Cervello, sviluppo del

Dizionario di Medicina (2010)

cervello, sviluppo del

Alessandro Sale

Gli oltre cento miliardi di neuroni che compongono il cervello umano maturo appartengono a numerosi tipi anatomicamente e funzionalmente determinati e sono fittamente collegati da un numero di connessioni impressionante, oltre 100 trilioni. Questo straordinario apparato, responsabile del controllo delle funzioni di base così come delle facoltà cognitive più alte, deriva da una singola cellula microscopica, l’uovo fecondato. Lo sviluppo del cervello è un processo altamente ordinato che, sulla base di fattori sia intrinseci (geni) sia estrinseci (ambiente), si realizza attraverso una sequenza di fasi distinte che prevedono la formazione e la divisione in regioni del tubo neurale, la neurogenesi, la migrazione e il differenziamento cellulari, la sinaptogenesi, la morte delle cellule neuronali e il riarrangiamento sinaptico, la mielinizzazione. [➔ apoptosi; cervello, struttura e funzione; geni omeotici e cervello; neurogenesi; sinapsi]

sviluppo del cervello

Formazione del tubo neurale

Allo stadio di gastrula, l’embrione umano è formato da tre strati cellulari (foglietti embrionali): l’endoderma, lo strato più interno, da cui derivano il tubo digerente, i polmoni e il fegato; il mesoderma, intermedio, da cui provengono il tessuto connettivo, i muscoli e i vasi sanguigni; l’ectoderma, lo strato più esterno, da cui prendono origine il sistema nervoso centrale e periferico e l’epidermide. I neuroni e le cellule gliali derivano da una regione specializzata dell’ectoderma, la placca neurale, che viene indotta alla formazione del sistema nervoso tramite il processo dell’induzione neurale (➔), attorno al 18° giorno di gestazione. Come dimostrato dagli esperimenti classici di Hans Spemann e Hilde Mangold, l’induzione è dovuta al rilascio, da parte di una regione collocata nel sottostante mesoderma e chiamata labbro dorsale del blastoporo o organizzatore di Spemann, di proteine quali noggin, cordin e follistatina, che bloccano il legame del fattore di crescita BMP (Bone Morphogenetic Protein) ai recettori delle cellule del tessuto ectodermico. Poiché BMP reprime la trascrizione dei geni necessari per il differenziamento neuronale, mentre attiva i geni che portano alla formazione dell’epidermide, il blocco della sua azione libera la differenziazione in senso neurale delle cellule ectodermiche della placca neurale. Successivamente (20° giorno di gestazione), la placca neurale si ripiega dando origine alla doccia neurale che, per fusione delle sue estremità dorsali, porta alla formazione di un tubo cavo, il tubo neurale (processo di neurulazione), che si completa al 22° giorno. Una popolazione di cellule, quella delle cellule della cresta neurale, rimane al di fuori del tubo neurale e darà origine a numerose strutture, fra le quali il sistema neurovegetativo, i neuroni somatosensoriali e i melanociti cutanei. Un gruppo di cellule della cresta neurale rimane nel sistema nervoso centrale e da esse deriva il nucleo mesencefalico del trigemino. Infine, mentre dalla cavità del tubo neurale prende origine il sistema di ventricoli cerebrali tipici del cervello adulto, dalle cellule epiteliali di rivestimento (neuroepitelio) provengono i neuroni e le cellule gliali.

