Successione nel debito d’imposta

Diritto on line (2015)

Marco Versiglioni

Abstract

Come la soggettività implica l’unicità, ossia, la giuridica indivisibilità, così il soggetto implica l’ ‘uno’, giuridicamente indivisibile. Perciò, si ha successione nel debito di imposta quando con la morte o il venir meno del contribuente (uno sostanziale in senso genetico) il suo successore a titolo universale (uno sostanziale in senso adempitivo) subentra nell’obbligazione tributaria che sia frutto del collegamento univoco tra una unità (giuridicamente indivisibile) dell’indice di capacità contributiva che giustifica l’imposta e il contribuente deceduto o venuto meno. Quella del successore è tipologia autonoma della soggettività perché caratterialmente diversa sia da quella del contribuente, sia da quella del sostituto o del responsabile (uni strumentali). La ragione di legittimità costituzionale della tipologia soggettiva del successore è principalmente nell’efficacia normativamente attribuita al libero volere del legittimato a succedere, che può farlo o no. La morte o l’estinzione del contribuente implicano il subentro del successore anche in altre situazioni giuridiche soggettive (doveri, obblighi, oneri, poteri, facoltà…) rilevanti nelle fasi dell’attuazione della norma di imposta, ivi compresi la mera conoscenza, l’accertamento e la composizione. Complesso è, infine, il quadro che si genera quando sono presenti più successori, talvolta solidalmente coobbligati, talvolta no. Si esclude, in ogni caso, la compatibilità con il litisconsorzio necessario.

Premessa

Con l’espressione successione nel debito di imposta si identifica tradizionalmente il subentro del successore a titolo universale nelle plurime situazioni giuridiche soggettive fiscali facenti capo ad un contribuente deceduto o venuto meno; dunque, essa non è limitata alla (sola) situazione giuridica soggettiva sostanziale del subentro mortis causa nel debito tributario riferibile al de cuius ma è estesa (anche) a situazioni giuridiche soggettive diverse: strumentali, esattive e sanzionatorie. Quest’apertura verso aspetti non strettamente correlati al sub-concetto “debito di imposta” trova giustificazione in risalenti ragioni dogmatiche e normative che sono state in gran parte superate dalla chiara evoluzione del dato normativo e che in ogni caso non è possibile qui esaminare (per la sintesi della tradizionale dialettica dottrinale sul tema, v. Fantozzi, A. Successione nel debito di imposta, in Nss. D.I., Torino, 1971, 594 ss.). Saranno però trattati, previa fissazione di una (necessaria) premessa sul soggetto giuridico (‘uno’), i variegati effetti (sostanziali e strumentali) che il metodo tradizionale conduce a collegare alla successione a titolo universale in situazioni soggettive fiscali altrui. In ogni caso, sembrano escluse dal tema le modificazioni soggettive a titolo particolare conseguenti ad atti inter vivos riferibili alla responsabilità d’imposta: così, ad es., il cessionario d’azienda non può considerarsi successore perché, come si dirà, egli afferisce a una tipologia astratta di soggetto tributario diversa da quella del successore. Infine,esula dal campo di indagine la successione come indice di capacità contributiva che giustifica il tributo ad essa dedicato.

Norme fiscali sulla successione nel debito di imposta

Norme fiscali che regolano la successione nel debito di imposta sono principalmente quelle ricavabili dall’art. 65 del d.P.R. 29.11.1973, n. 600 e dall’art. 35-bis, co. 1,del d.P.R. 26.10.1972, n. 633. Il primo comma dell’art. 65 prevede che «gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa». Nei commi successivi la disposizione detta modalità operative di esecuzione di adempimenti (posti a carico dell’Amministrazione finanziaria e degli eredi) e stabilisce una proroga di sei mesi di alcuni termini pendenti. Il comma 1 dell’art. 35-bis prevede che «gli obblighi derivanti, a norma del presente decreto, dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi, ancorché i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte del contribuente, entro i sei mesi da tale data». Analoga è la disciplina, che ricalca quella civilistica, prevista dagli artt. 172, co. 4 e 10, e 173, co. 4 e 12 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917, concernenti, rispettivamente, la fusione e la scissione. Esistono, poi, altre norme fiscali che delimitano il concetto della successione nel debito di imposta, rimanendone però al di fuori. In quest’ottica, l’art. 7, co. 3, d.P.R. n. 917/1986 e l’art. 35-bis, co. 2, d.P.R. n. 633/1972 qualificano gli eredi non già come successori a titolo universale del de cuius ma come autonomi soggetti passivi; l’art. 8 del d.lgs. 18.12.1997, n. 472 prevede, infine, che i debiti per sanzioni (per fatto proprio del de cuius) non sono trasmissibili agli eredi.

Successione nel debito di imposta e soggetto giuridico (‘uno’)

Necessità di formulazione di una premessa sul concetto di soggetto giuridico (‘uno’)

Le disposizioni prima citate prevedono la trasmissibilità agli eredi di elementi e situazioni giuridiche altrui ma non definiscono se, quando e come, secondo le due tradizionali categorie della soggettività tributaria, l’erede possa essere qualificato soggetto passivo sostanziale (contribuente) e/o soggetto passivo strumentale (sostituto o responsabile). Né è pacifico se la solidarietà prevista dal citato art. 65 sia di tipo paritetico o dipendente. Del resto, la disciplina fiscale non è di per sé sufficiente per ricostruire la teoria e la pratica del fenomeno. Perciò, esaminando le norme predette con il duplice intento di valutarne la coerenza costituzionale e di ricostruirne il significato e la portata teorico-pratica, è necessario formulare la premessa sul soggetto giuridico (‘uno’) osservandolo sia nell’ottica tributaria concernente chi? (soggetto passivo in senso stretto o contribuente) giustifichi costituzionalmente la legge che individua gli uni tenuti a concorrere alle pubbliche spese rispetto agli altri che non lo sono, sia nell’ottica, di diritto comune, concernente chi? (soggetto passivo in senso lato: contribuente o sostituto o responsabile) debba rispondere, da sé o solidamente con altri, dell’adempimento del tributo, proprio o altrui (per l’eventuale approfondimento della premessa di cui infra, v. Versiglioni, M., ‘Unità’ ed ‘uni’ del e nel diritto tributario. Riflessioni teoriche sul litisconsorzio necessario soci-società di persone, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 149 ss.).

