GADDI, Taddeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GADDI, Taddeo

Ada Labriola

Figlio del pittore Gaddo di Zanobi, nacque probabilmente tra la fine del Duecento e i primi anni del secolo successivo. Fu operoso come pittore a Firenze e in Toscana tra il terzo e il settimo decennio del Trecento ed è documentato per la prima volta intorno al 1330, epoca in cui è collocabile la sua immatricolazione nell'arte dei medici e speziali (Hueck, 1972). Gli Spogli delle matricole fiorentine effettuati da Pierantonio Dell'Ancisa (1649) riportano la data 1327 accanto al nome del G. (Archivio di Stato di Firenze, Manoscritti, 331, c. 109v). Non ci sono pervenute notizie documentarie relative alla prima fase di attività del pittore, nel corso degli anni Venti del Trecento; mentre due decenni di distanza separano le due sole tavole datate e firmate, il trittico del 1334 oggi a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie) e la Madonna col Bambino del 1355 (Firenze, Uffizi) eseguita - come rivela l'iscrizione dipinta - per Giovanni di ser Segna, originariamente destinata alla cappella Segni in S. Lucchese a Poggibonsi. Sono documentati nel 1341 i pagamenti al G. per gli affreschi nella cripta di S. Miniato al Monte a Firenze (un'impresa iniziata nel 1338) e ancora nel 1342 egli risulta pagato per la doratura dei capitelli delle colonne (Ladis, 1982); entro il 1353 ricevette pagamenti per il polittico destinato alla chiesa pistoiese di S. Giovanni Fuorcivitas, tuttora in questa sede sull'altar maggiore (Chiappelli, 1900). Risale forse al 1342 - anno in cui il Vasari ricorda il G. impegnato ad affrescare la cappella maggiore di S. Francesco a Pisa - la lettera inviata da questa città a Tommaso di Marco Strozzi in data 7 settembre, in cui l'artista menziona "il lavoro de' Gambacorti", importante famiglia locale sotto il cui patronato era la suddetta cappella (Pini - Milanesi, 1876). Dal 1355 all'agosto del 1366 il G. svolse il ruolo di consulente per la costruzione del nuovo duomo fiorentino (Guasti, 1887). Al 1365 risalgono, invece, i pagamenti per pitture nell'ospedale di S. Maria Nuova a Firenze (Ladis, 1982), di cui rimane oggi una Resurrezione ad affresco. A questi dati documentari, consistenti soprattutto a partire dal quinto decennio, si affianca il supporto delle fonti, utili in particolare per la conoscenza della giovinezza e della prima maturità del G., legate al problema centrale del rapporto con Giotto, il suo maestro.

Cennino Cennini (1390 circa) afferma che il G. "fu battezzato da Giotto, e fu suo discepolo anni ventiquattro". Anche Filippo Villani (1400 circa) lo dichiara discepolo di Giotto e ne esalta, con un'assimilazione dai toni umanistici, la capacità di dipingere architetture paragonandolo a Dinocrate e a Vitruvio. Vengono così poste le basi delle attribuzioni vasariane al G. di opere quali il campanile di S. Maria del Fiore, ponte Vecchio e ponte S. Trinita (confutate dal Milanesi, 1878). Significativi apprezzamenti all'arte del G. discepolo di Giotto, sono formulati dal Ghiberti (1450 circa), che ricorda inoltre un suo primo nucleo di affreschi nella chiesa fiorentina di S. Croce: il Miracolo di s. Francesco che salva il bambino (perduto) e Cristo tra i dottori sopra la porta della sagrestia, già allora distrutto nella parte inferiore in seguito alla costruzione del portale michelozziano. La prestigiosa impresa decorativa della cappella Baroncelli, opera centrale della giovinezza del G., è citata dal Libro di Antonio Billi e dal Codice Magliabechiano, seguiti dal Vasari, al quale si deve peraltro l'avvio della sfortuna critica che ha segnato fino a tempi recenti la storiografia relativa al pittore. Nell'affermare che il G. si rifece alla maniera di Giotto, migliorandola solo nel colorito, il Vasari enuclea il carattere limitativo di questa filiazione giottesca, da allora in poi assunta, quale criterio interpretativo centrale dell'arte del pittore (si veda Gandolfo, 1956). L'immagine tradizionale del G. è stata messa in discussione dall'importante apertura critica del Longhi (1959), ricca di stimolanti spunti di riflessione, tra cui il riconoscimento di una sostanziale contiguità del G. con Maso di Banco dal 1334 (trittico di Berlino) fino ai primi anni Quaranta del Trecento, inaugurando così un filone di studi che ha riconsiderato l'attività e il ruolo storico del G. nel contesto della cultura fiorentina coeva.

