TARQUINIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1973)

Vedi TARQUINIA dell'anno: 1966 - 1973 - 1997

TARQUINIA (v. vol. vii, p. 619 ss.)

G. Colonna

La scoperta, a partire dal 1958, di una larga messe di nuove tombe dipinte, impone la necessità di una completa revisione dello svolgimento della pittura tarquiniese nel VI e V sec. a. C., ossia nel periodo della sua massima fioritura (cfr. anche Pittura, vol. vi, pp. 208-209 e Etrusca, arte, vol. iii, pp. 466 ss.).

A parte l'isolata testimonianza del Tumulo Avvolta, è ormai accertato che nel VII e nella prima metà del VI secolo la decorazione pittorica si limitò a sottolineare in nero la "architettura" interna degli ipogei, integrandola talora con l'indicazione di una porta al centro della parete di fondo (Tombe della Capanna, Marchese, 343; Not. Scavi, 1907, p. 347, 4-5; forse lo stesso Mausoleo). Intorno al 550 a. C. queste monocrome orditure lineari vennero sconvolte dalla adozione sistematica di un ornato frontonale, consistente in animali (leoni, pantere, uccelli) contrapposti ai lati di un sostegno centrale. La nuova sintassi decorativa si avvalse largamente, oltre che del nero, del rosso (Tombe 939, 1964, dei Leoni Rossi, Avakian) e più tardi del verde (Tombe dei Leoni di Giada, dei Tritoni, Stefani). Nella Tomba Avakian lo sforzo di arricchire la decorazione si manifesta nella comparsa di elementi accessorî, quali il motivo laconico degli archetti con melagrane e le crocette distribuite sulle pareti (come più tardi lo saranno sugli spioventi del cielo). La prima personalità di pittore nettamente individuata è quella della Tomba dei Tritoni: le sue forme robuste ed armoniose, realizzate con estrema parsimonia di linee, sono tra le creazioni più felici dell'arte ionico-etrusca. Un appiglio cronologico è offerto dalla parentela con i vasi più antichi del gruppo La Tolfa (circa 540 a. C.). Ricordi orientalizzanti affiorano nel timpano maggiore della Tomba Stefani, in cui il sostegno centrale è sostituito dalla figura del despòtes theròn armato, tra uccelli e leoni gradienti.

Verso il 530 a. C. la decorazione figurata, arricchita dell'azzurro e carica ormai di precisi significati funerarî, che si estrinsecano in temi narrativi (ludi atletici e musicali, danze, banchetti, giuoco del phersu, gare di abilità, ecc.), discende dai timpani e dilaga gioiosamente sulle pareti, dando inizio con un'opera di ineguagliato livello come la Tomba degli Auguri alla serie dei grandi cicli pittorici tarquiniesi. La Tomba dei Giocolieri rivela al confronto un temperamento modesto, incerto nella composizione (si notino i pentimenti nel disegno dell'equilibrista e addirittura la sostituzione di una pantera al leone originariamente disegnato nel semitimpano destro). Il discorso del fregio si snoda con difficoltà, né il riserbo ostentato dalle danzatrici arriva ad essere elegante. Non mancano punti di contatto con la Tomba delle Leonesse (figurine efebiche a risparmio, zoccolo a onde, profusione dell'azzurro), ma la fonte di ispirazione, sempre greco-orientale, va cercata altrove: i tipi femminili richiamano gli affreschi di Gordion e i pinakes ceriti più vicini al gruppo delle idrie. L'unica iscrizione della tomba: aranth heracanasa, ossia Ar(a)nth (servo) di Her(a)canas, si trova accanto ad una figura in atteggiamento scurrile, che potrebbe riferirsi proprio, con intento apotropaico, all'autore delle pitture, conservandoci così l'unica firma nota di pittore tarquiniese. Sulla scia della Tomba degli Auguri si collocano le Tombe del Pulcinella e 1999, mentre incerta resta la posizione della troppo rovinata Tomba 1000. Un posto a sé occupa la Tomba delle Olimpiadi, in cui il ritmo travolgente del racconto crea un carosello di immagini colorate, con un effetto semplice ma efficace di sagra paesana (fiaccamente imitato nella Tomba del Maestro delle Olimpiadi). L'organizzazione sintattica della decorazione parietale ricevette una prima sistemazione, preludente a quella assai più vincolante affermatasi agli inizî del V sec. a. C., in un nutrito gruppo di tombe, databili tra il 520 e il 500 a. C., forse opera di uno stesso pittore, passato attraverso una fase ionicizzante (Tomba del Morto, delle Iscrizioni, del Vecchio, dei Baccanti) ed una già toccata dalla cognizione del disegno attico 1701, (Tomba del Teschio o dei Secondi Archi, Cardarelli, la perduta Tomba della Porta di Bronzo). In queste tombe, dalla policromia molto sobria, si riprende largamente il vetusto motivo della finta porta (nella variante bullata, da portone, della Tomba degli Auguri), si stabilizza l'uso delle coroncine e degli alberelli, si risolve il problema dei campi. frontonali con gruppi animalistici, si conferisce al columen una propria decorazione con dischi e foglie d'edera. Abile disegnatore, questo pittore si compiace di ritmi instabili, di figure gesticolanti, in cui la linea di contorno è forzata al massimo, non senza connessione, probabilmente, con le obliquae imagines di Kimon di Kleonai. Assai vicina alla sua maniera è la Tomba dei Vasi Dipinti, qualche legame mostra anche la Tomba del Morente. Affatto isolata nella sua nobile misura resta la Tomba del Barone.

