TEOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1937)

TEOLOGIA

Enrico ROSA
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. La parola greca ϑεολογία indica un discorso, di carattere razionale, intorno alla divinità; così per Platone (Repubbl., p. 379 A) e per Aristotele (Metaph., II, 4, 12) sono teologi Omero, Esiodo, che già Erodoto (II, 50-53) pone accanto ad Omero, come coloro che per primi hanno fissato le genealogie, i tipi, le prerogative e gli attributi degli dei, e Orfeo. Questo concetto della teologia risponde già a quella che si potrebbe considerare come una fase più progredita, o almeno un compito più vasto, di quella "conoscenza delle cose divine" in cui, anche secondo l'etimo, si potrebbe far consistere il contenuto della teologia: fase più progredita rispetto a quella, in cui tale conoscenza, riservata agli anziani della tribù e al sacerdozio, è limitata ai riti e alle operazioni e formule del culto. Ma poiché, dal punto di vista della magia, sapere il nome dell'oggetto è già conoscerne la natura e l'essenza, è chiaro che la determinazione dei nomi e degli attributi divini si svolge da quella prima e più rudimentale teologia; così come la conoscenza di un rito porta quasi naturalmente con sé quella del mito correlativo. L'organizzazione, poi, delle figure divine in un pantheon, che è propria delle religioni politeistiche di popoli più civili, implica appunto tutto un lavorio di riflessione e d'interpretazione: per cui nomi, attributi, miti di una divinità possono essere riferiti a un'altra, e le somiglianze dànno origini a identificazioni, e conseguente riduzione del numero delle divinità, o subordinazione di alcune di esse alle superiori o ad una suprema, o degradazione di altre a semidei o eroi; mentre racconti e formule sacre devono, mediante l'interpretazione, essere adattati a un nuovo contenuto. Così per un altro verso la conoscenza delle cose divine, in quanto conoscenza del volere della divinità, nella fase inferiore in cui, per es., lo sciamano è ossesso dallo "spirito" che parla in lui, già si ricollega a quella in cui, per es., i "teologi di Delfi", come li chiama Plutarco (De def. orac., 5) spiegano i detti della Pizia.

Questo lavorio del pensiero, che si sforza di comprendere e rendere razionale il mito, appare ancora più evidente quando il problema dell'origine del mondo, fisico umano e divino, oggetto delle cosmogonie e teogonie mitiche, si presenta in forma più rigidamente speculativa, con l'affermarsi del pensiero filosofico. È per questo che furono chiamati teologi gli antichi filosofi autori di cosmogonie, quali Empedocle e Anassagora (Aristot., Metaph., XI, 6, 6) e soprattutto i seguaci dell'evemerismo (Cicerone, De nat. deor., III, 21, 53), accanto ai quali, per la loro interpretazione dei miti, considerati come adombranti più alte verità, conviene porre gli stoici e gli altri seguaci antichi dell'interpretazione allegorica, o quelli tra i pensatori della Grecia che sottoposero la religione tradizionale a una critica fondata sulle loro concezioni filosofiche della realtà e del bene: atteggiamento che, p. es., è in sostanza anche quello di Socrate nell'Eutifrone platonico.

Si delineano già, a questo punto, due possibilità: quella del cosiddetto, e tanto discusso, "conflitto tra la scienza e la fede" e quella della totale dissoluzione della teologia nella filosofia. Ma poiché ogni teologia, pur presupponendo una fede religiosa, non esaurisce l'intero contenuto della religione, l'elemento sentimentale, estrarazionale, fideistico o comunque si voglia chiamarlo, della religione rinasce e si afferma di nuovo. Così nel mondo classico, accanto al declinare delle religioni tradizionali, assistiamo al fiorire delle nuove religioni soteriologiche, i misteri, il cui mito, o ἱερὸς λόγος si colora di concezioni filosofiche e nello stesso tempo mira a dare un'interpretazione nuova degli elementi tradizionali, a costruire una storia ideale dell'umanità, anzi del cosmo, dal punto di vista del conseguimento della salvezza. Tutti questi varî elementi si trovano riuniti in particolar modo nelle teologie delle religioni rivelate, dove la rivelazione stessa avviene per mezzo di uomini ispirati, o "profeti", interpreti della divinità, ma al tempo stesso richiede un ulteriore lavorio del pensiero, non fosse altro che - là ove la rivelazione è registrata per scritto - per stabilire quali tra i libri che si presentano come rivelati meritino di essere accolti nel canone, o per applicare i precetti rivelati ai casi concreti della vita. È di questo genere l'opera d'interpretazione della legge compiuta nei primi tempi dalla teologia del giudaismo e dell'Islām.

