TELLO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

TELLŌ (da Tell el-Luh, "colle della tavoletta")

A. Bisi

Odierna località della bassa Mesopotamia. Il nome antico della città è Lagash (shir.bur.la.), scritto ideograficamente.

Il nome di Lagash appare per la prima volta in epoca predinastica (prima metà del III millennio a. C.), ma alcuni frammenti di ceramica permettono di risalire alla più antica fase attestata della preistoria sud-mesopotamica (periodo di el-῾Ubaid). I primi scavi sono quelli di E. de Sarzec, viceconsole della Francia a Bassora nel 1877, ma sembra che, già prima dell'inizio dei sondaggi regolari, fossero state trovate tutte le statue di Gudea. Dal 1903 al 1909 si ebbero le campagne di G. Cros; l'abate H. de Genouillac in tre stagioni di scavo (1929-1931) apportò elementi decisivi alla conoscenza topografica e storica del luogo; dal 1931 al 1933 A. Parrot scavò un'immensa costruzione identificata con un ipogeo (v. appresso), e riportò alla luce le testimonianze più antiche, dell'epoca di el-῾Ubaid. Il luogo dovette avere importanza già dal IV millennio: ma i primi eventi ricostruibili perché documentati nelle fonti scritte risalgono al periodo presargonico (prima metà del III millennio). La prima figura ragguardevole nella storia di T. è Ur-Nanshe, con cui si inizia una politica imperialistica di accrescimento territoriale, e nello stesso tempo una forma di governo ereditario (egli per primo rivendica il titolo di lugal "re"), che si mantenne al potere per più di un secolo. I suoi successori combatterono contro la città di Umma, finché Eannatum riuscì ad avere un non duraturo sopravvento, imponendo nel contempo il suo dominio a Larsa ed Uruk, e facendo sentire il peso della supremazia sumerica nell'Elam e a Mari. Indi, per una ventina d'anni, governò la classe dei sacerdoti di Ningirsu, inaugurando, sembra, un'èra di favoritismi, finché il popolo, scontento, mise al potere Urukagina, che riprende il programma di costruzioni religiose e di grandi opere civili. Dopo la parentesi del dominio accadico, che non pare aver lasciato tracce sensibili a Lagash, i Gutei che distrussero la dinastia di Sargon accordarono alle città di Sumer una certa indipendenza, contentandosi del pagamento di un tributo. Il periodo neosumerico è il più splendido della storia di Lagash, in cui rifioriscono le arti grazie all'opera illuminata dei nuovi governatori: Ur-Bau, Gudea, Ur-Ningirsu, Arad-Nannar (il quale tuttavia deve sottomettersi alla III dinastia di Ur); fra tutti costoro il più famoso è Gudea (v.), genero di Ur-Bau, per la sua infaticabile attività di costruttore di templi, testimoniata da numerose iscrizioni, e per la serie di statue che ce ne tramandano l'effigie. Sotto Gudea la città diviene una vera capitale, centro religioso, commerciale e artistico fra i più grandi del paese sumerico. Trecento anni più tardi, sotto la prima dinastia babilonese, Lagash sembra già avviata alla decadenza, poiché i resti archeologici si fanno sempre più scarsi; decadenza che dura fino al II sec. a. C., allorché un arameo ellenizzato, Adad-nadin-akhe, si insedia fra le rovine degli edifici di Gudea, creando un piccolo regno, finitimo a quello di Caracene, che ha una effimera vita fino al I sec. d. C. allorché viene travolto dalla conquista parthica prima, da quella sassanide poi.

Il periodo preistorico non ha dato resti di costruzioni. Il più antico edificio trovato, innalzantesi su una piattaforma di lastre di gesso, risale al periodo presargonico: è composto da due stanze, separate da un tramezzo; il Parrot vi ha visto il primo é-ninnu "casa dei cinquanta", cioè il tempio di Ningirsu; sulle mura in mattoni cotti del santuario più antico fu costruito un nuovo tempio, da attribuirsi ad Ur-Nanshe, ovvero ad Eannadu; i successivi ensi restaurarono ed ingrandirono l'edificio, che sorgeva nel quartiere sacro di Girsu. Una prodigiosa fioritura di costruzioni, soprattutto templari, si ha in epoca neosumerica; i testi attribuiscono a Gudea l'erezione dei santuarî di Ningirsu, Inanna, Bau, Meslamtaea, Dumuzi-abzu, ecc.; di tutti questi, soltanto uno è sicuramente identificabile, il nuovo é-ninnu di Ningirsu, che è stato riconosciuto in una costruzione scavata sul tell A e definita impropriamente dall'Heuzey e dal de Sarzec "palazzo"; in essa è da vedersi un santuario eretto da Ur-Bau e, ad esso sovrapposto, il nuovo tempio di Gudea, con tracce di una ziqqurat, l'é-pa dalle sette zone menzionato nei testi. Da notare che su questo edificio sacro si eresse il palazzo di Adad-nadin-akhe, a quasi due millenni di distanza. Al figlio di Gudea, Ur-Ningirsu e al di lui figlio e successore, Ugme; dobbiamo l'ultimo edificio monumentale costruito a T., dalla pianta singolarissima, che non trova analogie in Mesopotamia.

L'epoca presargonica ha conosciuto la statuaria a tutto tondo, ma, conformemente ai caratteri della scultura sumerica, questa è riservata ai sovrani o agli offerenti (non alle divinità) rappresentati generalmente in piedi, con le mani giunte sul petto e la veste a kaunàkes. Sono preferite inoltre le piccole dimensioni (v. sumerica, arte). In età neo-sumerica, la serie di statùe di Gudea (v.) costituisce la più documentata testimonianza dello sviluppo della plastica della fine del III millennio.

