NUCLEARI, TECNOLOGIE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

NUCLEARI, TECNOLOGIE

Maurizio Cumo

. L'impiego dell'energia n. ha determinato l'affermarsi di tutta una serie di t. e di operazioni sul combustibile n. che possono genericamente essere raggruppate sotto la dizione tecnologie nucleari.

Un filo logico che lega fra loro le diverse t. è costituito dal combustibile n., più precisamente dal suo "ciclo". Con riferimento ai reattori a fissione industrialmente affermati, le operazioni del ciclo del combustibile si articolano nella fase di prospezione dei minerali uraniferi, di coltivazione dei giacimenti da cui i minerali possono essere estratti a costi convenienti, di concentrazione, raffinazione e purificazione dei minerali, di conversione dei composti dell'uranio, di arricchimento dell'uranio nell'isotopo fissile 235, di ritrattamento del combustibile irraggiato nei reattori n. di potenza, di condizionamento e trattamento delle scorie radioattive.

Le t. n. riguardano inoltre diverse attività di ricerca e sviluppo sui reattori n., sul combustibile e su diverse applicazioni dei radioisotopi. Per es., le manipolazioni sul combustibile irraggiato nelle cosiddette "celle calde" (locali schermati dalle radiazioni e attrezzati con manipolatori remotizzati), le operazioni di trasporto del combustibile irraggiato mediante opportuni contenitori refrigerati e schermati, la fabbricazione e l'installazione di tutte le apparecchiature predisposte per la dosimetria e la protezione dalle radiazioni.

Una descrizione sintetica delle t. n. può essere compiuta articolandole in gran parte negl'impianti n. preposti alle varie fasi del ciclo del combustibile.

Impianti di trattamento e conversione dei minerali uraniferi. - La successione dei trattamenti necessari per trasformare i minerali grezzi in prodotti di uso n. è riconducibile a queste operazioni fondamentali: a) concentrazione del minerale grezzo; b) purificazione; c) conversione in materiale n. (v. uranio, App. III, 11, p. 1032).

La concentrazione si effettua con metodi fisici e chimici, eliminando argille e calcari (macinazione, setacciatura, flottazione e separazione gravimetrica) e con successive operazioni chimiche (attacco acido o attacco alcalino a seconda della natura della ganga). Si ottiene una soluzione che viene poi trattata con resine scambiatrici di ioni o con metodi di estrazione con solvente: il prodotto finale viene per lo più precipitato come diuranato di ammonio (ADU), di formula (NH4)2U2O7, con una concentrazione di uranio del 60 ÷ 70%.

Successivamente viene effettuata una purificazione, consistente nella rimozione dai concentrati di uranio dei materiali inerti non eliminati dai precedenti trattamenti, in modo da ottenere un elevatissimo grado di purezza, soprattutto rispetto agli elementi che hanno apprezzabili sezioni d'urto per l'assorbimento dei neutroni (v. reattore nucleare, App. III, 11, p. 585) e ai contaminanti radioattivi. L'U3O8 che arriva agl'impianti di conversione non ha ancora un soddisfacente grado di purezza per gl'impieghi nucleari.

Nella fase di conversione si effettuano le seguenti operazioni: a) trasformazione dell'U in triossido (ossido arancione) UO3 e successiva riduzione a ossido bruno UO2; b) trasformazione in tetrafluoruro UF4; c) conversione finale in metallo o in UF6.

