TALMŪD

Enciclopedia Italiana (1937)

TALMŪD (ebr. Talmūd, propriamente "studio", "insegnamento", "dottrina")

Umberto Cassuto

Nome di due vaste opere (il Talmūd babilonese e il Talmūd palestinese) rappresentanti ciascuna il corpus della dottrina tradizionale, particolarmente giuridica, dell'ebraismo, quale venne a costituirsi per opera dei dottori Amorei (v. āmōrā) di Babilonia e di Palestina, fra il principio del sec. III e la fine del V. Quando si dice Talmūd senz'altro, si pensa di solito al Talmūd babilonese, che è quello dei due che ha avuto maggior diffusione e maggiore autorità.

Il diritto tradizionale ebraico (religioso, civile e penale) aveva avuto una prima codificazione ufficiale, dopo le precedenti raccolte non ufficiali, nella Mishnāh di Rabbī Yĕhūdāh ha-Nāsī, o Giuda il Santo (v.), verso la fine del sec. II dell'era cristiana. Per il modo in cui la dottrina giuridica tradizionale si venne foggiando, trasformando e ampliando fino alla redazione del codice di Rabbī Yĕhūdāh ha-Nāsı, in seguito alla quale si chiuse il periodo dei dottori Tannaiti, v. mishnāh; tannaiti. Questa redazione però non segnò un punto d'arrivo, ma piuttosto un punto di partenza per la elaborazione ulteriore: più che una conclusione definitiva fu un riepilogo di ciò che di più importante era stato creato nel periodo precedente, da servire come base ormai ferma e stabile dello svolgimento successivo. E infatti l'attività dei dottori che vennero dopo Rabbī Yĕhūdāh ha-Nāsı, cioè i surricordati Amorei, tanto nelle scuole di Palestina quanto in quelle di Babilonia, si esercitò principalmente sulla Mishnāh, ricercandone e determinandone le fonti, esaminandone criticamente il contenuto, risolvendo o cercando di risolvere le effettive o apparenti contraddizioni interiori di essa o quelle che apparissero tra essa e altre tradizioni tannaitiche "esterne" (col nome di "esterna", baraitha, si designa una tradizione tannaitica non inclusa nella raccolta canonica della Mishnāh), fissando quale fosse la norma da seguirsi nei casi di controversia tra i Tannaiti, e cercando in essa o in altre fonti tannaitiche un criterio per la fissazione di nuove norme relative a casi precedentemente non previsti.

Il vocabolo talmūd, che in base al suo senso etimologico aveva assunto, fra gli altri significati, quello di esplicazione o esposizione di testi giuridici o hălākōt (v. hălākāh), venne perciò a designare questo studio della Mishnāh fatto nelle scuole degli Amorei (in Babilonia si ha anche il vocabolo equivalente aramaico gĕmārā). E dal designare tale attività delle scuole amoraiche esso passò a designare le opere letterarie nelle quali questa attività veniva ad essere rispecchiata e registrata, cioè il Talmūd babilonese e quello palestinese.

Queste due opere ci si presentano quindi sotto l'aspetto di vasti commentarî alla Mishnāh, la quale viene ad essere in essi inclusa. Ma il carattere di commentarî alla Mishnāh non esclude che il loro contenuto sia assai più comprensivo di quanto tale espressione potrebbe lasciar supporre. Già abbiamo accennato come, accanto alla Mishnāh, anche le tradizioni giuridiche tannaitiche che non erano state accolte nel canone di Rabbī Yĕhūdāh ha-Nāsı, e che perciò erano chiamate "esterne", fossero oggetto di studio e d'indagine da parte degli Amorei, specialmente nel senso che per studiare e illustrare un determinato paragrafo della Mishnāh si richiamavano quelle hălākōt "esterne" che trattavano dello stesso argomento o che comunque potevano esser poste in rapporto con esso. Inoltre, anche i detti degli Amorei erano a loro volta oggetto di studio, di commento e di discussione. E tutto ciò è intanto una prima serie di elementi non direttamente mishnici, nell'uno e nell'altro Talmūd.