Regionalizzazione del tubo neurale. Nel corso dello sviluppo, il tubo neurale non mantiene una morfologia uniforme ma va incontro a un processo di specializzazione regionale che avviene sia lungo l’asse rostrocaudale sia lungo l’asse dorsoventrale. La parte caudale del tubo neurale dà origine al midollo spinale, la parte più rostrale al cervello (encefalo). Il cervello appare inizialmente suddiviso in tre vescicole, dette cervello anteriore (prosencefalo), medio (mesencefalo) e posteriore (rombencefalo). Successivamente, per ulteriore suddivisione del cervello anteriore (che si separa in telencefalo e in diencefalo) e del cervello posteriore (che si separa in metencefalo e in mielencefalo), il tubo neurale viene suddiviso in cinque vescicole, da cui prenderanno origine le regioni principali del sistema nervoso adulto. Dal telencefalo si sviluppano gli emisferi cerebrali, i nuclei della base, l’ippocampo e l’amidgala; dal diencefalo si sviluppano il talamo, l’ipotalamo e i calici ottici, che formano le retine; dal mesencefalo prende origine la struttura omonima del cervello adulto; dal metencefalo derivano il ponte e il cervelletto; dal mielencefalo si sviluppa il bulbo. Inoltre, rigonfiamenti più piccoli, chiamati rombomeri, suddividono il rombencefalo in ulteriori subcompartimenti, regolarmente spaziati. I confini tra i rombomeri segnano il passaggio fra popolazioni di cellule che costituiscono territori di sviluppo indipendenti. Per es., il rombomero 2 contiene i neuroni che danno origine al quinto nervo cranico, il rombomero 5 i neuroni che danno origine al sesto e al settimo nervo cranico. La specializzazione regionale lungo l’asse rostrocaudale è dovuta alla presenza di gradienti di concentrazione di molecole specifiche, chiamate morfogeni, che dirigono e polarizzano il destino delle cellule del neuroepitelio. Una di queste molecole, l’acido retinoico rilasciato dal mesoderma, forma un gradiente postero-anteriore (maggiori concentrazioni nelle regioni caudali) che attiva in maniera specifica set di geni tipici delle regioni più posteriori. Una classe di geni dello sviluppo altamente conservati nel corso dell’evoluzione, regolati dall’acido retinoico ed essenziali per il processo di regionalizzazione dell’asse rostrocaudale, è costituita dai geni omeotici Hox (➔ geni omeotici e cervello), espressi in combinazioni specifiche (che generano un codice Hox) per ciascun rombomero. La corteccia cerebrale, durante lo sviluppo, si suddivide in aree anatomicamente e funzionalmente definite secondo un processo non ancora del tutto chiarito. Da una parte, esistono fattori come fgf8 che, prodotti dalle aree corticali anteriori, hanno una spiccata azione di specificazione in senso rostrale. Dall’altra, la dimostrazione che il trapianto di una porzione di corteccia posteriore (destinata a diventare corteccia visiva) nella regione della corteccia somatosensoriale porta al normale differenziamento in senso somatosensoriale delle cellule trapiantate, suggerisce che fattori differenziativi originati dai nuclei talamici possono dirigere il destino delle aree corticali innervate da questi nuclei. Anche la regionalizzazione dell’asse dorsoventrale del tubo neurale è determinata da gradienti di morfogeni. La proteina BMP, prodotta dalle cellule ectodermiche non avviate al destino neurale, presenta un gradiente dorsoventrale, mentre il fattore sonic hedgehog si distribuisce secondo il gradiente opposto, essendo inizialmente prodotto dalla notocorda e poi dalle cellule del pavimento ventrale del tubo neurale. La presenza di due gradienti opposti determina, alle varie altezze dell’asse dorsoventrale, un rapporto di concentrazione dei due morfogeni specifico per quella data regione e capace di attivare classi di geni caratteristici. Per es., le regioni ventrali del midollo spinale sono avviate al differenziamento in senso motorio e danno origine ai motoneuroni delle corna ventrali, mentre le cellule delle porzioni dorsali del tubo neurale più posteriore vengono avviate a differenziarsi negli interneuroni sensoriali delle corna dorsali del midollo spinale.