Un esempio di processo industriale può essere così riassunto:

a) calcinazione e triturazione dei concentrati;

b) riduzione a biossido di uranio, a 400 ÷ 450 °C in atmosfera di ammoniaca; durante questa operazione i solfati presenti vengono decomposti e lo zolfo è eliminato come H2S assieme al vapore d'acqua prodotto dalla reazione;

c) trasformazione del biossido in tetrafluoruro UF4, con acido fluoridrico anidro a 450 ÷ 600 °C. La reazione elimina gli elementi che formano fluoruri volatili alle condizioni di reazione come il silicio, il boro, l'arsenico e buona parte del molibdeno. Questa operazione di fluorazione viene effettuata in due stadi;

d) trasformazione del tetrafluoruro in esafluoruro. L'UF6 rappresenta infatti l'unico composto gassoso dell'U su cui si può operare a temperature prossime a quelle ambiente (≈ 60 °C) e che viene perciò convenientemente utilizzato negl'impianti di arricchimento nell'isotopo fissile 235. L'UF6 viene volatilizzato e così si separa dalle ultime impurezze, come ferro, calcio e sodio. Un supporto inerte di fluoruro di calcio permette di mantenere nel letto di reazione un regime fluidizzante costante. L'UF6 così ottenuto, poiché contiene ancora impurezze di vanadio e molibdeno, viene ulteriormente purificato per distillazione frazionata in due colonne.

Impianti di lavorazione di questo tipo, per avere dimensioni d'interesse economico, devono avere produzioni dell'ordine di 10.000 t/anno.

Impianti di arricchimento dell'uranio. Cascate di separazione. - L'operazione di arricchimento dell'uranio nel suo isotopo pregiato 235, dal contenuto naturale dello 0,715% in numero di atomi (0,0705% in peso) a un valore conveniente per l'impiego nei reattori commerciali di potenza (v. reattore nucleare, App. III, 11, p. 586) ad acqua leggera (mediamente ≈ 3%), si compie in appositi impianti che hanno, come fluido di processo, l'UF6 allo stato gassoso. Tale operazione incide economicamente per circa 1/3 sul costo dell'intero ciclo di combustibile.

L'UF6 si presenta come una miscela di due specie: la specie leggera (con uranio 235, peso molecolare 349, indice 1) e la specie pesante (con uranio 238, peso molecolare 352, indice 2) nelle proporzioni indicate. Detta N la frazione molare della specie pregiata (leggera) da separare, indicando con un apice la corrente arricchita N′ in uranio 235, con due apici la corrente impoverita N″ che lascia la singola unità dell'impianto di arricchimento, e con Ne la frazione molare della corrente di alimentazione della predetta unità, si definiscono: il "fattore ideale di separazione elementare" (impiegato più propriamente nell'arricchimento per diffusione gassosa)

il "fattore di separazione tra le frazioni prodotte" (impiegato più propriamente nell'arricchimento per centrifugazione)

e i "coefficienti di arricchimento" ε = α − 1 e di "separazione" εs = β − 1 (α e β sono i valori reali, inferiori ai valori teorici α* e β*, e a essi legati da opportuni fattori di efficienza).

"Elemento separatore" o "unità separante" è la più piccola unità di un impianto di arricchimento o separazione isotopica. Per ottenere l'arricchimento desiderato nella specie pregiata occorre disporre in serie un certo numero di elementi separatori, cioè realizzare una "cascata di separazione" in modo da ottenere una moltiplicazione del fattore di separazione. Per la produzione di quantità di materiale arricchito non troppo piccole ed economicamente accettabili è necessario disporre di molte unità in parallelo. Diverse unità poste in parallelo, tutte alimentate con materiale d'identica composizione e in grado di produrre materiale avente identico grado di arricchimento, costituiscono uno "stadio di separazione". La cascata è formata dalla disposizione in serie di un certo numero di stadi, costituiti da unità riunite in parallelo.

Considerando lo stadio come un'unità di 3 aperture, che separa una corrente entrante (miscela gassosa binaria), di portata L e frazione Ne di componente pregiato, in una corrente arricchita ϑL a frazione molare N′ > Ne e in una corrente impoverita (i - ϑ)L a frazione molare N″ 〈 Ne, da un bilancio risulta Ne = ϑΝ′ + (1 − ϑ)N″. Il numero ϑ 〈 1, che rappresenta la frazione di gas arricchita, viene chiamato "fattore di taglio" dell'unità separante. Considerando l'intera cascata di separazione, una portata di alimentazione gassosa di F moli per unità dì tempo, di composizione NF, è separata in una portata prodotto P (composizione NP > NF) e in una portata di rifiuto W (composizione NW NF). I sei parametri F, P, W, NF, NP, NW sono le "variabili esterne" della cascata, mentre le medesime grandezze relative a ogni stadio della cascata sono le "variabili interne". La parte di cascata compresa tra il punto di alimentazione dell'intera cascata e il punto di uscita del prodotto finale è chiamata "sezione di arricchimento"; la parte compresa tra il punto di alimentazione e il punto di uscita del materiale di scarto finale è detta "sezione di recupero".