In età presargonide e neosumerica abbiamo una serie di lastre decorate a bassorilievo, per la maggior parte frammentarie: i monumenti commemorativi di qualche fatto storico, come le stele, e le placche rituali spesso rettangolari e con foro centrale, destinate verosimilmente ad essere appese ex voto alle pareti dei templi. Appartiene al primo gruppo la "stele degli avvoltoi", ricordante la vittoria di Eannatum su Umma (v. mesopotamica, arte). I temi più comunemente ricorrenti nei rilievi cultuali sono l'aquila leontocefala che afferra con gli artigli due leoni passanti, la libazione ad una divinità seduta in trono, la cerimonia dell'erezione di un nuovo santuario (quattro placche di Ur-Nanshe mostrano il re che, con il paniere di terra sul capo, si accinge a compiere il rito di posa della prima pietra, seguito dai suoi familiari).

Nel periodo di Gemdet Nasr si sviluppa il vasellame in pietra (alabastro, marmo, calcare). In età presargonica, oltre il celebre vaso in argento di Entemena, fatto di un sol pezzo di metallo martellato e inciso col motivo dell'aquila leontocefala, sono notevoli altri due frammenti di vasi di pietra; l'uno mostra la dea della vegetazione, Nisaba, dalle cui spalle spuntano le spighe; l'altro un padiglione fatto di canne, con parti in mattoni, che è un esempio, sebbene non molto perspicuo, dell'architettura del tempo. Un vaso da libazione in steatite, iscritto col nome di Gudea, reca in bassorilievo una specie di caduceo attorno al quale si allacciano due serpenti, mentre da una parte e dall'altra sembrano montare la guardia due draghi alati, con testa di serpente e tiara cornuta, coda di scorpione e zampe d'aquila.

L'aquila leontocefala afferrante i due leoni, che è l'emblema del dio maggiormente venerato, Ningirsu, compare su alcune placche di conchiglia e di madreperla, di età presargonica, che mostrano numerose scene animali, insieme ad altre d'incerto significato. Alcune figurine ottenute a stampo su placche di argilla, le quali appaiono un tipico prodotto del periodo neosumerico, perpetuandosi in quelli di Isin e Larsa presentano una dea, i cui piedi terminano a zampe animalesche, che sorregge due piccoli personaggi sul davanti del petto; altrettanto incomprensibile l'iconografia di un dio dalle orecchie di toro, il cosiddetto "dio nel sarcofago", tenente una mazza e una hàrpe; il suo corpo è avvolto in una guaina ricoperta da strani oggetti ovoidali tenuti fermi da corde (giare, o forse armi, per assicurare la protezione simbolica del defunto?). Fra le altre figure più comunemente ricorrenti, il fedele che reca un capretto sul braccio come offerta alla divinità, Khumbaba (v.), il cosiddetto Gilgamesh (v.), la donna col timpano (probabilmente una ierodula), la figura femminile nuda.

Infine, un cenno particolare meritano le figurine di fondazione, in cui la parte inferiore del corpo termina a forma di chiodo; sono preferibilmente in rame e appaiono già all'epoca di Ur-Nanshe; con Gudea si articolano in tre varietà di tipi: vi è la divinità inginocchiata, con la tiara multicorne, che conficca il chiodo di fondazione nel terreno, il personaggio con la cesta di terra sul capo (nell'iconografia, usuale per l'erezione dei nuovi templi, che abbiamo già osservato nelle placche di Ur-Nanshe); infine il toro, coricato sul punteruolo, simbolo di fertilità ovvero immagine apotropaica connessa con il rituale di fondazione.

Bibl.: Rapporti di scavo: L. Heuzey, Découvertes en Chaldée par Ernest de Sarzec, I-II, Parigi 1884-1912; G. Cros, Nouvelles fouilles de Tello, Parigi 1910-1914; H. de Genouillac, Fouilles de Telloh, I-II, Parigi 1934-36; A. Parrot, Tello. Vingt campagnes de fouilles (1877-1933), Parigi 1948. A queste opere bisogna aggiungere: G. Perrot, Les fouilles de M. de Sarzec en Chaldée, in Revue des Deux Mondes, 1° ottobre 1882, pp. 525-65; G. Cros, Mission française de Chaldée Campagne de 1903, in Revue d'Assyriologie, VI, 1904, pp. 5-16; 47-52; H. de Genouillac, Rapport sur les travaux dé la mission de Tello, ibid., XXVII, 1930, pp. 169-86; A. Parrot, Fouilles de Tello, Campagne 1931-1932, ibid., XXIX, 1932, pp. 45-57; id., Les fouilles de Tello et de Senkereh-Larsa, Campagne 1932-1933, ibid., XXX, 1933, pp. 169-74; id., Villes enfouies. Trois campagnes de fouilles en Mésopotamie, Parigi 1934. Sulla parte archeologica ed artistica: L. Heuzey, Le vase d'argent d'Entéména, in Mon. Piot, II, 1895, pp. 5-28, tav. I; J. Halévy, La stèle des Vautours, in revue sémitique, 1910, pp. 182-207; 334-44; F. Thureau-Dangin, Statuettes de Tello, in Mon. Piot, XXVII, 1924, pp. 97-111; G. Contenau, Monuments mésopotamiens nouvellement acquis ou peu connus, in Revue des Arts Asiatiques, VII, 1931-1932, pp. 4-7; 72-7; 223-8; VIII, 1934, pp. 99-103; M. T. Barrelet, Une "construction enigmatique" à T, in Iraq, XXVII, 1965, p. 100 ss.

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