BOSSI, Teodoro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BOSSI, Teodoro

Maria Franca Baroni

Figlio del consigliere ducale Antonio, nacque a Milano nei primi anni del sec. XV. Fece parte anch'egli, come il padre, dei nobili dell'Aula ducale e appartenne al Collegio dei giuristi, come risulta da una proroga di causa a lui concessa dal duca di Milano il 13 febbr. 1440. Nel 1437 fu procuratore di Filippo Maria Visconti in una missione a Genova, secondo quanto riferisce nella sua relazione un inviato genovese a Milano. Nello stesso periodo, tra il 1431 e il 1439, il duca vendette a lui e ai suoi fratelli vari possessi, fra cui quello di San Vittore in Monza e Meleto nella diocesi di Lodi. Nel 1445 il B., come amministratore ducale, si occupò, insieme con i maestri delle Entrate e con gli ufficiali del Sale, della condotta del sale da Genova a Pavia, concessa il 4 dicembre al conte Vitaliano Borromeo.

Morto Filippo Maria il 13 ag. 1447, nella stessa notte il B., insieme con Giorgio Lampugnano, Innocenzo Cotta, Antonio Trivulzio e altri giuristi, prese l'iniziativa di sollevare la folla milanese e di costituire la Repubblica ambrosiana. Fece parte dei capitani e difensori del popolo, come risulta dal registro rogato dal cancelliere di Como Geronimo Rusca. Esercitò parte attiva in questo nuovo governo assieme con Giorgio Lampugnano; e, secondo il Simonetta, entrambi, audaci e "impigri", godevano di una grande autorità presso il popolo. In seguito però al trattato di Rivoltella, concluso il 18 ott. 1448 tra lo Sforza e Venezia, che capovolgeva la situazione militare e politica, e all'elezione di Carlo Gonzaga a capitano del popolo il 14 novembre, la posizione del B. diventò difficile. Egli infatti, assieme con il Lampugnano, si accorse dei maneggi segreti del Gonzaga per la conquista del potere e decise (anche perché se la Repubblica ambrosiana fosse caduta in balia dei soli popolani, egli e gli altri avrebbero perso con i beni anche la vita) di indurre i cittadini a sottomettersi allo Sforza, contemporaneamente invitando lo stesso ad avvicinarsi alla città. Mentre il B. cercava di trovare un accordo in tale senso, verso la metà del febbraio 1449 furono intercettate certe lettere cifrate indirizzate da lui allo Sforza, e così si scoprì che era a capo di una potente congiura a danno della Repubblica. I capitani e difensori cercarono di prenderlo con l'astuzia e lo invitarono, insieme con il Lampugnano, a recarsi dall'imperatore per sollecitare aiuti, anche se egli, dubitando dell'inganno, cercava di addurre pretesti per rimandare. Appena fuori Milano, i soldati che li scortavano, anziché portarli a Como, li condussero a Monza dove il Lampugnano fu subito decapitato, mentre il B. fu imprigionato e costretto a confessare i nomi dei cospiratori, fra cui il fratello Luigi e il figlio Antonio. Fu processato e condannato a morte per ingiurie contro la patria; il 19 febbr. 1449 la pena fu commutata nel carcere a vita. Ma un documento del 5 maggio lo dice già morto.

Aveva sposato Ursina de Siccis (successivamente risposatasi col conte Stefano Sanvitali), da cui aveva avuto due figlie, Laura e Lucrezia, come risulta da una concessione fatta alla stessa da Francesco Sforza il 20 giugno 1457. Il figlio Antonio, imprigionato con lui nel 1449, fu scarcerato insieme con lo zio Luigi a patto che si ritirasse nelle terre di Carlo Gonzaga e non cospirasse più ai danni dello Stato. Il B. abitava nella casa paterna in porta Cumana nella parrocchia di S. Tommaso "in Cruce Sichariorum".

Fonti eBibl.: Doc. dipl. tratti da archivi milanesi, a cura di L. Osio, III, Milano 1872, p. 569; I registri viscontei, a cura di C. Manaresi, Milano 1915, pp. 45, 84, 103; Atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, Milano 1920, I, 1, pp. 77 s., 103, 136, 248; 2, pp. 84, 97; I reg. dell'Ufficio di provvisione e dell'Ufficio dei sindaci sotto la dominaz. viscontea, a cura di C. Santoro, Milano 1929, p. 416; Iohannis Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., XXI, a cura di G. Soranzo, pp. 214, 452; I reg. dell'Ufficio degli statuti di Milano, a cura di N. Ferorelli, Milano 1950, p. 79; Documenti per la storia della Repubblica Ambrosiana, a cura di E. Resti, in Arch. stor. lomb., LXXXI-LXXXII (1954-55), pp. 223, 251 s.; I reg. delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 65; C. De Rosmini, Dell'istoria di Milano, II, Milano 1820, pp. 389, 403, 423 s.; P. Verri, Storia di Milano, Milano 1824, II, p. 295; III, pp. 28, 34; A. Bianchi Giovini, La Repubbl. di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti, Milano 1848, pp. 34 s., 52, 61 s., 81 ss.; F. Pelusi, Storia della Repubbl. milanese dall'anno 1447 al 1450, Milano 1871, pp. 63, 66, 86, 106, 125, 139, 213; C. Casati, Doc. sul palazzo chiamato "Banco Mediceo", in Arch. stor. lomb., XII (1885), p. 583; L. Frati, Un formulario della cancelleria di Francesco Sforza,ibid., XVIII (1891), p. 390; A. Colombo L'ingresso di Francesco Sforza in Milano,ibid., XXXII (1905), p. 61; F. Cusin L'impero e la success. degli Sforza ai Visconti,ibid., LXIII (1936), p. 78; G. Franceschini, Il palazzo dei duchi di Urbino a Milano,ibid., LXXVII (1950), p. 190; F. Cognasso, La Repubbl. di S. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 397, 415, 420, 424, 430-432.

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