Neurogenesi, differenziamento e sopravvivenza dei neuroni

Al momento della neurulazione, il tubo neurale è formato da un singolo strato di cellule. Successivamente, cicli di proliferazione e di migrazione delle cellule verso gli strati più superficiali ispessiscono la parete del tubo neurale consentendo l’individuazione di una zona ventricolare, lo strato di cellule in divisione a contatto con la cavità dei ventricoli, e di una zona parietale, denominata mantello, in cui si dispongono progressivamente le cellule neoformate provenienti dall’epitelio germinativo. Dalle cellule della parete derivano tutti i neuroni e le cellule della glia. In stadi di sviluppo molto precoci, le cellule progenitrici della zona ventricolare si dividono in modo simmetrico (piano di divisione ortogonale alla superficie ventricolare) generando altre cellule progenitrici che restano ancorate allo strato germinativo. In una fase intermedia, cicli di divisioni asimmetriche (piano di divisione parallelo alla superficie ventricolare) danno luogo, a ogni divisione, alla nascita di una cellula progenitrice (che continuerà a dividersi) e di un neurone immaturo, che migra verso la superficie. Il diverso destino intrapreso dalle due cellule sembra dovuto all’ineguale ripartizione, nel loro citoplasma, di un fattore analogo al fattore Numb di Drosophila. La migrazione delle cellule postmitotiche che lasciano la zona ventricolare avviene a ondate e, nella regione della corteccia cerebrale, porta alla formazione dei sei strati tipici della corteccia matura. Gli strati più profondi sono i primi a formarsi, mentre le cellule degli strati superficiali arrivano più tardivamente. La migrazione cellulare non avviene in modo casuale, ma lungo le cellule della glia radiale che, disposte radialmente lungo lo spessore del tubo neurale, prendono contatto sia con la superficie piale sia con quella ventricolare e agiscono da binari che guidano il percorso delle cellule immature. L’arrivo dei neuroni alla loro posizione finale dà inizio agli eventi che conducono al differenziamento (➔ differenziamento neuronale), ossia l’acquisizione del fenotipo specifico di ciascuna cellula, con la produzione di un tipo determinato di neurotrasmettitore per ogni neurone. I meccanismi alla base di tale processo non sono ancora noti con precisione: si sa che alcune cellule acquisiscono questa capacità sulla base di programmi neurogenici intrinseci, mentre altre dipendono dall’interazione con fattori molecolari presenti nell’ambiente del target sinaptico (fattori estrinseci). Un esempio paradigmatico dell’azione dei fattori intrinseci è la regolazione operata dalle proteine Delta e Notch.

Formazione dei circuiti neurali. Il primo passo per la formazione dei circuiti nervosi tipici del cervello maturo è l’allungamento (protrusione) degli assoni e dei dendriti, un processo altamente stereotipato che si ripete in modo identico in tutti gli individui di una specie. La crescita degli assoni è regolata dall’interazione fra l’estremità assonale, denominata cono di crescita, e fattori molecolari presenti lungo il percorso. L’esistenza di tali fattori guida (ipotesi della chemioaffinità) fu proposta e dimostrata per la prima volta da Roger Sperry nel modello della via retino-tettale della rana, in una serie di esperimenti condotti nei primi anni Quaranta del secolo scorso.

sviluppo del cervello

Nei vertebrati inferiori, gli assoni che provengono dalla porzione più nasale della retina proiettano al tetto posteriore (temporale), mentre gli assoni della retina temporale proiettano alla regione del tetto mediale. Allo stesso modo, l’asse dorsoventrale della retina è mappato in modo preciso lungo l’asse mediolaterale del tetto. Sperry dimostrò che tagliando il nervo ottico e ruotando l’occhio di 180°, gli assoni ricrescevano (negli anfibi, a differenza dei vertebrati superiori, gli assoni retinici recisi rigenerano) raggiungendo, nel tetto, gli stessi territori di innervazione che avrebbero raggiunto in assenza della rotazione. Ciò dimostrava l’esistenza di un codice molecolare di identificazione dei territori da innervare. A causa della rotazione, però, il cervello interpretava l’infor mazione retinica come se l’occhio fosse nella sua posizione iniziale, per cui la rana cercava di acchiappare prede poste nella parte bassa del campo visivo facendo saettare la lingua verso l’alto, e viceversa. L’intero percorso seguito dagli assoni è disseminato, nell’ambiente extracellulare, di fattori attraenti e di fattori repellenti che impongono al cono di crescita la complessa serie di svolte necessarie per trovare la strada verso l’obiettivo finale. Il cono di crescita consta di una regione centrale, ricca di microtubuli e mitocondri, da cui si dipartono lunghe protrusioni estremamente mobili e ricche di actina, chiamate filopodi, interspaziate da altre, più corte, dette lamellipodi. Il legame dei recettori disposti nella membrana dei filopodi con i fattori molecolari presenti nell’ambiente attiva una cascata di trasduzione del segnale che mette in moto l’actina, la miosina e, da ultimo, un flusso di microtubuli dalla regione centrale verso la protrusione da cui la cascata ha avuto inizio. Alcuni fattori di regolazione della crescita sono solubili e appartengono alla famiglia delle netrine, delle efrine e delle semaforine. Altri sono legati alle membrane cellulari, come le caderine, le immunoglobuline (tra cui le molecole di adesione cellulare, NCAM) e le integrine. Altri ancora sono costituenti essenziali della matrice extracellulare, come le laminine, il collagene, la fibronectina e i proteoglicani.