Uno sostanziale in senso genetico (contribuente)

L’art. 53 della Costituzione è ‘scientifico’ nella parte soggettiva («tutti» – «loro») ed ‘etico’ in quella oggettiva («capacità contributiva»). Perciò, rispetto al soggetto, tale disposizione priva il legislatore di libertà e di ‘indisponibilità intervallari’ (discrezionalità) e gli assegna un’indisponibilità puntuale che lo vincola a introdurre tributi la cui obbligazione di imposta possa sorgere solo in capo all’uno al quale sia univocamente riferibile una ‘unità dell’indice di capacità contributiva’ che giustifica l’imposta. Tra ciascun uno appartenente all’insieme ‘tutti i contribuenti’ e ciascuna unità dell’indice di capacità contributiva appartenente all’insieme ‘loro capacità contributive’ deve sussistere un nesso univoco. È questo il solo nesso idoneo a realizzare la logica solidale e di pari trattamento sostanziale dal lato genetico passivo (‘…da ciascuno il suo…’) che caratterizza l’imposta e che costituisce la ‘ragione di divisibilità’ (ossia, la funzione costituzionale di divisione) degli uni (tassabili) dagli altri (non tassabili). Gli ‘uni sostanziali in senso genetico’ sono dunque entità (uni) della variabile (dipendente) «tutti» determinate (o determinabili) univocamente in dipendenza di entità (unità) previamente attribuite, dallo stesso legislatore, alla variabile (indipendente) ‘loro capacità contributive’. È l’attitudine a dipendere, geneticamente e morfologicamente, dal se e dal modo con il quale certi fatti predeterminati dalla legge possano realizzarsi e si realizzino effettivamente a rendere possibile, in base alla predetta funzione costituzionale, l’entrata nel concetto «tutti» di taluni uni o l’uscita da quel medesimo concetto di altri uni, e viceversa; entrata o uscita che, come nel caso in esame, possono avvenire anche per morte, fusione, scissione o liquidazione di uni preesistenti.

Uno strumentale (sostituto o responsabile) e uno sostanziale in senso adempitivo (successore)

Così, non sono ‘uni sostanziali’ quei soggetti, tenuti personalmente a rispondere dell’obbligazione di imposta con tutto il proprio patrimonio, nei cui confronti non si realizza, tuttavia, la corrispondenza («tutti» – «loro») prescritta dall’art. 53; essi acquistano la qualità di soggetti passivi non già in dipendenza di una unità dell’indice di capacità contributiva propria (ossia loro univocamente riferibile) ma in relazione ad una unità dell’indice di capacità contributiva altrui (ossia univocamente riferibile ad altri). Il loro coinvolgimento strumentale nell’attuazione del tributo altrui fa di questi soggetti ‘uni strumentali’ all’attuazione del tributo degli ‘uni sostanziali’. Questa è la logica delle disposizioni che, nel rispetto dell’art. 53, positivizzano la differenza tra la capacità giuridica tributaria, funzionale alla doverosità di concorrere alle pubbliche spese in ragione della propria capacità contributiva e la capacità giuridica comune (civile e tributaria), funzionale al dovere di adempiere l’obbligazione di imposta, propria o altrui. La prima è materia ‘scientificamente riservata’ all’ordinamento e indisponibile ai singoli, la seconda no. Purché, tuttavia, quest’ultima sia correttamente intesa: ossia purché, secondo un’interpretazione in chiave logica, non si realizzi alcuno spostamento di unità dell’indice di capacità contributiva a uni diversi da quelli ai quali quelle unità sono costituzionalmente riferibili in modo univoco e dunque purché, in chiave normativa, la rivalsa degli uni strumentali nei confronti degli uni sostanziali si determini secondo i criteri (quali-quantitativi di univoca riferibilità soggettiva) stabiliti da norme sostanziali coerenti con l’art. 53. Se poi la rivalsa si estingue per confusione dovuta a successione, allora si realizza un’altra tipologia di soggetto, l’‘uno sostanziale in senso adempitivo’ (successore), diverso sia dall’uno sostanziale in senso genetico (contribuente), sia dall’uno strumentale (sostituto o responsabile).