Parallelamente a questa produzione, che fa largo posto alle figurazioni antropomorfiche e ai temi narrativi, si perpetua e si evolve la tradizione, più economica, delle tombe con decorazione puramente ornamentale, circoscritta ai frontoni. La Tomba dei Tori rientra sostanzialmente in questa corrente conservatrice, poiché il quadro posto sulla parete di fondo, nel suo isolamento e nel suo tema mitologico (Achille e Troilo), si collega più al passato (lastroni a scala, Tomba cerite della Nave, e inoltre gli stessi Tritoni e il despòtes theròn) che non al futuro della tematica funeraria. Alla Tomba dei Tori si affiancano, nel ricco cromatismo e nella parentela con il disegno dei vasi pontici più recenti e con il Pittore di Micali, le Tombe del Mare, 3698 e del Topolino. In quest'ultima, mentre nei frontoni si insinua frammentariamente il tema del banchetto, le pareti sono rivestite in tutto il loro sviluppo da una serie di alberi frondosi, animati da volatili e roditori, creando una suggestiva pittura di giardino. Nella Tomba della Caccia e Pesca la sollecitazione della corrente narrativa è forte: il giardino della prima camera si popola di figurette umane, i frontoni sono occupati da fregi continui con scene di banchetto e di caccia. Sulle pareti della seconda stanza però lo spunto narrativo della pesca è affatto soverchiato dall'amore per il paesaggio, cui dobbiamo una marina priva di qualsiasi rapporto con la tematica funeraria. Il motivo del fregio frontonale con banchetto incontrò un certo favore, poiché lo ritroviamo nelle Tombe del Frontoncino, Tarantola, Bartoccini, in questa ultima sovraddipinto su fondo nero secondo un gusto, probabilmente desunto dalla ceramografia attica, che ritorna nel fregio maggiore della Tomba delle Bighe e nel frontone della Tomba della Caccia al Cervo (ma con figure correttamente risparmiate sul fondo). L'ultima eco della tradizione decorativa la incontriamo, ormai agli inizî del V sec., nella singolare Tomba del Cacciatore, concepita come l'interno di un padiglione dalle agili strutture lignee, ricoperto sino a terra da un velario in alto opaco, in basso traslucido. Alla base della parte opaca corre un fregio miniaturistico con animali e guerrieri su fondo scuro, la cui squillante policromia, il disegno rapido e la ripetizione dei motivi si ispirano volutamente alla decorazione tessile. Sotto il fregio sono appesi al velario animali uccisi ed oggetti di abbigliamento, a grandezza naturale, dipinti con un gusto che si direbbe da natura morta. L'insegnamento attico, prepolignoteo, si manifesta nella visione in trasparenza di singoli elementi del paesaggio circostante, come la linea del terreno, un alberello con bende e finanche un capriolo pascente.