Fra le sei variabili esterne della cascata sussistono, a regime, le due seguenti relazioni:

Delle sei variabili esterne, quindi, solo quattro sono indipendenti. Ora, generalmente, le composizioni NF, NP e NW sono dati di progetto. Quindi, se si vogliono ottenere P moli di prodotto alla composizione prestabilita NP, occorrono F = P(NPNW)/(NFNW) moli di alimentazione, con un rifiuto di W = F P moli.

Analogamente si può procedere per le variabili interne di ciascuno stadio, a regime, esprimendo la conservazione della massa e della quantità d'isotopo pregiato: si ottengono così ulteriori equazioni caratteristiche delle cascate.

Allo stato attuale gran parte (la quasi totalità) degl'impianti di arricchimento adotta il processo di separazione per diffusione gassosa. Una piccola parte impiega il processo per centrifugazione, mentre un altro processo, che si sta affermando, utilizza il metodo di separazione a ugelli.

Nella separazione per diffusione gassosa si ricorre a barriere porose aventi pori così piccoli da far filtrare prevalentemente le molecole leggere le quali, dotate di una maggiore velocità media per equiripartizione dell'energia cinetica, urtano più frequentemente contro la parete porosa e hanno così una maggior probabilità di filtrare. Il fattore ideale di separazione elementare risulta (legge di Graham):

Nella separazione per centrifugazione il gas UF6 viene introdotto in recipienti cilindrici (rotori), fatti rotare attorno all'asse a velocità angolari ω elevatissime (dell'ordine del migliaio di giri al secondo). Nel gas si stabilisce un gradiente radiale di pressione che provoca la separazione fra le due specie, la pesante addensantesi in periferia a ridosso delle pareti del rotore e la leggera presso l'asse. Il fattore ideale di separazione elementare all'equilibrio risulta:

essendo r il raggio del rotore, R la costante dei gas, T la temperatura assoluta. Si nota che nella centrifugazione il fattore di separazione è una funzione della differenza di massa fra gl'isotopi da separare, M2M1, anziché del rapporto

come avviene nella diffusione gassosa. Si ottengono così coefficienti di arricchimento di un ordine di grandezza più elevati.

Nella separazione a ugello, sempre basata su processi diffusivi, la miscela da separare è pompata attraverso scanalature con piccolissimi raggi di curvatura, in modo da far deflettere i filetti di corrente e centrifugare (preferenzialmente) la specie più pesante. Opportuni setti costituiti da lame affilate separano la specie pesante da quella leggera, con valori dei fattori di separazione che sono intermedi fra quelli dei due processi precedentemente descritti.

Sono stati proposti altri processi di separazione isotopica, tipico uno impiegante l'eccitazione laser di atomi di uranio, ma sono ancora a livello sperimentale.

Lavoro di separazione. - Il lavoro di separazione è misurato in unità di lavoro di separazione (ULS o kgls); la potenzialità degl'impianti di arricchimento è espressa in ULS/anno o kgls/anno. Per definire tale unità s'introduce una funzione U che rappresenta il valore di una certa quantità di materiale ed è un indice del lavoro necessario per ottenerla. Con riferimento alla portata di prodotto arricchito P, la funzione U è proporzionale a P e dipende dalla composizione N del prodotto secondo una funzione V(N), da determinare, detta "funzione valore" o "potenziale di separazione": U = PV(N). Seguendo le partite di materiale che attraversano l'impianto di arricchimento, la funzione U subisce una variazione ΔU che può essere rig11ardata come lavoro di separazione. Se poi si considera la singola uriità separante di ma cascata, la portata G di UF6 che l'attraversa avrà incrementata la propria funzione valore di una quantità δU:

δU viene chiamato "potere separante" dell'unità. In una cascata che opera il lavoro di separazione ΔU, il numero di unità in serie n è dato da: n = ΔU/δU.