Uni tributari e loro incompatibilità con le cd. “fattispecie unitarie plurisoggettive civilistiche”

Se la ragione di divisibilità (del «tutti») è la funzione (ratio)implicante l’univocità del collegamento tra una unità dell’indice di capacità contributiva ed un unodel «tutti» e se esiste, in subordine, la ‘divisibilità all’infinito’ (centesimi di euro a parte!) della capacità contributiva (rectius: della base imponibile) in base a tale ratio, allora in ambito fiscale non risulta logicamente ammissibile la cd. «fattispecie unitaria soggettivamente complessa». In effetti, una qualunque fattispecie d’imposta deve essere caratterizzata, sul piano genetico, da ‘uni titolarità’ (rectius: da ‘uni riferibilità’) o da ‘soggettività semplice’ (rectius: da ‘uni soggettività’), essa logicamente implicando la previa divisione da parte del legislatore (in attuazione concreta della Costituzione) della capacità contributiva in parti unitarie e semplici univocamente riferibili ad uni del «tutti» singolarmente individuate o individuabili. Se, ad esempio, si ipotizzasse una legge che correlasse l’imposta ad una unità dell’indice di capacità contributiva plasmata (ossia divisa o unita) dal legislatore in modo tale che la stessa unità non possa essere univocamente riferibile a ciascuno di più contitolari di essa (in ragione delle loro rispettive quote di titolarità civilistica), ebbene, tale legge sarebbe costituzionalmente legittima solo se comprendesse il nuovo soggetto (collegabile in modo univoco all’unità così plasmata dal legislatore) nel «tutti» astratto e al contempo escludesse dal «tutti» astratto, per quella stessa unità di capacità contributiva, i singoli contitolari (con la conseguenza che, sul piano genetico – sostanziale, la contitolarità, civilisticamente intesa, non avrebbe alcun rilievo in ambito tributario). In effetti, la ‘logica scientifica’ che spiega il profilo soggettivo dell’art. 53 della Costituzione è, coerentemente con quanto esiste in rerum natura, del ‘tipo digitale’ ‘…o è esatto o non è possibile…’. La soggettività (rectius: la giuridica indivisibilità in altri uni tributari) non ammette ‘resti’ (quali sono, ad esempio, i crediti del de cuius per attività professionali da lui svolte); a meno che, nel concreto, non sorga controversia proprio sulla determinazione del chi? o a meno che tale determinazione non sia temporalmente sospesa (come sovente accade nella successione nel debito altrui), essendo la soggettività ex lege determinabile (e non determinata) perché subordinata al verificarsi di eventi futuri, aleatori e/o incerti (su questi aspetti, eventualmente, v. Versiglioni, M., Indeterminazione e determinabilità della soggettività passiva del consolidato nazionale, in Riv. dir. trib., 2005, 409 ss.).

Uni tributari solidali e litisconsorzio non necessario. Il concetto unitario di uno tributario

Estendendo la premessa al piano attuativo, appaiono incompatibili con il litisconsorzio necessario sia la solidarietà dipendente (nella quale l’uno è determinato in base alla sua unità dell’indice di capacità contributiva e l’altro è determinato in base ad elementi diversi), sia la solidarietà paritetica (nella quale ciascun uno è determinato in base alla sua parte di una maggiore unità dell’indice di capacità contributiva, divisibile o divisa univocamente tra i più). Sennonché, il diverso orientamento giurisprudenziale, unito alla non unanime distinzione dottrinale tra profilo sostanziale-genetico e profilo sostanziale-adempitivo dell’obbligazione tributaria, postula un breve indugio. In effetti, le Sezioni Unite della Cassazione, con la nota sentenza 1052 del 2007 hanno sviluppato un indirizzo ermeneutico, poi divenuto espansivo, volto ad affermare il litisconsorzio necessario tra i coobbligati paritetici (tra i quali talvolta sono annoverati i successori). L’argomento che la Suprema Corte pone a fondamento di tale indirizzo è che, per talune controversie, il litisconsorzio necessario garantisce l’ordinamento, meglio della sospensione o della riunione, dal duplice rischio di sentenze inutili o contraddittorie, ossia non-univoche. In realtà, la ‘ragione di utilità del giudicato’, per un verso, la ‘ragione di scambiabilità del giudicato’ e la ‘ragione di efficienza’, per altro verso (tutte ricavabili dagli articoli 97, 24 e 111 della Costituzione), lasciano ritenere che, nel primo senso, le sentenze tributarie sono normalmente utili e che, nell’altro senso, sono praticamente nulli i casi nei quali il litisconsorzio necessario potrebbe meglio garantire dal rischio di giudicati ingiusti nell’accezione tradizionale di non-univoci. D’altro canto, pure le leggi dedicate al tema in oggetto paiono confermare l’ipotesi costruita sull’esame di dette norme costituzionali. In definitiva, la ragione di divisibilità data dalla Costituzione per individuare gli uni appartenenti all’insieme «tutti» rilevante in sede attuativa appare funzionalmente corrispondente alla ragione di divisibilità data dalla Costituzione per individuare gli uni appartenenti all’insieme «tutti» rilevante in sede genetico-sostanziale. Pur avendo due logiche differenti, una «…a ciascuno il suo…», l’altra ‘…da ciascuno il suo…’, e, pur avendo due variabili indipendenti differenti, una l’‘unità tematica controversa’, l’altra l’unità dell’indice di capacità contributiva, le due ragioni di divisibilità, nella concretizzazione che di esse ha fatto il legislatore tributario, sembrano pervenire alla medesima determinazione/determinabilità e, dunque, al medesimo uno tributario (art. 81 c.p.c). Appare, perciò, confermata sia sul piano attuativo, sia su quello sostanziale-adempitivo, la premessa, elaborata sul piano sostanziale-genetico, dell’inammissibilità (tributaria) della fattispecie unitaria plurisoggettiva (civilistica), con la conseguenza che la successione di più uni nel debito di imposta altrui appare incompatibile con il litisconsorzio necessario.