Ma neanche queste due religioni si poterono sottrarre alla civiltà circostante, e le preoccupazioni di accordare la rivelazione con la filosofia si fecero luce ben presto tanto nella prima (basti avere ricordato l'opera di Filone d'Alessandria) quanto nella seconda. Nell'una e nell'altra appaiono già vivaci dunque tutti gli elementi - compreso quello soteriologico - che si manifestarono appieno nella teologia del cristianesimo. La quale appare pertanto come la più completa, e quella in base alla quale si è determinato il concetto moderno di teologia. Scienza in epoca moderna avversata da molti, sia in base a quel "conflitto" cui si è più sopra accennato, sia in base all'asserito necessario esaurirsi della teologia come scienza a sé. Al quale proposito è solo da osservare che, in una religione rivelata, essendo il contenuto della rivelazione, per definizione, fermo e indiscutibile, è anche di necessità molto limitato il tipo degli orientamenti e dei sistemi filosofici che possono servire di base ai sistemi teologici; onde i mutamenti d'indirizzo della speculazione filosofica possono dare luogo a pericoli assai gravi per la teologia tradizionale, fino a negarne assolutamente il valore e a considerarla come pura sopravvivenza, di carattere polemico o apologetico, di posizioni spirituali superate.

Teologia cattolica.

1. La teologia cristiana abbraccia, nella più larga estensione del termine, il concetto generico, indicato anche dall'etimologia della voce greca (ϑεολογία), "scienza o dottrina intorno a Dio": de Divinitate ratio, sive sermo, come parla S. Agostino (De Civ. Dei, VIII,1), e per estensione, "delle cose divine", ossia, di tutto ciò che in qualche modo si riferisce a Dio, come a causa prima ed ultimo fine, o si presenta così alla mente, sub ratione Dei. Ma, nel significato più stretto, la teologia cristiana aggiunge al concetto generico quello specifico e proprio, di una cognizione o scienza di Dio che ha per fondamento o ragione sua propria la locuzione di Dio stesso il quale non può ingannarsi né ingannare: la rivelazione cioè propriamente detta (v. rivelazione) e per proprio oggetto la verità rivelata. Non esclude però, anzi suppone, come previo in questo ultimo senso, tutto quell'ordine di verità naturali, o quel sistema di dottrina, e cognizioni, che deve accertare il fatto storico della rivelazione soprannaturale, a lume di ragione (rivelazione naturale): quindi le verità dell'esistenza, provvidenza e veracità divina, e quelle dei motiva o signa credibilitatis, che appartengono alla cosiddetta teologia "propedeutica". Questa è chiamata pure "teologia naturale" o "teodicea", in quanto appartiene a quella parte della filosofia più alta che fu detta "metafisica" o "filosofia prima" da Aristotele, o anche, in quanto riguarda la causa prima, "filosofia teologica" dai peripatetici, "teologia fisica" dagli stoici, e dai Padri antichi della Chiesa "propedeutica" ossia preparatoria del Vangelo. Ma per altro lato la teologia propedeutica spetta all'ambito larghissimo delle discipline storiche, scientifiche, critiche e ausiliari della teologia propriamente detta; le quali riguardano variamente o il primo fonte della rivelazione, che è la Sacra Scrittura, o il secondo che è la tradizione: quest'ultimo essendo però rigettato dai protestanti, diversifica essenzialmente la loro teologia dalla teologia cattolica, della quale anzitutto parleremo.

2. Dalla nozione qui data della teologia resta sciolta la questione discussa, e talvolta ridotta a questione di parola, se ad essa competa la propria ragione di scienza, e come e perché le competa: le compete indubbiamente, non in quanto proceda da principî noti a lume naturale dell'intelletto, come le altre scienze, ma in quanto muove da principî noti a lume di una scienza superiore, cioè della scienza medesima di Dio che li rivela: "Onde, siccome la musica crede i principî trasmessile dal matematico, così la dottrina sacra crede i principî rivelati da Dio", dice S. Tommaso (Summa theol., I, q.1). E da questa ragione formale di principî divinamente rivelati, della quale si rivestono le verità che sono l'oggetto o la materia, pure amplissima e svariatissima, della teologia, essa attinge altresì la propria unità di scienza; giacché questa, come unità di potenza o di abito, si deve considerare secondo l'oggetto, non già materialmente considerato, ma considerato secondo la sua ragione formale, o il rispetto proprio, della teologia, in quanto cioè divinamente rivelabile o rivelato.