Si possono realizzare diversi tipi di cascate e notevoli sviluppi si sono compiuti nelle loro teorie matematiche. Spesso si considera la cosiddetta "cascata ideale", che si avvicina molto ai più comuni impianti di separazione isotopica progettati per un costo minimo. Essa, del tipo "a riciclo in controcorrente" (fig. 1), ha le seguenti caratteristiche: a) il fattore di separazione è costante lungo tutta la cascata; b) è verificata in ogni punto la condizione di non miscelamento, cioè i flussi costanti all'entrata di ogni stadio hanno lo stesso arricchimento: Ns = Ns+1 = Ns-1. La funzione V(N) viene così determina. a: V(N) -= (2N − 1) ln [N/(1 − N)]; il lavoro di separazione dell'intera cascata risulta ΔP = PV(NP) + WV(NW) − FV(NF). La capacità di lavoro di separazione è una significativa misura delle prestazioni di un impianto, indipendentemente, in una certa misura, dalle particolari concentrazioni dell'alimento (NF), del prodotto (NP) e del rifiuto (NW).

Per es., un impianto capace di svolgere un lavoro di separazione di 70.000 ULS/anno produce 300 t/anno di uranio arricchito al 2% impiegando 1143 t/anno di uranio naturale e scaricando uranio depleto allo 0,25%. Lo stesso impianto, mantenendo fisso NW allo o,25%, può produrre 150 t/anno di uranio arricchito al 3%, ovvero 550 t/anno di uranio all'1,5%.

Impianti a diffusione. - Lo schema di fig. 2 illustra una cella di un impianto a diffusione gassosa con possibili collegamenti fra i componenti tipici, vale a dire il diffusore con le membrane porose, il compressore e lo scambiatore di calore per eliminare il calore ceduto al fluido gassoso nella compressione.

I principali parametri che concorrono a determinare i costi sono la portata volumetrica totale dei compressori, la potenza di pompaggio dell'UF6 e l'area della superficie totale delle barriere o setti di diffusione. Un impianto di diffusione di dimensioni commerciali deve avere una potenzialità minima di diversi milioni di ULS/anno. L'impianto europeo Eurodif (con il 25% di partecipazione italiana), in via di realizzazione a Tricastin (Francia), ha una capacità di 10,8•106 ULS/anno.

Per effettuare la scelta della temperatura e della pressione di funzionamento occorre tener presente che l'efficienza di separazione dei setti porosi è determinata, per un dato raggio medio dei pori, dal libero cammino medio delle molecole nel gas. A una data pressione, il limite inferiore della temperatura è costituito dalla temperatura di cristallizzazione o di liquefazione dell'UF6, a seconda che si operi al di sotto o al di sopra del suo punto critico (64,o2 °C; 1137 mmHg). Recenti sviluppi della tecnologia consigliano di funzionare a pressioni superiori a 1 atm, adottando setti con pori di raggio inferiore a 100 Å. Diversi sono gli elementi caratteristici degl'impianti dovuti al carattere affatto particolare del fluido corrosivo di processo. Un componente importante è costituito dalle barriere porose. Esse sono realizzate generalmente con tubi porosi (diametro 10 ÷ 25 mm, spessore dell'ordine del mm, lunghezza inferiore al metro) disposti, in numero di migliaia, entro i cilindri diffusori (fig. 2), con un diametro di 2 ÷ 3 m e una lunghezza di 4 ÷ 5 m, suddivisi in setti e comprendenti, in talune versioni, lo scambiatore di calore che utilizza freon come fluido refrigerante (il freon reagisce molto debolmente con l'UF6). Il diffusore è un dispositivo di caratteristiche geometriche in un certo senso analoghe a quello di uno scambiatore di calore, in quanto deve racchiudere in un involucro di dato volume la massima superficie utile (diffondente). Le barriere porose devono avere i seguenti requisiti: a) resistere alla corrosione provocata dall'UF6 (e dall'HF eventualmente presente a causa di infiltrazioni di aria e umidità); b) avere una discreta resistenza meccanica agli sbalzi di pressione e alle vibrazioni; c) avere la massima efficienza di separazione, cioè pori di raggio medio molto piccolo a distribuzione uniforme (dell'ordine del centesimo di micron, 1 ÷ 3•10-6 cm). L'ottimo della permeabilità specifica G (flusso di gas per unità di area, di tempo e di differenza di pressione differenziale), riferita all'aria, si ha intorno a un valore G ≈ 2•10-5 moli/(cm2 min cmHg).

