DOLCINO, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DOLCINO (Dulcino, Dulcinio, Dolcin), Stefano

Ugo Rozzo

Nacque a Sambuceto (ora comune di Compiano, provincia di Parma) nel 1462, da una famiglia forse di Busseto.

Non sono esistiti due (o tre) Stefano Dolcino: il "vecchio" e il giovane o "secondo"; l'umanista, prosatore e poeta latino, canonico di S. Maria della Scala a Milano, vissuto tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento è uno solo, nonostante le recise affermazioni in contrario di I. Affò, poi riprese da altri studiosi posteriori (tra i quali il Tiraboschi). La ragione principale dello sdoppiamento nasceva dal fatto che apparentemente uno solo dei "due" si presentava nelle sue opere come "Stephanus Dulcinius Secundus" e l'altro esclusivamente come canonico della Scala. Supponiamo però che il "secundus" sia nato come soprannome del D., nell'ambiente degli umanisti milanesi che egli frequentava, verso l'anno 1500, e non per distinguerlo da un inesistente contemporaneo, ma forse - e in questo caso non senza una più o meno benevola irrisione - dall'omonimo eresiarca medievale. Di un eventuale terzo contemporaneo Stefano Dolcino, calligrafo di greco, del quale parla lo Janelli, non è poi assolutamente il caso di fare conto. Comunque, dopo la puntuale lettera di P. Vitali, fu soprattutto il Pezzana, nelle sue aggiunte all'Affò, a chiarire definitivamente la questione, unificando il personaggio. Certo la cattiva sorte sull'identità del D. continua ancora ai nostri giorni se l'indice del Malaguzzi-Valeri distingue tra "Dolcino S." e "Dulcino S. canonico", mentre l'Indice della Storia di Milano della Fondazione Treccani (Milano 1966) scheda: "Dolcin Stefano", "Dulcino s." (sic) e "Dulcino Stefano".

Il D. iniziò i suoi studi a Cremona con l'umanista Niccolò Lucaro, pare nel 1478 e li proseguì poi a Milano seguendo le lezioni dell'alessandrino Giorgio Merula, del quale si dichiarò più volte allievo riconoscente. A tale proposito una preziosa testimonianza del suo discepolato la troviamo nelle note manoscritte che il D. aggiunse ad un volume delle Enarrationes Georgii Merulae in Satyras Juvenalis, stampate a Venezia presso Gabriele Petri nel 1478. La copia di quest'opera appartenuta al D., che si trova nella Palatina di Parma, reca la sottoscrizione finale: "Mediolani in Sancta Maria de la Scala per P. Stephanum Dulcinium ibi Canonicum, legente Georgio Merula Alex. 1488, die XVIIII Augusti". Ancora il Pezzana ricorda che note manoscritte greco-latine o solo latine del D. si trovavano nei margini di altri libri quattrocenteschi, presenti nella Biblioteca di Parma: G. Trapezunte, Rhetoricarum libri, Mediolani 1493; Ciccrone, Rhetorica ad Herennium, Mediolani 1489; N. Perotti, Cornucopia, Mediolani 1498: alcuni studiosi hanno poi erroneamente identificato queste glosse con veri e propri commenti manoscritti alle opere in questione, in seguito andati perduti.

Chierico forse dal 1475, nell'aprile 1486 venne nominato canonico di S. Maria della Scala a Milano e come tale condusse avanti la redazione del libro degli anniversari e dei necrologi della chiesa fino al 1492; il volume, poi continuato fino al 1610, a detta dell'Argelati aveva una prefazione del D., datata 12 luglio 1492.

Nell'agosto 1490 sperò di ottenere l'incarico di insegnante di eloquenza in Milano nell'accademia fondata dal Moro, succedendo al defunto Gabriele Paveri Fontana; a tal fine, oltre all'arcivescovo di Milano, lo raccomandò al duca il nunzio pontificio G. Gherardi, il quale scrisse in proposito anche al segretario ducale Bartolomeo Calco: però gli fu preferito Giulio Emilio Ferrari. Rimase così, senza un incarico definito, uno dei tanti letterati che facevano riferimento, con maggiore o minore fortuna, alla corte sforzesca.

Più costante e produttivo fu invece il suo rapporto col mondo editoriale e in particolare col tipografo Antonio Zarotto, presso il quale pubblicò quasi tutte le sue opere e per il quale curò due importanti edizioni; E. Motta lo indica anzi come correttore nella suddetta tipografia. Nel giugno 1503 il "prete Stefano Dolcino", per il quartiere di Porta Nuova, era chiamato a collaborare, insieme con altri cittadini milanesi, alle scelte della Fabbrica del duomo di Milano.