Così la teologia non solo è scienza, ma trascende le altre scienze speculative, sua per la certezza, come spiega S. Tommaso (Summa theol I, q.1, art. 5), sia per la dignità della materia, e trascende le scienze pratiche per la nobiltà del fine a cui è ordinata. Quanto alla prima infatti, le altre scienze hanno la certezza dal lume naturale della ragione umana che può errare; la teologia invece l'ha dal lume della scienza divina che non può ingannarsi. Quanto alla seconda, le altre scienze considerano solo le cose che sono soggette alla ragione; la teologia tratta invece principalmente di quelle che per l'altezza loro trascendono la ragione stessa. Similmente, rispetto alle scienze pratiche, tanto più le supera, quanto più alto è il suo fine, vale a dire la felicità stessa dell'uomo, al quale sono ordinati tutti gli altri fini delle scienze pratiche, in un modo più o meno degno, secondo il grado della loro perfezione.

Questa "trascendenza" non dice tuttavia una propria subordinazione delle altre scienze alla teologia, come alcuni intesero puerilmente il detto scolastico della "filosofia ancella della teologia", ché sarebbe l'errore del tradizionalismo condannato dalla Chiesa; ma dice l'uso che ne fa la teologia, in quanto afferma l'impossibilità di una vera contraddizione di essa e della filosofia particolarmente, con i dati certi della rivelazione, e la necessità o la convenienza del loro concorso sia nel dimostrare i "preamboli" della fede, che dicemmo, sia nell'illustrare le verità stesse della fede con le similitudini, ragioni di congruenza o simili, sia infine nel rispondere alle obiezioni, mostrandole false o almeno non apodittiche, non potendosi dare opposizione vera tra fede e ragione, tra rivelazione soprannaturale e naturale, che hanno un medesimo Dio per autore.

3. L'unità della scienza poi non esclude le divisioni o distinzioni della teologia; le quali pur non essendo adeguate e riguardando lo stesso oggetto - ciò che è rivelabile o rivelato divinamente - si possono desumere da varî capi: dalla diversità delle fonti della stessa rivelazione (parola di Dio scritta e tramandata, ossia Scrittura e tradizione), che concorrono a formare un unico "deposito" di dottrine rivelate, quello di cui diceva S. Paolo a Timoteo: Depositum custodi (I Tim., VI, 20); dalla varietà dell'oggetto rivelato (ciò che dobbiamo credere e ciò che dobbiamo operare; verità insegnata, e precetto imposto o consiglio suggerito); infine dalla molteplicità dei metodi, ossia dalla maniera di considerare l'oggetto e dall'intento, quindi, proprio e modo particolare di ciascuna trattazione teologica. E ognuna di queste divisioni, secondo l'ampiezza e la varietà complessa della materia, dà luogo ad aure suddivisioni, secondo che prevale il lavorio dell'analisi o quello della sintesi, e perciò richiama, con il suo necessario corredo di cognizioni, tutto il seguito delle cosiddette "scienze ausiliari della teologia", come pure delle arti, segnatamente della "musica sacra" in ordine alla liturgia.

In tal modo, per la prima divisione, la teologia biblica si stende al campo immenso della Sacra Scrittura (che può essere ancora variamente ripartito, come quello dell'esegetica scritturale) e richiede il concorso, sino dall'introduzione biblica, dell'archeologia e della storia sacra e profana, della patristica, della patrologia, della simbolica e della sinodica, ecc., per accertare il vero senso della Scrittura. E queste scienze ausiliari, quelle storiche specialmente, sono non meno necessarie per lo studio teologico della tradizione, la quale consta appunto della concorde voce dei Padri, dei sinodi o concilî, particolarmente degli ecumenici, delle liturgie stesse, in quanto lex credendi legem statuit supplicandi; sicché fu anche chiamata teologia storica.

