SIGLIENTI, Stefano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SIGLIENTI, Stefano. –

Giandomenico Piluso

Nacque a Sassari il 17 gennaio 1898 da Alberto, avvo-cato con una passione per gli studi umanistici, e da Francesca Conti.

La famiglia apparteneva all’influente borghesia intellettuale della città, ma si trovò tuttavia in gravi strettezze quando Stefano aveva 12 anni. Per fronteggiare le difficoltà economiche, durante gli anni del liceo Siglienti trovò impiego, per alcune ore al giorno, prima presso l’Anagrafe comunale e alla Provincia e poi presso una piccola banca locale. Quella prima esperienza di lavoro fu sentita come una dura necessità piuttosto che come segno di una vocazione.

«Ti scrivo dall’ufficio», si legge in una lettera del maggio del 1916 alla futura sposa Ines Berlinguer, «un ufficio e un lavoro che per me non rappresentano niente, non mi sento portato all’arido groviglio bancario di cifre, di dare, avere; insomma non è mia inclinazione» (Berlinguer Siglienti, 1971, p. 214).

Terminato il liceo, il celebre Azuni in cui si formò parte della classe dirigente dell’isola, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, insegnando al contempo scienza delle finanze ed economia presso il locale istituto tecnico. Interventista democratico, prese parte alla prima guerra mondiale come sottotenente, distinguendosi in un’azione sul Montello per cui venne decorato personalmente dal re nel luglio del 1918. Congedato con il grado di capitano d’artiglieria, Siglienti tornò in Sardegna, dove aderì prima al movimento degli ex combattenti e poi al Partito sardo d’azione. Si laureò in legge con il massimo dei voti nel 1921 e nell’ottobre del 1923 fu assunto come impiegato presso la direzione di Cagliari del Credito fondiario sardo, istituto allora controllato dal Banco di Roma.

Nel settembre del 1924 sposò Ines Berlinguer (testimoni furono Emilio Lussu per lui e il fratello Mario, padre del futuro segretario del Partito comunista italiano Enrico, per lei). Il matrimonio con Ines rinsaldò i legami con l’élite sassarese delle professioni, della politica, in particolare con l’area radical-democratica e mazziniana, estendendo i rapporti di parentela dei Berlinguer con i Segni, i Cossiga e i Delitala. Nel 1925 la nuova famiglia Siglienti si trasferì a Roma, dove Stefano iniziò a frequentare i circoli antifascisti di area liberal-democratica, come quelli riuniti intorno alla redazione dell’amendoliano Il Mondo, del Risorgimento e del Becco Giallo, conoscendovi, tra gli altri, Mario Vinciguerra, Adriano Tilgher, Guido De Ruggiero, Mario Ferrara, Meuccio Ruini e Corrado Alvaro. Nel 1929 Siglienti prese parte alla fondazione di Giustizia e libertà (GL), assumendo un ruolo rilevante nei gruppi dell’opposizione al regime. L’appartamento di via Poma della coppia e l’ufficio del Credito fondiario sardo diventarono sede degli incontri e delle riunioni di GL e, in generale, degli oppositori al fascismo. In quegli anni Siglienti entrò in relazione con Riccardo Bauer, Ugo La Malfa e Raffaele Mattioli. Tra il 1940 e il 1941, soprattutto con La Malfa, contribuì alla definizione del programma economico del Partito d’azione (Pd’A), in particolare occupandosi di nazionalizzazioni. Nel 1942 partecipò agli incontri, presso lo studio di Ivanoe Bonomi, con i vari gruppi dell’antifascismo che portarono alla creazione del Comitato di liberazione nazionale, stringendo stretti e intensi rapporti con Enrico Comandini, Sergio Fenoaltea e Bruno Visentini. Il 19 novembre 1943 Siglienti fu arrestato dalle SS (Schutz-Staffel), sottoposto a interrogatori in via Tasso e infine ristretto nel carcere di Regina Coeli, da dove riuscì a fuggire grazie agli interventi della moglie Ines, anch’essa impegnata nella lotta clandestina (la fuga dalla prigione gli consentì di non essere tra le vittime dell’eccidio, avvenuto pochi giorni dopo, delle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944).

