TABERNACOLO

Enciclopedia Italiana (1937)

TABERNACOLO

Gioacchino MANCINI
Giuseppe RICCIOTTI
Celso COSTANTINI

. La voce latina tabernaculum è diminiutivo di taberna e sta propriamente a indicare una baracca posticcia eretta con tavole di legno. È quindi in contrapposto alla voce tentorium (da tendere), con cui si designava la tenda mobile fatta con stoffe o pelli distese. Sembra tuttavia da quanto afferma Festo (p. 256, 25 M.), che in origine anche le tende fossero costruite con tavole (tabulae). Però con tabernaculum s'indicava più propriamente l'attendamento da campo permanente dell'esercito e quanti convivevano sotto la stessa taberna si dicevano contubernales; la convivenza era espressa con la voce contubernium. I rilievi delle colonne Traiana e Aurelia (detta Antonina) mostrano, chiuse entro campi trincerati, delle casette con tetto a doppio spiovente e tendaggi che ne chiudono l'ingresso. Queste forme di tende fisse possono essere dei tabernacula. Della stessa forma, ma naturalmente più sontuose dovevano essere la tenda del comandante in capo e quelle degli ufficiali. Si disse anche tabernaculum la tenda formata da pezzi di stoffa che faceva parte del bagaglio dei magistrati in giro per missioni ufficiali. Quando un magistrato doveva prendere gli auspici, faceva rizzare la sua tenda nel posto designato dagli auguri, in modo che dall'unica apertura si potesse abbracciare tutto lo spazio assegnato all'osservazione. La constatazione che il tabernaculum era stato posto difettosamente portava ad un vizio di forma e rendeva nulle le operazioni, di qualsiasi natura fossero. Nella bassa latinità tabernaculum indicò un'edicola sacra, in forma di piccola casa, ricordo dei tempietti portatili usati in certi culti.

Il tabernacolo nella religione ebraica.

Fu il santuario portatile degli Ebrei durante la loro peregrinazione nel deserto e durante i primi tempi della loro permanenza in Palestina, fino a che fu costruito da Salomone il tempio di Gerusalemme.

Nei passi Esodo, XXV-XXXI e XXXVIII-XL, la Bibbia descrive minutamente le forme, le misure e gli arredi del tabernacolo; su questa descrizione si fonda in massima parte la tradizione giudaica tardiva, rappresentata principalmente da Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, III, 6; Filone, De vita Mosis, III. 145 segg.; Talmūd, Middōth.

Il termine ebraico con cui esso è designato più frequentemente è 'ohel "tenda", a cui spesso si aggiungono altre specificazioni, come 'ohel mōedh "tenda d'adunanza", oppure 'ohel haedhūth "tenda della testimonianza"; ma si trovano anche altre designazioni, quali mishkān "dimora", qodesh "santo", miqdāsh "santuario", beth- Yahweh "casa di Jahvè", ed altri ancora, talvolta accoppiati fra loro.

L'insieme del tabernacolo era costituito di due parti: un recinto sacro o atrio, e una tenda sacra dentro lo spazio racchiuso da questo recinto. Il recinto era rettangolare con i lati che misuravano cubiti 100 × 50 (il cubito era forse quello equivalente a m. 0,52). La linea ricingente era formata da assi di legno piantate in terra e collegate fra loro da una cortina alta cubiti 5: ai lati più lunghi, settentrionale e meridionale, le assi erano rispettivamente 20, e ai lati occidentale ed orientale 10: la cortina era lunga quanto il rispettivo lato, salvo ad oriente, dove essa si estendeva ai due lati soltanto per cubiti 15 a partire dai due angoli, mentre i rimanenti cubiti 20 del mezzo servivano da entrata. Questa entrata era provvista di una cortina speciale: le assi di legno, assicurate in basso a zoccoli di rame, erano sorrette con funi, e terminavano in cima con capitelli rivestiti d'argento.

