SUMERI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

SUMERI (XXXII, p. 990; App. III, 11, p. 870)

Giovanni Pettinato

Negli ultimi anni si è molto sviluppata la conoscenza delle composizioni letterarie dei Sumeri. Esse provengono da copie del periodo paleo-babilonese (1800 a. C.), e risalgono quindi a un periodo in cui i S. erano ormai scomparsi definitivamente dalla scena politica dell'Oriente antico. D'altronde, grazie agli scavi effettuati da studiosi americani a Tell Abū Salābīkh (una località non molto distante da Nippur), ora possediamo i più antichi documenti letterari (miti, inni, testi sapienziali) tramandatici dai S. stessi: l'età delle tavolette è infatti quella del 2400 a. Cristo. Ciò, mentre garantisce la paternità sumerica alle composizioni dei periodi posteriori, rivela la maturità di pensiero e la perfezione della lingua.

Studi approfonditi sui testi epici hanno messo in luce il carattere peculiare nonché l'originalità di tali composizioni, evidenziando il valore della tradizione orale con tutti i suoi accorgimenti poetici e mnemonici. Per quanto riguarda la religione, si è dimostrata d'importanza inestimabile l'individuazione dei due maggiori centri religiosi e culturali: quello di Nippur, la sede del dio Enlil, e quello di Eridu, la sede del dio Enki. Solo se si tiene conto di tali centri, è possibile spiegare le incongruenze apparenti del pensiero religioso sumerico: la creazione dell'uomo, per es., avviene secondo il sistema elaborato dalla scuola di Nippur per il procedimento detto di emersione, per cui l'uomo germoglia dalla terra come le piante, mentre secondo il sistema di Eridu essa avviene per formazione, cioè l'uomo viene formato con la creta come una figurina. Quella che, per quanto riguarda la creazione e la cosmogonia in genere, può essere definita una differenza, diventa in molti altri miti, come quello del diluvio universale, un'aperta antinomia dei due centri religiosi.

Sulla concezione della vita emerge, invece, una perfetta armonia di tutte le fonti: l'uomo è stato creato sì per lavorare, ma il lavoro non viene considerato come un peso e un'oppressione, bensì come un atto di responsabilizzazione. Con il lavoro l'uomo conserva e cura l'ordine del mondo instaurato dagli stessi dèi e ne continua così l'opera. Solo anzi con il lavoro, che coincide con la civilizzazione, l'uomo diventa per i S. l'essere che si distingue da tutte le altre creature inferiori. Da ciò una concezione eminentemente positiva della vita e della fatica umana, che differenzia nettamente i S. dai Semiti che abitarono la Mesopotamia nei tempi posteriori.

Bibl.: J.J. van Dijk Le motif cosmique dans la pensée sumérienne, in Acta Orientalia, XXVIII/1-2 (1964), pp. 1-59; S. Moscati, L'epica nel Vicino Oriente Antico, Accad. naz. dei Lincei, quad. 139, Roma 1970, pp. 811-23; S.N. Kramer, Sumerian epic literature, ibid., pp. 825-37; G. Pettinato, Das altorientalische Menschenbild und die sumerischen und akkadischen Schöpfungsmythen, Heidelberg 1971; H. Limet, les chants épiques sumériens, in Revue belge de philologie et d'histoire, L (1972), pp. 3-24; B. Alster, Dumuzi's dream. Aspects of oral poetry in a sumerian myth, Copenaghen 1972; R.D. Biggs, Inscriptions from Tell Abu Salabikh (= OIP, 99), Chicago 1974.

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