In un impianto di diffusione gassosa occorrono milioni di m2 di barriere, ciò fa comprendere come la produzione di barriere efficienti a costi ragionevoli costituisca uno dei problemi tecnici fondamentali inerenti alla costruzione di un impianto industriale. Le barriere possono essere semplici (struttura omogenea) o composte, costituite da un supporto molto permeabile, non separatore, con funzioni strutturali, e da un sottile strato microporoso attraverso il quale ha luogo la separazione.

Impianti a centrifugazione. - Le macchine centrifughe successivamente realizzate per effettuare il procedimento di separazione per centrifugazione possono ricondursi a tre tipi essenziali: a) centrifughe a evaporazione (processo discontinuo); b) centrifughe in flusso concorrente; c) centrifughe in flusso controcorrente.

Nei primi due tipi, ormai abbandonati, il fattore di separazione ottenibile è al massimo uguale a quello del processo elementare; nel terzo tipo, qui considerato per il suo interesse industriale, si ha invece una moltiplicazione del fattore di separazione elementare. Nelle centrifughe in flusso controcorrente si fanno fluire due correnti concentriche di gas in senso opposto (fig. 3). Detto D il diametro del rotore e Z la sua altezza, il massimo potere separante di una centrifuga risulta:

essendo ρ la densità media dell'UF6 e ω la velocità angolare del rotore. (δU)max risulta proporzionale alla lunghezza Z della centrifuga e alla quarta potenza della velocità periferica. La massima velocità periferica che il rotore può sopportare è determinata dalla sollecitazione ammissibile σam nel materiale di cui è costituito e dalla sua densità ρrot:

I migliori rotori devono essere costruiti con un materiale leggero e resistente. S'impiegano soluzioni con acciai speciali (maraging) e con resine poliesteri rinforzate da fibre di vetro, riuscendo a raggiungere velocità periferiche dell'ordine di oltre 500 m/sec.

Una centrifuga funziona in condizioni sottocritiche, o sopracritiche, a seconda che il rotore superi, o meno, la più bassa velocità angolare di risonanza. Nel funzionamento sopracritico, ovviamente, occorre funzionare a velocità angolari sufficientemente distanti dai valori di risonanza per le varie modalità di oscillazione del rotore.

Una singola centrifuga è capace di un lavoro separativo dell'ordine di 10 ULS/anno. Un impianto di arricchimento di dimensioni industrialmente significative richiede l'installazione di centinaia di migliaia di centrifughe. Dato l'elevato valore del fattore di separazione raggiungibile, il numero di stadi da disporre in cascata è molto ridotto (qualche decina a fronte di qualche migliaio per il caso della diffusione gassosa).

Per la produzione di modesti quantitativi di uranio arricchito, e soprattutto di uranio ad alto arricchimento, la centrifugazione risulta più conveniente della diffusione gassosa. Per contro, i grandi impianti sono tuttora basati sulla diffusione gassosa, in attesa che gl'impianti pilota a centrifugazione forniscano dati tecnici sui costi e sul numero di centrifughe che occorre sostituire durante il funzionamento degl'impianti stessi.