Per la seconda divisione abbiamo la teologia speculativa e la teologia pratica, o come più comunemente si suole dire, teologia dogmatica e teologia morale; e l'una e l'altra hanno pure molteplici suddivisioni (nelle quali alcuni abbondano, veramente) per lo studio dello specialista, mentre non sono mai distinzioni propriamente adeguate. E neppure è tale, come avverte S. Tommaso, quella della teologia pratica dalla speculativa, perché la speculativa dà il fondamento alla pratica ("intellectus speculativus extensione fit practicus") e la teologia "tratta più principalmente delle cose divine che degli atti umani, dei quali tratta in quanto per essi l'uomo va ordinato alla perfetta cognizione di Dio, in cui consiste la beatitudine eterna" (S. Tommaso, loc. cit.). Tuttavia resta che la teologia, sebbene una in sé, si stende alle diverse scienze filosofiche, in quanto cadono sotto la ragione formale che essa riguarda; in quanto cioè, sebbene conoscibili col solo lume di ragione, sono ordinabili al fine soprannaturale grazie al lume divino, siano speculative o pratiche; la teologia abbraccia le une e le altre, onde si può anche dire scienza pratica, pur essendo principalmente speculativa.

E come pratica, dà luogo pure a varie suddivisioni, ciascuna di grande importanza, com'è la parte dello scibile in essa specialmente considerato. Così la scienza del diritto canonico, che riguarda particolarmente l'ordinamento giuridico e quindi la legislazione e disciplina della società religiosa, che è la Chiesa, secondo i decreti dei concilî e le decisioni dei sommi pontefici, tutte raccolte ora dal nuovo Codex iuris canonici. Più generale ancora è la scienza della teologia morale, "scienza sacra dei costumi umani", in quanto sono via per giungere a Dio, e ci dà quindi "le regole cristiane del vivere, studiate scientificamente" in tutte le varietà e appartenenze della vita, secondo che è morale generale o speciale. Essa, di più, può restringersi allo studio più dottrinale dei principî etici, come fa S. Tommaso (nella seconda parte della Summa theologica specialmente), ovvero scendere alle molteplici applicazioni, o casi pratici, come S. Alfonso M. De Liguori nella sua Theologia moralis. Quest'ultima forma, più popolare e pratica per via di esempî, ha preso il proprio nome di "morale casuistica", ossia dei "casi" pratici, e sebbene esposta a pericoli e talvolta ad abusi, non merita le accuse che le furono accumulate contro dai protestanti e giansenisti, massime dal Pascal e suoi seguaci fino ai nostri giorni: mentre essa, in quanto è applicazione dei principî alla pratica, è una scienza conforme ai bisogni essenziali e permanenti della natura umana, e trova quindi esempî in quasi tutti i campi delle altre scienze.

Altre più che legittime estensioni della teologia morale sono: la teologia ascetica, la quale riguarda di preferenza l'esercizio delle virtù e novera un gran numero di eminenti cultori; la teologia mistica, che tratta specialmente dei gradi più alti della perfezione della vita cristiana e delle relazioni intime di unione dell'anima con Dio e dei carismi straordinarî che la sogliono accompagnare; l'una e l'altra si appoggiano anche alla teologia liturgica, nella sua parte pratica, in quanto è maestra di orazione e tramite di unione con Dio; infine la teologia pastorale, che di tutte le precedenti si giova, mentre per sé riguarda le obbligazioni concernenti la cura delle anime nel ministero proprio del sacerdote, che n'è il pastore.

Le suddivisioni si moltiplicano del pari per la teologia speculativa o dogmatica, secondo l'estensione dell'oggetto rivelato che considera; ma più secondo la maniera, il riguardo o l'intento proprio con cui lo considera. Così, ad esempio, se ricava dalle fonti della rivelazione e propone semplicemente le verità contenutevi come in "deposito", si dirà teologia positiva; e questa medesima si distinguerà ancora, secondo le distinzioni della verità rivelata, delle sue fonti o del tramite, per cui si dirama e tramanda fino a noi (Scrittura, tradizione, Padri, concilî, specialmente gli ecumenici, ecc.), onde ritornano le divisioni o parti della teologia, nella esegetica, patristica, simbolica, sinodica, liturgica, ecc. Se prende a difendere le verità stesse dalle impugnazioni degli avversarî, sarà teologia polemica (controversistica, apologetica, ecc.). Se invece intende chiarire, illustrare e confermare le verità stesse, discorrendo dai principî noti per la rivelazione e creduti per fede, si ha la teologia scolastica: la quale è "scienza discorsiva sui dati della rivelazione", e suppone quindi, non esclude, la positiva, e neppure, ove occorra, la polemica, come ne diedero esempio, dopo i Padri, contro le eresie antiche, S. Tommaso stesso in diversi opuscoli e nella Somma contro i Gentili, e S. Roberto Bellarmino nelle sue Controversie contro gli eretici moderni.