Formazione delle sinapsi. Una volta che gli assoni hanno raggiunto il corretto bersaglio, comincia la complessa serie di eventi della sinaptogenesi (➔), un processo piuttosto lungo che si completa solo dopo la nascita e al quale concorrono attivamente sia l’elemento presinaptico, sia l’elemento postsinaptico. Il corretto instaurarsi del legame funzionale mediante la formazione della sinapsi tra il neurone afferente e il suo target è essenziale per la sopravvivenza del neurone presinaptico. Come dimostrato per la prima volta da Victor Hamburger e Rita Levi-Montalcini, i target dei neuroni in via di sviluppo rilasciano piccole quantità di fattori di crescita (ipotesi del fattore neurotrofico), nutrienti essenziali che vengono acquisiti dai terminali nervosi e per i quali più neuroni afferenti competono attivamente. Nella c. gli stimoli chimici che provengono dall’ambiente sono trasformati in segnali e risposte cellulari. La c. ha particolare importanza nella t. dei segnali olfattivi e gustativi. La classe più studiata di fattori trofici è costituita dalle neurotrofine (➔), cui appartengono il fattore di crescita nervoso (NGF, identificato per la prima volta dalla stessa Rita Levi- Montalcini e da Stanley Cohen), il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), la neurotrofina 3 (NT3) e la neurotrofina 4 (NT4). Un mancato o insufficiente apporto di neurotrofine al terminale sinaptico causa la disinibizione, nel neurone afferente, di un programma di morte naturale (➔ apoptosi) costitutivamente operante ma represso dalle cascate molecolari attivate dal legame con il fattore neurotrofico appropriato. Nel sistema nervoso, il numero di cellule che muoiono per apoptosi durante le prime fasi di sviluppo è enorme. La competizione dei neuroni per i fattori neurotrofici rilasciati dal bersaglio comporta anche la perdita di una frazione cospicua delle sinapsi inzialmente formate. Tale processo, denominato riarrangiamento o rimodellamento sinaptico, è controllato dall’attività elettrica neuronale e dipende, almeno in parte, dall’esperienza postnatale (➔ ambiente e cervello). Poiché la perdita di sinapsi procede in direzione caudo-rostrale, la corteccia prefrontale è l’ultima regione a sviluppare connessioni definitive. Globalmente, si tratta di un fenomeno imponente. Nell’uomo, il riarrangiamento sinaptico si completa solo all’adolescenza e porta a un numero finale di sinapsi pari a meno del 70% di quelle presenti al momento della nascita. Attorno agli assoni, gli oligodendrociti differenziati (cellule della glia derivate dalle stesse cellule progenitrici della zona ventricolare) sviluppano una guaina, detta mielina (➔), che si avvolge dal soma verso il terminale nervoso ed è fondamentale per assicurare una veloce conduzione dei potenziali d’azione. Il processo di mielinizzazione comincia tra la 12a e la 14a settimana di gestazione e si completa verso i quarant’anni di età. La fase più intensa di mielinizzazione del sistema nervoso centrale avviene dopo la nascita e procede in senso caudorostrale, interessando dapprima il midollo spinale, poi il cervello posteriore, il mesencefalo e infine il telencefalo. Lo stesso verso è mantenuto anche nella mielinizzazione delle aree corticali, che infatti avviene prima nelle cortecce sensoriali e dopo in quelle motorie. Alessandro Sale