Impianti di fabbricazione degli elementi di combustibile. - La fabbricazione degli elementi di combustibile per un reattore n. comprende una vasta serie di operazioni che, partendo dai materiali combustibili e strutturali di base, si concludono con i controlli non distruttivi e le verifiche di accettabilità degli elementi finiti. Con riferimento ai reattori a uranio arricchito e ad acqua leggera, le operazioni possono essere schematizzate in tre gruppi di natura: a) chimica, che comprende le operazioni che conducono alla preparazione delle pastiglie (pellets); b) meccanica, che comprende la predisposizione dei tubi di guaina e dei tappi terminali, la loro saldatura e il successivo assemblaggio; c) di controllo, in cui si verifica se sono soddisfatte le specifiche.

Il composto di uranio di partenza è generalmente costituito da una soluzione di nitrato di uranile UO2 (NO3)2 a elevato grado di purezza. Il biossido di uranio, da cui è costituito il combustibile, è ottenuto da questa soluzione per precipitazione o per evaporazione. Un processo molto impiegato è quello di sinterizzazione, che consente di ottenere pastiglie cilindriche di densità dell'ordine del 94 ÷ 97% della densità massima teorica. Alle polveri di UO2 viene addizionato un legante diluito in un solvente, o più spesso un lubrificante a base di sali di zinco di acidi grassi superiori.

La pasta viene omogeneizzata attraverso un processo di miscelazione per vibrazione e successivamente viene sottoposta all'operazione di formatura calibrata mediante l'impiego di opportune presse idrauliche che esercitano pressioni di qualche migliaio di kg/cm2. Le pastiglie così ottenute per pressatura vengono liberate dal lubrificante per essiccamento in forno, e successivamente sottoposte a cottura (per es., per circa 1 ora a 700 °C e quindi per 5 ore a 1700 °C, in atmosfera riducente di H2).

Le pastiglie di sinterizzato debbono essere rettificate in quanto la tolleranza richiesta per il riempimento dei tubi di guaina è dell'ordine di 0,01 mm. Successivamente le pastiglie vengono infilate nei tubi di guaina in zircalloy (una lega a base di Zr) a costituire le barrette che, riempite e sigillate con tappi terminali, vengono anch'esse sottoposte a una serie di controlli e successivamente assemblate con le parti strutturali dell'elemento di combustibile.

Laboratori e celle calde per manipolazioni su combustibili irraggiati. - I laboratori denominati "caldi" sono costruzioni particolarmente attrezzate per studi e manipolazioni su materiali irraggiati. Di uso ormai corrente nelle t. n., essi costituiscono un passo obbligato ogni qualvolta vi sia da osservare, analizzare o manipolare materiale altamente radioattivo. In essi è stata sviluppata una t. particolare, detta "tecnologia del lavoro a distanza".

Per "cella calda " s'intende un vano schermato su tutti i lati, all'interno del quale è possibile introdurre materiale irraggiato e le attrezzature per analizzarlo. Dall'esterno è possibile, mediante pinze telecomandate, operare all'interno e, mediante finestre, periscopi e circuiti televisivi opportuni, avere una buona visibilità. Le celle si dividono a seconda della radioattività che consentono di manipolare: le celle a bassa attività trattano da poche curie fino a 100 curie, le celle a media attività da 100 a 1000 curie e le celle ad alta attività da 1000 a oltre 100.000 curie. Una cella calda può essere schematizzata come una "scatola" di dimensioni interne fino ad alcuni metri completamente schermata, entro la quale si possano installare macchine o apparecchiature, introdurre campioni radioattivi, eseguire manipolazioni varie, compiere ispezioni visive, introdurre o estrarre fluidi, liquidi o gassosi, nonché disporre di forze elettromotrici.

Fra i tipi di manipolatori impiegati, alcuni sono di tipo meccanico, a pinza, altri di tipo elettromeccanico o elettronico-meccanico.