Queste e altre distinzioni o partizioni non devono dunque intendersi, nella pratica, come esclusive o pienamente adeguate, giacché l'una rientra spesso e s'intreccia con l'altra. Il che vediamo pure nel successivo svolgersi di questa scienza, anch'essa naturalmente progressiva; perché, sebbene scienza divina e perciò immutabile nei suoi principî rivelati, essa si attua nella mente umana e conforme alla sua natura razionale. Quindi il progresso della scienza teologica accompagna e promuove lo svolgersi del progresso dogmatico, nel senso giusto, di una sempre più profonda e piena intelligenza del dogma stesso e di tutta la dottrina cristiana, non già in quello di alterazione o "evoluzionismo", quale fu supposto da eretici, fino ai modernisti dei nostri giorni. Che se l'evoluzionismo è condannato dalla Chiesa, il progresso invece, o legittimo svolgimento della teologia, fu riconosciuto sempre e promosso; onde l'ultimo concilio ecumenico vaticano (Sessio III, Const. de fide, c. 4) lo proclama con le energiche parole di Vincenzo Lerinense: "Crescat igitur... et multum vehementerque proficiat tam singulorum quam omnium, tam unius hominis quam totius Ecclesiae, aetatum ac saeculorum gradibus, intelligentia, scientia, sapientia". Il progresso cioè della formazione teologica procede secondo la legittima gradazione della cultura individuale e collettiva, delle varie età e secoli, dalla semplice intelligenza alla cognizione scientifica e da questa alla sapienza, nel senso spiegato da S. Tommaso (Summa theol., I, q.1, a. 6), onde haec doctrina maxime dicitur sapientia; ma procede sempre dai principî medesimi della rivelazione senza deviare dai criterî infallibili della Chiesa.

E ciò è confermato appunto dalla storia della teologia cattolica, di cui daremo qui un cenno, secondo la triplice età, in cui si suole dividere: epoca antica o patristica, medievale o scolastica, e moderna.

4. Dalla semplice, ma comprensiva sintesi della primitiva predicazione cristiana svolgendosi la teologia cattolica, non si opponeva, come alcuni pretesero fin da principio, né alla teologia del popolo d'Israele o dell'Antico Testamento, in quanto questo racchiudeva la rivelazione primordiale, continuata nei profeti e da Cristo portata a compimento (cfr. Matteo, V, I7; Ebrei, I,1), e neppure alla filosofia o cultura religiosa del mondo antico (dei neoplatonici e alessandrini in particolare), in quanto della rivelazione stessa conservava alcune verità o principî - quasi semina Verbi, secondo la frase di S. Agostino - e si prestava ad esprimerli con quel suo linguaggio filosofico più accessibile ai profani o ai neofiti che venivano dal paganesimo o dall'ebraismo.

Ciò appare anzitutto negli apologeti, obbligati, si rivolgessero ai Giudei o ai Gentili, a dare forma di sistema dottrinale alla nuova predicazione del cristianesimo. E come già diversi indirizzi compaiono negli scritti medesimi del Nuovo Testamento, quali il pratico e positivo nei Vangeli sinottici e nelle lettere di Giacomo e Giuda, il contemplativo in Giovanni, il dialettico e didattico in Paolo (le cui lettere contengono gli sparsi elementi di tutta un'ampia teologia cattolica); così tra i primi scrittori o Padri della Chiesa, alcuni mirano più direttamente alla pratica della vita cristiana (morale), altri alle verità dogmatiche, e tra questi alcuni insistono su particolari verità del cristianesimo, altri su tutta la sostanza di esso. Così gli apologeti si adattano agli uomini colti dei loro tempi, anche nel valersi di nozioni filosofiche, come di Platone e di Filone di Alessandria in particolare; ma questo riguardava la forma della esposizione, i termini e il procedimento dialettico; raramente i principî. Ché se ciò avveniva, era per opinione personale, non già per insegnamento della Chiesa, come nell'applicare la distinzione di Filone del Verbo interiore (λόγος ἐνδιάϑετος) e del Verbo proferito (λόγος προϕορικός) alla Trinità; e nell'uso, non ancora bene determinato ed esatto, di certi termini filosofici, quali "ipostasi" "essenza" e simili, che occorrevano nelle controversie trinitarie. Ché se gli apostoli e i loro discepoli immediati si formavano proprî discepoli - come l'apostolo Giovanni formò Policarpo, e questi formò Ireneo di Lione - così dipoi, al moltiplicarsi delle conversioni sorgevano proprie scuole di teologia; private alcune, quale in Roma quella del filosofo S. Giustino, da cui uscì, deviandone, Taziano; e in Alessandria, quella della "catechesi" (che ebbe per primo maestro conosciuto il filosofo stoico Panteno, a cui seguì Clemente suo discepolo) sottostava alla guida del vescovo e fiorì poi col grande Origene; e in altre città ancora, come a Edessa, a Cesarea, ad Antiochia, divenuta poi questa rivale, talvolta oppositrice, né sempre a ragione, di Alessandria. Con ciò si aggiungeva uno svolgimento più intrinseco e positivo della teologia a quello già impressole, ma in modo più polemico e negativo di fronte alle impugnazioni del paganesimo e dal giudaismo, dalla schiera degli apologeti, la più parte laici: quali Aristide, filosofo di Atene, supposto anche autore dell'anonima Lettera a Diogneto, Atenagora, altro filosofo, Milziade, Ermia, Aristone, Minucio Felice, Tertulliano e altri.