Responsabilità dell’uno successore per debiti di imposta altrui

Fase genetica…

Sul piano genetico-sostanziale, alla luce della premessa sul soggetto giuridico, il predetto art. 65, co. 1 non pare annoverabile tra le fonti normative dalle quali, su tale piano, promana l’effetto successorio. In effetti, pur essendo interpretato nella prospettiva genericamente considerata “sostanziale” (v., per tutti, Fantozzi, A., Successione nel debito di imposta, Nss. D. I.,Appendice,Torino,1987, 606-608; Tinelli, G., Successione nel debito di imposta, in Dig. comm.,IV,Torino, 1998, 291-293), tale comma pare rilevare, in realtà, sul solo piano sostanziale-adempitivo e non anche su quello sostanziale-genetico dell’obbligazione attribuita alla (sola) responsabilità dell’erede o degli eredi solidalmente. Lo stesso può dirsi per l’art. 35-bis, co. 1. Più analiticamente, sul piano sostanziale-genetico, il subentro di un individuo in un debito di imposta di un altro sembra trovare la sua fonte esclusiva nella legislazione civilistica, essendo le disposizioni tributarie in materia di tipo sostanziale-adempitivo (messe a parte quelle, meramente confermative, dedicate alla fusione e alla scissione). D’altro canto, le norme del codice civile, se rilevanti e non incompatibili con il diritto tributario, appaiono prevalenti, nelle ipotesi di lacune, rispetto alle norme che regolano l’imposta di successione, da ritenersi recessive se non altro perché esiste una differenza strutturale caratterizzante (e non soltanto descrittiva) tra l’uno successore e l’uno soggetto al tributo successorio. Il primo è un uno sostanziale in senso adempitivo tenuto al pagamento di un’imposta altrui. Il secondo è un uno sostanziale in senso genetico tenuto al pagamento della sua imposta. Del resto, le differenze strutturali esistenti tra le due imposte ostacolano fortemente la mutuazione reciproca di concetti (invece, nel senso che il termine “erede” contenuto nell’art. 65 dovrebbe essere inteso in senso diverso e più ampio di quello civilistico, v. Marini, G., Art. 65 (Eredi del contribuente), in Commentario breve alle leggi tributarie, di G. Falsitta-A. Fantozzi-G. Marongiu-F. Moschetti, t.II, Accertamento e sanzioni, a cura di F. Moschetti, Padova, 2011, 326 ed ivi i richiami a La Rosa S. e Potito E.). Più analiticamente, premesso che il legatario è estraneo al tema, se vi è un erede, allora la fonte dell’effetto successorio sembra quella generale che regola le successioni. Se, invece, vi sono più eredi, allora la fonte dovrebbe ravvisarsi specificamente negli artt. 752 e 754 c.c., se il debito sorto in capo al de cuius è non-solidale, e nell’art. 1295 c.c., se il debito sorto in capo al de cuius è solidale (per questa distinzione, v. Fregni, M.C., Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, 273-274). Ovviamente, una tale conclusione si fonda sul dogma nomina et debita ipso iure dividuntur; se, però, tale dogma si ritenesse recessivo (nel senso delineato dalla dottrina civilistica degli anni ’70), allora verrebbero a mancare ‘i quoti’ costituiti dalle unità dell’indice di capacità contributiva univocamente riferibili ai più uni e venendo ad esistenza invece una (sola) unità indivisibile di detto indice, perciò riferibile ad un solo uno, la soggettività passiva andrebbe ricostruita in capo all’ente collettivo fondato sull’organizzazione comune dei beni e dei debiti indivisi (per l’acuto sviluppo in sede tributaria della risalente tesi civilistica, v. Picciaredda, F., Profili di illegittimità costituzionale in tema di solidarietà degli eredi nella successione del debito di imposta, in Riv. dir. fin., 1978, II, 254 ss.; ma, per la conservazione del principio della divisione automatica dal lato debitorio, si vedano Cass., S.U. 28.11.2007, n. 24657, Cass., 11.4.2013, n. 8900). Del resto, nell’ipotesi in cui l’eredità abbia ad oggetto un’azienda gestita in forma di impresa individuale, la prosecuzione della gestione in forma imprenditoriale da parte dei coeredi implica la società (regolare o irregolare), mentre la non prosecuzione dell’attività implica la comunione incidentale, almeno sino al completamento della fase di liquidazione. I riferimenti sono principalmente civilistici anche rispetto alla società, sia se venga realizzata una fusione o una scissione (pur esistendo in questi casi espresse conferme negli artt. 172 e 173 del TUIR – cfr. par.2) sia se, nel caso di scioglimento di società personale per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, il socio residuo continui l’attività sociale. Se l’estinzione avviene per liquidazione, la successione degli ex soci nei debiti della società (per azioni) trova nel codice civile non soltanto la fonte ma anche i limiti e le condizioni del subentro. D’altro canto, tornando all’ipotesi della morte dell’individuo, la mancanza di fonti tributarie in senso sostanziale-genetico sembra un elemento dal quale si può inferire che la qualifica di erede (successore nel debito di imposta) debba seguire le norme del codice civile anche in ordine alle  varie situazioni “transitorie” o “definitive” (chiamata, vocazione, delazione, trasferimento della delazione, accettazione beneficiata, rinunzia, revoca della rinunzia…) che possono precedere, implicare o escludere l’accettazione dell’eredità, e l’effettivo subentro nel debito di imposta, con tutto ciò che ne segue sul piano del riparto dell’onere probatorio (ritenuto gravante sull’ufficio da Cass., 13.10.2013, n. 21101). Tanto che l’esecuzione di adempimenti fiscali qualificabili ‘atti di mera conoscenza’ (ad es., le parti soltanto logiche della dichiarazione o il mero pagamento di debiti fiscali) non è prova di avvenuta tacita accettazione dell’eredità (v. Cass., 2.4.2014, n.7738 e Cass., 11.5.2009, n. 10796). Ciò significa che il profilo sostanziale-genetico della successione nel debito di imposta rimane decisivamente investito dall’autonomia negoziale del potenziale debitore di imposta altrui il quale, come avviene in altri casi (es. consolidato fiscale nazionale), è libero di scegliere se, quando e quanto divenire uno per imposte di un altro. Così come è libero il testatore che dei propri debiti di imposta voglia onerare taluni ed esonerare altri (art. 752 c.c.). Cosa che, invece (a parte il caso, ben possibile, dell’un solo nominato o quello, invero ipotetico, di debiti non trasferibili sul piano genetico adempitivo), non appare possibile se il fenomeno successorio riguarda una società, laddove in definitiva è la legge a prevedere il quis e il quantum del subentro nei debiti dell’ente fuso, scisso o liquidato. In conclusione, la legislazione civilistica, che è madre della soggettività tributaria del successore, sembra far di questa la figlia del volere del singolo.