Ruolo dell’attività elettrica
cervello, sviluppo del
Alessandro Sale

Ruolo dell’attività elettrica

Dopo il periodo iniziale, in cui gli eventi della proliferazione, della migrazione e del differenziamento cellulare sono rigidamente controllati da programmi genetici, le fasi successive dello sviluppo cerebrale per compiersi con precisione dipendono dall’attività elettrica nervosa.

Ruolo permissivo e ruolo istruttivo dell’attività elettrica

Un’importante questione aperta è se l’attività nervosa abbia un ruolo istruttivo o permissivo, cioè se sia il pattern specifico di attività neurale prodotta spontaneamente dal cervello o evocata dalla stimolazione sensoriale a essere responsabile dello stabilirsi della precisa morfologia del cervello (ruolo istruttivo), o se la presenza di un sufficiente livello di attività neurale faccia da semplice attivatore di programmi di sviluppo che sono invece regolati da fattori diversi, per es. di tipo molecolare (ruolo permissivo). La distinzione tra ruolo istruttivo e ruolo permissivo dell’attività neurale richiede di manipolare i circuiti inducendo cambiamenti nel contenuto dell’informazione portata dall’attività stessa senza interferire con i livelli medi di attivazione, un requisito assai difficile da ottenere. In uno dei pochi esperimenti in letteratura nel quale un puro cambiamento dello schema statistico di attività neurale è risultato capace di modificare l’arrangiamento finale delle connessioni nervose (pubblicato da Michael Weliky e Lawrence C. Katz nel 1997), è stato riportato che l’alterazione del pattern di attività afferente mediante stimolazione cronica del nervo ottico altera la rappresentazione corticale dell’orientamento degli stimoli visivi. La maggior parte degli autori, invece, ha dimostrato un ruolo prevalentemente permissivo dell’attività elettrica afferente. Nella retina del feto dei vertebrati salve di potenziali d’azione cominciano a produrre attività afferente spontanea ben prima dell’inizio dell’esperienza sensoriale, propagandosi in forma di onde denominate retinal waves e identificate per la prima volta da Lamberto Maffei. Questi treni di attività sono prodotti da popolazioni vicine di cellule gangliari retiniche e hanno un ruolo cruciale nella formazione delle mappe retinotopiche e nella segregazione degli input provenienti dai due occhi a livello talamico. A oggi (2010), non è ancora noto con certezza se le retinal waves abbiano un ruolo istruttivo o permissivo. Uno studio condotto dal gruppo di Carla Shatz ha dimostrato che l’incremento artificiale della loro frequenza in un occhio induce, nel talamo, l’allargamento dello strato corrispondente all’occhio trattato. Poiché il trattamento impiegato introduce uno sbilanciamento nell’attività dei due occhi, lo studio non chiarisce se è il preciso pattern temporale di attività retinica a dirigere la segregazione delle connessioni oculari. Sorprendentemente, l’assenza dell’attività correlata delle retinal waves ottenuta trattando la retina con un’immunotossina che distrugge la popolazione di cellule colinergiche responsabili della loro generazione, non impedisce una normale segregazione degli input provenienti dai due occhi a livello del talamo, mentre il blocco completo dell’attività spontanea mantiene i due set di input separati. Questo risultato suggerisce un ruolo puramente permissivo dell’attività nervosa retinica (come sostenuto da Andrew D. Huberman nel 2003). Più recentemente, forti evidenze a favore del ruolo permissivo dell’attività elettrica nervosa derivano da studi sugli effetti dell’allevamento al buio nel roditore, un trattamento che arresta lo sviluppo della corteccia visiva. L’esposizione alla luce per brevissimi periodi di tempo è sufficiente per la riattivazione di programmi di sviluppo, consentendo di escludere un’azione di tipo istruttivo. Inoltre, gli effetti dell’allevamento al buio sono contrastati dalla sovraespressione nel cervello del fattore neurotrofico BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor) o dall’esposizione a stimoli ambientali arricchiti (➔ ambiente e cervello), due trattamenti che non alterano in nessun modo l’esperienza visiva (e quindi il pattern di attività nervosa).