Sarebbe morto a Milano il 13 ott. 1508, secondo un'indicazione del Mazzuchelli e del Sitoni, poi ripresa e confermata dal Sassi e dall'Argelati, il quale ultimo precisa che venne sepolto nel sarcofago comune dei canonici di S. Maria della Scala; secondo altri autori (Vitali, Seletti) la morte sarebbe avvenuta a Busseto, dove il D. si era trasferito nei suoi ultimi anni di vita. I. Affò invece aveva giustificato lo sdoppiamento della figura del D. anche in considerazione del fatto che il "secundus" sarebbe morto dopo il 1511, avendo composto in quell'anno un epitaffio per Lancino Curti (Curzio), che si legge negli Elogia del Giovio. Per la verità il Curzio morì nel 1512 e l'epigramma del D., come ampiamente sostiene il Vitali, non deve necessariamente essere stato scritto dopo la morte di Lancino.

Al febbraio 1489 si data la sua prima opera, le Nuptiae illustrissimi ducis Mediolani, che recano la dedica al primo maestro, Lucaro, del giorno 20 di quel mese. L'operetta risulta di particolare interesse storico, perché il racconto delle cerimonie milanesi per le nozze di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona offre al D. l'opportunità di tracciare la genealogia dei Visconti e soprattutto di fare una descrizione del duomo di Milano, del Castello, dell'ospedale Maggiore e di tutti gli apparati celebrativi. Il suo impegno di fedele documentazione è del resto esplicito: "Quibus interfui, quae vidi, ut vera fuerunt, ita sempliciter narravi". L'opuscolo venne fatto stampare a cura e a spese di Giovanni Antonio Corvini di Arezzo, studioso e collaboratore di A. Zarotto, che nella lettera finale indirizzata al D. precisa come, per il gran diletto provato nella lettura del testo in questione, avesse deciso di farlo pubblicare in ben mille copie. Il tipografo fu lo Zarotto e il colophon reca la data finale del 13 aprile 1489. Probabilmente a motivo di questo scritto K. T. Steinitz ha identificato il D. col "Servitor Stephanus" che invia una dettagliata lettera al duca di Firenze sulle nozze di Gian Galeazzo; in verità il D. non fu mai corrispondente o informatore fiorentino.

Ancora al 1489 si data l'edizione critica dell'Astronomicon di Manilio; la lettera dedicatoria al marchese Orlando Pallavicino, senatore di Milano, è del 25 ottobre e dal colophon risulta che l'opera fu finita di stampare il 9 nov. 1489. Tipografo fu ancora lo Zarotto; e nella dedicatoria il curatore precisa di aver condotto il suo lavoro su antichi codici e di averla corretta in ben "trecentis locis", lasciando invece inalterati i passaggi "quae autem ambigua videbantur". L'Orlandi e il Sassi indicano una ristampa del volume nel 1499, ma essa probabilmente deriva solo da un errore di lettura (o di stampa); comunque anche in questo caso numerosi bibliografi hanno ripreso l'indicazione. Da notare che l'edizione del Manilio fu evidentemente un'iniziativa rivolta al mondo della scuola, nel quale del resto, proprio allora, il D. sperava di inserirsi.

Su suggerimento di Nicolò Antiquari, nipote del segretario ducale Iacopo, il D. emendò anche le Epistolae et opuscula di s. Ambrogio, che vennero edite il 1º febbr. 1491, con dedica a Ludovico il Moro, duca di Bari; stampatore dell'opera fu ancora una volta lo Zarotto. Se la dedica risulta ampollosa e ampiamente adulatoria (un vero "panegirico" del Moro, la definisce il Sassi), l'intento dello scrivente è etico-politico, rivolto ad incoraggiare il buon governo dello Stato. Come Ambrogio anche il Moro governa a Milano come vicario, ma in più è anche tutore e padre di tante altre città che compongono il Ducato; Ambrogio aveva cacciato gli eretici, il Moro ha ridato la pace all'Italia e la sua fama vola ormai per l'Europa e il mondo intero (Sassi, pp. DI-DII). Uscito solo due mesi dopo la prima edizione milanese delle Epistole di s. Ambrogio (a cura di G. Crivelli presso Pachel), relativamente agli opuscoli, il testo curato dal D. ha in comune col precedente solo il De vocatione, mentre poi aggiunge: De Isaac et anima, De fuga saeculi; ed anche lo spurio De aedificatione Mediolani. Già l'Affò aveva messo in evidenza come dalla cattiva lettura di una scheda relativa ai testi ambrosiani fosse nata l'indicazione dell'esistenza di un'opera del D. intitolata Opuscula varia et epistolae. Ilprimo a scriverne pare sia stato C. Beughem, seguito poi dal carmelitano P. Orlandi, il quale nella sua Origine e progressi della stampa dice l'opera edita a Milano nel 1492, e così farà il Sassi. Ancora il Maittaire cita: "St. Dulcinii canonici scalensis Epistolae et opuscula varia, Mediolani, 1492, in fol."; e pari pari lo riprende il Graesse (Trésor, II, p. 444).