Tornato all’attività clandestina nei mesi dell’occupazione tedesca, Siglienti fu chiamato a far parte del primo governo Bonomi (giugno - dicembre 1944) in qualità di ministro delle Finanze, occupandosi della riattribuzione dei servizi con il ricostituito dicastero del Tesoro.

Riteneva, in particolare, che il Demanio mobiliare, comprendente le partecipazioni finanziarie dello Stato, dovesse essere assegnato alle Finanze in vista di un più ampio intervento pubblico in economia, che sarebbe stato rafforzato dall’acquisizione della proprietà, anche solo parziale, delle società cui fossero affidati compiti di integrazione dei meccanismi allocativi di mercato. Lo schema predisposto da Siglienti incontrò tuttavia obiezioni in Consiglio dei ministri e lo stesso Bonomi si espresse a favore dell’assegnazione del Demanio mobiliare al Tesoro. In tema di tassazione e adeguatezza delle entrate Siglienti si adoperò per un aumento della raccolta mediante la contestuale perequazione degli oneri tra le varie fasce di reddito, sia riducendo la pressione sui redditi più bassi, sia attraverso l’estensione dell’imponibile dei redditi più elevati, in particolare di quelli da capitale. L’obiettivo di Siglienti, da perseguire compiutamente con il ritorno alla normalità politica e amministrativa, era una più generale riforma fiscale incentrata sulla progressività della tassazione per conseguire il «risanamento delle finanze statali» con «l’adeguamento dei sacrifici al livello dei contribuenti più onerati» (Caroleo, 2012, p. 938).

La crisi del primo ministero Bonomi, in dicembre, e la decisione di socialisti e azionisti di uscire dalla compagine di governo, posero fine all’esperienza ministeriale di Siglienti, che riprese le proprie funzioni al Credito fondiario sardo, dove rimase sino all’aprile del 1945. Dal 1° marzo al 10 dicembre 1945 assunse la funzione di commissario straordinario dell’Istituto mobiliare italiano (IMI), di cui divenne presidente nel dicembre del 1945, al termine dello stesso incarico, per decreto del capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. Dal settembre del 1945 aveva inoltre fatto parte della Consulta nazionale presiedendone la Commissione finanze fino all’elezione dell’Assemblea costituente del 2 giugno 1946. Alla ricostituzione dell’Associazione bancaria italiana (ABI), il 12 settembre 1945, Siglienti fu designato alla presidenza, rimanendovi per i successivi venticinque anni. La scissione del febbraio del 1946 tra liberal-democratici e socialisti all’interno del Pd’A, un esito che il liberal-democratico Siglienti tentò di scongiurare, segnò la fine della sua partecipazione alla vita politica come esponente di partito.

Dalla fine del 1945 fu dunque alla guida dell’associazione delle aziende di credito e del maggiore istituto di credito industriale del Paese, ruoli che gli permisero di partecipare attivamente – con un apporto di idee e con capacità di iniziativa e coordinamento – alla definizione delle politiche economiche per la ricostruzione e per la successiva fase di alta crescita dell’economia italiana, sino al progressivo deterioramento delle condizioni di efficienza del modello di economia mista di cui fu rigoroso assertore. In tale senso la figura di Siglienti può essere accostata a quella degli intellettuali dotati di competenze tecniche specifiche che assunsero ruoli di rilievo nella gestione dell’economia nei decenni postbellici. Questo tratto spiega, per esempio, l’attenzione prestata sin dalla ricostruzione alle funzioni di ricerca e studio delle due organizzazioni di cui fu a lungo presidente. Con la ricostituzione dell’ABI Saglienti e il direttore generale Gian Franco Calabresi promossero la pubblicazione della rivista Bancaria dal 1949.

Se, come banchiere e presidente dell’ABI, Siglienti si distinse soprattutto per la sua capacità di creare strutture organizzative, definire strategie e indicare chiari indirizzi operativi, come intellettuale dotato di competenze tecniche specifiche egli partecipò alla formulazione di politiche e scelte per il Paese, dalle forme di cogestione del sistema bancario alle iniziative di cooperazione finanziaria e monetaria internazionale, dalla promozione dello sviluppo nelle regioni meridionali e insulari al finanziamento dell’innovazione tecnologica e all’integrazione economica europea.