Un'altra vasta cerchia di elementi non mishnici è costituita dai passi relativi alla haggādāh, ossia dai passi di argomento non giuridico. Il contenuto della Mishnāh, all'infuori del trattato Ābōt che è una raccolta di sentenze morali sul tipo dei Proverbî e dell'Ecclesiastico, è pressoché esclusivamente giuridico. Ma l'attività dei Tannaiti si era svolta anche all'infuori della hălākāh, cioè del diritto, nel vasto e svariato campo della haggādāh, cioè della dottrina tradizionale non giuridica, concernente la dogmatica, la morale, le concezioni sociali e politiche, l'omiletica, le tradizioni storiche e leggendarie, il folklore, e via dicendo. Questi loro insegnamenti haggadici non erano stati accolti se non in scarsissima misura nella Mishnāh, ma erano tuttavia stati trasmessi tradizionalmente agli Amorei, che conservarono e svolsero e accrebbero anche questa parte della dottrina tradizionale, e le fecero posto nella redazione finale dell'opera loro. Un terzo del Talmūd babilonese, e un sesto del Talmūd palestinese, sono di contenuto haggadico.

La parte più importante e più curata, in cui ogni parola è misurata e pesata, è la parte halakica; la parte haggadica è invece considerata secondaria. Sembra quasi che coi passi haggadici i dottori vogliano concedersi e concedere agli altri un riposo dalle affaticanti discussioni della hălākāh. Il contenuto di questi passi non è collegato in un sistema coerente, né approfondito con minuta indagine come è approfondita la hălākāh. Vi si riferiscono le tradizioni trasmesse dai dottori nell'ambito delle varie materie haggadiche suindicate, le loro opinioni e i loro insegnamenti al riguardo, i loro detti e le loro massime, le narrazioni correnti intorno agli episodî della loro vita, le favole e le credenze che essi accoglievano dalle cerchie del popolo, e così via. Tutto quello che i dottori venivano dicendo nelle discussioni delle accademie e nei colloquî fra loro o con gli scolari è raccolto. Accanto a insegnamenti di alto valore morale e religioso si incontrano anche cose a cui coloro stessi che le enunciavano non attribuivano valore se non per il momento, né vi mancano elementi tratti dalla superstizione popolare. Spesso la semplicità e l'ingenuità irriflessiva di certi passi haggadici presentano uno strano contrasto con la dialettica acuta e serrata e con la profondità di pensiero della hălākāh.

Una notevole differenza fra la Mishnāh e i testi talmudici è quella della forma in cui il contenuto è presentato. Nella Mishnāh troviamo di solito la semplice formulazione delle norme giuridiche, anonima per lo più, accompagnata dal nome del trasmettitore meno spesso, e specialmente nei casi di controversia; solo raramente v'incontriamo discussioni in cui i dottori in controversia fra loro sostengono ciascuno con argomenti la propria opinione, e anche in questi casi si tratta di discussioni brevissime. Invece nel Talmūd babilonese, e in minor grado anche in quello palestinese, la materia giuridica è presentata in forma discussiva, come in un particolareggiato processo verbale dei dibattiti che si tenevano nelle accademie amoraiche. La discussione è solo in minor parte anonima; per la maggior parte appaiono i nomi degli Amorei discutenti o trasmettenti le hălākōt invocate nella discussione. Specialmente nel Talmūd babilonese le discussioni sono di una grande sottigliezza dialettica, spesso assai lunghe, quasi sempre complicate.

Un'altra differenza che merita di essere rilevata è quella dell'ordinamento del materiale. Nella Mishnāh (e così in quella raccolta di hălākōt "esterne" che è designata col nome di Tōseftā) il materiale è di solito ordinato sistematicamente secondo il soggetto, e solo raramente vi si seguono altri criterî di ordinamento, quali l'identità del nome del trasmettitore, o l'analogia dell'argomento, o simili. Nel testo talmudico, e specialmente in quello di Babilonia, i criterî esteriori di ordinamento non sono più l'eccezione, ma la regola. Nel corso della discussione relativa a un determinato paragrafo della Mishnāh si viene a parlare non solo di altri argomenti che possono essere utili ai fini della discussione, ma si passa altresì ad argomenti che da quello sono richiamati solo per qualche analogia esteriore, e magari da un argomento così introdotto per incidenza, si passa per un'ulteriore associazione d'idee a un altro argomento ancora. Talché, mentre ogni trattato della Mishnāh si occupa pressoché esclusivamente dell'argomento indicato dal suo titolo, il corrispondente trattato talmudico si occupa bensì ex professo di questo argomento, ma per incidenza anche di una quantità di altri argomenti diversissimi.