La personalità artistica ancora problematica di Gaddo di Zanobi non consente una verifica dell'affermazione vasariana circa l'iniziale apprendistato del G. presso il padre; in ogni caso il nucleo di opere riconosciuto pertinente alla sua attività giovanile, nel corso degli anni Venti del Trecento, denota una formazione avvenuta in contiguità con Giotto. La Madonna col Bambino della Pinacoteca di S. Verdiana a Castelfiorentino, intorno al 1325, è caratterizzata dallo studio degli esemplari giotteschi (Maestà di Ognissanti), ma anche dalla loro reinterpretazione in chiave gotica, come rivelano le ricerche di espressività fisionomica, di forme dal plasticismo scheggiato e di modulo allungato, quali emergono attraverso la grande fedeltà al modello giottesco (Parigi, Louvre) nelle Stimmate di s. Francesco oggi a Cambridge, MA (Fogg Art Museum). Sulla base di queste ben caratterizzate prove giovanili risulta problematico riconoscere il suo intervento in prestigiose imprese giottesche intorno al 1325 (Polittico Stefaneschi, Pinacoteca Vaticana); e anche la sua partecipazione all'Incoronazione della Vergine della cappella Baroncelli in S. Croce (Toesca, 1951; Previtali, 1974), eseguita da Giotto al suo ritorno da Napoli (1334), non sembra trovare supporto nella coeva produzione del G. (Conti, 1972).

Il polittico della collezione Bromley Davenport in Inghilterra (Macclesfield, Capesthorne Hall), raffigurante al centro il Vir dolorum con i ss. Pietro, Francesco, Paolo e Andrea (Longhi, 1965; Zeri, 1965), forse proveniente (Gregori, 1974) dalla cappella Lupicini in S. Croce, dedicata a S. Andrea e decorata secondo il Vasari dal G. con affreschi oggi perduti, affianca al dato giottesco nuovi interessi emergenti a partire dalla metà degli anni Venti del Trecento, quale l'attenzione verso la pittura goticamente modulata dei senesi, rappresentata nella stessa chiesa dal polittico di Ugolino di Nerio già sull'altar maggiore. A un momento apparentemente precedente, entro il 1325, appartengono le due tavolette con la Presentazione al tempio, in collezione privata a Firenze, e la Natività di Madrid (Fondazione Thyssen), originariamente parti di un basso dossale con sequenza orizzontale di scene (Boskovits, 1990).

Secondo l'iscrizione incisa sul monumento sepolcrale al suo ingresso, la cappella Baroncelli fu cominciata nel febbraio 1328 (stile fiorentino, 1327) per volontà di Bivigliano, Bartolo e Silvestro Manetti e di Vanni e Piero Bandini della famiglia dei Baroncelli: dato cronologico avvalorato dalle ricerche di Borsook (1961-62) e Hall (1974). È probabile che il G. abbia completato la decorazione della cappella entro il 1330 (Ladis, 1982; Boskovits, 1988); diversamente Gardner (1971) e Conti (1972) sostengono un prolungarsi dell'impresa nei primi anni del quarto decennio. Gli affreschi che ne ornano le pareti con Storie della Vergine denotano un notevole impegno narrativo e una forte consapevolezza nella resa iconografica (Janson-La Palme, 1976), oltre a dimostrare le peculiari capacità organizzative del G. nell'esecuzione di vasti cicli decorativi, caratteristiche che gli permisero nei decenni successivi di mantenere un rapporto privilegiato con i frati francescani.

Le inclinazioni gotiche, enucleate dal fluente linearismo dei contorni o dal luminoso cromatismo non privo di cangiantismi, nuovamente sollecitate dalla presenza in città di scultori senesi e pisani quali Tino di Camaino e Giovanni di Balduccio, la raffigurazione di notturni (Smart, 1977) e di complesse architetture testimoniano l'inedito arricchimento figurativo, operato nell'impaginazione delle storie sacre, e sottolineano quell'aspetto di sperimentalismo in cui si può cogliere il più profondo significato dell'eredità giottesca per il giovane pittore. Ne sono celebre esempio i brani di natura morta affrescati nella cappella, di memoria classica (Sterling, 1952), ma più direttamente ispirati a prototipi di Giotto e forse anche di Pietro Lorenzetti (Panofsky, 1960). Il successo figurativo di questi affreschi è documentato ancora nel secolo successivo dalle Très riches heures (Chantilly, Musée Condé) miniate dai fratelli de Limbourg; anche il disegno parigino (Louvre, Cabinet des dessins) della Presentazione al tempio rappresenta, più che un modello preparatorio, una copia tratta dall'omonimo affresco, forse nella stessa bottega del G. (Ladis, 1982).

