Italia, storia di

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Italia, storia di

Massimo L. Salvadori

Tra il centro e la periferia della storia mondiale

La storia d'Italia è caratterizzata da una forte oscillazione: in alcuni periodi l'Italia è stata uno dei grandi centri dello sviluppo politico, culturale e civile del nostro pianeta, in altri una delle periferie. I momenti più alti sono da collocarsi nell'età romana, quando l'Italia prima repubblicana e poi imperiale (secoli 3° a.C.- 4° d.C) fu la maggiore potenza del mondo occidentale, e nel Rinascimento (secoli 15°-16°), allorché il paese, pur diviso in Stati regionali incapaci di preservare la propria indipendenza politica, fu sede di una splendida civiltà. L'Italia recuperò la sua unità politica ‒ perduta nel 476 d.C. in seguito al crollo dell'Impero Romano d'Occidente ‒ solo nel 1860-61, con la formazione dello Stato nazionale in seguito al Risorgimento

L'Italia preromana e romana

L'Italia assunse una sua propria fisionomia nell'Età del Bronzo, quando tra il 12° e il 10° secolo a.C. si delinearono definite strutture regionali dotate di tratti culturali comuni. Nel secolo 9°, ormai in piena Età del Ferro, si sviluppò la cultura villanoviana (così detta da Villanova, un centro vicino Bologna), che vide costituirsi centri urbani differenziati dalle campagne.

Circa un secolo dopo ebbe inizio la civiltà degli Etruschi, che dall'Italia centrale si estese fino in Campania, e che ebbe la maggior fioritura tra il 7° e 6°secolo. Nel 5°-4° secolo tribù celtiche di origine gallica si stanziarono nella Pianura Padana. A partire dall'8° secolo ebbe inizio la costituzione in Sicilia e in altre zone dell'Italia meridionale di colonie da parte dei Greci, che vi portarono la loro grande cultura.

Fondata nel 754 o 753, tra il 4° e il 3° secolo Roma, dopo aver stabilito la propria egemonia sull'Italia peninsulare, ascese al ruolo di potenza dominante del mondo occidentale, definitivamente consolidato dalle conquiste di Mario, Silla, Pompeo e Cesare nel 1° secolo a.C. In quest'epoca entrarono progressivamente in crisi le istituzioni repubblicane, così da aprire le porte all'avvento dell'impero per opera di Ottaviano Augusto (27 a.C.-14 d.C.).

L'Italia tenne il suo primato per circa tre secoli, fino a che Costantino intorno al 330 d.C. non spostò la capitale a Costantinopoli. Il declino dell'Italia creò nel 5° secolo le condizioni per le invasioni barbariche (barbariche, invasioni). Roma venne a più riprese conquistata e nel 476 il re degli Eruli, Odoacre, depose Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d'Occidente.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente

Nell'età di mezzo tra la fine dell'Impero Romano e gli inizi dell'Età moderna l'Italia conobbe dapprima un lungo periodo di dominazione da parte per un verso dei Barbari e per l'altro dei Bizantini e di profondo arretramento della vita cittadina, di impoverimento culturale, di regresso demografico ed economico; poi, a partire dall'11° secolo, ebbe inizio un processo di forte ripresa, che nel Centro-Nord vide protagonisti i liberi Comuni (comunale, civiltà).

Nel Medioevo un vigoroso fattore di unità culturale e religiosa fu rappresentato dalla Chiesa. Caduta l'Italia in mano ai Barbari, un'impronta decisiva lasciò il re ostrogoto Teodorico (489-526), che, dando inizio ai regni romano-barbarici (romano-barbarici, regni), affidò il potere politico e militare ai dominatori e le funzioni amministrative agli Italici. Il proposito dei Bizantini (i Romani d'Oriente) di riconquistare l'Italia nel corso di una lunga e devastante guerra (535-553) ebbe l'effetto di provocare la fine dell'unità politica della penisola, divisa in una parte soggetta ai Barbari e in un'altra dominata da Bisanzio.