L'operosità degli Amorei si svolgeva e si trasmetteva pressoché soltanto oralmente. Si avevano appunti schematici, note e sigle mnemoniche, ma solo per uso personale e privato. A noi oggi può apparire sorprendente che si potesse con così limitati aiuti alla memoria tramandare oralmente per molte generazioni una così imponente massa di materiale, ma sono da tener presenti le grandi possibilità che la memoria umana opportunamente educata può offrire.

Il materiale tradizionale elaborato nelle accademie di Babilonia fu raccolto nel Talmūd babilonese (aramaico Talmūda dĕ-Bābel, ebraico Talmūd bablī), e quello elaborato nelle accademie di Palestina nel Talmūd palestinese (aramaico Talmūdā de-Maarbā, "Talmūd dell'Occidente", o di-bĕnē Maărab, degli occidentali, o dĕ-Ereṣ Yiśrā'ēl, "della Terra d'Israele", ebraico Talmūd Ereṣ Yiśrā'ēl, o, con denominazione diventata poi prevalente, Talmūd yĕrūshalmī, "Talmud gerosolimitano"). Ma poiché in entrambi i centri di studio i dottori movevano dal medesimo punto di partenza e svolgevano un'attività analoga, con metodi fondamentalmente assai simili, e poiché si avevano continui rapporti fra i due centri, per il passaggio di maestri e di discepoli dall'uno all'altro di essi, il materiale è in parte coincidente, e nelle grandi linee le due raccolte vengono sostanzialmente a concordare fra loro, divergendo soltanto nei particolari.

Come, e per qual via, e per opera di chi, e quando, si giungesse alla redazione dell'uno e dell'altro Talmūd, è cosa variamente discussa. Basterà qui accennare soltanto che la redazione non fu compiuta tutta in una volta, ma lentamente e gradualmente, con un processo lungo e complicato. Probabilmente nelle singole accademie, tanto in quelle palestinesi quanto in quelle babilonesi, si sarà cominciato presto a raggruppare e a ordinare la vasta materia, anche per facilitarne la trasmissione a memoria; e questi ordinamenti delle singole accademie si saranno via via venuti accrescendo con nuovo materiale di generazione in generazione.

Il Talmūd palestinese giunse più presto alla forma attuale, perché, estintosi il patriarcato verso il 425, le scuole palestinesi cessarono o ridussero di assai la loro attività. Possiamo quindi ritenere che entro il primo quarto del sec. V il Talmūd palestinese avesse raggiunto press'a poco la forma in cui noi lo abbiamo oggi. E forse fino da allora, o poco dopo nel corso dello stesso secolo, fu posto per iscritto. Un'opera definitiva e una particolareggiata revisione non poté però esser fatta. I più dei trattati che compongono il Talmūd palestinese sono, a quanto pare, quelli che erano stati redatti nell'accademia di Tiberiade; però il trattato Nĕzīqīn (ossia il complesso dei tre trattati in cui fu suddiviso) sembra esserci venuto nella redazione dell'accademia di Cesarea, ed aver raggiunto presso a poco la forma attuale già verso la metà del sec. IV.

L'opera di redazione del Talmūd babilonese si protrasse più a lungo, e, condotta con più agio, poté essere pazientemente e accuratamente perfezionata. L'opinione prevalente, salvo divergenze nei particolari, è che la maggior parte dei trattati che lo compongono rappresenti la redazione compiuta nell'accademia di Sūrā sotto la presidenza di Rab Āshī (morto nel 427), ma ancora successivamente rielaborata e accresciuta da redattori successivi fino a Rābīnā II (morto nel 499) col quale si chiude la serie degli Amorei, e poi ulteriormente sottoposta a un'accurata revisione dai dottori posteriori, i Saborei (v.), i quali avrebbero dato al Talmūd l'ultima mano, con un esame critico del materiale, col chiarimento di ciò che era rimasto oscuro e la determinazione di ciò che era rimasto dubbioso, con la fissazione della norma giuridica nei casi di controversia fra i precedenti dottori, e con l'addizione di brevi note intese a tale scopo e talvolta anche di passi un poco più lunghi, ma non toccanti essenzialmente la hălākāh. Per un'opinione recentemente (1933) espressa sulla parte prevalente che i Saborei avrebbero preso alla redazione del Talmūd babilonese v. saborei. Forse già al tempo di Rābīna, o se non allora al tempo dei Saborei, il Talmūd babilonese sarà stato posto per iscritto, probabilmente per lungo tempo ancora a solo scopo privato.