Ancora al D. si deve l'edizione dell'opera del cisterciense Bonifacio Simonetta, Historia persecutionum Christianorum (quasi sempre indicata nelle bibliografie come De Christianae fidei et Romanorum Pontificum persecutionibus), per la quale stese anche i sommari posti all'inizio dei sei libri che la costituiscono; il volume si apre con un'epistola del D. a Giovan Battista Ferro, vicario episcopale di Milano, e apparve nel gennaio 1492 per i tipi dello Zarotto. L'opera venne ristampata nel 1509 a Basilea, ed erroneamente il Casati, nelle sue note all'edizione delle Epistolarum di F. Ciceri, scrive che i sommari del D. si trovano solo in questa seconda stampa. La lettera dedicatoria del D. è stata riprodotta dal Sassi (pp. DIV-DV).

L'unico componimento poetico di impegno del D. è il poemetto Sirmio, composto in endecasillabi latini, apparso il 30 nov. 1502 presso Alessandro Minuziano. L'opera è dedicata al conte Giacomo Antonio Della Torre, protonotario apostolico, e nel corso della dedica (riportata anche dal Sassi, coll. CCCXI-CCCXIII) l'autore fa un breve riassunto del contenuto. Segue il testo una lettera, sempre del D., a Paolo Gerolamo Franco genovese, datata "dalla Scala" 13 nov. 1502, mentre le ultime due carte sono occupate da cinque epigrammi, dovuti rispettivamente a Paolo Lanteri, Lancino Curti, Giano Parrasiol Francesco Tanzi detto Cornigero e Giacomo Antonio Della Torre; di questi e di diversi altri poeti suoi contemporanei il D. faceva le lodi nel corso del poemetto. L'opera fu ampiamente apprezzata dal Curzio (che diverse volte nei suoi Epigrammaton libri parla con ammirazione del D.), mentre venne criticata in un epigramma feroce attribuito al Navagero.

A parte il Curzio, il D. fu in amicizia con altri illustri letterati del tempo. Alla fine dei Rithimi di Gaspare Visconti (Milano 1493) c'è un'epistola latina del D. "pro" Francesco Tanzi, che aveva curato, contro la volontà dell'autore, la stampa delle rime volgari del Visconti (la si veda riprodotta in Sassi, pp. DV-DVI), ma anche alcuni componimenti del D. in lode dello stesso Visconti: l'Epitaphio del carnevale, un "sonetto latino", un epigramma e tre distici pure latini.

Di contro, la stima del Visconti (secondo altri, del Peloto) per il D. ci è testimoniata da un sonetto che si legge nella Raccolta milanese del 1756 (c. 22).

Il D. fu altresì molto legato a B. Corio, come dimostrano il suo epigramma posto sotto il bellissimo ritratto dell'autore, che orna una tiratura della prima edizione del 1503 della Patria Historia, e anche i versi in onore del Corio che si leggono alla fine dell'opera. Quattro esametri latini sempre in lode del Corio si trovano alla fine dell'altra opera dello storico milanese intitolata Utile dialogo amoroso (edita dal Minuziano prima del dicembre 1513). Al D. dedica invece un epigramma di lode Piattino Piatti, definendolo "due volte santo", come sacerdote e come poeta (Epigrammatum liber, Mediolani 1502). Un rapporto di profonda amicizia legò infine il D. al domenicano Matteo Bandello, che, nella dedica a lui di una sua novella, dichiara di invidiarne l'"incessabile, candida, latina e si dolce vena" e ne loda gli endecasillabi in onore del lago di Garda, che dice di aver ricevuto in casa del protonotario Della Torre (Novelle, II, 58). Ancora al D. il Bandello farà raccontare la novella I, 9, che sarà invece dedicata al ben noto per entrambi Lancino Curti: proprio considerando gli anni in cui vissero sia il D. sia il Curti, queste novelle dovrebbero essere considerate tra le più antiche del novelliere bandelliano.

Una lettera del D., datata 15 marzo 1505, scritta a Giovanni da Tolentino perché dia alle stampe le sue lettere ed altri suoi scritti, compare nel volume delle Epistulae del tolentinate, stampato a Milano nel 1511, a cura di Matteo Bandello. Forse il D. fu anche autore, secondo una indicazione del Sassi, di un testo intitolato, De die S. Fortunati, quo Franciscus Sfortia fuit Dux Mediolani, perché nel catalogo della Biblioteca di Blois, steso dal domenicano Guillaume Petit, si leggeva che era opera di "Daulcini Poetae Latini".

Non va però a lui attribuita, come fa invece A. C. Fiorato, per una cattiva lettura di un passo del Sassi, l'edizione delle opere di Niccolò da Cusa, stampate a Milano nel 1502, a spese del ricordato Orlando Pallavicino, che le dedicò al cardinale Giorgio d'Amboise.