Dentro al recinto, nello spazio fra l'entrata e la tenda sacra, vi era l'altare degli olocausti, dove si bruciavano le carni degli animali immolati; un po' di fianco, stava una grande conca di rame contenente l'acqua per le abluzioni; infine, veniva la tenda sacra.

Questa era considerata come la "dimora" (v. i varî nomi sopra) di Jahvè, dio d'Israele. Consisteva in un luogo coperto, con una superficie di cubiti 30 × 10 e con un'altezza di cubiti 10. L'entrata, che guardava ad oriente, era protetta da una cortina; ma gli altri tre lati erano costituiti da pareti fatte con tavole di legno di acacia, alte cubiti 10 e larghe ciascuna 1½: erano in tutte 48 di numero, 20 rispettivamente per i lati settentrionale e meridionale e 8 per quello occidentale, e s'inserivano al basso in zoccoli d'argento; i due angoli del lato occidentale avevano rinforzi speciali. Tutte le tavole erano rivestite d'oro. La tenda, al didentro, era divisa in due parti da un velo, su cui erano raffigurati cherubini ricamati: la sua parte più interna, lunga cubiti 10, era detta il "santo dei santi", e ivi era riposta l'arca dell'alleanza (v.); la parte anteriore, lunga cubiti 20 dalla cortina d'entrata fino al velo, era chiamata il "santo" e ivi erano posti la tavola dei pani di proposizione, l'altare dei profumi e il candelabro d'oro. Questa impalcatura della tenda era poi ricoperta totalmente da due ampî tessuti, quello interno di materiale e lavorazione più fini, e quello superiore di peli di capra tessuti; ancora sopra vi erano altri due copertoni formati di pelli d'animali.

Questa è la descrizione data dalla Bibbia, nel cosiddetto "codice sacerdotale" del Pentateuco. A suo riguardo alcuni studìosi mQderni hanno sollevato alcune difficoltà, rispetto sia alla sua struttura, sia all'occasione della sua fabbricazione, che dalla narrazione biblica è assegnata al periodo in cui gli Ebrei si trattenevano ai piedi del Sinai, in pieno deserto. Quanto alla struttura si è fatto osservare che l'intero materiale della sola impalcatura rappresentava un peso rilevantissimo, poco opportuno per nomadi del deserto, inoltre che la sua stessa ingegneria non dava garanzie di stabilità; si è quindi concluso che la descrizione è fittizia, redatta in tempi tardivi secondo principî ideali suggeriti dalla struttura del tempio di Salomone.

In contrario si è osservato che l'impalcatura probabilmente non era "piena" (di tavole compatte) ma solo di telai a forma di tavole, e quindi di peso assai limitato; quanto alla fabbricazione nel deserto si è rilevato che appunto la regione del Sinai era anticamente frequentata da carovane egiziane che vi sfruttavano le locali miniere di rame e di turchese, e che l'industriosità degli antichi nomadi sapeva compiere lavori difficili anche nel deserto.

Il tabernacolo, costruito per ordine di Mosè nel luogo e nell'occasione suddetti, fu inaugurato il primo giorno del secondo anno dopo l'esodo degli Ebrei dall'Egitto (Esodo, XL, 1 segg.). D'allora in poi accompagnò sempre gli Ebrei nelle loro peregrinazioni nel deserto, e occupava sempre il posto di centro, sia durante le marce, essendo trasportato dopo 6 tribù e prima delle altre 6, sia durante le soste, essendo impiantato nel mezzo dell'accampamento. Penetrati gli Ebrei in Palestina, rimase in varie località, a Ghilgal, Silo, Nobe, Gabaon. Costruito che fu il tempio di Salomone, l'arca dell'alleanza passò nel tempio e il resto del tabernacolo fu depositato ivi come cosa sacra fuori uso.

Bibl.: Valgono, oltre ai commenti all'Esodo (v.), i trattati di storia e archeologia ebraica (v. bibbia, VI, p. 917; ebrei, XIII, p. 344).