Né perciò questi, rivolgendosi agl'ignari o ai nemici della religione cristiana, facevano opera di razionalismo o di "ellenizzazione" del cristianesimo, quando ricorrevano alla filosofia; anzi ci davano il primo tentativo di trattazione scientifica della teologia cristiana, non alterata, ma in veste adatta ai loro contemporanei, per quanto possiamo giudicare dalla porzione dei loro scritti pervenuta sino a noi.

Allo svolgimento della teologia concorrono altresì le eresie cristiane, che suscitano gli oppositori a ricercare ed esporre con più precisione le vere dottrine. Ciò vediamo, fin da principio, nelle opere di S. Ireneo, p. es. nell'Adversus haereses, delle quali profittò poi Tertulliano, che da giureconsulto le rivestì delle sue formule giuridiche, segnatamente nell'opera De praescriptione, ecc., laddove in altre l'ardente africano trascese all'eresia rigoristica del montanismo. Anche il dotto Origene seguì talora opinioni ardite, pericolose o erronee, ma in buona fede, e con la sua immensa operosità fece progredire la teologia verso gli studî biblici, sebbene con qualche abuso dell'allegoria e molteplicità dei sensi, attribuita alla Scrittura dalla scuola alessandrina, seguace in ciò di Filone di Alessandria e della sua scuola, laddove più aderente al senso letterale e storico si mostrò poi la scuola teologica di Antiochia, nominatamente con Teodoreto e col Crisostomo.

Da queste poi, come dalle altre scuole teologiche, uscì una pleiade di maestri e pastori della Chiesa, mentre altri molti si fermavano allo studio e alla meditazione dei libri santi nei monasteri o presso le sedi episcopali: il che avvenne pure in Occidente, massime dopo l'esempio di S. Eusebio in Vercelli, di S. Ilario di Poitiers e di S. Martino di Tours nelle Gallie, di S. Agostino a Ippona nell'Africa.

Così in Oriente un Dionigi di Alessandria, un Gregorio di Cesarea, (detto il Taumaturgo) e i tre Cappadoci, Basilio Magno con Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, l'ultimo soprannominato il Teologo per i suoi scritti trinitarî, e l'eloquente Giovanni Crisostomo, il quale tuttavia mirò più alla pratica che alla speculativa nelle sue omilie al popolo. Nella semplice e popolare dichiarazione del dogma e della morale cristiana si segnalò S. Cirillo di Gerusalemme con le sue Catechesi; altri invece s'illustrarono nella dotta impugnazione dei sorgenti errori, come il grande S. Atanasio di Alessandria contro l'arianesimo, S. Cirillo Alessandrino contro il nestorianesimo, ed altri dipoi contro le susseguenti eresie, fino a S. Giovanni Damasceno; il quale di tutta la teologia patristica dell'Oriente diede l'ultima sintesi dottrinale, che, voltata in latino, doveva molto servire alla sintesi "scolastica" medievale.