…e sua coerenza costituzionale

In dottrina si afferma l’assenza di possibili contrasti tra il regime della successione nel debito di imposta e l’art. 53 della Costituzione e si evidenzia, in negativo, l’irrilevanza di verifiche di costituzionalità in capo al successore, essendo la capacità contributiva riferita al de cuius (da Fantozzi, A., Successione, ult. cit., 597 sino a Rasi, F., Eredi del contribuente, in Accertamento tributario, a cura di A.F. Uricchio, Torino, 2014, 428); quindi, si desume da quella logica l’irrilevanza di peculiarità dell’erede ai fini della determinazione di debiti oggetto di successione anche nel caso di tributi ritenuti reali (Tinelli, G., Successione, cit., 297). Parte della dottrina osserva, però, in positivo, che l’assenza di contravvenzioni all’art. 53 Cost. sarebbe nella trasmissibilità in via successoria anche del fatto espressivo di capacità contributiva che aveva dato vita al debito fiscale (Fregni, M.C., op. cit., 275) e considera il subingresso dell’erede come la normale conseguenza della successione nel complesso dei beni (Tinelli, G., Successione, cit.,291). Invero, muovendo dalla premessa sul soggetto giuridico (v. par. 3), per un verso, non sembra irrilevante la verifica di costituzionalità in capo al successore; in effetti, la qualificazione del successore quale uno sostanziale in senso adempitivo (diverso dall’uno sostanziale in senso genetico e dall’uno strumentale) fa emergere la non conclusività dell’argomento tradizionale costruito sulla (sola) riferibilità del debito di imposta alla capacità contributiva del dante causa. Per altro verso, se l’uno è determinato (o determinabile) in funzione di una unità dell’indice di capacità contributiva ad esso univocamente riferibile, allora appare difficoltoso ammettere la trasmissibilità di essa ad altro uno, pena altrimenti l’incostituzionalità della legge che la consentisse (perché si darebbe rilievo ad un’unità dell’indice di capacità contributiva non univocamente riferibile al suo uno). E questo varrebbe anche laddove si ammettesse una distinzione (invero non condivisibile da un punto di vista strettamente giuridico) fra “tributi reali” e “tributi personali”. In definitiva, la trasmissibilità del debito di imposta per morte o estinzione dell’uno tributario richiede l’individuazione, in positivo, di una ragione costituzionale specifica che non si fondi né su una quantomeno dubbia trasmissibilità all’erede dell’indice di capacità contributiva del dante causa, né su un elemento solo descrittivo quale appare il concomitante subentro anche nell’attivo ereditario. Tanto più che l’ordinamento apprezza in modo strutturalmente diverso il profilo soggettivo (l’univocità) dell’obbligazione contributiva (ritenuta trasmissibile) rispetto a quello dell’obbligazione sanzionatoria (ritenuta intrasmissibile) pur essendo l’una, al pari dell’altra, costituzionalmente vincolante in modo univoco ciascun uno alla sua unità; dunque, anche da questo punto di vista, sorge la necessità di individuare, in positivo, la ragione costituzionale dell’apparente disparità creata dall’assenza di norme tributarie che escludano la trasmissibilità dell’obbligazione contributiva e dalla contestuale presenza di norme che invece escludono la trasmissibilità delle obbligazioni sanzionatorie (anche di natura pecuniaria); (per una ricostruzione generale del tema, v. Coppa, D.-Sammartino, S., Sanzioni tributarie, in Enc. dir., Milano, 1989, 433 ss.). Se il successore è un uno sostanziale in senso adempitivo e se la ragione di coerenza costituzionale (ex art. 53) delle norme concernenti gli uni diversi dagli uni sostanziali in senso genetico è il sicuro buon fine del diritto (o dovere) di rivalsa, allora, nel caso di specie, questa ragione sembra certamente sussistere ancorché si presenti in una veste peculiare. Infatti, l’erede che valutasse con attenzione costi e benefici dovrebbe essere sempre in grado di evitare che il suo patrimonio ante eredità resti algebricamente inciso post eredità da un tributo altrui. La confusione che la successione realizza a livello di patrimoni dovrebbe, infatti, sempre estinguere, a saldo attivo, il credito di rivalsa per tributi altrui. Sicché, a ben vedere, è proprio la libera scelta di accettare (o no) l’eredità a costituire l’effettiva ragione di coerenza costituzionale della disciplina in materia. A riprova, poiché la scelta degli eredi che accettano l’eredità preclude che lo Stato ne diventi successore, ad apparire incoerente sarebbe, semmai, la non trasmissibilità del debito tributario del de cuius, qualunque ne fosse la natura (contributiva o sanzionatoria). Infatti, in assenza di successibili, anche la successione dello Stato (art. 586 c.c.) implica estinzione per confusione dell’obbligazione di imposta erariale (si badi: non di quella locale); perciò, il consenso di coloro che, pur legittimati a succedere, scelgono di non succedere rende piena (totale) la capacità contributiva dell’uno sostanziale in senso genetico (non avendo più egli né vita, né eredi). Ciò corrobora la premessa sul soggetto giuridico e lascia emergere, però, la dubbia costituzionalità almeno dell’art. 8 del d.lgs. n. 472/1997.