Nel 569 ai Goti succedettero i Longobardi, i quali si insediarono nell'Italia settentrionale scegliendo come capitale Pavia. Eventi di grande importanza ebbero luogo durante la dominazione longobarda. Da un lato il costituirsi come centro politicamente autonomo di Venezia, sorta per opera di popolazioni che, fuggite di fronte ai nuovi invasori, si affidarono nella seconda metà dell'8° secolo al governo di propri dogi. Dall'altro il formarsi del primo nucleo di quello che sarebbe divenuto lo Stato della Chiesa, in seguito alla donazione di Sutri al papa da parte del re Liutprando, avvenuta nel 728.

Alla dominazione longobarda pose fine nel 774 il re dei Franchi Carlomagno, il quale, fattosi incoronare nell'800 imperatore del Sacro Romano Impero, inglobò in esso i territori che erano stati longobardi, salvo l'Italia soggetta ai Bizantini e la Sicilia, che fu conquistata nell'827 dagli Arabi.

Nel corso del 10° secolo lo smembramento del Sacro Romano Impero portò al sorgere di molteplici centri di potere nelle mani di feudatari, alcuni dei quali molto potenti, che furono infine ridotti sotto la sovranità germanica da Ottone I, nel 962 incoronato imperatore del nuovo Sacro Romano Impero Germanico dal papa Giovanni XII.

Dai Comuni ai principati

Un drastico mutamento nella fisionomia dell'Italia fu provocato nell'11° secolo dal sorgere nella parte centro-settentrionale dei Comuni ‒ le rinascenti città che si costituirono in centri di potere di fatto autonomi ‒ e dal dominio dei Normanni nell'Italia meridionale, che posero fine al potere dei Bizantini e degli Arabi.

Nel tardo Medioevo si assistette a una vigorosa rinascita culturale ed economico-sociale: netto fu l'aumento della produzione manifatturiera, le città si ripopolarono, le campagne videro una forte ripresa delle coltivazioni. Elemento dinamico di questo rinnovamento furono anzitutto i Comuni.

Il proposito degli imperatori tedeschi di stroncarne l'autonomia fallì quando Federico Barbarossa venne sconfitto nel 1176 dalla Lega lombarda a Legnano. Una fase di grande ripresa conobbe anche l'Italia meridionale nella prima metà del 13° secolo sotto il regno di Federico II di Svevia; ma il regno venne perduto dal figlio Manfredi, che dovette cederlo nel 1266 agli Angioini, i quali però persero la Sicilia, passata agli Aragonesi nel 1302.

Il Medioevo andò lentamente volgendo verso una nuova epoca tra gli ultimi decenni del 13° secolo e il 14° in conseguenza del sempre maggiore sviluppo sociale e della crisi della civiltà comunale che vide i liberi Comuni cedere al potere di Signorie che ne assunsero il controllo e che nel 15° secolo diedero vita a Principati. Grande nel 13° e 14° secolo fu l'influenza politica e commerciale delle Repubbliche marinare di Genova, Pisa, Venezia e Amalfi, che si scontrarono in una lotta per la supremazia, infine conclusasi a favore di Venezia. Nel Medioevo profonde furono anche in Italia le conseguenze dei conflitti, divenuti in alcuni momenti assai aspri, tra il papato, che rivendicava il proprio diritto di legittimare il potere politico, e l'impero e successivamente le nuove monarchie nazionali, sempre più fermi nel rivendicare la propria autonomia, che con il passare del tempo veniva via via maggiormente ribadita.

Splendore culturale e debolezza politica

Nel 15° secolo andò consolidandosi un sistema di Stati regionali, i maggiori dei quali erano Venezia, Milano (con i Visconti e gli Sforza) Firenze, (con i Medici) lo Stato pontificio e Napoli. Nel Quattro-Cinquecento, grazie a un notevole sviluppo economico e alla fioritura della cultura del Rinascimento, l'Italia diventò per molti versi il maggior centro della civiltà europea, ma mostrò una gravissima debolezza politica e militare di fronte all'espansionismo delle grandi monarchie nazionali di Francia e di Spagna.

Tra il 1494 e il 1559 l'Italia fu terreno di scontro tra Francesi e Spagnoli, senza che agli Stati regionali spettasse altro destino se non di accodarsi agli uni o agli altri. Infine la pace fu raggiunta nel 1559 col Trattato di Cateau-Cambrésis e lo stabilirsi del dominio spagnolo da Milano alla Sicilia, mentre i Francesi mantennero posizioni di forza in Piemonte. Soltanto Venezia preservò la propria indipendenza. Il predominio della cattolicissima Spagna costituì un appoggio determinante alla Chiesa cattolica nell'azione volta a impedire che in Italia penetrasse la Riforma, la cui influenza risultò ridotta a nicchie marginali. Così l'Italia, sede del papato, poté erigersi a baluardo della Controriforma.

