Tempio

Enciclopedia Dantesca (1970)

tempio (templo; plur. templi e tempii)

Alessandro Niccoli

È qualsiasi luogo consacrato al culto di una divinità. La parola indica comunemente l'edificio dedicato al culto nelle antiche religioni pagane: Cv II IV 6 Li gentili... adoravano le loro imagini, e faceano loro grandissimi templi; IV XIII 12 A quali tempii o a quali muri poteo questo avvenire, cioè non temere con alcuno tumulto, bussando la mano di Cesare? (che traduce Lucano V 529 ss. " quibus hoc contingere templis / aut potuit muris nullo trepidare tumultu / Caesarea pulsante manu? "). In un caso è però riferito ai santuari cristiani: quasi peregrin che si ricrea / nel tempio del suo voto (Pd XXXI 44).

È ben noto a quante discussioni abbia dato origine la risposta di D. a Farinata: Lo strazio e 'l grande scempio / che fece l'Arbia colorata in rosso, / tal orazion fa far nel nostro tempio (If X 87). Per una esauriente sintesi delle varie interpretazioni, v. FARINATA; un'ampia esposizione di tutta la letteratura sul tormentatissimo verso è reperibile nel saggio dedicatovi dal Pagliaro (Ulisse 211-224). Qui è perciò sufficiente riportare le conclusioni, del tutto accettabili, alle quali è pervenuto quello studioso: " Il ricordo della terribile strage che colorò di sangue le acque dell'Arbia fa fare tali leggi nei nostri consigli, così come il ricordo di una grande calamità fa fare preghiere nei templi " (p. 224). Secondo questa interpretazione, ci troveremmo di fronte a una " similitudine in cui il secondo termine viene a sostituirsi al primo, costituendo... una metafora vera e propria ".

Alcune volte il vocabolo è usato con riferimento a uno specifico edificio di culto, ad esempio nell'accenno al t. del dio Nesroch in Ninive, nel quale Sennacherib venne ucciso dai suoi figli (Pg XII 53; per l'episodio, cfr. IV Reg. 19, 37).

Si ha anzi un uso antonomastico del termine, allorquando è riferito al t. di Gerusalemme (Pg XV 87) o all'antico monastero dell'ordine dei Templari a Parigi. Quest'ultima occorrenza cade nella profezia della persecuzione e della soppressione dell'ordine per opera di Filippo il Bello: Veggio il novo Pilato... sanza decreto / portar nel tempio le cupide vele (Pg XX 93); nel vocabolo si noti l'antonomasia, in quanto tutte le chiese dei Templari ebbero il nome di ‛ tempio ' in memoria di quello di Salomone presso il quale l'ordine aveva avuto la sua prima sede in Gerusalemme (v. TEMPLARI).

Un'analoga pregnanza si ha in Pd XVIII 122 prego [Dio]... / ch'un'altra fïata omai s'adiri / del comperare e vender dentro al templo / che si murò di segni e di martìri. Abbiamo qui un procedimento analogo a quello studiato dal Pagliaro per If X 87 (v. sopra): il templo è quello di Gerusalemme, dal quale Cristo aveva cacciato i mercanti (Matt. 21, 12), ma sull'autorità di altri passi neotestamentari (Act. Ap. 9, 31 " Ecclesia... per totam Iudaeam... aedificabatur ambulans in timore Domini "; 2, 43 " Multa... prodigia et signa per apostolos in Ierusalem fiebant "), esso viene a indicare metaforicamente tutta la Chiesa o, almeno, la Curia resa degenere dalla cupidigia e dalla simonia.

Miro e angelico templo (Pd XXVIII 53) è chiamato da D. il Primo Mobile, nel quale gli sono apparse le nove gerarchie angeliche: L'accezione traslata di " cielo ", con la quale t. ricorre, può essere stata ricalcata sul valore di " spazio celeste " che il latino templum ha, ma può essere stata suggerita anche dal frequente uso di " templum " con il valore di " sede di Dio " nel lessico biblico (cfr. Apoc. 11, 19 " apertum est templum Dei in caelo "; 7, 15; II Reg. 22, 7; ecc.).

La lezione tempi di Pd X 119 è stata intesa da qualche commentatore come plurale di ‛ tempio ', anziché, com'è nettamente preferibile, di ‛ tempo ' (v.).