Fase adempitiva

Sul piano sostanziale-adempitivo l’obbligazione nella quale il successore succede va esaminata distinguendo il caso del singolo uno successore, persona fisica o ente collettivo, da quello dei plurimi uni successori, persone fisiche o enti collettivi. Nel primo caso, se la responsabilità consegue alla morte, l’adempimento non presenta problematiche nuove rispetto a quelle di cui si è sin qui detto, fermo restando che le norme tributarie sull’adempimento sono prevalenti su quelle del codice civile e, nel caso in cui in ambito fiscale sia presente una lacuna, sovvengono le norme civilistiche generali purché compatibili con il diritto tributario (più in generale, v. Fregni, M.C., op. cit., passim). Nel secondo caso, invece, la situazione si presenta complessa. Il già citato art. 65, co. 1 prevede che, in presenza di più eredi, questi rispondono in via solidale delle obbligazioni tributarie del de cuius, ferma rimanendo l’applicabilità degli artt. 752 e 754 c.c. nei rapporti interni e, quindi, la divisibilità dell’obbligazione ai fini dell’esercizio della rivalsa. Proprio la divisibilità garantita dall’art. 752 c.c., che rende possibili distinte soggettività passive dei singoli eredi (uni sostanziali in senso genetico) e che rende praticabile la logica della rivalsa in base a quote predeterminate, realizza, in conformità alla premessa sul soggetto giuridico (v. par. 3), la legittimità costituzionale del sistema. Anche se, in ipotesi, la divisione di cui all’art. 752 c.c. non si realizzasse (ad es., ex art. 752 o ex art. 754 c.c.) o se si realizzasse solo dopo, con l’estinzione della comunione ereditaria (o della società irregolare), lo schema dell’adempimento muterebbe sol perché l’erede adempiente realizzerebbe un pagamento di imposte non più insieme con altri (coeredi) ma in luogo di altri (comunione ereditaria o società irregolare) e, dunque, la rivalsa ex art. 64, co. 1, d.P.R. n. 600/1973 (a prescindere dall’estinguibilità per confusione) dovrebbe ritenersi obbligatoria e non più facoltativa. Un cenno merita, infine, il problema dell’applicabilità del citato art. 65, co. 1 anche ad imposte diverse dalle imposte sui redditi (in senso favorevole, tra gli altri, vd. Fantozzi, A., op. ult. cit., 608; Potito, E., La successione, cit., 161; Picciaredda, F., op. cit., 243; in senso contrario, tra gli altri, vd. Fregni, M.C., op. cit., 275; Tinelli, G., Successione, cit.,292, Burelli, S., Qualificazione dell’erede con beneficio di inventario e questioni incidentali, nel processo tributario, in Rass. trib., 2006, 326 ss.). Se si ammette la premessa sul soggetto giuridico, se si condivide che le norme civilistiche siano fonti del subentro nel debito di imposta e se si considera consistente ed efficace il principio generale della divisione pro quota positivizzato negli artt. 752, 754 e 1295 c.c., allora la solidarietà tra coeredi prevista dall’art. 65, co. 1 sembra una deroga a tale principio generale, come tale insuscettibile di estensione analogica a settori diversi dalle imposte sui redditi (conclusione che trova riscontro nella risalente e stabile giurisprudenza).

Doveri, obblighi, poteri e facoltà del successore nel procedimento e nel processo, nell’accertamento e nella composizione