Nonostante la poderosa mole del Talmūd babilonese, solo 36½ dei 63 trattati della Mishnāh hanno in esso la loro esposizione e discussione amoraica. Non hanno avuto questo particolare svolgimento quei trattati che si riferiscono alle leggi agrarie applicabili solo in Palestina, né quelli relativi ai sacrifizî, che con la distruzione del santuario di Gerusalemme erano venuti a cessare, o a quelle norme di purità che erano direttamente o indirettamente legate all'esistenza del santuario. Manca anche il trattato babilonese Shěqālīm, o dei sicli (v. siclo), pur esso relativo a un argomento connesso col santuario; ma in sua vece si trova nei manoscritti e nelle edizioni del Talmūd babilonese il corrispondente trattato palestinese. Mancano altresì i trattati Ābōt (v.) e ‛Ēduyyōt ("testimonianze" circa l'antichità di determinate hălākōt), i quali per il loro carattere non si prestavano ad avere una discussione amoraica. Del resto molti elementi dei trattati non esistenti a sé nel Talmūd babilonese sono discussi per incidenza nei trattati esistenti.

Il Talmūd palestinese, la cui estensione è circa un terzo di quella del Talmūd babilonese, comprende 39 trattati, di cui alcuni pervenutici incompleti. Fra essi figurano quelli concernenti le leggi agrarie relative alla Palestina, ma mancano, oltre ai suddetti Ābōt e ‛Ēduyyōt, tutti quelli componenti i due ultimi dei sei ordini in cui è divisa la Mishnāh (Qŏdāshıim "sacrifizî", e Ṭohŏrōt "leggi di purità"), all'infuori di una parte del trattato Niddāh appartenente al sesto ordine, ed esistente anche, per intero, nel Talmūd babilonese. Se i trattati degli ultimi due ordini ora mancanti nel Talmūd palestinese siano esistiti un tempo e siano poi andati perduti, come alcuni suppongono, specialmente per il quinto ordine, in base a testimonianze medievali, è incerto. A ogni modo la presunta scoperta, e parziale pubblicazione, di parecchi trattati del quinto ordine (1907-1908) si dimostrò subito una falsificazione, compiuta in gran parte con estratti dai trattati autentici. Fenomeno caratteristico del Talmūd palestinese, che poté aiutare questa falsificazione, è quello della ripetizione di passi, anche assai ampî, in due e talvolta tre luoghi diversi.

La parte redazionale del Talmūd palestinese è prevalentemente composta nel dialetto aramaico-giudaico di Palestina, e così quella del Talmūd babilonese nel dialetto aramaico giudaico orientale parlato in Babilonia, simile al siriaco e al mandaico. In entrambi però, con poca differenza fra l'uno e l'altro, si ha molto materiale in lingua ebraica: tutti i testi tannaitici, parte della discussione amoraica su questi testi, e anche alcuni detti degli Amorei stessi.

Lo studio dei testi talmudici presenta moltissime diffcoltà intrinseche ed estrinseche. Fra le prime sono da rilevare: la vastità enorme del materiale, la disposizione di esso non conforme al concetto europeo dell'ordine sistematico, l'acuta sottigliezza della parte halakica, l'estrema concisione che lascia sottintese molte cose che solo da un commento o dalla viva voce di un maestro si possono imparare, e in genere l'atteggiamento mentale assai diverso da quello del mondo moderno; fra le seconde la necessità di familiarizzarsi con l'elaborata tecnica delle discussioni, e altresì la forma in cui si presentano le edizioni correnti, prive di capoversi e d'interpunzione (anche di quella scarsa interpunzione che si aveva nelle prime edizioni, per il resto riprodotte immutate anche nell'aspetto esteriore), manchevolezza che non è avvertita da chi ha ormai familiarità col testo, ma che è spesso un ostacolo per i principianti.

