ŠEVČENKO, Taras Grigor′evič

Enciclopedia Italiana (1936)

ŠEVČENKO, Taras Grigor′evič

Ettore Lo Gatto

Poeta e pittore ucraino, nato il 25 febbraio (v. s.) 1814 da una famiglia serva della gleba nel governatorato di Kiev; morto il 26 febbraio (v. s.) 1861. Capitato, come servitore del proprio signore, a Pietroburgo nel 1831, fece conoscenza col pittore Sošenko che lo introdusse nell'ambiente dell'allora già famoso pittore K. Brjullov, il quale, d'accordo col poeta V. A. Žukovski), riuscì a riscattarlo e a farlo entrare nell'accademia di belle arti. Giovane d'ingegno molto sveglio, S. si rivelò contemporaneamente pittore e poeta. Ma mentre nella pittura solo molto lentamente riuscì a liberarsi dalla maniera accademica, nella poesia portò immediatamente il proprio temperamento insieme con note nuove di carattere sociale e politico. Ai primi poemetti: Gajdamaki, Gamalija, pubblicati nel 1841 e 1842, seguirono presto numerose poesie liriche, nelle quali l'idealizzazione di maniera del contadino ucraino e russo, da cui il poeta non seppe subito liberarsi, è compensata dalla grande freschezza delle immagini e dalla profondità del sentimento ispiratore. A questa freschezza contribui il contatto con la terra ucraina che il poeta riprese dopo varî anni di assenza dalla patria.

Arrestato nel 1847, per aver partecipato alla "Fratellanza CirilloMetodiana" mirante all'abolizione della servitù e all'indipendenza ucraina, Š fu inviato come soldato semplice nella regione dell'Ural, dove rimase circa un decennio. Sebbene gli fosse proibita ogni attività artistica, in questo decennio egli continuò a scrivere e a disegnare di nascosto, così che, quando nel 1848 poté liberamente riprendere la sua attività, non si notò nella sua opera soluzione di continuità né artistica né spirituale o politica. Sotto quest'ultimo aspetto anzi si può dire che l'ampiezza della visione sociale prendesse nuove proporzioni, e ciò spiega come dopo due soli anni di libertà egli fosse nuovamente arrestato. Questa volta l'esilio segnò quasi un inaridimento dell'ispirazione poetica, che ritornò solo nel 1857 con la libertà riconquistata in seguito all'amnistia.

Ritornato nel 1858 a Pietroburgo, più che agli ambienti artistici Š. si avvicinò a quelli della democrazia rivoluzionaria, in particolar modo a Černyševskij e ai Polacchi che andavano preparando il terreno per la rivolta che doveva avvenire alcuni anni dopo. La poesia di S. assume in questi anni un vero e proprio tono rivoluzionario, solo talvolta tribunizio.

Considerata nel complesso della storia letteraria ucraina, la poesia di Š ci appare prima di tutto in contrasto con quella che era la tradizione della vecchia generazione (Kotlarevśkj, Kvitka-Osnovj anenko) le cui aspirazioni, sia nazionali sia sociali, avevano alla base l'ideale cristiano dell'adempimento di doveri positivi con una certa rassegnazione al destino e una certa credenza nel progresso morale. L'ideale al cui servizio Š. pone la sua opera di poeta, è un ideale più concreto, fatto di amore e di comprensione del cosiddetto "fratello minore", che in Ucraina è naturalmente il contadino, ma questa comprensione diventa patrimonio di tutta l'"intellihencija" ucraina. Se anche per il contatto con la letteratura russa e polacca si fanno sentire su di lui influenze formali di Žukovskij, di Puškin e di Mickiewicz, il contenuto della sua poesia subisce un'influenza sola, quella della storia e della vita ucraina: nei poemi storici e nei dumy episodî che sono riflesso della lotta sostenuta dal popolo ucraino contro i suoi oppressori e disconoscitori (così, p. es., in Hajdamaci del 1841 la rievocazione della rivolta dei contadini contro i nobili polacchi nel 1768); nei canti lirici il riflesso della vita quotidiana nel suo duplice aspetto di contatto con la terra madre e di rispetto delle tradizioni da una parte, di sofferenza e più o meno soffocata ribellione all'oppressione sociale e politica. Se per la prima maniera la parentela, non la derivazione, con la poesia di Kolícov, è senza dubbio evidente, per la sua seconda maniera la lirica di Š. si distingue in modo deciso dalla lirica del poeta russo, in quanto che manca in essa qualsiasi aderenza al fondamentale tono idillico caratteristico di quella. L'esperienza personale che fu analoga nei due poeti si manifestò in modo diverso; Kolícov rimase soprattutto descrittore della vita del suo popolo, Š. si elevò a difensore del popolo ucraino e attraverso il popolo ucraino a difensore dei diritti del popolo in senso universale. Le circostanze stesse della vita dei due popoli contribuirono del resto a questa differenziazione, perché mancò nella Russia propriamente detta quel carattere di ribellione all'oppressione che distinse sempre il popolo ucraino, e di cui Š. si fece portavoce.

Š. scrisse anche in russo, soprattutto in prosa durante il periodo dell'esilio; fra i suoi romanzi e racconti meritano particolare rilievo L'artista, vera e propria autobiografia, preziosa anche per la conoscenza del tempo in cui fu scritta, e Il musicante, commovente storia dell'emancipazione di un servo della gleba ucraino.

Opere: Povne vidanija tvoriv Tarasa Ševčenka, voll. 5, Kiev s. a., con introduzione di B. Lepkij datata 1919; Povne zibranija tvoriv Tarasa Ševčenka, ed. dall'Accademia ucraina dal 1927 in poi, Charkov.

Bibl.: V. Korjak, Bortíba za Ševčenka, Charkov 1915; E. S. Šabl′ovskij, Proletarčska revoljucija i Š., Charkov-Kiev 1923; O. V. Bagrij, T. Š., voll. 2, Charkov 1930-31; M. Plevako, Š. i Kritika, in Červonij šljach, ivi 1924, n. 3. In russo: A. M. Skvorvov, Žizn chudožnika T. Š., Mosca 1929; A. Rečiskij, Tara Š. v svete epochi, ivi 1931; L. Leger, Le poète national de la Petite Russie intellectuelle, Parigi 1914.

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