Sul piano attuativo, i commi 2 e 4 del citato art. 65, che riproducono in larga misura il precedente art. 16 del TUID., 29.1.1958 n. 645, disciplinano la procedura destinata sia agli eredi, tenuti a comunicare le loro generalità e il proprio domicilio fiscale, sia all’ufficio, tenuto a notificare post mortem atti fiscalmente rilevanti. La scientificità della disposizione, alla luce della premessa sul soggetto giuridico (v. par. 3), evidenzia l’elemento logico, preliminare e decisivo della conoscenza, da parte dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria, della morte dell’uno sostanziale-genetico, a prescindere dal come tale conoscenza sia stata acquisita, tenuto anche conto di quanto previsto dall’art. 6, co. 4 della l. 7.8.2000, n. 212 (nel senso qui esposto, v. Cass., 8.4.2014, n. 8213e, ivi, richiami al consolidato precedente indirizzo; nel senso, invece, che l’unico fatto decisivo sia l’avvenuta o la non avvenuta comunicazione da parte degli eredi, v. Cass., 17.7.2013, n. 17430, con nota critica di Bruzzone, M.G., in Corr. trib., 2013, 3347). Tale elemento suscita, perciò, due ipotesi alternative dotate di due sub-ipotesi ciascuna. A) Se l’Ufficio notificante non ha conoscenza della morte del contribuente, l’atto è intestato al de cuius e la notificazione è fatta a questi presso il suo ultimo domicilio fiscale. A.1) Se il legittimato a ricevere l’atto lo riceve senza dare comunicazione della morte, l’atto è correttamene intestato e il procedimento di notifica si perfeziona. A.2) Se, invece, l’atto non viene consegnato e dalla relata di notifica emerge (ex art. 60, co. 1, lett b, d.P.R. n. 600/1973) la non avvenuta ricezione a causa della morte del destinatario, l’ufficio, presa conoscenza della morte, non potendo dar corso alla disciplina dell’irreperibilità perché inapplicabile, dovrebbe forse sanare il procedimento notificando impersonalmente e collettivamente agli eredi l’atto intestato al de cuius.In effetti, non avendo gli eredi comunicato le loro generalità, ricorrerebbe l’ipotesi di cui all’ultimo comma dell’art. 65 (in questo senso, Versiglioni, M., Aspetti fiscali dell’accertamento dei redditi dichiarati da contribuente deceduto, in Riv. dir. trib., 1994, 271 ss.). B) Se, invece, l’Ufficio aveva conoscenza della morte del contribuente, va distinta l’ipotesi della conoscenza acquisita tramite la raccomandata di cui all’art. 65 co. 2 da quella della conoscenza acquisita aliunde. B.1) Nel primo caso, trascorsi trenta giorni dalla data di spedizione della raccomandata, l’ufficio dovrebbe notificare a ciascun erede il “suo” atto con distinta intestazione. B.2) Nel secondo caso o nel primo caso in pendenza del decorso dei trenta giorni, l’ufficio potrebbe notificare impersonalmente e collettivamente agli eredi l’atto intestato al de cuius. In definitiva, sembra che la ricostruzione della vicenda sia coerente con l’idea che, posto in disparte il fatto della non-conoscenza della morte del contribuente, in ogni altro caso, la logica strumentale converga su quella sostanziale-adempitiva concorrendo ad identificare lo stesso uno. Del resto, la giurisprudenza ha più volte evidenziato che la funzione dell’art. 65 «non è rendere efficace la notifica a mani di uno degli eredi, bensì consentire agli uffici finanziari di azionare direttamente nei confronti degli eredi stessi le obbligazioni tributarie il cui presupposto si sia verificato anteriormente alla morte del dante causa». La Suprema Corte osserva, infatti, «che non si tratta di un dato puramente formale, ma di una procedura che va ad incidere sul momento strutturale del rapporto tributario che non è evidentemente configurabile nei confronti di un soggetto non più esistente». Conseguenza ne è che, in molte occasioni, è stata affermata la nullità e talvolta l’inesistenza della notifica e/o dell’atto notificato in violazione del citato art. 65 (da ultimo, per una ricognizione del tema, Glendi, C., È giuridicamente inesistente la notifica dell’atto impositivo al defunto, in GTRiv. giur. Trib., 2014, 114, in nota a Cass., 29.11.2013, n. 26718). L’ambito di applicazione dei commi 2 e 4 del predetto art. 65, alla luce della riconosciuta natura (derogatoria) speciale della disposizione, parrebbe doversi limitare alle sole imposte sui redditi (ma, per l’applicazione dell’art. 65, co. 2 e 4 ad atti emessi a fini IVA, v., ad es., Cass., 8.4.2014, n. 8213). Quanto ai poteri/doveri conoscitivi dell’amministrazione finanziaria e, in senso più ampio, all’attuazione in via amministrativa della norma tributaria, si nota che il legislatore attribuisce all’uno sostanziale in senso adempitivo (successore) praticamente tutte le situazioni giuridiche facenti capo all’uno sostanziale in senso genetico (de cuius). Così, nell’economia di questo contributo, evidenziando gli aspetti più importanti, sono a carico del successore sia gli obblighi di dichiarazione, liquidazione e versamento delle imposte, sia gli obblighi ad essi prodromici (tenuta della contabilità, liquidazioni periodiche etc..), sia, infine, le preclusioni maturatesi in capo al de cuius (Fantozzi, A. op. cit.,594 ss; Ingrosso, M., Erede e eredità, in Enc. giur. Treccani, Roma 1988, 1). Ovviamente, tutti gli adempimenti attuati in nome del dante causa concernono il periodo di imposta che va fino alla data della sua morte, rispetto al quale l’erede è uno sostanziale in senso adempitivo; nel periodo di imposta successivo, calcolato dal giorno seguente la morte sino al termine naturale del periodo di imposta, l’erede diviene, invece, uno sostanziale in senso genetico se (con il sopravvenire di elementi previsti dalla legge) si perfeziona l’unità dell’indice di capacità contributiva che, a causa della morte, costituiva solo un resto, ossia una unità incompleta in capo al de cuius (cfr. par. 3.3 e, ad es., l’art. 7 TUIR). Per agevolare la realizzazione degli adempimenti nella situazione che si realizza a seguito della morte, stante la minor conoscenza delle cose che il successore ha, di norma, rispetto a quella del suo dante causa, sia il comma 3 dell’art. 65, d.P.R. n. 600/1973, sia il comma 1 dell’art. 35-bis del d.P.R. n. 633/1972 prevedono un dilazionamento semestrale di taluni termini pendenti. D’altro canto, l’asimmetria conoscitiva esistente tra erede e de cuius non pare rilevante rispetto ad eventuali effetti preclusivi (anche se considerati pseudo-sanzioni) che le