A questi anni risalgono gli affreschi con Storie dei ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista nella cappella del castello di Poppi presso Arezzo (Donati, 1966 e 1991), i quali, accanto all'affine polittico di Voltiggiano (Castelfiorentino, Pinacoteca di S. Verdiana), inducono a riconoscere (Longhi, 1959) la presenza di aiuti accanto al maestro (Ladis, 1982, li ritiene eseguiti da un seguace intorno alla metà degli anni Trenta). L'operosità in terra aretina, ricordata dal Vasari, è inoltre documentata dalla Madonna del Museo di Castiglion Fiorentino, stilisticamente vicina agli stessi affreschi di Poppi, oltre che al trittico del Musée des beaux-arts di Strasburgo, al tabernacolo del Nationalmuseum di Stoccolma e al trittico già Cini (ora Firenze, coll. privata).

Il trittico portatile di Berlino, firmato e datato 1334, opera di grande raffinatezza esecutiva e ornamentale (Skaug, 1994), indica il graduale superamento delle tensioni gotiche e l'inclinazione verso ritmi formali più ampi e pacati, oltre che verso una nuova larghezza cromatica per cui il Longhi (1959) postulava un prototipo di Maso di Banco, condiviso anche dall'analogo trittico fiorentino (Museo del Bigallo) di Bernardo Daddi del 1333. All'aprirsi del quarto decennio la contiguità tra il G. e il Daddi sottintende una rimeditazione sulla lezione classica di Giotto con esiti memori anche delle equilibrate fluenze lineari di Andrea Pisano. Nel corso del decennio si collocano dipinti quali la Natività di Digione (Musée des beaux-arts), il S. Giovanni Evangelista di New York (propr. Pietro Corsini: Ladis, 1982), la Madonna di Berna (Kunstmuseum), il S. Domenico di Prato (S. Domenico, Museo di pittura murale), il dittico del Musée diocesain di Liegi, la Crocifissione e compianto a Londra (presso Matthiesen: Volpe, 1983), due tavolette originariamente appartenenti allo stesso trittico: la Madonna di Bloomington (Indiana University) e la Natività di Portland, OR (Art Museum: Boskovits, 1988). Nel frattempo i frati di S. Croce gli affidarono la decorazione della cappella di S. Ludovico dei Bardi (ricordata dal Vasari nella Vita del figlio Agnolo), come evidenzia l'unico brano superstite, un tondo nella volta probabilmente raffigurante Cristo che incorona s. Luigi re di Francia, databile entro il 1335 (Boskovits, 1975; Bartalini, 1995). Poco dopo il G. dovette elaborare l'importante impresa decorativa per la sagrestia di questa chiesa, le ventisei formelle con Storie di Cristo e di s. Francesco, di cui due a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie), due a Monaco (Alte Pinakothek), e ventidue a Firenze (Galleria dell'Accademia), dove si trovano anche le due mezze lunette appartenenti alla stessa serie (Ascensione e Annunciazione), tradizionalmente ritenute ornamento degli sportelli di un armadio contenente reliquie, per la cui problematica ricostruzione sono state avanzate diverse proposte (Marcucci, 1960 e 1965; Conti, 1972).

L'analisi delle fonti e di coevi mobili liturgici (Boskovits, 1988) supporta l'ipotesi di una provenienza dalla spalliera di un banco da sagrestia, simile ad esempio a quello tuttora esistente nella chiesa di S. Lucchese a Poggibonsi. La loro connessione iconografica con gli scritti del predicatore agostiniano Simone Fidati da Cascia (Maione, 1914) è confermata dal Gardner (1971), mentre il Ladis (1982) obietta che "Taddeus de Florentia", il mittente della celebre lettera in latino al frate, in cui si allude all'eclisse del 1339, non è necessariamente identificabile col pittore.

Stilisticamente prossime al trittico berlinese, le tavolette ne proseguono la ricerca di chiarezza spaziale ed equilibrio compositivo, avvicinandosi al polittico di New York (Metropolitan Museum) con la Madonna e il Bambino tra i ss. Lorenzo, Giovanni Battista, Giacomo Maggiore e Stefano, eseguito intorno al 1340.