Il trionfante spirito controriformistico, ostile a ogni forma di libertà intellettuale e religiosa, portò nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento a una crescente decadenza culturale, nonostante punte di eccellenza come quella rappresentata da Galileo Galilei. Contemporaneamente la relativa perdita di importanza delle correnti commerciali mediterranee in seguito agli effetti della scoperta dell'America (1492) segnò l'inizio di un ciclo economico negativo, che si espresse nella contrazione delle attività industriali e nella dilatazione di quelle agricole. Particolarmente accentuato fu il declino nel Mezzogiorno, dove si imposero strutture agrarie assai arretrate.

Il Settecento

Dopo una serie di grandi guerre europee a cavallo tra Sei e Settecento, di cui fu protagonista la Francia di Luigi XIV, nel 1714 con la Pace di Rastatt l'Austria si sostituì alla Spagna in quanto potenza egemone nella Penisola. Un evento significativo fu l'erezione del Ducato di Savoia a Regno. Un'altra svolta importante fu impressa nel 1748 dal Trattato di Aquisgrana, che sancì il passaggio del Regno di Napoli ai Borbone di Spagna.

Il Settecento fu il secolo in cui in Europa si svilupparono la cultura illuministica, che faceva appello ai lumi della ragione in quanto guida all'azione dell'uomo, e a quella dei sovrani illuminati, intesa a promuovere un corso riformatore. Pur in una posizione secondaria rispetto ai grandi Stati europei, l'Italia partecipò a entrambe le correnti innovatrici. L'Illuminismo italiano, con personalità come Cesare Beccaria, ebbe i suoi maggiori centri a Milano e a Napoli, e il riformismo politico nella Lombardia di Maria Teresa e Giuseppe II, nella Toscana di Pietro Leopoldo e nel Regno di Napoli di Carlo VII e Ferdinando IV.

Le conquiste della Rivoluzione francese

La Rivoluzione francese investì profondamente anche l'Italia che, sconvolta dalle conquiste di Napoleone iniziate nel 1796, durante il regno di questi entrò a far parte saldamente dell'Impero francese. Nel periodo napoleonico il paese fu oggetto di significative riforme economiche e sociali e vennero gettati i germi di un nascente sentimento nazionale. Dopo il crollo dell'Impero napoleonico ebbe inizio l'età della Restaurazione, in effetti solo parziale per l'impossibilità di cancellare molte delle riforme introdotte: in conseguenza delle decisioni del Congresso di Vienna (1814-15) furono restaurati gli antichi regimi spodestati dai Francesi e il potere ritornò alle precedenti dinastie nel quadro di una rinnovata egemonia dell'Austria, che inglobò direttamente il Lombardo-Veneto. L'unico Stato italiano che mantenne una relativa autonomia fu il Regno di Sardegna, tornato ai Savoia.

Tra la Restaurazione e il 1860 l'Italia conobbe quel movimento di rinnovamento politico e civile ‒ le cui origini sono da ricondursi al periodo della dominazione francese ‒ che va sotto il nome di Risorgimento, il quale culminò nella formazione dello Stato unitario. L'unità italiana fu opera soprattutto dell'iniziativa del Piemonte sabaudo, che aspirava inizialmente a costituire un regno dell'Alta Italia, e del movimento democratico il rappresentante di maggior spicco fu Giuseppe Mazzini, il quale mirava invece a costituire un'Italia unita e repubblicana.

La nascita dell'Italia unita

Dopo una serie di moti falliti nel 1820-21 e nel 1830-31, nel 1848-49 il Piemonte di Carlo Alberto, prima sostenuto e poi abbandonato dagli altri Stati italiani, fece guerra all'Austria, ma venne sconfitto (Prima guerra di indipendenza); emergeva intanto con forza il movimento repubblicano e democratico nelle lotte armate contro gli Austriaci a Milano, Venezia e Roma.

