra moglie e le carte genealogiche fiorentine ci dicono che oltre ai tre menzionati ebbe almeno altri quattro tra figli e figlie.

Docente non certo fra i maggiori del suo tempo e del suo Studio, il B. fu esponente di primo piano, nella sua città, di quel ceto di uomini di legge prevalentemente rivolti alla pratica, che, per tanto tempo trascurato dalla storiografia, si è recentemente rivelato (Martines) un elemento importante per una comprensione più profonda della storia politico-sociale delle città italiane e di Firenze in particolare, in anni decisivi per il destino della città toscana. Toccò infatti in prevalenza ai giuristi, professori e non, di dare una configurazione concreta e precisa al dibattito interno e alla politica interstatale, ed essi lo fecero, forti di una formazione civilistica e canonistica, cui dovevano in larga misura l'attitudine ad abbracciare eventi su una scala che trascendeva assai spesso la particolare situazione locale per attingere a visioni più articolate e complesse della realtà sociale e politica. Furono essi i giuristi, che contribuirono decisamente a guidare lo svolgimento costituzionale delle città e al tempo stesso ne affermarono verso l'esterno, creando la moderna diplomazia, le permanenti ragioni vitali.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico. Spogli, 6 (Spoglio delle cartapecore del monastero di S. Martino in via della Scala), 27 marzo 1408; Diplomatico. Spogli, 65 (Spoglio delle cartapecore del convento di S. Croce di Firenze), 18 marzo 1427; Catasti, 79, cc. 350v-352v; 4083 cc. 116v-115v; Priorista Mariani, 2, 361; Marchionne di Coppo Stefani, Istoria fiorentina, a cura di Ildefonso di S. Luigi, X, Firenze 1783, pp. 125 s.; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze dal MCCCXCIX al MCCCCXXXIII, II, Firenze 1869, p. 146; Statuti della Univ. e Studio fiorentino dell'anno MCCCLXXXVII..., a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 169-170, 246, 3711, 376, 383, 389; Gli atti degli ufficiali dello Studio fiorentino dal maggio al settembre 1388, a cura di R. Abbondanza, Firenze 1959, pp. 1, 10 s., 13; S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 2, Firenze 1647, pp. 943 ss., 969; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2299; G. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Veneriarum, Codices mss. latini, II, Venetiis 1869, pp. 251 s.; P. E. Vigneaux, Notice sur trois manuscrits inédits de la Vaticana, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, II(1882), pp. 319 n. 107, 348 n. 62; A. Campitelli-F. Liotta, Notizie del ms. Vat. lat. 8069, in Annali di storia del diritto, V-VI (1961-1962), pp. 399, 401; L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 91, 101, 106, 107, 136 n. 165, 292-295, 322 n., 337, 342 n., 370 n., 375, 417, 483; Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, IV, p. 250.

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