Sappiamo che il D. ebbe una casa di proprietà a Busseto, dove la sua famiglia risiedette per tutto il Cinquecento e che donò la sua importante biblioteca al convento dei minori osservanti di questo luogo, come risulta da alcuni ex libris a suo tempo letti dall'Affò. E certamente dovette possedere testi importanti e codici antichi, anche se non è vero (come invece afferma il Malaguzzi Valeri) che a lui si rivolse il nunzio pontificio G. Gherardi nel 1489 per averne un testo di Vitruvio Pollione.

Fonti e Bibl.: G. Gherardi, Dispacci e lettere di G. G. nunzio pontificio a Firenze e Milano, a cura di E. Carusi, Roma 1909, pp. 339 s., 524 s.; Annali della Fabbrica del Duomo di Milano, III, Milano 1880, p. 125; L. Curtii, Epigrammaton libri decem, Mediolani 1521, cc. 57v, 72v, 158r; Id., Epigrammaton libri decem decados secundae, Mediolani 1521, cc. 6r, 15v; L. G. Giraldi De poetis nostrorum temporum, Florentiae 1551, p. 52; M. Bandello, Novelle [1554], in Tutte le opere, a cura di F. Flora, Milano 1952, I, pp. 116, 1121; II, pp. 233 s., 1286; P. Giovio, Le iscrizioni poste sotto le vere imagini de gli huomini famosi, Venezia 1558, p. 126; F. Picinelli, Ateneo de i letterati milanesi, Milano 1670, p. 479; C. Beughem, Incunabula Typographiae notitiam exibentia, Amstelodami 1668, p. 55; F. Arisi, Cremona literata, II, Parmae 1706, p. 2; G. P. Mazzuchelli (Iustus Vicecomes), Mediolanum secunda Roma, dissertatio apologetica, Bergomi 1711, p. 73; P. A. Orlandi, Origine e progressi della stampa, Bologna 1722, pp. 323, 363; M. Maittaire, Annales typographici, I, 1, Amstelodami 1733, p. 555; Ph. Argelati Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, coll. 2109 s.; G. A. Sassi, Historia literario-typographica Mediolanensis, ibid., coll. CXI, CCXL, CCXCI, CCCVII-CCCXVI, DI s., DIV s., DLXXXV, DXCI; F. Ciceri, Epistolarum libri XII et orationes quatuor, a cura di P. Casati, Mediolani 1782, p. 81; V. M. Giovenazzi, Poematum libellus, Neapoli 1786, c. 86; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, III, Parma 1791, pp. 67-71, 163-167; p. Vitali, Lettera al S. Avv. Angelo Pezzana intorno a S. D. canonico della Scala in Milano, Parma 1816, pp. 3-35; A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VI, 2, Parma 1827, pp. 351-362; J. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, VI, Florentiae 1859, pp. 500-502; G. B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 158 s.; E. Seletti, La città di Busseto, Milano 1883, I, pp. 276-278; III, pp. 72-74; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, IV, Milano 1890, p. 305 n. 430; F. Gabotto-A. Badini Confalonieri, Vita di G. Merula, Alessandria 1893, pp. 211 s.; [L. Cerri], Memorie per la storia letteraria di Piacenza in continuazione al Poggiali, Piacenza 1895, pp. 65-69; E. Motta, Di Filippo di Lavagna e di alcuni altri Tipografi-editori milanesi, in Arch. stor. lombardo, XXV (1898), p. 51, n. 1; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro, I, Milano 1929, pp. 32, 357, 423; IV, Milano 1923, p. 165; F. Catalano. Il Ducato di Milano nella politica dell'equilibrio, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, p. 387; E. Garin, La cultura milanese nella seconda metà del XV secolo, ibid., pp. 583, 589; E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, ibid., IX, Milano 1961, p. 547; K. T. Steinitz, The voyage of Isabella d'Aragon from Naples to Milan, January 1489, in Bibl. d'Humanisme et Renaissance, XXIII (1961), pp. 24 s., 30 s.; R. Weiss, The Renaissance Discovery of classical Antiquity, Oxford 1969, pp. 118 s.; A. Ganda, I primordi della tipografia milanese - Antonio Zarotto da Parma, Firenze 1984, pp. 57 s., 174 n. 153, 175 n. 158, 180 n. 173, 185 n. 186; A. C. Fiorato, Bandello entre l'histoire et l'écriture, Firenze 1979, pp. 137 s.; T. Rogledi Manni, La tipografia a Milano nel XV secolo, Firenze 1980, pp. 73, 106 n. 61, 141 n. 400, 164 n. 619, 194 n. 919, 218 nn. 1113-1114; Repertorium fontium hist. Medii Aevi, IV, p. 255.

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