ITTAR, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

ITTAR, Stefano

Maria Grazia D'Amelio

Nacque a Ovruč, in Volinia (allora Polonia, oggi Ucraina) nel 1724 da Jan e Anna, della quale non è noto il cognome.

La storiografia locale conferma il dato sostenendo che la sua famiglia si sarebbe insediata in Polonia durante il regno di re Giovanni Alberto (1492-1501) e che ancora nel 1735 gli Ittar possedevano una tenuta agricola nella provincia di Ošmjany in Lituania. L'I., stando a una biografia anonima (Cenni), discenderebbe da Carlo Guidone de Hittar nominato nel 1532, da Carlo V, conte del Balneo di Toscana (Azzaro, 1999, p. 84, n. 12).

Nel 1748 l'I. ereditò i beni dello zio paterno Pavel. Nel 1754 fu nominato tenente dell'esercito reale e nello stesso anno vendette alcune sue proprietà, partendo però tanto improvvisamente da non poter riscuotere la somma ricavata.

Il percorso che intraprese non è documentato; una tappa dell'I. a Roma è ipotizzata sulla scorta delle suggestioni tardobarocche locali che affiorerebbero in tutta la sua produzione, mentre un soggiorno in Spagna viene registrato solo dalla già citata biografia (Cenni).

L'I. giunse certamente a Catania molti anni dopo, nel 1765, dove venne ospitato dal barone Ignazio Paternò Castello principe di Biscari. Durante il soggiorno conobbe l'architetto di fiducia del principe, Francesco Battaglia, con cui strinse un sodalizio progettuale che avrebbe prodotto opere esclusivamente di alta committenza.

Tra i molti interventi a due firme sono da segnalare i palazzi Biscari, Cilestro (poi Tricomi), di Propaganda Fide e la porta del Fortino o Ferdinandea (1768, oggi Garibaldi), eretta per le nozze di Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d'Austria, nella quale l'adozione dell'alternanza della pietra nera e bianca fissa la divisa cromatica della città.

Nel 1767 l'I. sposò la figlia di Battaglia, Rosalia; dal matrimonio nacquero nove figli dei quali Sebastiano ed Enrico sarebbero diventati a loro volta architetti e Benedetto pittore e incisore.

Sono ancora inspiegabili i motivi che indussero l'I. a mentire sulla propria origine nell'atto di matrimonio: dichiarò infatti di essere romano, figlio di Alessio e di Domenica Tonelli e nipote di Stefano, invece di Michal (Dato - Pagnano, p. 146). La qualifica di "ingegnero romano" segue, peraltro, la firma in calce a un disegno dell'I., conservato nel Museo civico di Castello Ursino a Catania (Azzaro, 1995, p. 94). Questo misterioso sistematico depistaggio insieme con le invidie suscitate dalla folgorante fortuna professionale a Catania furono probabilmente all'origine di maldicenze e di una cattiva fama che perseguitarono l'I.: ne sono esempi la ricorrente lettura a rovescio del cognome che divenne un più prosaico Ratti (registrato addirittura, nel 1789, negli appunti di viaggio dell'architetto francese L. Dufourny); oppure il suo presunto suicidio per un errore di progettazione della biblioteca di Malta. Quest'ultima notizia è smentita dalle esequie dell'architetto celebrate con rito religioso proprio a La Valletta.

Tra i molti incarichi catanesi l'I. diresse per un lungo periodo i lavori al palazzo dell'Università, l'Almo Studio, succedendo a G.B. Vaccarini.

Nel 1767 modificò e completò la chiesa di S. Maria dell'Elemosina (la collegiata), iniziata su progetto dell'architetto gesuita A. Italia.

Nella facciata l'I. introdusse un raffinato contrappunto cromatico tra l'avorio del calcare e l'ocra della pietra giurgiulena che stempera l'asprezza della più consueta bicromia degli edifici catanesi, ottenuta con pietra nera lavica o con l'intonaco scurissimo, composto con la sabbia eruttiva dell'Etna, ai quali veniva accostata la pietra bianca del Siracusano.

Dall'ottobre 1768 e fino al 1783 l'I. fu incaricato dai padri benedettini (per i quali aveva lavorato anche Battaglia) di completare la chiesa di S. Nicolò l'Arena e il convento annesso.

I conti della fabbrica permettono di individuare gli interventi a cui l'I. soprintese; essi interessarono le fondazioni, le volte e i tetti, la posa del pavimento (su disegno di N. Fiselli), alcuni altari e le balaustre, il tamburo e la cupola (iniziata a voltare nel 1777). Nel 1775 l'architetto elaborò anche il disegno della facciata della chiesa, che venne però rifiutato dai committenti; ancora oggi il paramento esterno dell'edificio è solo accennato da potenti rocchi di colonne addossati al paramento murario rustico.

Contemporaneamente egli intervenne nella chiesa di S. Martino della Compagnia dei Bianchi (il cui più autorevole esponente era il principe di Biscari), parzialmente ricostruita, dopo il terremoto del 1697, su schema ad aula unica.

Nel primo dei due documenti riguardanti l'attività dell'I. nella fabbrica, datato 28 febbr. 1774, fu nominato perito per il contenzioso che opponeva la Confraternita a un vicino per i lavori della nuova facciata (ibid., p. 92); il secondo, dell'agosto 1774, ne svela il reale apporto che fu circoscritto alla facciata, della quale seguì i lavori per il primo ordine (completata con modifiche dopo il 1829 dall'ingegner M. Musumeci), e all'elemento di raccordo tra navata e filo stradale, da lui risolto in un vestibolo che assorbe la non ortogonalità della prima rispetto al secondo. Nella facciata, spartita in tre campate, quelle laterali convesse e la centrale concava, l'I. ripropose la bicromia per l'ideale griglia strutturale dell'ordine architettonico, adottando uno squillante rosso di Taormina che dialoga con il bianco di Carrara.

