TELEOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1937)

TELEOLOGIA

Goffredo COPPOLA
Guido CALOGERO
Giuseppe MONTALENTI

. Termine filosofico designante in generale la considerazione del τέλος, cioè del "fine" (v.). La teleologia, in quanto dottrina della finalità, si contrappone perciò, quando si badi alla precisa rispondenza etimologica, alla "aitiologia" o "eziologia", in quanto dottrina della causalità. Ma nell'uso corrente essa ha piuttosto la sua antitesi nel "meccanismo", cioè nella considerazione del divenire quale risultante meccanica di un processo puramente causale, implicita nelle varie concezioni naturalistiche, positivistiche, materialistiche. A questo concetto la considerazione teleologica oppone l'idea di un mondo in cui quel che accade non deriva ineluttabilmente da cause, ma s'indirizza verso il raggiungimento di fini.

L'antitesi è con ciò sostanzialmente basata sulla differenza che distingue l'accadere determinato da una volontà intelligente da quello che non appare determinato in tal modo. Le concezioni che considerano il divenire cosmico come dipendente per intero da una volontà divina sono quindi per ciò stesso totalmente teleologiche. Ma la stessa volontà divina (così come quella umana, ad immagine della quale è del resto concepita anche l'altra), quando sia considerata dall'esterno, si configura a sua volta come un rapporto causale, in cui causa è il fine prospettato nella consapevolezza come tale che esiga attuazione, ed effetto questa medesima attuazione. Di qui il concetto di "causa finale", che rappresenta in certo modo un compromesso tra le idee della causalità e della finalità prese nel loro pieno rigore. E s'intende come tale concetto abbia avuto particolare fortuna nel pensiero greco, il quale, sopravalutando la teoria rispetto alla prassi, concepiva l'azione stessa come effetto causale di un'irresistibile attrazione, che la consapevolezza di un bene, cioè di un desiderabile, esercitava sulla volontà. La concezione platonico-aristotelica dell'universo come sistema di cause finali e delle loro influenze, dipendente in ultima analisi da quella suprema causa finale che è la perfetta verità e bontà di quanto è oggetto dell'inattiva autocontemplazione di Dio, non è con ciò che il più grandioso portato della concezione socratica della volontà, come rapporto di causalità finale, onde quanto è consaputo nel desiderio determina teleologicamente quanto viene realizzato, nell'azione.

Nettamente distinta da questa specie di compromesso tra finalismo e causalismo, che costituisce la forma tipica della teleologia greca classica e che di conseguenza sopravvive anche negli adattamenti dell'aristotelismo alla teologia compiuti dalla tradizione albertino-tomistica, è invece la concezione teleologica implicita nel radicale capovolgimento cristiano della supremazia greca della conoscenza sull'azione. Ciò appare con maggiore evidenza in quella tradizione volontaristica, che meglio interpreta tale carattere del cristianesimo: per essa infatti la saggezza divina non è più il fine che determina l'accadere del mondo e l'operatore stesso della divinità secondo lo schema della causa, unico principio motore essendo invece la divina volontà, che orienta momento per momento il suo fine nella sua stessa presenza operante.

Si potrebbe quindi schematizzare la storia delle concezioni teleologiche imperniandola sull'antitesi di tali due posizioni fondamentali, e mostrando come esse siano state variamente approfondite o combinate. Ogni concezione teleologica moderna, in quanto culminante comunque in una certa posizione oggettivistica della realtà qual'è, rappresenta infatti sempre una certa maniera di adattare il teleologismo classico delle cause finali a quel motivo volontaristico, che esclude ogni ontologizzazione della volontà in causa. Così, per non citare che un esempio famoso, il Kant considera come "giudizio teleologico" quello che si dà del mondo quando si considera il suo accadere come orientato verso fini, e cioè quando non si tien conto del fatto che l'unica categoria legittima della realtà oggettiva è la causa e non la libertà, mentre l'unica categoria legittima del volere è, viceversa, la libertà e non la causa. Con un'ambiguità di posizione che è in fondo un indice della forza del suo pensiero, dissolvendo esso nella sostanza ciò che pur mantiene nello schema. Analogamente, una teleologia delle cause finali, di classico stile aristotelico, sopravvive oggi in alcune filosofie della biologia (per es., nel vitalismo del Driesch), proprio in quanto la presupposizione della causa finale permette di mascherare, con l'indeterminatezza in essa implicita, la non ancor raggiunta bastevole determinazione della causa vera e propria. Il rigoroso approfondimento della teleologia puramente volontaristica porta invece all'avvertimento del fatto che anche il problema teleologico, al pari di ogni altro problema speculativo, si manifesta insussistente quando sia prospettato sul piano dell'ontologia, mentre serba un contenuto quando sia ridotto a quel suo nucleo concreto, per cui esso si risolve nel problema della volontà.