Attività elettrica e formazione delle colonne di dominanza oculare

L’attività elettrica ha anche un ruolo essenziale nella formazione delle colonne di dominanza oculare, suddivisioni anatomiche della corteccia visiva primaria deputate a raccogliere in modo separato le informazioni derivanti dai due occhi. Nel gatto, il blocco completo dell’attività afferente durante lo sviluppo previene la formazione delle colonne di dominanza oculare, dimostrazione classica della competizione fra l’attività dei due occhi per lo sviluppo corretto dell’anatomia corticale. L’importanza dei processi competitivi è anche dimostrata dal celebre esperimento di Roger Sperry nella rana, nella quale normalmente la regione del tetto riceve solo afferenze dalla retina del lato opposto; l’impianto sperimentale di un terzo occhio forza due retine a innervare un singolo tetto, con il risultato che in esso le connessioni provenienti dai due occhi si separano in strisce alternate di dominanza oculare. Se l’attività di un occhio viene silenziata, le strisce a esso corrispondenti vengono eliminate a favore di quelle che ricevono input dall’occhio del lato opposto; se invece entrambi gli occhi vengono silenziati, la separazione non si verifica. Non necessariamente, però, è l’attività evocata dall’esperienza sensoriale a dirigere questi processi. Nelle scimmie e nell’uomo, infatti, le afferenze talamocorticali appaiono perfettamente segregate già al momento della nascita. Anche in questo caso, l’attività nervosa che serve per l’instaurarsi dei meccanismi di competizione interoculare può essere portata dalle retinal waves o dall’attività spontanea dei due corpi genicolati. Alessandro Sale

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Sviluppo delle funzioni superiori
cervello, sviluppo del
Alessandro Sale

Sviluppo delle funzioni superiori

Sviluppo della visione

Nell’uomo e nei primati in generale, al momento della nascita gli occhi sono già aperti e le vie visive ben formate. La corteccia visiva risponde alla stimolazione retinica, il nucleo genicolato laterale del talamo possiede già la caratteristica laminazione in strati che ricevono afferenze da uno dei due occhi e a livello del IV strato della corteccia visiva primaria (v1) sono presenti le colonne di dominanza oculare. Nei roditori, il sistema visivo alla nascita si presenta invece più immaturo, gli occhi restano chiusi fino alla 2a settimana di vita postnatale, la segregazione delle vie provenienti dalle due retine a livello talamico avviene anch’essa postnatalmente e solo dopo il 10° giorno di vita è possibile evocare risposte corticali in v1 per stimolazione dei recettori retinici. La visione dei colori matura precocemente ed è stata documentata nel bambino a partire dai 2 mesi di età mentre l’accomodazione, ossia la capacità di variare la potenza della lente oculare per mettere a fuoco oggetti a distanze diverse, si sviluppa attorno ai 3÷4 mesi. In tutti i mammiferi studiati, l’acuità visiva (➔) è molto bassa alla nascita e matura progressivamente nel corso delle settimane o dei mesi successivi. Nell’uomo, la maturazione dell’acuità visiva ha un’accelerazione nei primi 6 mesi di vita, poi il processo rallenta e i valori finali tipici dell’adulto vengono raggiunti attorno ai 6 anni. Sia nei roditori sia nei bambini nati pretermine, un’accresciuta stimolazione tattile induce una marcata accelerazione dello sviluppo dell’acuità visiva (➔ ambiente e cervello). Tra i processi che regolano l’incremento dei valori di acuità visiva vi sono la riduzione della spaziatura tra i coni nella retina, la diminuzione delle dimensioni dei campi recettivi corticali e lo sviluppo della circuiteria inibitoria intracorticale. Anche lo sviluppo della sensibilità al contrasto (la capacità di distinguere le barre bianche e nere di un reticolo di cui si riduce il contrasto) si completa tardivamente, attorno ai 6 anni. La stereopsi (➔) è assente alla nascita nel bambino, compare per la prima volta attorno ai 4 mesi e continua a svilupparsi fino ai 7 anni, quando raggiunge i valori dell’adulto.