Agli inizî del V sec. a. C. si afferma con la Tomba delle Bighe un nuovo schema decorativo, che domina incontrastato fino alla metà del secolo ed oltre: sulla parete di fondo tre coppie di banchettanti, sulle pareti laterali musiche, danze e giuochi, nei semitimpani figure sdraiate (cfr. le Tombe del Triclinio e della Nave), sugli spioventi del cielo una scacchiera multicolore. Purtroppo l'apporto conoscitivo delle tombe di recente scoperta è limitato, sia per la qualità che per il miserando stato di conservazione di molte di esse. Sulla scia dei migliori maestri dell'epoca, e in particolare di quello della Tomba del Triclinio, si pone la Tomba della Scrofa Nera, in cui la cognizione dello stile severo si manifesta nella corretta veduta di profilo dell'occhio, ancora non generalizzata, mentre nella movimentata scena di caccia del frontone principale è vivo il ricordo di composizione dell'arcaismo finale. Non è un caso che l'ardita figura del cacciatore visto di dorso trovi un precedente nello scudiero della Tomba delle Bighe (Weege, fig. 87 e tav. 86) o negli stessi combattenti dell'altorilievo di Pyrgi (Arch. Class., xiii, tav. lxxxv). Vicine alla Tomba della Scrofa Nera sono la Tomba Querciola, in cui forse appare uno spunto prospettico nella rete della caccia al cinghiale, e la Tomba 3697, preziosa per la cronologia avendo restituito una kỳlix firmata da Hieron. Allo stesso orizzonte cronologico (metà del V sec. a. C. ) si riferisce la Tomba della Nave, opera di mediocre esecuzione, in cui però troviamo, inserito a forza nel fregio parietale, un brano di pittura di paesaggio, forse desunto da un originale di maggiore respiro. Due grosse navi da carico attorniate da barche sono proiettate su una distesa marina racchiusa da grandi rocce verticali (le riproduzioni pubblicate sono incomplete). Il confronto con la marina della Tomba della Caccia e Pesca mostra non solo l'insegnamento polignoteo nello scaglionamento della composizione su piani diversi, come forse già nel pinax veiente con pescatore (Arch. Class., iii, tav. xxx), ma anche una ben più vigorosa subordinazione dell'uomo alla natura, le figurine dei marinai avendo un valore affatto accessorio. Nulla sappiamo di questa estensione alla pittura di paesaggio dei principi prospettici polignotei, e solo a titolo di ipotesi si può fare il nome dello scenografo Agatharchos, attivo ad Atene dall'età di Eschilo, ma proveniente dalla Ionia.

Nella seconda metà del V sec. a. C. si assiste ad una rapida involuzione della pittura tarquiniese, conseguente all'allentamento dei rapporti con il mondo greco, generale nell'Etruria tirrenica nonostante i tentati interventi della politica ateniese. Fra i tanti complessi di mediocre esecuzione si distingue, per il disegno vibrante e un certo tormentato manierismo subarcaico, la Tomba della Pulcella: il suo grande loculo parietale, inserito nel sistema decorativo, è tipico di questa età, mentre l'abolizione dei campi frontonali - presente eccezionalmente nella Tomba del Letto Funebre - non ritorna che nel IV secolo. Nei frontoni diviene ora frequente il motivo ctonio del gallo oppure una decorazione a grandi volute, anch'essa anticipata da una nota urnetta dipinta tardo-arcaica. Una estrema semplificazione di linguaggio, congiunta ad un cromatismo violento, accomuna la Tomba Francesca e la 3226, mentre nella Tomba del Guerriero si esprime, in una forma piuttosto equilibrata e corretta, tutta la limitatezza dei nuovi orizzonti, ormai inesorabilinente municipali. Qualche lontana eco di arte classica filtra alla fine del secolo nella Tomba del Gorgoneion, in cui viene ripreso il motivo del paràdeisos come cornice a due personaggi conversanti, così come nel fregio frontonale della Tomba 2327, con processione di personaggi panneggiati. In quest'ultima tomba si osserva anche, nei capelli di un tibicine, un tentativo di chiaroscuro, ottenuto variando la densità del colore, con procedimento simile a quello della pittura vascolare. È possibile, ma non dimostrabile, che qualcuna di queste tombe scenda nei primi anni del IV secolo. Certo nessun rapporto esiste tra esse e i monumenti pittorici sicuramente datati in questo secolo, come le Tombe dell'Orco, Golini, François, o i frammenti di pinakes da Falerli. Il diradamento, se non l'interruzione, della pittura funeraria nella prima metà del IV sec. a. C. non meraviglia, dopo che la recente esplorazione sistematica della necropoli di Monterozzi ha mostrato che la percentuale delle tombe affrescate non supera il due per cento: la decorazione delle tombe è rimasta sempre un fatto di élite, legato a particolari condizioni economiche e sociali. Il superamento del disegno di stile severo in Etruria fu un processo lentissimo e faticoso, che ebbe luogo non nella grande pittura, ferma su posizioni convenzionali e conservatrici, ma nell'artigianato, assai più ricco di fermenti vitali, degli specchi, dei vasi dipinti, delle ciste.

