CAPIZUCCHI, Tarquinio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CAPIZUCCHI, Tarquinio

Mirella Giansante

Nacque a Roma da Cencio (Innocenzo) e da Tarquinia Sartori, nipote del cardinale Fazio Sartori, probabilmente nel 1563.

Ebbe una formazione prevalentemente militare e a soli diciassette anni fu inviato in Fiandra, ove fu dapprima paggio di Alessandro Farnese con l'incombenza di portare lo stendardo reale, "carica che si suol dare a paggi di età e di spirito" (R. Capizucchi): poté così stare molto vicino al duca di Parma e acquisire una straordinaria esperienza militare, partecipando fra l'altro all'assedio di Maestricht. In seguito divenne "venturiere" nel reggimento italiano di Camillo Capizucchi, cugino del padre, e si distinse specialmente nell'impresa di Anversa (1585). Grazie al valore dimostrato, nel 1588 fu nominato capitano di una compagnia di archibugieri di fanteria. dello stesso reggimento, già comandata da Silvio Piccolomini, e con essa prima si preparò alla progettata invasione dell'Inghilterra, poi partecipò alla spedizione in Francia per soccorrere la lega cattolica: fu all'assedio di Parigi e anche alle fortunate imprese di Lagny e di Corbeil, nel settembre 1590, segnalandosi fra i migliori.

Dopo questi episodi, il C. rimase in Francia con il "tercio" di Camillo Capizucchi. Ma nel 1591, avendo Alessandro Farnese necessità di aumentare gli effettivi del suo esercito prima di ritornare in Francia in soccorso di Rouen assediata da Enrico IV di Navarra, egli fu inviato in Italia per arruolare nello Stato pontificio un numero di uomini sufficiente a riempire i vuoti prodotti nei reggimenti italiani dalla durezza dei combattimenti sostenuti negli ultimi anni.

Il C. riuscì a raccogliere con la leva autorizzata dal pontefice Gregorio XIV (che aveva lanciato l'interdetto contro il re di Francia e finanziava considerevolmente la lega cattolica) 1.000 fanti ripartiti in cinque compagnie affidate rispettivamente a se stesso, ad A. Caffarelli, a M. A. Lanti, a F. Fioravanti e a V. Marescotti: ma egli tenne il comando generale di tutto il contingente. Durante il viaggio di ritorno in Fiandra il duca di Terranova, governatore di Milano, gli ordinò di lasciare gran parte delle truppe al governatore di Alessandria Antonio Oliviera, essendo sollecitato in tal senso dal duca di Savoia Carlo Emanuele I, che si trovava impegnato a combattere su tre fronti, nel Ginevrino, nel Delfinato e in Provenza.

Raggiunto di nuovo il Farnese, il C. prese parte dal dicembre 1591 alla seconda spedizione in Francia, combattendo presso Rouen contro gli ugonotti.

Dopo la morte del duca di Parma egli continuò a militare al servizio degli Spagnoli, prima agli ordini di Pietro Ernesto conte di Mansfeld, fino al 1594, poi dell'arciduca Ernesto d'Austria, fratello dell'imperatore Rodolfo. Nella primavera del 1594, però, non avendo speranza di sostanziali avanzamenti (l'ultima promozione avuta nel 1593 l'aveva portato al comando di una compagnia di archibugieri a cavallo), lasciò il servizio in Fiandra e ritornò a Roma; nell'agosto 1594 egli andò in Spagna fornito di una lettera di raccomandazione dell'arciduca Ernesto, per chiedere come ricompensa del servizio prestato per quattordici anni nei Paesi Bassi "un'entrata nel Regno di Napoli". Ma dovette aspettare parecchi anni prima che Filippo III gli concedesse il 1º ottobre 1605 una pensione annua di 400 ducati, destinandolo comunque alle dipendenze del governatore di Milano, don Pedro Enriquez, de Acevedo conte di Fuentes, con un'ulteriore provvisione di cinquanta scudi mensili. Mentre stava a Milano, nell'agosto del 1606, il pontefice Paolo V gli offrì la castellania di Ferrara, ma il C. la rifiutò nonostante le pressioni del cardinale Odoardo Farnese e di Francesco Borghese, forse perché riteneva la carica inadeguata ai suoi meriti, o perché, più probabilmente, non voleva essere soggetto a Paolo Savelli, generale delle armi di Ferrara. "Ma non vacando ancora posto alcuno proportionato alla sua persona", neppure a Milano, il C. tornò a Roma e, con il consenso del conte di Fuentes e conservando gli emolumenti spagnoli (che nel 1609 furono mutati in due pensioni di 400 scudi ciascuna), accettò la nuova offerta di Paolo V, il quale lo nominò governatore generale delle armi della provincia della Marca: carica ragguardevole, inferiore soltanto a quella di luogotenente e del mastro di campo della Santa Chiesa e ai generalati di Avignone e di Ferrara.