Nel 1831 Mazzini aveva fondato la Giovane Italia, un raggruppamento inteso a ottenere l'unità del paese e la repubblica mediante l'insurrezione popolare. Nel 1852 in Piemonte, unico Stato italiano a conservare dopo il 1848 una costituzione liberale, durante il regno di Vittorio Emanuele II divenne primo ministro il conte Camillo Benso di Cavour, che avviò un profondo processo di modernizzazione economica e sociale. Cavour, ottenuta l'alleanza dell'imperatore francese Napoleone III, nel 1859 fece muovere il Piemonte contro l'Austria, che venne sconfitta (Seconda guerra di indipendenza). Nel 1860 Giuseppe Garibaldi, con un piccolo esercito di irregolari (spedizione dei Mille), via via più consistente, abbatté il regno borbonico delle Due Sicilie, inducendo Cavour a far proprio l'obiettivo dell'unità italiana. Una serie di plebisciti sanzionò l'unificazione delle varie regioni al Piemonte.

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II venne proclamato re d'Italia. Nel 1866 in seguito alla guerra che vide l'Italia alleata alla Prussia (Terza guerra di indipendenza) venne annesso il Veneto. Nel 1870 fu la volta di Roma.

L'Italia liberale

Il governo nazionale fu retto fino al 1876 dalla destra liberale. L'unificazione politica e amministrativa di un paese segnato da grandi diversità risultò assai difficile, in primo luogo per il divampare del brigantaggio, espressione di un diffuso disagio sociale, nelle regioni del Sud, dove emerse in tutta la sua portata la 'questione meridionale'. Assai precarie erano le condizioni economiche di un paese complessivamente ancora arretrato.

Un problema molto grave fu che la Chiesa, la quale considerava lo Stato italiano come un usurpatore per aver distrutto il potere temporale dei papi, impose ai cattolici di non votare e di non partecipare alla vita politica. Ma i risultati furono complessivamente positivi. Nel 1876 il governo venne assunto dalla sinistra liberale, che allargò il suffragio; strinse nel 1883 un'alleanza con la Germania e l'Austria (Triplice alleanza), le quali garantirono l'unità italiana; introdusse misure a protezione della debole industria italiana; iniziò un'espansione coloniale prima in Eritrea e poi in Etiopia, subendo però una disastrosa sconfitta ad Adua nel 1896, durante il governo di Francesco Crispi.

Intanto le masse lavoratrici presero a organizzarsi sotto la guida di gruppi anarchici e socialisti e misero radici le organizzazioni sindacali. Nel 1892 sorse il Partito socialista, con l'obiettivo di costituire una società basata sulla proprietà collettiva. Numerosi e acuti furono i conflitti sociali. Agli inizi degli anni Novanta del 19° secolo il movimento dei Fasci siciliani andò incontro a una dura repressione. Nel 1898 a Milano scoppiarono moti causati dalla fame, soppressi nel sangue. Allora il governo del generale Pelloux progettò l'introduzione di leggi reazionarie con il sostegno del re Umberto I, che però fu assassinato nel 1900 da un anarchico e a cui successe Vittorio Emanuele III.

L'età giolittiana

La politica reazionaria venne respinta dalla sinistra liberale, che salì al governo nel 1901 e di cui il maggior esponente fu Giovanni Giolitti, il quale resse quasi ininterrottamente il paese dal 1903 al 1914, durante quella che è stata definita l'età giolittiana. Giolitti promosse lo sviluppo dell'industria nel Nord; fece riconoscere il diritto dei lavoratori non solo di organizzarsi ma anche di scioperare, purché per motivi economici e non politici; introdusse nel 1912 il suffragio universale maschile; favorì l'inserimento dei cattolici moderati nella vita politica. Ciononostante, rimasero acuti i conflitti sociali e politici, alimentati dai socialisti rivoluzionari, cui si opponevano i socialisti riformisti, favorevoli a intese con la borghesia sensibile alle esigenze di ascesa dei lavoratori. Nel 1911-12 Giolitti portò l'Italia in guerra con la Turchia, cui venne strappata la Libia che divenne colonia italiana. Allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914, consapevole delle debolezze del paese, Giolitti tentò invano di impedirne l'ingresso nel conflitto. L'intervento divenne realtà il 24 maggio 1915 con l'opposizione delle masse socialiste e cattoliche e di una parte della stessa classe dirigente, ma con il sostegno dei gruppi degli interventisti e della monarchia. L'Italia entrò quindi in guerra prima contro l'Austria e poi contro la Germania, a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia, che promisero lauti compensi territoriali.