Gli affreschi nella cripta di S. Miniato al Monte a Firenze, documentati tra il 1338 e il 1342, di cui rimangono busti di Santi entro poliboli nella volta e le frammentarie Natività e Presentazione al tempio segnano un momento di tangenza con la pittura di Maso. Il Bellosi (1985) ha riconosciuto nel disegno col Martirio di s. Miniato della Pierpont Morgan Library di New York il modello preparatorio di una scena perduta. In S. Croce, nella cappella Bardi di Vernio, il G. eseguì, in epoca successiva all'intervento di Maso del 1335 circa (Bartalini, 1995), la Deposizione di Cristo e nella navata sinistra la lunetta con il Compianto su Cristo morto, impostata secondo un ardito effetto di sottinsú (frammentaria, ora nel Museo dell'Opera di S. Croce), a pendant di quella con l'Incoronazione della Vergine dipinta da Maso sulla parete di fronte. È dibattuta l'attribuzione al G. (Ladis, 1982) o a Maso (Wilkins, 1985) delle vetrate Bardi di Vernio; peraltro il G. aveva già dimostrato il suo impegno in questo campo progettando le vetrate Baroncelli e, forse in parte, quelle della cappella maggiore (Gregori, 1974). Inoltre il Ladis (1982), sviluppando un'indicazione del Marchini (1968), gli riferisce anche le vetrate della cappella di S. Ludovico dei Bardi.

Agli anni Quaranta del Trecento appartengono tra l'altro il trittico di S. Martino a Mensola (fuori Firenze), l'Annunciazione di Fiesole (Museo Bandini) e, secondo Ladis (1982) e Skaug (1994) che ne ritengono moderna la data 1336, il trittico di Roma (Museo nazionale di Castel Sant'Angelo). Tra quinto e sesto decennio sembrano databili il Crocifisso di Monte San Quirico presso Lucca e alcuni affreschi a Firenze: la Vergine del Parto in S. Francesco di Paola (da S. Pier Maggiore: Bietti Favi, 1983), la Trasfigurazione della badia e la Crocifissione della sagrestia di Ognissanti, le cui figure colonnari accuratamente delineate, serrate nei panneggi, la dichiarano non lontana dalle coeve ricerche del giovane Orcagna.

Se dunque a partire dalla metà del secolo si radicalizza il neogiottismo del G., l'eredità della tradizione fiorentina del primo Trecento trapela ancora nelle ricerche cromatiche di pastosità chiaroscurale e nelle sperimentazioni spaziali, consapevolemente perseguite. Nel 1353 il G. venne pagato per l'esecuzione del polittico di S. Giovanni Fuorcivitas a Pistoia (Offner, 1921; Steinweg, 1964: non sono pertinenti le due tavolette di predella già nella collezione Cini a Venezia), il cui pannello centrale era forse stato già impostato da Alesso d'Andrea (Ladis, 1982). La scelta in favore del G. è suggellata dal noto documento pistoiese del 1350 circa (Chiappelli, 1900), che conferisce al G. il primato sui pittori fiorentini dell'epoca.

Nel polittico di S. Felicita a Firenze, forse eseguito verso il 1354 (Ladis, 1982), il chiaroscuro sfumato sottolinea brani di grande modernità (Cole, 1977, ha voluto riconoscervi l'intervento di Agnolo); nel 1355 il G. datava la Madonna di S. Lucchese a Poggibonsi (Firenze, Uffizi), per cui tornò a meditare - con effetti di preziosismo decorativo - sul modello giottesco di Ognissanti. A questo periodo appartengono inoltre la lunetta con la Madonna e il Bambino della Galleria dell'Accademia a Firenze, la Croce di S. Giorgio a Ruballa, la Madonna di S. Lorenzo a Le Rose (presso Firenze), il cui taglio di tre quarti si allinea a coeve soluzioni compositive di Nardo di Cione, e la Madonna di New Haven (Yale University Art Gallery).

La tradizione circa l'attività pisana in S. Francesco nel 1342 si basa sulla lettura vasariana dell'iscrizione, perduta, che menzionava affreschi del G. nella cappella maggiore (oggi rimane solo la volta decorata da Iacopo di Mino del Pellicciaio: Bellosi, 1972). Questa data ha rappresentato un punto di riferimento cronologico anche per le Storie di Giobbe affrescate nel locale Camposanto (Longhi, 1959), assegnate al G. dal Vasari (ma solo nel 1550); più convincente risulta la loro datazione nel decennio successivo (Bellosi, 1974), per l'inedita complessità di soluzioni spaziali qui sperimentate.