Nel 1623 il neoeletto Urbano VIII scelse il C., insieme con Lotario Conti duca di Poli, come "consigliero ne gl'affari della militia" di suo fratello Carlo Barberini, generale di Santa Chiesa. Quindi il C. fu nominato, il 20 febbr. 1624, con uno speciale breve pontificio, mastro generale di Santa Chiesa e "seconda persona doppo D. Carlo Barberino", dal momento che Federico Savelli aveva lasciato il posto di luogotenente generale per divenire ambasciatore a Roma dell'imperatore; egli conservò anche il governo speciale delle armi della provincia della Marca (gli emolumenti furono di 1.000 scudi annui per la carica di mastro generale e di 200 scudi mensili per il governo della Marca). Carlo Barberini, inoltre, lo inviava ad Ancona, affidandogli il 10 marzo 1624 l'incarico di prendere possesso del ducato di Urbino - quando fosse morto l'anziano Francesco Maria II Della Rovere, ultimo duca - "per quello pero che tocca alle armi, dandogli facoltà di poter dare patenti di compagnie, di governatori di piazze, mettere presidio, e fare qualsivoglia altra provisione concernente il detto servizio, fino alla nostra andata colà, o vero di altra persona in luogo nostro, di ordine nostro, e della Santità di Nostro Signore".

Il C. risiedette fino alla morte ad Ancona (tranne alcuni mesi del 1625, quando, richiamato a Roma, fu sostituito provvisoriamente da Francesco Colonna): qui, essendogli anche stato conferito il grado di ammiraglio con il compito di sovraintendere al porto, fece restaurare la fortezza, costruendo un nuovo baluardo e rifornendola di armi e munizioni (per una spesa di 8.170 scudi). Il 21 ott. 1624 fu aggregato alla nobiltà anconitana. Prima che potesse partecipare alla "recuperatione" dello Stato di Urbino (Francesco Maria II Della Rovere visse fino al 1631), il C. morì ad Ancona alla fine del 1628 (l'ultima lettera di Carlo Barberini a lui indirizzata è datata 21 ott. 1628) e fu "sepelito nella chiesa di San Domenico nella cappella delli Fatati Nobili Anconitani" (Lucenti, p. 510).

Il C., che ci è descritto dal cardinale R. Capizucchi "di statura mediocre, assai pingue di corpo, d'aspetto nobile e militare", aveva sposato Tarquinia Alveri, dalla quale ebbe due figli: Papirio e Tarquinia, che sposò il conte Annibale della Somaglia (1621). Egli scrisse un breve Compendio delle principali attioni militari fatte nella Fiandra dal principe D. Alessandro Farnese,nel primo anno ch'io Tarquinio Capozucchi mi ritrovai seco sulla guerra (in Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 5649, cc. 97-102).

Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. naz., mss. Vitt. Em. 540: R. Capizucchi, Rist. della fam. Capizucchi, I, ff. 598v-609r;Ibid., mss. Vitt. Em. 543:G. Lucenti, Mem. spettanti alla nobile casa dei signori Capizucchi baroni romani estr. da legittimi docum., II, pp. 438-510;V. Armanni, Della nobile et antica fam. de' Capizucchi baroni romani, Roma 1668, pp. 32-34; P. Mandosio, Bibl.romana seu scriptorum Romanorum centuriae, Romae 1692, pp. 167 s.; F. Strada, Della guerra di Fiandra,Deca seconda... volgarizzata da P. Segneri, IV, Torino 1830, 9 p.60;P. Fea, Alessandro Farnese..., Roma 1886, p. 395;T. Amayden, La storia delle famiglie romane, I, Roma s.d., p. 251.

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