Ancora con Battaglia, nel 1775, progettò la sistemazione urbana della piazza antistante S. Nicolò l'Arena, prevedendo l'abbattimento di un fitto tessuto edilizio che lasciò spazio a un'esedra semiellittica perimetrata da una quinta costruita.

Tra il 1769 e il 1775 l'I. aveva realizzato la porta del priorato nella zona absidale della cattedrale, la facciata, l'altare maggiore e il coro sul vestibolo d'ingresso della chiesa di S. Placido, il prospetto del convento dell'Indirizzo, il completamento del palazzo di città, dei palazzi Pardo, Ardizzone e della casa di Musumeci.

Nel 1783 terminò i lavori per i benedettini e venne prescelto per la costruzione della nuova biblioteca della Sacra Religione gerosolimitana a Malta, poiché la vecchia sede risultava inadeguata a contenere il gran numero di volumi, stimati, al 1776, in oltre 22.000. Probabilmente gli fece ancora da tramite il principe di Biscari (Azzaro, 1999, p. 68).

Si trattava di un edificio fortemente rappresentativo della nuova politica intrapresa dai cavalieri, tanto che l'affidamento del progetto a un architetto straniero generò nel capomastro delle opere dell'Ordine, A. Cachia, un atteggiamento tanto ostile da boicottare i lavori a cantiere aperto.

Il contratto stipulato con i cavalieri il 16 apr. 1783 prevedeva che, dall'ottobre dello stesso anno, l'architetto avrebbe ricevuto annualmente 1500 scudi.

L'I. giunse per la prima volta a Malta solo nel gennaio del 1784, per poi ripartire tra il luglio e il settembre dello stesso anno per recarsi a Roma e in Polonia, dove a Zytomierz (Zitomir) dettò testamento in favore della moglie Rosalia e dei suoi primi due figli. Il progetto definitivo della biblioteca venne elaborato al suo rientro, nell'ottobre del 1784, e approvato nel marzo 1785.

Nello stesso anno l'I. tornò in Sicilia per predisporre lo spostamento definitivo della sua famiglia a La Valletta, in vista dell'apertura del cantiere della biblioteca che ebbe luogo nel 1786.

L'imponente edificio, completato nel 1796, occupa un lotto irregolare e si offre sulla piazza della Conservatoria con un prospetto a due piani organizzati da un telaio normato dall'ordine architettonico; la campata centrale è inquadrata da colonne libere binate che sostengono una balconata in corrispondenza di una profonda loggia, incorniciata da una doppia edicola centinata, aperta in corrispondenza della sala di lettura.

Al cantiere collaborò il figlio Sebastiano e alla morte del padre ne proseguì i lavori, come emerge dai pagamenti erogati dall'aprile 1790 fino al settembre 1795; l'acquisizione di questi inediti dati smentisce la tradizione che vuole Cachia quale continuatore dell'opera (ibid., p. 72).

Contemporaneamente al progetto della biblioteca, l'I., nel febbraio del 1784, fu incaricato dai cavalieri italiani di verificare la stabilità della sede, l'"albergia", della Lingua d'Italia sempre a Malta.

Dopo alcuni provvedimenti urgenti per mettere in sicurezza l'edificio preesistente, l'I. ne predispose un piano di ricostruzione (oggi non più rintracciabile) che avrebbe occupato non solo l'area dell'edificio, ma anche le case adiacenti. Nonostante l'approvazione pressoché unanime degli otto priorati che componevano la Lingua d'Italia, il progetto rimase inattuato anche per l'ingente spesa occorrente.

Nel 1787, a giugno e per circa due mesi, l'I. si allontanò di nuovo da Malta; quando vi fece ritorno, in qualità di architetto della Sacra Religione gerosolimitana, divenne responsabile delle fabbriche dell'Ordine, nella fattispecie dell'ospedale e dei magazzini delle galere.

A Floriana, nei pressi della Valletta, l'I. aveva realizzato nel 1786 la villa Agata, tipologicamente riconducibile alle ville siciliane, su commissione del barone G.F. Bonnici; mentre per conto della Lingua di Provenza, tra il 1786 e il 1790, costruì alcune residenze da affitto (ancora esistenti sull'attuale Strait Street) del tipo a schiera a tre livelli e a doppio affaccio, il cui fronte stradale è articolato su scarti minimi nello spessore e svuotato dal ritmo serrato delle bucature.

L'I. morì a La Valletta il 18 genn. 1790.

Fonti e Bibl.: Cenni biografici sulla vita e le opere di S. e Sebastiano Ittar, Palermo 1880, passim; S. Boscarino, S. I., in Studi e rilievi di architettura siciliana, Messina 1961, pp. 83-113; V. Bonello, Posizione storica dell'architettura maltese dal '500 al '700, in Atti del XV Congresso di storia dell'architettura, Roma 1970, pp. 453-457; S. Boscarino, Sicilia barocca…, Roma 1981, pp. 187-190; E. Sammut, A note on S. and Sebastiano Ittar, in Proceeding of History Week 1982, La Valletta 1983, pp. 20-27; F.S. Brancato, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, I, Palermo 1993, s.v.; B. Azzaro, La chiesa di S. Martino dei Bianchi in Catania, in Palladio, n.s., VIII (1995), 15, pp. 91-100; G. Dato - G. Pagnano, S. I.: un architetto polacco a Catania, in L'architettura del Settecento in Sicilia, a cura di M. Giuffrè, Palermo 1997, pp. 143-150; B. Azzaro, Gli ultimi architetti della Sacra Religione gerosolimitana: S. I., in Palladio, n.s., XII (1999), 23, pp. 65-86.

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