Il tabernacolo nella religione cristiana.

Si dice propriamente tabernacolo l'edicola chiusa, posta nel centro dell'altare, nella quale si conserva la SS. Eucarestia. Si chiamano tabernacoli, in senso lato, anche le edicole (v.), poste sugli angoli o sulle porte delle case, con qualche immagine sacra, che di notte si suole illuminare. Talvolta si usa questo termine anche per designare i tempietti rustici sparsi per la campagna. In Inghilterra il nome tabernacolo si usa anche per indicare una nicchia di statua o un trittico. Il presente articolo è peraltro dedicato al tabernacolo nella sua precisa e più alta significazione eucaristica.

Storia. - I fedeli anticamente si comunicavano durante la celebrazione della messa; l'Eucarestia era riservata e custodita a parte per gli infermi. Ma, durante il tempo delle persecuzioni, non si ha notizia di luoghi speciali riservati per la conservazione dell'Eucarestia. I fedeli stessi potevano conservarla nelle chiese domestiche o anche nelle proprie case. Le costituzioni apostoliche, risalenti agli inizî del. V sec., raccomandano ai diaconi di riservare gli avanzi delle specie consacrate, che non fossero state consumate durante la messa. In epoca costantiniana sorgono all'aperto molte chiese cristiane, nelle quali l'elemento dominante è costituito dall'altare per il sacrificio in cospetto del popolo adunato (ecclesia). In esse il Santissimo non si conservava, come all'uso odierno, come termine di culto fuori del sacrificio: ma bensì per il viatico dei fedeli, in loculi speciali, aperti nel muro dell'abside o in sacrestia, la quale si chiamava anche per questo sacrarium. La custodia eucaristica si diceva repositorium, armarium, conditorium, turris,aedicula, sanctuarium.

La forma di questa custodia riproduceva spesso il comune tipo dell'edicola con colonne e timpano. È nota l'edicola di un tempio presso il Clitunno risalente al sec. V. Pare che talvolta l'Eucarestia si custodisse anche sotto la mensa degli altari. A mano a mano le edicole e gli armadî assunsero forme distinte e si arricchirono di elementi decorativi e simbolici. Si usò pure una colomba eucaristica, di rame o bronzo, che era composta in modo da contenere e racchiudere le sacre specie. Nella liturgia bizantina s'incontra ancora questa colomba. La colomba eucaristica si appendeva al tegurium o ciborium, cioè al baldacchino innalzato sopra l'altare.

Il Liber Pontificalis ricorda che Costantino fece una basilica dedicata a S. Pietro e "patenam auream cum turri ex auro purissimo cum columba ornata gemmis prasinis et yacintis, ecc.". S. Perpet (sec. V), vescovo di Tours, lascia ad Amalario "capsulam communem unam de serico, item peristerium et columbam ad repositorium".

Al sec. XII comincia ad usarsi il nome di tabernacolo in un senso proprio. I conditorî posti negli armadî della sacrestia a mano a mano cedettero il posto alle edicole praticate nei muri presso l'altare, finché nel sec. XV si introduce l'uso di conservare le sacre specie in un'edicola elevata sull'altare stesso: così si svolge l'iconografia del tabernacolo, quale si vede oggidì.

Esso diviene ben presto il centro del culto eucaristico con carattere permanente, cioè anche fuori della messa; e l'arte lo arricchisce con i più eleganti partiti costruttivi e decorativi. La primitiva edicola assume forme di tempietti rettangolari, ottagoni, rotondi, con colonne, statue, marmi, bronzi, ecc. Sopra il tempietto è posta la croce e nel centro si apre una porta, quasi sempre cesellata e spesso arricchita di pietre preziose e di figurazioni sacre. Gli schemi artistici classici o barocchi creano una svariata iconografia del tabernacolo, che, in piccolo, riproduce i partiti della grande architettura.