Nell'Occidente però la teologia patristica prese un indirizzo più pratico; evitò le sottigliezze dei Greci; ne avversò talora la filosofia, come negli africani Tertulliano e Cipriano; preferì gli studî biblici con S. Girolamo, profittando anche della scienza e della cultura rabbinica e della classica; cercò le applicazioni morali e ascetiche con S. Ambrogio e S. Gregorio Magno; fu eloquente predicatrice della fede e vita cristiana con S. Leone Magno, "l'ultimo degli oratori romani"; ma toccò il colmo con S. Agostino, che fra tutti i precedenti dottori primeggia per copia, larghezza e profondità di scritti e di dottrina sana, alla cui illustrazione egli fa concorrere, con la sublimità del genio, tutta la cultura greco-romana, della scuola stoica e neoplatonica specialmente. L'autorità di S. Agostino non si fece molto sentire nell'Oriente, troppo esclusivista; incontrò sulle prime avversarî in Occidente, né solo tra donatisti, pelagiani o altri eretici da lui combattuti, ma tra cattolici stessi - quali un Gennadio di Marsiglia e altri Marsigliesi o Lerinesi, siccome tinti di un involontario semipelagianesimo - finì tuttavia con acquistare sempre maggiore prevalenza nelle questioni teologiche, della Grazia in modo particolare. E questa prevalenza favorì nella teologia medievale un indirizzo meno speculativo e più pratico o affettivo (agostínismo) con qualche traccia di neoplatonismo, che fu in opposizione talvolta alla scolastica, più propensa all'aristotelismo dopo che fu purgato dalle infiltrazioni averroistiche.

5. Senza rinunziare alle dottrine e ai metodi agostiniani, nella loro adesione alla filosofia aristotelica e stoica precorsero la scolastica, sull'entrare del Medioevo, i due laici Cassiodoro e Boezio, detto quest'ultimo "il primo scolastico". Più tardi e per altra via, con mira costante alla vita pratica, i santi dottori Beda il Venerabile, Pier Damiani e Bernardo di Chiaravalle, insistendo su particolari questioni, secondo la necessità dei tempi, come S. Bernardo nell'opposizione agli errori e all'abuso della dialettica di Abelardo; il quale ebbe tuttavia una innegabile influenza nello svolgimento della teologia medievale. Con più vigoria di speculazione e singolarità di metodo, anche nell'opporsi ad Abelardo, preluse alla scolastica S. Anselmo d'Aosta, abate del Bec e poi arcivescovo di Canterbury, superiore al suo maestro Lanfranco di Pavia, che fu l'iniziatore della scuola del Bec e si giovò del pari della dialettica di Aristotele in un suo tentativo di "somma" o sintesi teologica. Ma questa fu compiuta dipoi, con più esito, da un altro grande italiano che insegnò a Parigi, Pietro Lombardo di Novara (morto nel 1160) che la compendiò in quattro libri di Sentenze. Quest'opera divenne il testo delle scuole di teologia più seguito e più commentato dai numerosi teologi, tra cui primeggia il fido discepolo di Pietro Lombardo, Pietro di Poitiers, che insegnò per 38 anni a Parigi. Essa diede un largo impulso ai progressi della teologia, sebbene contrastata in parte da altri teologi più rigidi conservatori, come i mistici e gli ascetici della scuola di S. Vittore, detti vittorini. Di questi progressi teologici è prova fra le altre la precisione e maestria dottrinale delle discussioni e decreti dei concilî coevi, massime del Lateranense IV, sotto Innocenzo III, stato lui pure teologo all'università di Parigi; e più ancora il numero delle Summae (inedite) composte a Parigi circa il 1200; fra cui quella del maestro Prepositino sembra abbia meglio assimilato e quasi "codificato" la teologia insegnata a Parigi sull'entrare del sec. XIII.