Biologia. - Di tutti i fenomeni del mondo esterno, quelli che più di ogni altro sembrano rivelare una finalità, sono indubbiamente quelli biologici. Pertanto la considerazione dei fenomeni della vita è servita di base a molti filosofi, che hanno creato dottrine finalistiche generali, come, ad es., Aristotele.

Tuttavia anche la finalità dei processi vitali è stata messa in dubbio o negata da alcuni autori, e specialmente da coloro che, sotto l'influenza del materialismo scientifico e delle concezioni biologiche meccaniciste (v. meccanicismo e Vitalismo), hanno creduto di poter ricondurre tutti i fenomeni vitali e psichici sotto le stesse leggi che governano il mondo inorganico.

Fra gli autori moderni che si sono occupati della questione della finalità biologica, alcuni ritengono che quei fenomeni, come lo sviluppo organico, l'adattamento funzionale, l'evoluzione, la massima parte dei processi psico-fisiologici, ecc., che sembrano rivelare nettamente la tendenza a un fine, non sono che il risultato di una causalità senza scopo e affermano che l'aspetto finalistico della vita non è che una nostra illusione, un punto di vista puramente antropomorfico (E. Rabaud, G. Dumas, J. Needham, E. Gagnebin, F. Christmann, K. Sapper, ecc.). Altri invece ritengono che la finalità sia una realtà che emerge dalla considerazione spassionata dei fenomeni e si sforzano di dare un'adeguata interpretazione delle apparenti eccezioni. Fra questi biologi ricordiamo particolarmente H. Driesch, O. Hertwig, Ch. Richet, P. Celesia, L. Cuénot, R. Wolterek, E.S. Russel, E. Le Roy, E. Rignano, L. v. Bertalanffy, J. v. Uexküll, ecc.

Fra i concetti generali che sono stati precisati dagli studî recenti su questo antichissimo argomento, sono degni di nota soprattutto quelli che risaltano dalle opere del Driesch e del Rignano. Al Driesch spetta il merito di avere distinto fra teleologia "statica" cioè fondata su una data struttura prestabilita e teleologia "dinamica", cioè risultato di processi in atto negli organismi, che agiscono e si modificano a volta a volta, diretti sempre verso un fine. La prima è la concezione antica, che può avvicinarsi a concezioni meccanicistiche, la seconda è la concezione moderna, cara soprattutto ai neovitalisti. Il Rignano poi tenta di fornire un criterio obiettivo per riconoscere i processi teleologici: "se, al variare delle circostanze esteriori, variano anche i processi stessi, e il risultato finale, il processo è ateleologico; se i processi si modificano al variare delle circostanze esterne, ma il risultato finale resta invariato, questi processi sono finalisti" (A. Bizzarri). La comroversia sulla finalità dei processi biologici, così come quella fra vitalismo e meccanicismo, si può dunque dire tuttora aperta, e anche di recente è stata oggetto di ampie discussioni. Contro una interpretazione esclusivamente finalistica parlano i casi di disteleologia (v.) di cui si deve tener conto.

Bibl.: Molti contributi, interessanti più o meno direttamente la presente questione, sono apparsi in Scientia, specialmente dal 1922 in poi. Ivi si trovano anche vari lavori del Rignano.

Per un primo orientamento, v. A. Bizzarri, Le direzioni fondamentali dei processi biologici, Bologna 1936. Cfr. inoltre le Abhandlungen zur theoretischen Biologie, pubblicate sotto la direzione di J. Schaxel, Berlino 1919 segg.; L. v. Bertalanffy, Kritische Theorie der Formbildung, ivi 1929; P. Celesia, La teleologia, concetto e valore, Roma 1923; id., Problemi di biologia alla base del finalismo, ivi 1924; F. Christmann, Biologische Kausalität, in Heidelberger Abhandl. z. Philos. u. ihre Geschichte, Tubinga 1928; H. Driesch, Philosophie des Organischen, Lipsia 1928; G. Dumas, Nouveau traité de Psychologie, Parigi 1930-35; E. Gagnebin, Le raisonnement finaliste en biologie, in Scientia, 1930; O. Hertwig, Allgemeine Biologie, 2a ed., Jena 1923; J. Needham, The sceptical biologist, Londra 1929; E. Rabaud, Adaptation et évolution, Parigi 1922; id., L'évolution en biologie, in Revue de Synthèse, 1932; C. Richet, Le problème des causes finales, in Scientia, 1930; E. Rignano, Il finalismo della vita, Bologna 1920; E. S. Russel, The interpretation of development and heredity, Oxford 1930; K. Sapper, Die Haptaufgabe der theoretischen Biologie, in Scientia, 1934.