Intorno al 1360 si colloca la grandiosa impresa decorativa nel refettorio di S. Croce, in cui affrescò un imponente Arbor vitae, ispirato al trattato di s. Bonaventura, con quattro storie di santi ai lati: una sorta di finto trittico che funge da sfondo alla sottostante Ultima cena, illusionisticamente proiettata verso lo spazio reale (Esmeijer, 1985). Effetti di illusionismo sono ancora perseguiti nell'affresco con la Resurrezione di S. Maria Nuova, documentato nel 1365, restituito al G. dal Bellosi (1966); mentre ricerche di austerità formale emergono nell'affresco con la Crocifissione della sagrestia di S. Croce, nel Compianto su Cristo morto di New Haven (Yale University Art Gallery) e nella S. Monica (o Vergine dolente) di Indianapolis (Museum of art).

La data 1366 registrata accanto al nome del G. nel Libro della Compagnia di S. Luca induce a collocare in quest'anno la sua scomparsa; Pierantonio Dell'Ancisa ricorda nel 1366-67 Francesca di Albizzo Orimanni, vedova del G. (Archivio di Stato di Firenze, Accademia del disegno, I, c. 16v, e Manoscritti, 326, c. 239).

I ricordi vasariani circa l'attività del G. in altre chiese fiorentine si rivelano in alcuni casi (S. Maria Novella) inattendibili; non rimane traccia della sua opera in S. Spirito, in cui avrebbe affrescato il chiostro; del suo impegno per la chiesa dell'Annunziata si conosce il dato documentario (1332) relativo all'esecuzione della tavola destinata all'altar maggiore (Casalini, 1962); mentre in Orsanmichele rimane l'affresco con S. Lorenzo e il suo martirio (Bellosi, 1965; Finiello Zervas, 1996, che lo attribuisce con dubbio alla scuola del Gaddi). Il Ladis (1982) riferisce al G. un'attività come miniatore; oltre all'iniziale disegnata nella Tabula originalium della Biblioteca Laurenziana a Firenze (pluteo XXIX. sin. 3, c. 13v), già accostatagli dal Conti (1969), anche un gruppo di miniature nei corali C, D e P di S. Croce: ma seppure l'influenza del G. è indubbia, conviene mantenere quest'ultimo nucleo (Boskovits, 1975) sotto il nome convenzionale di "Ser Monte", tra sesto e settimo decennio del secolo.

L'opera del G. svolse un ruolo storico di grande rilievo e importanza: unico allievo di Giotto attivo ancora entro gli anni Sessanta del Trecento, contribuì in maniera fondamentale a trasmetterne l'eredità ai pittori successivi (da Antonio Veneziano a Spinello Aretino e Niccolò di Pietro Gerini), tramandando al neogiottismo di fine secolo il nucleo essenziale delle sue ricerche spaziali e cromatiche.

Dei suoi cinque figli, Giovanni, Niccolò, Agnolo, Zanobi e Francesco, i primi tre furono pittori. Niccolò è qualificato come "dipintore" nel 1391 (Arch. di Stato di Firenze, Prestanze, 1354, c. 33r; Litta). Di Giovanni è ricordata l'immatricolazione nell'arte dei medici e speziali il 5 apr. 1372 (Haines, 1989); egli fu probabilmente il più anziano tra i figli del G., risultando incaricato sin dal 1363 di pagare le "prestanze" a nome del padre (Ladis, 1982). Dal 19 luglio al 2 ott. 1369 fu impegnato in lavori per Urbano V nel palazzo Vaticano, insieme con un gruppo di artisti tra cui Giottino (col quale percepì i pagamenti più elevati), Giovanni da Milano e il fratello Agnolo (Crowe - Cavalcaselle, 1903). Nulla rimane di quest'impresa, come dei suoi affreschi nel chiostro di S. Spirito menzionati dal Vasari, e nessun'opera da lui firmata è attualmente conosciuta. Boskovits (1975) ne ha proposto l'identificazione con il Maestro della Misericordia, pittore così denominato dall'Offner (1958) dal dipinto proveniente dal convento agostiniano di S. Maria a Candeli e oggi nella Galleria dell'Accademia di Firenze, raffigurante la Madonna della Misericordia, il quale unisce ai ricordi dell'arte del G. un'apertura alle ricerche cromatiche di Giottino e Giovanni da Milano. Nei registri fiorentini delle "prestanze", Giovanni è ricordato fino al 1390 (Archivio di Stato di Firenze, Prestanze 1254, c. 25r: i pagamenti per gli anni 1386-90 risultano effettuati nel 1393).

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