norme correlano (con ratio personalistica) a ingiustificati silenzi o reticenze del contribuente. Essa sembra invece rilevare sul piano delle regole di riparto dell’onere probatorio e dunque delle regole di giudizio; in effetti, con la morte del de cuius s’indebolisce nei confronti del successore la forza presuntiva della massima di comune esperienza per cui il contribuente conosce, e il fisco non conosce, come andarono i fatti. Tuttavia, se sussistono i presupposti per l’accertamento induttivo o sintetico, e ciò a motivo dell’obiettiva inesistenza, qualunque ne sia la causa, di elementi analitici di riscontro, tali logiche accertative possono trovare applicazione anche nei confronti degli eredi. Né ciò pare suscitare dubbi sul piano costituzionale. In effetti, la ricostruzione, ai sensi degli artt. 24, 97 e 111 Cost., dell’unità tematica controversa in base alla quale si individua l’uno procedimentale/processuale (unità che, secondo la premessa fatta, conduce allo stesso uno sostanziale o strumentale e, dunque, nel nostro caso, all’uno sostanziale in senso adempitivo) risulta coerente con il limite obiettivo della mortalità umana, perché atta a tener conto della mancanza del de cuius, e al contempo idonea a giustificare l’effetto in base all’anzidetta ragione costituzionale costituita dal carattere volontaristico-consensuale dell’accettazione dell’eredità. Più in dettaglio, tale atto implica anche accettazione del rischio insito in una capacità di difesa naturalmente diversa rispetto a quella che il dante causa avrebbe potuto svolgere per quella stessa unità dell’indice di capacità contributiva della quale invece è chiamato a rispondere l’erede. Quest’elemento logico può cogliersi anche e con maggior evidenza nell’uso degli strumenti dell’attuazione amministrativa della norma tributaria a carattere non unilaterale/non autoritativo (‘accordi amministrativi tributari’). Ad esempio, nell’accertamento con adesione, la successione muta l’unità controversa e non solo in virtù del minor grado di conoscenza che l’erede può avere, ma anche in ragione del differente regime applicabile: più in dettaglio, venendo meno per l’erede l’impatto delle sanzioni, a parità di altre condizioni, l’unità controversa si riduce e così il successore potrebbe ritener conveniente un accordo che, invece, il de cuius non avrebbe ritenuto tale (ma, nel senso della possibile trasmissibilità delle sanzioni dovute a seguito di accertamento con adesione, v. Dir. Prov. Palermo 8.5.2012 e, sul tema, Dir. Agenzia delle entrate 20.4.2015). Tutto ciò (se lascia emergere dubbi di legittimità costituzionale riguardo alla non trasmissibilità delle sanzioni – v. par. 4.1 –) trova riscontro nel fatto che la giurisprudenza, qui condivisibilmente, ritiene l’adesione prova di implicita accettazione dell’eredità (Comm. trib. reg. Milano, 25.9.2012, n. 170). Per quanto concerne la fase strumentale che si apre a seguito di fenomeni societari successori, dovrebbero applicarsi le norme civilistiche e non il ridetto art. 65. Così, ad esempio, l’art. 2495 c.c., in ossequio al principio generale civilistico, prevede che, entro un anno dalla cancellazione, la domanda del creditore può essere notificata presso l’ultima sede della società estinta; la disposizione non ammette, però, né il mantenimento dell’intestazione alla società estinta, né la notifica impersonale e collettiva ai soci subentranti (in questi termini, vd. Bruzzone, M.G., Per le Sezioni unite la cancellazione estingue tutte le società, in Corr. trib.,2010,1295, nota a Cass., S.U., 22.2.2010, n. 4062). A tal proposito, si ricorda che il comma 4 dell’art. 28 del d.lgs. 21.11.2014, n. 175 ha previsto, con decorrenza dal 13.12.2014, la possibilità di effettuare atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione nei cinque anni successivi alla richiesta di cancellazione di cui all’art. 2495 c.c. (Sul tema, v. Tassani, T., Estinzione delle società e residui attivi da liquidazione: profili fiscali, in Rass. trib., 5/2014). Con riferimento, invece, alla fase di riscossione dei tributi, l’art. 477 c.p.c. prevede espressamente che il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi e non appare dubbio che tale principio trovi applicazione nel diritto tributario. Occorre anche qui che sussista la previa accettazione dell’eredità e dunque la qualità di erede (v. supra). Quanto al procedimento di formazione del ruolo e alla notifica della cartella, la giurisprudenza sembra essere pervenuta all’indirizzo che, valorizzando il termine “contribuente” contenuto nell’art. 12 del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, ritiene valido il ruolo intestato al defunto, fermo restando che, per quanto concerne la notifica impersonale e collettiva agli eredi, rinvia a quanto sopra detto in merito al procedimento di cui all’art. 65 co. 2 e 4 (Cass., 9.1.2014, n. 228 che richiama Cass., 1.7.2009, n. 15417 e Cass., 12.2.2009, n. 3415). Questi principi paiono applicabili, mutatis mutandis, anche a seguito dell’intervenuta eliminazione (ad opera dell’art. 29, co. 1, d.l. 31.5.2010, n. 78) della fase dell’iscrizione a ruolo e dell’introduzione del “nuovo” avviso sulla cui base l’agente della riscossione può agire senza previa notifica della cartella di pagamento. Peraltro, l’agente della riscossione è legittimato ad impugnare (ex art. 524 c.c.) la eventuale rinunzia all’eredità. Un cenno va posto, infine, al tema della successione nel processo tributario. Il d.lgs. 31.12.1992, n. 546 include la morte del contribuente tra le cause che determinano l’interruzione del processo e detta una disciplina procedurale (art. 40 e ss.). Il processo interrotto si estingue se i successori o le parti costituite rimangono inattivi e lasciano inutilmente decorrere il termine fissato per la riassunzione. L’estinzione del processo di primo grado implica per l’erede la definitività dell’atto impugnato. L’estinzione del processo di impugnazione implica per l’erede la definitività della sentenza impugnata.

Fonti normative

Art. 3, 23, 24, 53, 97 e 111 Cost.; artt. 456 ss., 752, 754, 1295, 2495 c.c.; artt. 64 e 65 d.P.R. 29.11.1973, n. 600; art. 12 d.P.R. 29.9.1973, n. 602; artt. 7, 73, 74, 117 ss., 172, 173 d.P.R. 22.12.1986, n. 917; art. 35-bis d.P.R. 26.10.1972, n. 633; art. 40 ss. d.lgs. 31.12.1992, n. 546; art. 28 d.lgs. 21.11.2014 n. 175

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