Il Talmūd babilonese ha avuto per la determinazione della coscienza religiosa ebraica e delle forme della vita ebraica un'importanza fondamentale. I successori dei Saborei, i Gě'ōnīm (v.) babilonesi, i quali come capi delle accademie avevano il compito d'interpretare e di applicare le norme del diritto talmudico, vennero acquistando un'indiscussa autorità morale in tutta la diaspora, e in conseguenza di questa loro autorità gli Ebrei di tutto il mondo, all'infuori dei seguaci del movimento antirabbinico rappresentato soprattutto dai Caraiti (v.), adottarono il diritto talmudico e il sistema talmudico di vita religiosa.

Chiusa ormai con la redazione definitiva del Talmūd babilonese l'età creativa del diritto ebraico, i Gě'ōnīm, oltre a dare coi loro Responsi ai quesiti trasmessi dalle varie parti della diaspora decisioni su casi giuridici o delucidazioni teoriche di difficili passi talmudici, iniziano la serie dei commenti ai testi del Talmūd, e quella delle opere di codificazione destinate all'ordinamento sistematico del materiale halakico. Responsi, commenti e codici furono poi composti in grandissimo numero anche dopo l'età gaonaica, verso la fine della quale lo studio diretto del Talmūd si andò diffondendo anche in nuove sedi, nell'Africa settentrionale e nell'Europa; e venne a formarsi così attraverso i secoli tutta una vasta letteratura in proposito. Lo studio del Talmūd fu una delle principali discipline a cui si dedicarono gli studiosi ebrei; e in certi paesi e in certi tempi, specialmente in Polonia dal sec. XVI fin quasi ai giorni nostri, esso fu l'unica attività intellettuale dell'ambiente ebraico, estesa bensì a vaste cerchie anche all'infuori degli studiosi di professione, ma esclusiva a segno da lasciar nell'ombra la stessa Bibbia.

Il Talmūd palestinese ha avuto assai minore fortuna. Mancando un'autorità come quella dei Gě'ōnīm che valesse a imporlo (il gaonato palestinese non esercitò grande autorità fuori della Terrasanta), fu posto in seconda linea, e fu considerato pressoché soltanto come un sussidio allo studio del Talmūd babilonese. Più che altrove esso fu oggetto di studio e fu tenuto in pregio in Italia, i cui Ebrei per ragioni geografiche furono in tutti i tempi particolarmente legati da rapporti diretti con la Palestina.

Il valore storico del Talmūd, oltre che dalla decisiva influenza da esso esercitata sulla vita religiosa e sociale dell'ebraismo, è costituito anche dalla sua importanza come documento storico del passato. Importanza che naturalmente è da ascriversi al Talmūd palestinese del pari che al babilonese. L'uno e l'altro sono miniere inesauribili per la conoscenza della vita, delle vicende e del pensiero degli Ebrei dagli ultimi tempi dell'età precristiana sino alla fine del sec. V, e conseguentemente anche per lo studio del Nuovo Testamento e del cristianesimo primitivo.

