Tabù

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

tabù

Francesca Martini

Divieto sacro

Tabu è una parola polinesiana composta da ta – che ha il significato di «marcare» – e dalla particella con valore intensivo bu. Dunque il suo significato letterale è «fortemente contrassegnato» . Il tabù è un oggetto animato o inanimato che viene considerato sacro da alcuni popoli primitivi e che ha in sé poteri sovrannaturali dai quali conviene tenersi lontani. Lo stesso termine nel linguaggio psicoanalitico prende il significato di «divieto, proibizione»

Cosa sono i tabù

Il primo incontro degli occidentali con la parola tabù risale a un viaggio compiuto nel 1777 dal capitano James Cook nell’isola di Tonga, in Polinesia, il quale ebbe modo di osservare in questa occasione come il termine fosse usato per indicare cose con le quali era proibito entrare in contatto perché erano ritenute sacre.

Nel 19° secolo gli etnologi, gli studiosi dei popoli primitivi, hanno introdotto il termine tabù per designare ogni oggetto, animato o inanimato – la persona del re, determinati luoghi, un animale, una parola, un malato, certi giorni o periodi dell’anno in relazione a fenomeni lunari o a ricorrenze della vita sociale quali caccia, pesca, guerra, agricoltura – che, essendo depositario di particolari qualità sacre, è circondato da divieti e restrizioni.

Vi è dunque una stretta relazione tra la nozione di sacro e l’interdizione religiosa: essa deriva dal rispetto che l’oggetto sacro ispira e ha il fine di impedire che si manchi a questo di rispetto. La violazione del divieto comporta pericoli soprannaturali i quali provengono da un potere che si sprigiona direttamente dalla persona o dall’oggetto tabù.

I tabù possono avere anche carattere sociale: per esempio vengono proibiti comportamenti – che generalmente riguardano la sfera sessuale – ritenuti sconvenienti o pericolosi, o alcuni particolari alimenti dei quali è vietata l’assunzione. Il tabù può essere applicato a una intera specie animale, all’epoca della riproduzione, per preservarla dalle stragi dei cacciatori.

Totem e tabù

Sigmund Freud, nel suo celebre scritto Totem e tabù apparso nel 1912, dà del termine tabù una interpretazione psicoanalitica: se da un lato tabù significa «santo», «consacrato», dall’altro vuol dire «pericoloso», «proibito», «impuro». L’opposto in polinesiano si chiama noa, cioè «usuale», «accessibile». Totem è invece una parola che deriva dalla lingua dei Pellirosse dell’America Settentrionale e indica animali venerati come il coyote, l’opossum, l’alligatore. Il termine è stato introdotto in Europa nel 1791 da un viaggiatore inglese che lo ricava dal vocabolo ototeman che significa «è del mio clan». Esiste uno stretto legame tra il tabù e il totemismo: la relazione tra il clan e il suo totem è rafforzata dall’esistenza del relativo tabù che fa divieto di cacciare, danneggiare, nutrirsi del proprio totem. Ogni clan o gruppo sociale ha il suo totem. Freud coglie nel totemismo un duplice sistema di proibizioni: il divieto dell’incesto – cioè dell’unione sessuale tra persone legate da un vincolo di parentela – e il divieto di uccidere il padre.

Dunque il modo di strutturarsi dell’individuo passa attraverso le stesse proibizioni che hanno segnato la nascita della società. Sposarsi tra consanguinei è considerato disdicevole o, nella società moderna, è addirittura proibito dalla legge nel caso di stretta parentela. Attraverso questo tabù, che nelle popolazioni primitive è una specie di legge non scritta, anche i popoli primitivi mettono al bando ogni eventuale comportamento di questo genere. Nelle società primitive il codice del tabù ha un valore etico: esso costringe gli individui a tenere presente che hanno obblighi verso la comunità in cui vivono; i giovani ne ricevono le prime lezioni di vita sociale e nel corso della esistenza le proibizioni connesse con il tabù segneranno ogni fase della vita personale, familiare e sociale di ciascun individuo.

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