Fra le analisi non distruttive che possono compiersi nelle celle calde sono da annoverarsi: gli esami visuali, la radiografia X, la neutronigrafia, la scansione gamma, la gamma-densitometria, la metrologia, gli esami di tenuta o d'integrità sulle barrette di combustibile, la punturazione delle stesse con raccolta e analisi di gas di fissione ivi prodottisi. Fra i metodi impiegati per il controllo dell'integrità delle barrette di combustibile i più impiegati sono quelli che ricorrono alla spettrometria di massa, agli ultrasuoni, ai liquidi penetranti e alle cosiddette "correnti parassite".

Impianti di ritrattamento del combutibile. - Sempre con prevalente riferimento al ciclo di combustibile per i reattori commercialmente affermati a uranio arricchito e ad acqua leggera, gli elementi di combustibile, completato il periodo d'irraggiamento in reattore ed erogata l'energia, subiscono una serie di operazioni il cui scopo è soprattutto quello di recuperare i materiali pregiati in essi presenti.

In una tonnellata di combustibile per reattori ad acqua leggera, contenente inizialmente 30 kg di uranio 235 e completamente irraggiato, con il ritrattamento possono ricavarsi 948 kg di uranio 238, 8 kg di uranio 235, 9 kg di plutonio di cui 7 kg di isotopi fissili (239 e 241), nonché 35 kg di vari prodotti di fissione e trasmutazione nucleare.

In generale i processi di ritrattamento si dividono in due categorie: per "via umida" e per "via secca". Alla prima categoria appartengono tutti i processi che comportano una solubilizzazione del combustibile irraggiato in soluzioni acquose di acidi minerali, seguita da una separazione selettiva dei diversi componenti. I processi di questo tipo più largamente usati sono i processi di estrazione con solventi organici. I processi per via secca comprendono i processi pirometallurgici e i processi per volatilizzazione. In questo caso il combustibile viene estratto mediante leghe e sali inorganici a temperatura elevata o mediante trasformazione in composti volatili (generalmente fluoruri).

Fra i processi per via umida alcuni processi industrialmente sviluppati impiegano l'exone e il TBP (tributilfosfato) come solventi estraenti e sono usati sul ciclo U-Pu. Con il combustibile sotto forma di ossido si ha:

e, sommando:

Teoricamente, la massima solubilità di uranio in TBP è di 0,5 moli di nitrato di uranile per 2 moli di TBP; si formano composti tipo UO2 (NO3)2 (TBP)2 e Pu (NO3)4 (TBP)2.

Sistemi di trasporto del combustibile nucleare. - I movimenti degli elementi di combustibile avvengono fra gl'impianti di fabbricazione, le centrali n. ove vengono irraggiati, gl'impianti di ritrattamento e gl'impianti di fabbricazione. Il trasporto del combustibile non riveste alcuna particolarità rilevante tranne che nel caso di elementi irraggiati, in cui notevoli precauzioni devono essere prese per l'elevata radioattività dovuta all'accumulo dei prodotti di fissione.

Nel caso dei reattori a uranio arricchito e ad acqua leggera, il trasferimento del combustibile irraggiato è effettuato mediante appositi contenitori del tipo di quello di fig. 4. In essi fra gli elementi di combustibile vengono inseriti materiali assorbitori di neutroni per evitare il pericolo di formazione di masse critiche. I contenitori devono essere in grado di dissipare il calore residuo degli elementi di combustibile, associato al frenamento delle particelle emesse nel decadimento radioattivo dei prodotti di fissione. Per questo al loro interno è mantenuta dell'acqua per il trasferimento del calore del combustibile al contenitore, che lo trasmette all'esterno mediante una superficie corrugata e alettata. Tali contenitori sono anche provvisti di sufficienti schermature per le radiazioni; valori limite di dose sono fissati al contatto della loro superficie esterna (per es., 1000 mrem/ora).