Alla presidenza dell’ABI Siglienti si distinse, sostenuto dall’alta considerazione verso le sue capacità, per una fattiva e costante interlocuzione con le autorità monetarie centrali, anzitutto con la Banca d’Italia di Donato Menichella, e con i maggiori banchieri il cui profilo presentava sostanziali tratti di affinità, come Mattioli della Banca commerciale italiana e Giordano Dell’Amore della Cassa di risparmio delle provincie lombarde (Cariplo). Con il riassetto delle strutture organizzative dell’associazione, l’ABI di Siglienti si impegnò nello studio e avanzò alcune proposte di ridefinizione delle norme che regolavano la riserva obbligatoria e l’autorizzazione all’apertura di nuovi sportelli, promuovendo la razionalizzazione dei servizi bancari e gli accordi interbancari cui infine si giunse nel 1954. La visione di fondo di Siglienti per il settore del credito, in accordo con quella della Banca d’Italia, insisteva sulla formazione del risparmio quale necessaria precondizione degli investimenti e il pronto contenimento di eventuali pressioni inflazionistiche che assicurassero condizioni di stabilità macroeconomica per l’insieme dell’economia. La similarità, se non piena corrispondenza, di vedute tra Menichella e Siglienti spiega anche la stretta cooperazione del banchiere con le autorità monetarie centrali nella peculiare forma di gestione del sistema bancario italiano negli anni Cinquanta e Sessanta. Se, da un lato, gli accordi interbancari esplicitamente riducevano forme e gradi di concorrenza tra gli intermediari, dall’altro, tuttavia, sia la Banca d’Italia sia l’ABI si preoccupavano di conseguire livelli di efficienza (in particolare gestionale) superiori attraverso soluzioni amministrative che contemplavano anche il riequilibrio nella distribuzione territoriale dei servizi creditizi.

Alla presidenza dell’IMI Siglienti promosse costantemente la crescita dimensionale e l’estensione dei servizi e delle attività dell’Istituto, elevandolo rapidamente a primo istituto di credito speciale per fondi gestiti. Negli anni della ricostruzione l’IMI assunse un ruolo centrale, in particolare con la gestione speciale dei fondi forniti dalla statunitense Export-Import Bank mediante l’apertura di crediti per complessivi 100 milioni di dollari.

I crediti della gestione Export-Import Bank furono erogati a grandi, medie e piccole imprese operanti in quattro settori ritenuti strategici per lo sviluppo: siderurgia e meccanica, elettromeccanica, chimica e gomma. Analogamente, l’IMI partecipò alle operazioni di sostegno economico per la ricostruzione del Piano Marshall impegnandovi la propria struttura organizzativa. I fondi statunitensi permisero investimenti in capitale fisico e trasferimenti di tecnologia in settori chiave della crescita manifatturiera, dalla ricostruzione ai primi anni Sessanta, favorendo processi di modernizzazione settoriale e incrementi di produttività. La gestione dei fondi statunitensi fu cruciale per dare concreto avvio allo sviluppo operativo dell’Istituto e fece comprendere il potenziale di sviluppo connesso a un suo inserimento nei circuiti finanziari internazionali. La netta riduzione delle gestioni speciali legate ai fondi statunitensi non interruppe nei primi anni Cinquanta la crescita operativa dell’IMI sui mercati internazionali. L’IMI poté anzi mettere a frutto il patrimonio di competenze e reputazione acquisito negli Stati Uniti per il collocamento di prestiti obbligazionari e stipulare accordi, nel 1959, con un consorzio bancario diretto dalla Bankers Trust per ottenere risorse da destinare al finanziamento dei settori meccanico, siderurgico, armatoriale e dell’aviazione civile. Con la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno l’IMI sostenne in misura via via crescente i programmi di riequilibrio territoriale imperniati sui consorzi di sviluppo industriale, sui trasferimenti pubblici e sul credito agevolato: una strategia di sostegno dell’intervento dello Stato apertamente affermata da Siglienti nel 1960 con la decisione di aprire uffici a Bari, Napoli e Catania. Negli anni Sessanta la quota dell’IMI sui crediti speciali assegnati alle regioni meridionali e insulari crebbe dal 19% del 1961 al 50% del 1969, concentrandosi particolarmente nella chimica e nella petrolchimica.