La Prima guerra mondiale e il dopoguerra

La guerra fu una prova durissima per la società italiana. Dopo momenti molto critici, l'Italia ottenne infine una vittoria decisiva a Vittorio Veneto nell'ottobre 1918. Il dopoguerra aprì un periodo di crisi profonda economica e politica. L'Italia ottenne la Venezia Giulia, l'Istria, il Trentino e l'Alto Adige, ma non i territori della Dalmazia e i compensi coloniali promessi dagli alleati. I socialisti e poi i comunisti ‒ questi ultimi costituitisi in partito nel 1921 ‒ infiammati dalla Rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917 misero sotto accusa la guerra e proclamarono che era giunta l'ora di abbattere il capitalismo. Le elezioni del 1919 furono un grande successo per i socialisti e per i cattolici organizzatisi per la prima volta in partito autonomo ‒ il Partito popolare ‒ e segnarono la crisi organica della classe dirigente liberale, che pur in una posizione di grave debolezza rimase al governo fino al 1922.

Nel 1919 era nato il fascismo, fondato dall'ex socialista Benito Mussolini, il quale prese a contrastare in primo luogo i socialisti e i comunisti, in un quadro di violenza in cui prevalsero infine le squadre fasciste sostenute anche dai militari. Nell'ottobre 1922 Mussolini andò al governo con l'appoggio dei liberali e dei popolari, molti dei quali ritenevano il fascismo un fenomeno passeggero. Ma il duce del fascismo, forte del sostegno della monarchia, della Chiesa e di gran parte della borghesia, tra il 1924 e il 1926 distrusse lo Stato liberale e diede vita a uno Stato autoritario. Il regime fascista avrebbe voluto diventare totalitario, ossia dominare la totalità della vita del paese, ma a limitarlo restarono la monarchia e la Chiesa. Nel 1929 lo Stato e la Chiesa strinsero i Patti lateranensi, che chiusero il conflitto sorto nel 1870 quando Roma fu presa dalle truppe piemontesi.

La dittatura fascista e la Seconda guerra mondiale

Il fascismo sottopose alla propria dittatura la società italiana, in particolare le masse lavoratrici, represse i movimenti antifascisti, rispose alla crisi economica del 1929 con un forte intervento dello Stato. Ebbe l'ambizione di fare dell'Italia una grande potenza militare. Nel 1935-36 l'Italia mosse guerra all'Etiopia, che venne ridotta a colonia italiana. Nel 1936-39 diede un contributo determinante alla vittoria del generale Franco nella guerra civile spagnola. Tra il 1936 e il 1939 legò le sue sorti a quelle della Germania nazista. Nel 1938 vennero introdotte le leggi razziali contro gli Ebrei.

Quando nel 1939 la Germania diede inizio alla Seconda guerra mondiale, l'Italia dapprima se ne tenne fuori; poi il 10 giugno 1940, contando sulla vittoria tedesca, entrò nel conflitto. Ma la situazione militare andò progressivamente peggiorando, provocando nel luglio del 1943 il crollo del regime e in settembre l'armistizio con gli Angloamericani, che avevano iniziato l'invasione del paese.

Dopo l'armistizio, nell'Italia centro-settentrionale, che era stata occupata dai Tedeschi, si costituì un regime neofascista con la formazione della Repubblica sociale italiana, e prese vigore il movimento della Resistenza condotta dai partigiani contro nazisti e fascisti; mentre in quella meridionale, occupata dagli Angloamericani e in cui si era rifugiato il re, venne formato un governo sostenuto dai risorti partiti antifascisti. Nell'aprile 1945 l'Italia fu liberata e Mussolini giustiziato.

L'Italia repubblicana

La ricostruzione economica del paese fu abbastanza rapida, anche grazie agli aiuti americani. Nel 1946 un referendum istituzionale portò alla nascita della Repubblica e nel 1948 entrò in vigore una nuova costituzione. Come maggiori partiti emersero la Democrazia cristiana, il Partito socialista e il Partito comunista, i cui leader erano rispettivamente Alcide De Gasperi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti. Nel 1947 De Gasperi pose fine ai governi di unità antifascista che avevano guidato il paese dopo la liberazione. In seguito alla grande vittoria elettorale conseguita nelle elezioni del 1948, che segnarono la sconfitta dei socialcomunisti filosovietici, la Democrazia cristiana, impressa una linea moderata alla politica nazionale, guidò fino al 1962 vari governi basati su coalizioni di centro e in politica estera consolidò l'alleanza con gli Stati Uniti.