Nel rito bizantino l'artoforio corrisponde al tabernacolo del rito latino. Nell'artoforio, che ha forma di tempietto, si conserva la SS. Eucarestia in una scatola di metallo prezioso.

Significato liturgico. - Il tabernacolo è l'aula Dei, è la realizzazione del significato adombrato nell'arca santa dell'antico testamento. Habitabo vobiscum in loco isto (Jer., VII, 3, 7). È, quindi, il luogo più augusto della chiesa cattolica. Nelle chiese minori il tabernacolo è posto sull'altare maggiore; nelle grandi cattedrali o basiliche, si preferisce aprire una speciale cappella, in luogo più raccolto, che si dice appunto la cappella del Sacramento. Il concetto di abitazione di Cristo nel Sacramento è congiunto con quello della sua tomba gloriosa. La messa è la commemorazione dell'ultima cena e la rinnovazione, incruenta e gloriosa, del sacrificio della croce. Anche la parola repositorium, impiegata fin dal sec. V per indicare l'armadio eucaristico, non è stata mai abbandonata dal linguaggio liturgico eucaristico; e il significato si connette col concetto di tomba, sepolcro. Un'antichissima formula di benedizione ci ricorda il corporis Christi novum sepulchrum. S.V. Beda parla del tabernacolo come del sepolcro che contiene il corpo vivo di Cristo risuscitato. Ad Aquileia è inserita in un altare un'edicola eucaristica anteriore all'altare: rappresenta Cristo deposto nel sepolcro. Sul fregio del ciborio è scritto che l'altare è dedicato Deo viventi. Le figure cesellate sulle porte dei tabernacoli recano generalmente Cristo risorgente dal sepolcro, e spesso vi è pure rappresentato l'Agnello con la croce. La parte ornamentale trae partito dalla spiga di frumento, dalla vite e dall'uva, ricordando la materia del Sacramento.

Prescrizioni artistico-liturgiche. - Nelle Instructiones fabricae di S. Carlo Borromeo si contengono minute prescrizioni circa i tabernacoli. Riassumiamo le principali: "La costruzione del tabernacolo sia concepita ed eseguita diligentemente, con le parti tra loro bene adattate e connesse; il tabernacolo sia adorno di seulture raffiguranti i misteri della passione di Cristo; in certe parti, a giudizio dei periti d'arte, sia dorato; e sia nobilitato dal decoro di religiosi e venerandi ornati. Avrà proporzioni convenienti alla dignità, alla grandezza, al carattere della chiesa, e sarà collocato sull'altar maggiore. Alla sommità del tabernacolo si ponga l'imagine di Cristo gloriosamente risorgente dal sepolcro o presentante le sacre piaghe. L'interno del tabernacolo sia completamente rivestito e ornato di seta rossa per le chiese di rito ambrosiano, di seta bianca per le chiese di rito romano. Abbia una piccola porta nella parte anteriore; la porta sia adorna dell'immagine di Cristo crocifisso o risorto o presentante il petto vulnerato oppure di qualche altra pia immagine". Le leggi liturgiche stabiliscono che almeno una lampada arda sempre davanti al tabernacolo e che questo sia coperto dal conopeo, cioè da un drappo del colore liturgico del tempo, salvo se si tratti di materia pregevole artisticamente lavorata. Si vedano pure i canoni 1268-1269-1271 del Codex Juris Canonici. (V. tavv. XXXIX e XL).

Bibl.: R. De Fleury, La messe - Tabernacles, Parigi 1883; Barbier De Monattult, Les Tabernacles de la Renaissance, Roma 1899; Instructionum fabricae et supellectilis ecclesiasticae Caroli S. R. E. Card., ecc., Bergamo 1738; F. Cabrol, Dictionnaire d'Archéologie chrétienne, s. v. Colombe; G. Jacob, L'arte al servizio della Chiesa, Pavia 1900.