Testi di così difficile interpretazione, e così suscettibili quindi di essere mal compresi da chi non vi avesse dedicato attento studio per molti anni, dovevano dare agevolmente occasione a giudizî discordanti sul loro valore. E specialmente la haggādāh, col suo contenuto spesso ingenuo e superficiale, talvolta addirittura popolaresco, poteva in alcune sue parti porgere l'opportunità di giudizî sfavorevoli. Questo caso si avverava non di rado per parte di quegli Ebrei che, avendo abiurata la religione dei padri, erano per ovvie ragioni psicologiche tratti a mettere in rilievo ciò che nel sistema religioso da essi abbandonato appariva loro censurabile, e soprattutto quei passi talmudici in cui essi trovavano, o credevano di trovare, qualche cosa di opponentesi alla fede cristiana, o di non riguardoso verso di essa. Le loro asserzioni in proposito, data la difficoltà per parte dei non Ebrei di controllarne l'esattezza, furono spesso facilmente accolte, e provocarono ripetutamente divieti, sequestri e abbruciamenti dei libri talmudici. In Francia, il Talmūd fu sequestrato e abbruciato nel 1240, in seguito alle accuse di Niccolò Donin, ebreo convertito al cristianesimo. E in seguito a quelle di un altro convertito, Pablo Christiani, il re d'Aragona impose nel 1263 agli Ebrei del suo stato di sopprimere numerosi passi dai loro esemplari del Talmūd. E nel 1415, in seguito alle accuse sostenute da un altro ex-giudeo, Geronimo di Santa Fé, l'antipapa Benedetto XIII proibiva agli Ebrei lo studio del Talmūd. Al principio del sec. XVI Giovanni Pfefferkorn, anch'egli ebreo passato al cristianesimo, proponeva che fosse proibito agli Ebrei l'uso di qualsiasi libro ebraico che non fosse la Bibbia. Insorse a difesa del Talmūd e degli altri libri ebraici l'umanista Giovanni Reuchlin, e s'iniziò così una fiera controversia (v. reuchlin) nel corso della quale Leone X concesse che fosse stampata a Venezia un'edizione completa del Talmūd (v. sotto: Edizioni). Rinnovate accuse di convertiti indussero l'Inquisizione a proibire il Talmūd nel 1553, e a ordinarne il sequestro e l'abbruciamento; però successivamente il concilio di Trento permetteva di nuovo la stampa del Talmūd, purché ne fossero soppressi i passi incriminabili. Nel secolo XIX il movimento antisemitico riprese e sostenne le vecchie accuse al Talmūd, dando origine a una vasta letteratura polemica, nella quale competenti studiosi cristiani (in particolare H. L. Strack) hanno vigorosamente controbattuto le accuse (cfr. anche: G. F. Moore, Christian writers on Judaism, in Harvard theological Review, XIV, 1921).

Manoscritti. - Pochi manoscritti antichi ci sono pervenuti. Completo, o meglio pressoché completo, è del Talmūd babilonese solo il codice Monacense 95 (riproduzione fotomeccanica a cura di H. L. Strack, Leida 1912). Manoscritti parziali specialmente notevoli: Fiorentino (Bibliot. Naz. Centr.), dell'anno 1176-77; Amburgense 65, del 1184 (riproduzione fotomeccanica a cura di L. Goldschmidt, Berlino 1914). Altri manoscritti sono indicati da H. L. Strack, nella Einleitung, pp. 81-83 (v. Bibl.). Le varianti dei mss. sono state raccolte ed esaminate nell'opera, rimasta incompiuta, di R. Rabbinovicz, Variae lectiones in Mischnam et in Talmud babylonicum (titolo ebraico Diqdūqē Sōfĕrīm, "Minuzie di scribi"), in quindici volumi, Monaco 1868-1886 (più un sedicesimo volume a cura di H. Ehrentreu, Przemyśl 1897).

Del Talmūd palestinese non vi è che un solo manoscritto di notevole ampiezza, lo Scaligeriano 3 di Leida, scritto a Roma nel 1289. Da notarsi ancora il Vaticano ebr. 133 e i frammenti della gĕnīzāh, pubblicati da L. Ginzberg, Yerushalmi Fragments, New York 1909. Raccolta di Varianten und Ergänzungen, da citazioni antiche e da frammenti manoscritti, a cura di B. Ratner, Vienna 1901-1917 (rimasta incompleta).