Gli anni Cinquanta videro un impetuoso sviluppo, in particolare industriale, tanto da far parlare di 'miracolo economico'. Nel 1957 l'Italia aderì al Mercato comune europeo, che pose le basi dell'integrazione europea. Nel 1962 il centrismo ebbe fine e iniziò la fase dei governi di centro-sinistra, basati cioè sui partiti di centro e sul Partito socialista, il quale aveva rotto l'alleanza con il Partito comunista fin dal 1956, l'anno della rivelazione dei crimini di Stalin e dell'invasione dell'Ungheria da parte dei Sovietici. Le ambizioni del centro-sinistra di avviare un forte processo riformistico andarono per parte essenziale deluse.

Nel 1967 ebbe inizio un'ondata di contestazioni politiche e sociali, sostenute da masse di studenti e di operai, che si estese nell'anno seguente (il Sessantotto). Importanti riforme furono l'avvio nel 1970 dell'ordinamento regionale e la legge che introdusse il divorzio. La contestazione aprì la strada al sorgere di organizzazioni di estrema destra, volte a introdurre un regime autoritario, e di estrema sinistra, intenzionate a far scoppiare la rivoluzione proletaria, alcune delle quali passarono a metodi terroristici.

Il terrorismo di estrema destra e di estrema sinistra insanguinò il paese per anni, e raggiunse il culmine con l'assassinio dello statista democristiano Aldo Moro nel 1978 a opera delle Brigate Rosse. Il centro-sinistra, entrato in crisi intorno alla metà degli anni Settanta, ebbe un nuovo slancio alla fine del decennio per iniziativa del leader del Partito socialista Bettino Craxi che, presentandosi come fautore di un moderno riformismo di sinistra, rinsaldò l'alleanza con la Democrazia cristiana e guidò il governo tra il 1983 e il 1987.

L'Italia dopo la crisi degli anni Novanta

Ai primi anni Novanta ha avuto fine (tanto da indurre a parlare anche di fine della 'prima Repubblica') il sistema politico sorto nel dopoguerra, in conseguenza degli effetti congiunti del crollo del comunismo sovietico e dell'azione della magistratura (operazione Mani pulite) diretta contro la diffusa corruzione pubblica, nella quale si trovarono coinvolti numerosi esponenti soprattutto dei partiti di governo e del mondo economico.

Il crollo dei regimi comunisti ha indotto nel 1991 il Partito comunista ad autosciogliersi, dando vita al Partito democratico della sinistra. Nel 1993-94 si sono sciolti anche il Partito socialista e la Democrazia cristiana, mentre è venuta emergendo nell'Italia settentrionale la Lega nord, una formazione politica che, dopo aver agitato la bandiera della secessione della Padania dal resto del paese, si è posta quale obiettivo la trasformazione dello Stato in senso federale.

Nel 1993 per opera dell'imprenditore Silvio Berlusconi è nata Forza Italia, un partito volto a raccogliere intorno a sé il consenso moderato; nel 1994 si è costituita Alleanza nazionale, un partito di destra che ha assorbito il Movimento sociale italiano, il partito neofascista sorto nel dopoguerra. L'introduzione di un sistema elettorale maggioritario nel 1993 ha portato alla formazione di due poli, l'uno di centro-destra e l'altro di centro-sinistra, in forte conflittualità. Il centro-destra ha vinto le elezioni nel 1994, il centro-sinistra nel 1996. Nel 2001 è tornato al potere il centro-destra. Un aspetto quanto mai negativo della vita civile del paese è stata la forza persistente dimostrata negli ultimi decenni (ma si tratta di una piaga antica) dalle organizzazioni criminali, in primo luogo la mafia e la camorra, che hanno diffuso in vaste aree pratiche di grande violenza e di illegalità.

Un momento importante per l'Italia è stato l'ingresso nell'area della moneta unica europea (euro), che a partire dal 2002 ha sostituito in vari paesi dell'Unione europea le tradizionali monete nazionali.

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