L’impegno di Siglienti quale presidente dell’IMI per lo sviluppo delle regioni meridionali e insulari fu bilanciato dalla strategia di internazionalizzazione dell’Istituto e dell’industria italiana. L’IMI divenne per esempio agente finanziario in Italia della Banca europea degli investimenti (BEI), sviluppò il credito alle esportazioni, divenendone il maggiore erogatore e sostenendo grandi gruppi come FIAT, Innocenti e Dalmine, ed estese le operazioni di aiuto ai Paesi in via di sviluppo nella prospettiva di farne altrettante aree di assorbimento delle esportazioni italiane. Per favorire l’internazionalizzazione passiva dell’Italia, nel 1960 l’IMI creò l’International information office, cui affidò il compito di promuovere gli investimenti delle multinazionali estere. La strategia delineata da Siglienti per l’IMI, il maggiore istituto di credito industriale con una quota di oltre un terzo del totale delle operazioni del settore, era quindi centrata sui finanziamenti degli investimenti strategici a elevata intensità tecnologica, su quelli nel Mezzogiorno e sui crediti alle esportazioni. L’internazionalizzazione dell’Istituto, sostenuta con convinzione da Siglienti, avviò la creazione o la partecipazione in società all’estero, come la zurighese Turis.

Numerose le cariche ricoperte da Siglienti, di cui si segnalano quelle di consigliere dell’INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale), dell’INCE (Istituto Nazionale di Credito Edilizio), della RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà), della Società elettrica sarda, della BEI e della Banque française et italienne pour l’Amérique du Sud (Sudameris), compartecipata dalla Banca commerciale e da Paribas. Fece inoltre parte della Commissione nazionale per la programmazione economica del ministero del Bilancio, presieduta da La Malfa, e fu presidente dell’Ente per gli studi monetari e finanziari Luigi Einaudi, la cui costituzione promosse insieme alla Banca d’Italia di Menichella.

Dall’unione con Ines erano nati Sergio (1926), amministratore delegato e presidente della Banca commerciale italiana tra gli anni Ottanta e Novanta e successivamente presidente dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni) sino al 2000, Lina (1929), Laura (1931) e Francesca (1937).

Stefano Siglienti morì a Roma il 5 aprile 1971.

Opere. Per i suoi scritti si rimanda all’antologia, S. S. Scritti scelti, a cura di A. Caroleo, Roma 1992.

Fonti e Bibl.: I. Berlinguer Siglienti, Così, come sempre, fino alla fine, Roma 1971; G.F. Calabresi, S. S., in Bancaria, 1971, n. 3, pp. 311-313; S. Fenoaltea, Ricordi, S. S., in La Nazione, 23 aprile 1977; M. Addis Saba, S. S., in Quaderni sardi di economia, 1981, n. 2-3, pp. 239-255; M. Mafai, Cossiga ricorda quella famiglia schietta e severa, in la Repubblica, 10 giugno 1984; S. Gerbi, Un banchiere nella resistenza romana. S. S., 1943-44, in Belfagor, 1994, n. 49, pp. 433-453; P.F. Asso - S. Nerozzi, Storia dell’Abi. L’Associazione Bancaria Italiana, Roma 2006, ad ind.; S. S. il rinnovatore modernizzò le banche italiane, in La nuova Sardegna, 12 dicembre 2006; G. Lombardo - V. Zamagni, L’Istituto Mobiliare Italiano, 1931-1998, Bologna 2009; A. Caroleo, S. S. (1898-1971), in Protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, a cura di M. Pinchera - E. Sinigaglia, II, Torino 2012, pp. 928-971; G. Montanari - F. Gaido - F. Pino, Due banchieri nella Resistenza romana. Raffaele Mattioli e S. S., in Archivio storico di Intesa Sanpaolo, Monografie, 2013, n. 4; E. Addis - M. Saba, S. S., in Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna, a cura di C. Dau Novelli - S. Ruju, II, Cagliari 2015, pp. 268-276; S. S., in Banche e banchieri per la ricostruzione. I protagonisti della nuova ABI nel 1945, a cura di M. Capasso - A. Mignone, Roma 2015, pp. 195-200; A. Mignone, Giellismo, Azionismo e Resistenza: il percorso politico di S. S., in Studi storici Luigi Simeoni, 2018, pp. 103-109.

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