Edizioni. - Talmūd babilonese (quasi sempre con commenti): dapprima furono stampati, nel sec. XV e al principio del XVI, diversi trattati singoli, in Italia (per primo il trattato Bĕrākōt, Soncino 1483), nella Penisola Iberica, e a Fez. La prima edizione completa è quella surricordata di Venezia 1520-1523, presso Bomberg. Seguono: Venezia, Bomberg, intorno al 1530; ivi, Giustinian, 1546-1551; ivi, Bomberg, 1548. L'edizione cominciata a Sabbioneta nel 1553 non poté esser condotta a termine per le misure decretate e attuate in quell'anno contro il Talmūd. Ristampe si ebbero poi fuori d'Italia: diversi trattati a Lublino fra il 1559 e il 1576, a Salonicco dal 1563 in poi, a Costantinopoli dal 1583 in poi, ecc. A Basilea negli anni 1578-1581 fu stampata un'edizione del Talmūd censurata, in conformità delle disposizioni del concilio di Trento. Seguono una quantità di edizioni in diversi paesi europei, che riproducono le precedenti, fino alle monumentali, come quelle di Vilna, 1880-1886 e successive, che ai consueti commenti ne aggiungono molti in più intorno al testo e dopo il testo. Riproduzione fotomeccanica di una delle ultime edizioni di Vilna, in formato ridotto, Berlino-New York 1925. Da notare che tutte queste edizioni conservano sempre, salvo qualche piccola differenza, la paginazione della prima edizione di Venezia, sicché il Talmūd babilonese si cita di solito per trattato e pagina. Una edizione critica del Talmūd sarebbe un'impresa gigantesca, e per ora non sono stati fatti in tal senso se non tentativi parziali per singoli trattati, che non si possono però considerare edizioni critiche nel vero senso della parola: Makkōt, a cura di M. Friedmann, nelle Verhandlungen del VII Congresso degli orientalisti, Vienna 1888; Bĕrākōt, a cura di W. Pereferkowitsch, Pietroburgo 1909; Taănīt, a cura di H. Malter, editio minor, Filadelfia 1928; editio maior, New York 1930.

Talmūd palestinese: edizione principe, Venezia, Bomberg, 1523 (riprodotta a Berlino 1925). Seguono quelle di Cracovia 1609, con un breve commento, e di Krotošin 1866. Le edizioni con largo numero di commenti s'iniziarono con quella di Žitomir 1860-67, giungendo fino alle recenti monumentali di Vilna (1922, 1926; riproduzione in formato ridotto, Berlino 1929). Per edizioni parziali o rimaste incomplete vedi la suddetta Einleitung di Strack, p. 85.

Traduzioni. - Talmūd babilonese: in tedesco, di L. Goldschmidt, Berlino-Lipsia-L'Aia 1897-1935; editio minor, senza il testo, in corso di pubblicazione, Berlino 1929 e segg. In inglese, di M. L. Rodkinson (traduzione libera e abbreviata), New York 1896-1903; nuova edizione, Londra 1908. Pure in inglese, ordine IV, a cura di diversi traduttori (E. W. Kirzner, S. Daiches, H. Freedman, W. Slotki, I. Schachter, A. Mishon, A. Cohen [il quale prima aveva pubblicato la traduzione inglese del trattato Bĕrākōt, Cambridge 1921], A. E. Silverstone, H. M. Lazarus, M. H. Segal, I. Israelstam), sotto la direzione di I. Epstein, Londra 1935. Per traduzioni di singoli trattati o di passi scelti, v. Strack, Einleitung, pp. 163-167, e Katalog der Judaica und Hebraica della Stadbibliothek di Francoforte sul Meno, Francoforte sul Meno 1932, pp. 130-132.

Talmūd palestinese: in latino, venti trattati, a cura di B. Ugolino, nel suo Thesaurus antiquitatum sacrarum, XVII, XVIII, XX, XXV, XXX, Venezia 1755-1765. In francese, a cura di M. Schwab, Parigi 1861-1889; seconda edizione del vol. I, ivi 1890 (molto libera e molto abbreviata).

Commenti e compendî. - V. ebrei: Letteratura postbiblica.

Grammatiche e lessici. - H. L. Strack, Einleitung cit., pp. 168-169. Inoltre: C. Levias, A Grammar of Babylonian Aramaic (in ebraico), New York 1930, M. Schlesinger, Satzlehre der aramäischen Sprache der Babylonischen Talmuds, Lipsia 1928.

Bibl.: H. L. Strack, Einleitung in Talmud und Midraš, 5a ed., Monaco 1921 (ristampa immutata, 1930); M. Mielziner, Introduction to the Talmud, 3a ed., New York, 1925. Per pubblicazioni posteriori v. sopra. In italiano: M. Beilinson e D. Lattes, Il Talmud, scelta di massime, parabole, leggende, Torino 1924; A. Cohen, Il Talmud, traduz. di A. Toaff, Bari 1935.