I contenitori possono essere trasportati per ferrovia o per strada con appositi mezzi. Le dimensioni d'ingombro (la lunghezza dei contenitori è fissata da quella degli elementi di combustibile, aumentata dei necessari schermaggi) possono raggiungere diametri massimi di circa 2,5 m; il peso, decine di volte superiore a quello del combustibile trasportato, è bene sia contenuto entro le 100 tonnellate.

Tecniche di trattamento e di eliminazione dei rifiuti radioattivi. - La gestione dei rifiuti radioattivi riguarda il complesso dei provvedimenti relativi alla raccolta, al trasporto, al trattamento o al condizionamento, all'immagazzinamento e allo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi. Per quanto riguarda questo ultimo punto, che è il più importante dell'intero ciclo, i provvedimenti estremi, che possono venire adottati, sono evidentemente la massima dispersione nell'ambiente o il massimo isolamento. La scelta dell'uno o dell'altro tipo di smaltimento dipende soprattutto dal livello di contaminazione dei rifiuti e dalle caratteristiche dell'ambiente. Per es., i residui ad attività molto bassa possono venire immessi nell'ambiente nei limiti della ricettività di quest'ultimo, mentre i rifiuti altamente contaminati, come quelli provenienti dal ritrattamento del combustibile irraggiato, non possono che venire sottoposti a un contenimento totale.

Il più delle volte, tuttavia, i rifiuti presentano un'attività troppo elevata perché li si possa scaricare, e un volume troppo grande perché li si possa immagazzinare. In questi casi è necessario sottoporli a trattamenti capaci di concentrare la maggior parte possibile delle sostanze radioattive entro volumi minori di quelli di partenza (fase di accresciuta attività) e quindi più economicamente immagazzinabili o comunque isolabili in località remote, così da poter disperdere il resto (fase di diminuita attività) liberamente nell'ambiente. Con riferimento alle correnti t. di produzione di energia elettronucleare, la formazione di scorie radioattive non è certo un fenomeno di dimensioni preoccupanti. I seguenti dati che si riferiscono tutti agli SUA, paese in cui si è realizzato il massimo sviluppo dell'energia n., valgono a fornire un quadro sintetico. Per ogni abitante, che richiede mediamente 7000 kWh di energia/anno (1975), il corrispettivo di scorie ad alta radioattività, se tutta questa energia fosse prodotta per via n., sarebbe di appena 3 grammi. Per una vita media di 70 anni, l'incidenza sarebbe di 210 grammi. Nell'ipotesi alta di sviluppo n. negli SUA, per l'anno 2000 (1000 centrali da 1000 MWe in esercizio) l'estensione totale necessaria per i depositi radioattivi non supererebbe i 20 ettari per tutto il territorio nazionale. Si tratta di depositi per 300.000 m3, un volume 33 volte inferiore a quello delle scorie radioattive previste, per quella data, come conseguenza dei programmi militari.

Le scorie a più alta radioattività vengono incapsulate in barriere multiple, racchiuse in contenitori e seppellite in formazioni geologiche stabili per millenni. Fra i metodi più seguiti per la riduzione dei volumi dei rifiuti sono la calcinazione, ossia la trasformazione di liquidi in una miscela secca o di sali anidri e la vetrificazione, ossia la trasformazione in prodotti vetrosi o ceramici. Il processo di vetrificazione si svolge attraverso le seguenti due fasi: a) denitrazione spinta di soluzioni concentrate; b) essiccamento della miscela prodotta, calcinazione e formazione di un vetro allo stato fuso.

Bibl.: K. Cohen, The theory of isotopes separation, New York 1951; H. Etherington, Nuclear engineering handbook, ivi 1958; S. Glasstone, A. Sesonke, Nuclear reactor engineering, ivi 1960; H. London, Separation of isotopes, Londra 1961; M.M. El Wakil, Nuclear power engineering, New York e Londra 1962; Proceeding of the european nuclear Conference, Parigi 21-25 apr. 1975; M. Cumo, Impianti nucleari, Torino 1977; Notiziario CNEN (Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare).

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