SPIELBERG, Steven

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

SPIELBERG, Steven

Gian Luigi Rondi

Regista, sceneggiatore, produttore cinematografico statunitense, nato a Cincinnati (Ohio) il 18 dicembre 1947. Dopo esordi felici in televisione − con un film, Duel (Duel, 1971) che, distribuito poi anche nelle sale, doveva cominciare a rivelare in lui notevoli doti visionarie sorrette da tecniche abilmente votate alla fabbrica della tensione −, intraprende una fortunata carriera cinematografica segnata, quasi a ogni tappa, da solidi successi: The Sugarland Express (Sugarland Express, 1974), un road-movie di forte concitazione, anche con analisi attente dei caratteri; e Jaws (Lo squalo, 1975), che sostituisce le tensioni degli esordi con cifre in cui la paura è abilmente portata al culmine mostrando una ricerca straordinaria nella costruzione di effetti cui vengono sapientemente piegate le più agguerrite tecniche del cinema. Ancora effetti, ma con una più attenta e più fine evocazione di climi fra l'angoscia e la riflessione, in Close encounters of the third kind (Incontri ravvicinati del terzo tipo, 1977): una prima tappa, con risvolti perfino poetici, nel mondo degli extraterrestri, seguita da una puntata, insolita, e mai più ripetuta, in un comico non distante dal ''demenziale'', 1941 (1941. Allarme a Hollywood, 1979), e dal ben costruito ciclo avventuroso di Indiana Jones, Raiders of the lost ark (I predatori dell'Arca perduta, 1981) e Indiana Jones and the temple of doom (Indiana Jones e il Tempio maledetto, 1984), due film ariosi e vitalissimi, in cui, ancora una volta, le ricerche di effetti speciali, sempre più tipiche ormai di S., trovano modo di aver spazio e d'imporsi: con risultati spesso coinvolgenti. Tra i due si colloca cronologicamente il celebratissimo E.T. The extra-terrestrial (E.T. L'extraterrestre, 1982), con le prospettive abituali del pubblico giovanile sempre nitidamente presenti a S., ma anche con il tentativo, misurato e saldo, di arrivare a precisi messaggi, soprattutto sulla tolleranza e sul rispetto, apertamente proclamato, per il ''diverso''.

Meno intenso e convincente, anche per i toni eccessivamente patetici, risulta The color purple (Il colore viola, 1985), sugli anni fra il 1910 e il 1950 visti e vissuti spesso con sofferenza da una famiglia di colore del Sud. S. torna nuovamente all'avventura di largo respiro, con tendenza all'epico, con Empire of the Sun (L'impero del Sole, 1987), non a caso ideato di nuovo nell'ottica di un ragazzo, un giovane europeo travolto dagli eventi bellici nella Cina invasa nel 1941 dai Giapponesi: vi sono in questo film anche pagine corali e un senso della ricostruzione d'epoca sostenuto da un linguaggio di forte impatto visivo e con il gusto (forse perfino un po' compiaciuto) dello stile. Due anni dopo, il terzo capitolo della saga di Indiana Jones, Indiana Jones and the last crusade (Indiana Jones e l'ultima crociata), anche più dei precedenti con l'occhio alla favola e il pensiero teso a far immedesimare lo spettatore d'ogni età nell'avventura e nel sogno, secondo moduli perseguiti anche in seguito − ma con esiti più incerti −, nella rivisitazione della favola classica di Peter Pan, Hook (Hook. Capitan Uncino, 1991), dove comunque le tecniche, nonostante varie esitazioni narrative, s'impongono, anche suscitando atmosfere di facile presa sul pubblico. Nel 1993 − anno in cui la giuria della 50ª Mostra cinematografica di Venezia assegna a S. il Leone d'oro alla carriera − escono due film diversissimi e di gusto opposto: Jurassic Park (Jurassic Park), favola portata questa volta a tutti gli eccessi, con la voluttà della fantascienza e gli effetti speciali (premiati con tre Oscar) fatti sostenere con furbizia dalle tecnologie più avanzate; e il drammatico Schindler's list, ricostruzione di un significativo episodio dell'Olocausto, accolta da consensi quasi unanimi di pubblico e di critica (ha vinto ben sette Oscar), che propone uno S. nuovo, più attento che in passato − pur senza rinunciare del tutto a scoperti moduli hollywoodiani di spettacolo − a meditare non solo sull'indicibile strazio della tragedia ebraica, ma anche sulla possibilità di rappresentarla evitando il grave rischio di snaturarne, spettacolarmente o ideologicamente, il lancinante e doveroso ricordo.

A partire dagli anni Ottanta all'attività di regista S. affianca quella, intensa e oculata, di produttore televisivo (la serie di disegni animati Tiny Toons, iniziata nel 1990 e ancora attiva; Family dog, 1993, protagonista Tim Burton; Seaquest DSV, con Roy Scheider, 1993-94) e soprattutto cinematografico: basterà ricordare i grandi successi commerciali Gremlins (1983), Poltergeist (Poltergeist. Demoniache presenze, 1982), Back to the future I, II e III (Ritorno al futuro I, II e III, rispettivamente 1985, 1989 e 1990), i due lungometraggi a disegni animati della serie An American tail (Fievel sbarca in America, 1986; Fievel conquista il West, 1988); il notissimo Who framed Roger Rabbit? (Chi ha incastrato Roger Rabbit?, 1988), straordinario connubio di ripresa dal vivo e animazione; Cape Fear (Cape Fear, il promontorio della paura, 1991); The Flintstones (Gli antenati, 1995), trasposizione cinematografica dei ''preistorici'' delle strips di W. Hanna e J. Barbera. Vedi tav. f.t.

Bibl.: D. Arona, Guida al fantacinema, Milano 1978; M. Pye, L. Myles, The movie brats, New York 1979; J. Monaco, American cinema now, ivi 1979; M. Videtta, La fuga impossibile, Milano 1980; F. La Polla, Spielberg, Firenze 1982; D.R. Mott, Steven Spielberg, Boston 1986; Aktion und Erzahlkunst: die Filme von Steven Spielberg, a cura di H. Korte e W. Faulstich, Francoforte sul Meno 1987; J.-P. Godard, Spielberg, Parigi 1987; M.L. McAllister, Steven Spielberg, he makes great movies, Vero Beach (Florida) 1989; R. Ebert, The future of the movies: interviews with Martin Scorsese, Steven Spielberg and George Lucas, Kansas City 1991; Ph. M. Taylor, Steven Spielberg: the man, his movies and their meaning, New York 1992; Th. Conklin, Meet Steven Spielberg, ivi 1994; Steven Spielberg, a cura di G. Fiorini Rosa e M. Sesti, Roma 1994.

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