Sviluppo della funzione acustica

Mentre nel gatto e nei roditori la funzione uditiva compare postnatalmente, nei neonati umani l’udito si presenta funzionante alla nascita, quando il bambino mostra già di possedere preferenze per la voce e la lingua della madre. Infatti, la capacità di rispondere a stimoli acustici comincia nell’utero, in concomitanza con la maturazione della coclea, che si completa attorno alla 26a settimana di gestazione. La preferenza verso le basse frequenze (inferiori a 4.000 Hz) tipica del neonato lascia il posto, attorno ai 6 mesi, alla comparsa di una maggiore sensibilità per frequenze più alte; a questa età, inoltre, la discriminazione di frequenze diverse è già operante e il bambino è capace di distinguere aumenti o diminuzioni di frequenza di circa il 2%, un valore simile a quello degli adulti in assenza di esercizio. Lo sviluppo della sensibilità per differenze di frequenza acustica è dovuto principalmente alla maturazione della circuiteria inibitoria nella corteccia acustica primaria, responsabile del restringimento della larghezza della banda di sensibilità dei neuroni acustici alle diverse frequenze. Anche la capacità di percepire suoni di bassa intensità migliora progressivamente (diminuzione della soglia percettiva) e si stabilizza attorno ai 2 anni. Una delle funzioni uditive che matura più lentamente, attorno ai 5 anni di età, è la capacità di localizzare la direzione di provenienza dei suoni. Questa capacità, infatti, non dipende solo dall’adeguato sviluppo di neuroni che rispondono a specifiche differenze nei tempi di arrivo dei suoni provenienti dalle due orecchie (disparità interaurale), ma anche da fattori limitanti dell’anatomia periferica − quali lo sviluppo del padiglione auricolare e la distanza tra le due orecchie −, che si stabilizzano tardivamente.

Sviluppo della memoria

Nell’uomo, la memoria implicita è già presente nel feto e appare ben sviluppata al momento della nascita, quando è possibile condizionare i riflessi del bambino (per es., il riflesso di suzione) con stimoli ambientali insoliti (incondizionati), quali la voce della madre. Questa abilità è correlata alla precoce maturazione del cervelletto e dei nuclei della base, strutture coinvolte nei processi di memoria non dichiarativa. La memoria esplicita (dichiarativa) presenta tempi di sviluppo variabili a seconda delle funzioni: la memoria di riconoscimento visivo degli oggetti, dipendente dalla maturazione della corteccia peririnale e dell’ippocampo, compare nel bambino attorno ai 2÷3 mesi e progredisce fino ai 12 mesi; la memoria spaziale, strettamente dipendente dalla maturazione della circuiteria ippocampale che si completa solo verso i 5 anni, diviene funzionante subito dopo, attorno ai 6÷8 anni. La funzione mnestica che matura più tardivamente è la memoria di lavoro, legata all’integrità funzionale della corteccia prefrontale dorsolaterale. Questa funzione viene studiata nei bambini con test di soppressione della risposta dominante (introdotti da Jean Piaget nel 1936), nei quali il bimbo, allenato a rintracciare un oggetto di suo gradimento sempre al di sotto dello stesso contenitore dei due a lui disponibili, è improvvisamente costretto a cambiare le regole, in quanto assiste al nascondimento dell’oggetto sotto l’altro contenitore. Benché la capacità di inibire la risposta dominante sia presente già a partire dai 6 mesi, la sua completa maturazione richiede un lungo periodo (fino a 7 anni), a causa del lentissimo sviluppo degli assoni dopamminergici della corteccia prefrontale, l’ultimo territorio corticale a completare la mielinizzazione.

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Fattore di crescita nervoso

Nucleo genicolato laterale

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Trasduzione del segnale