La scuola pittorica tarquiniese ha esercitato il suo influsso, nella prima metà del V sec. a. C. anche fuori della città: lo dimostrano una tomba, ora perduta, di Bomarzo e le tombe dipinte di Chiusi.

Bibl.: Per le tombe dipinte riportate alla luce tra il gennaio 1958 e l'aprile 1962: M. Moretti, Nuovi monumenti della pittura etrusca, Milano 1966. Per la Tomba 1000 e per taluni particolari successivamente distrutti della Tomba della Scrofa Nera si veda C. M. Lerici, Nuove testimonianze dell'arte e della civiltà etrusca, Milano 1960, pp. 121; 136 s. Un cenno alle scoperte successive in C. M. Lerici, Una grande avventura della archeologia moderna, Milano 1965, s. Tarquinia. Per la Tomba ellenistica degli Anina: v. M. Pallottino, in St. Etr., XXXII, 1964, p. 107 ss. Per la Tomba Marchese: L. Marchese, in Not. Scavi, 1944-45, p. 21, fig. 8. Per la Tomba Avakian: G. Avakian, in Ephemeris Dacoromana, VI, 1935, p. 148 ss. (ivi anche un cenno alle fasce dipinte nel Mausoleo). Per la Tomba Stefani: E. Stefani, in Not. Scavi, 1954, p. 185 ss., figg. 3-6. La Tomba del Topolino si identifica con ogni probabilità con quella edita, insieme ai resti del corredo, in Not. Scavi, 1881, p. 366 ss. Per i pinakes ceriti citati nel testo: F. Roncalli, Le lastre dipinte da Cerveteri, Roma 1965, p. 77 ss. tavv. IX, X e XVII. Per la tomba arcaica di Bomarzo: E. Stefani, in Not. Scavi, 1954, p. 189 ss., figg. 7-12. Ultimi studî di cui non si è potuto tener conto nel testo: L. Banti, Disegni di tombe e monumenti etruschi fra il 1825 e il 1930: l'architetto Henri Labrouste, in St. Etr., XXXV, 1967, pp. 41 ss.; G. Camporeale, Pittori arcaici a Tarquinia, in Röm. Mitt., LXXV, 1968, p. 34 ss.; A. Giuliano, Osservazioni sulle pitture della "tomba dei Tori" a Tarquinia, in St. Etr., XXXVII, 1969, p. 3 ss.; M. Sprenger, Qualche annotazione sull'esegesi e la cronologia della tomba dipinta detta del guerriero di Tarquinia, ibid., p. 401 ss.; T. Dohrn, rec. a M. Moretti, Nuovi monumenti della pittura etrusca, in Göttingische Gelehrte Anzeigen, 221, 1969, p. 211 ss.; A. Tonini, La tomba tarquiniese del Cacciatore, in St. Etr., XXXVIII, 1970, p. 45 ss.