Foléngo, Teofilo

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Poeta (Mantova 1491 - monastero di Campese, Bassano, 1544). Entrò nel 1508 tra i benedettini; non ha fondamento storico la notizia, dataci da lui stesso, d'essere egli stato a Bologna allievo di P. Pomponazzi. Nel 1524 o 1525 lasciò l'ordine, con permesso pontificio; vi rientrò nel 1530. L'opera sua principale è il corpus di scritti in latino maccheronico (macaronices libri; opus macaronicorum), noto con il titolo Maccheronee, pubblicato con lo pseud. di Merlin Cocai, che F. andò costituendo gradualmente, dalla 1a ed. (1517), che comprende il Baldus in 17 libri e due egloghe, attraverso due intermedie (1521 e 1538-40 circa), fino alla definitiva e postuma (1552), che comprende: a) Zanitonella, sive innamoramentum Zaninae et Tonelli, in 18 carmi, parte lirici, parte dialogici; b) Baldus, poema in esametri in 25 libri; c) Moschaea, poemetto burlesco in distici in 3 libri; d) Epigramata. Pubblicò poi in italiano: Orlandino, poema in ottave in 8 capitoli (pubbl. nel 1526 con lo pseudonimo di Limerno Pitocco da Mantu); Caos del Triperuno, in tre "selve" poetiche di vario metro (e con intermezzi maccheronici e latini) precedute da un Dialogo de le tre etadi, in prosa (1527); Humanità del figlio di Dio, poema in 10 libri di ottave (1533); Palermitana, poema sacro in terza rima, la cui composizione rimasta in tronco è assegnabile al 1540; Atto della Pinta, rappresentazione sacra composta nel 1538, della quale è perduto il testo e rimane soltanto un rifacimento del palermitano Gaspare Licco (1581). In latino ha lasciato alcuni carmi (Varium poema e Ianus, ed. nel 1533) e un poema agiografico, l'Hagiomachia, diviso in 19 passiones, rimasto interrotto e tuttora in parte inedito. Ma l'opera cui è soprattutto legata la sua fama è il Baldus, tra i maggiori poemi del Cinquecento italiano (le 4 edizioni presentano 4 redazioni diverse). Il F. vi eleva a dignità d'arte la lingua maccheronica, della quale aveva trovato viva la tradizione a Padova presso quei goliardi; mirabili la perfetta dosatura di latino, italiano e dialetti, gli effetti estrosi che nascono dall'incontro del lessico plebeo con la più alta tradizione classica e umanistica, che è rispettata nella morfologia, nella sintassi e persino nella metrica. Lettore attento di poemi e cantari cavallereschi, il F., pur volgendo l'eroico al comico, anzi al farsesco e talvolta al canagliesco, conserva ancora la nostalgia di esso, della grande cavalleria (in ciò ben diverso dal Tassoni): accanto a essa, c'è l'affettuosa attenzione al piccolo e al rustico, insomma un'ispirazione casalinga e paesana. Molte sudicerie, nessuna oscenità, molte prese di posizione anticlericali, ma nessun serio dubbio religioso. A unificare tutto il poema, pur nella sua disuguaglianza di valore, è la simpatia piena, mai smentita, del poeta per il mondo che canta.

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