I nuovi ordini religiosi, sorti in quel secolo e dipoi, concorsero essi pure a tali progressi, massime dopo la loro partecipazione, stata assai contrastata in Parigi stessa, all'insegnamento universitario: tra i maestri francescani primeggiarono Alessandro di Hales e S. Bonaventura di Bagnoregio, né solo per ordine di tempo, sebbene prevalesse più tardi, sino a formare una propria scuola tra i francescani, il sottilissimo Giovanni Duns Scoto, maestro a Parigi e a Oxford (scuola scotistica). Più larga efficacia ebbero i teologi domenicani, particolarmente S. Alberto Magno, poi arcivescovo di Colonia, e il suo discepolo, maggiore del maestro, S. Tommaso d'Aquino. La sua Summa theologica, compendio meraviglioso della teologia cattolica, unita alla Summa contra Gentiles, sunto di apologetica e propedeutica cristiana, oltre ad una lunga serie di altri scritti teologici e filosofici, incontrò pure da principio opposizioni anche da suoi confratelli, massime per l'adesione ad Aristotele che allora si confondeva facilmente con l'interprete e commentatore arabo, Averroè. Ma ebbe poi tanto credito che meritò all'autore il titolo di "Doctor communis" e poi anche di " Angelo delle scuole", come il maestro più seguito in esse. La teologia cattolica, infatti, fu da S. Tommaso portata alla maggiore precisione e ad un singolare equilibrio dottrinale per tutti i tempi, congiunto a una mirabile forza di sintesi, per cui riepilogando le dottrine più sicure dei padri e dottori precedenti, segnò la via ai susseguenti teologi, di mezzo agli estremi delle scuole o indirizzi che allora si combattevano, come tra nominalisti e ultrarealisti, passando dal campo filosofico al teologico, tra i seguaci dell'"agostinismo" più rigido conservatore, e l'averroismo o aristotelismo troppo innovatore, tra gli aderenti dell'esagerato volontarismo neoplatonico e quelli dell'intellettualismo troppo arido o razionalistico, e via dicendo. Con ciò egli riuscì a comporre il dissidio fra i teologi mistici e gli scolastici, fra i dialettici e gli antidialettici, e fra altri opposti indirizzi delle scuole teologiche. Che se egli superò i suoi gloriosi predecessori, tuttavia non li fece dimenticare; e i loro meriti sono ora meglio riconosciuti dagli studiosi di storia della scolastica, particolarmente dopo i lavori di dotti specialisti, quali il Denifle, l'Ehrle, il Pelster, il Grabmann e altri.

La scolastica - sebbene desse ancora qualche valentissimo maestro, come il domenicano Capreolo - venne decadendo nei secoli XIV e XV, per molteplici ragioni, quali la rivalità delle scuole e delle università fra loro, la smania di superarsi nelle sottigliezze e altre novità, la scissione nelle diverse scuole: tomistica, scotistica, ecc., le passioni politiche di nazioni o di partito, come sotto Luigi il Bavaro si ebbero i maggiori traviamenti dell'Occam e dei suoi seguaci nominalisti (occamismo). La decadenza favorì da una parte la disistima e l'avversione per la scolastica - che s'inasprì col trionfo dell'Umanesimo, nel Rinascimento, e andò poi fino ad impugnare la stessa formazione della teologia - e dall'altra provocò non pochi pregiudizî ed errori, come l'occamismo fece in Lutero che lo confuse a torto con la teologia scolastica.

6. Ma la decadenza stessa della scolastica e l'irrompere delle nuove eresie nel sec. XVI provocò la reazione e il rinnovamento: il quale si era già del resto iniziato, in Italia massimamente, con due grandi commentatori di S. Tommaso, il Ferrariense (della Summa contra Gentiles), e il Caetano poi cardinale (della Summa theologica). Nella Spagna fu specialmente benemerita la scuola di Salamanca, iniziata dal domenicano Vitoria e divenuta presto fucina di valenti teologi. E tali apparvero anche gli Spagnoli al Concilio di Trento e più ancora si segnalarono nel resto di quel secolo, il più glorioso per la teologia e la cultura spagnole.

La convocazione e i decreti del Concilio ecumenico Tridentino, indi i frutti che ne derivarono (si ricordi la riforma degli studî, l'istituzione dei seminarî e simili), segnarono un'era nuova per la teologia: ritenuta la scolastica, ma ringiovanita e accoppiata alla positiva; promossi gli studî biblici, patristici, storici e di varia erudizione, come richiedeva anche la prevalente cultura umanistica dei tempi e la incalzante impugnazione dei nuovi errori.

Per questa via, sanamente rinnovatrice, si misero quindi le università teologiche, in contrapposto con quelle passate al protestantesimo, gareggiando con gli antichi i nuovi ordini religiosi, nominatamente la Compagnia di Gesù, siccome dedita in modo speciale all'insegnamento e alla difesa della dottrina cattolica. Rifiorì quindi la teologia scolastica guadagnando in larghezza di metodi e di erudizione, se anche cedeva all'antica nella profondità e nel rigore, segnalandosi fra tutti il gesuita Francisco Suárez, anche quale giurista e precursore del moderno diritto internazionale nel suo De legibus.

Dalla speculativa o dogmatica propriamente detta, si venne poi separando nella trattazione la teologia morale, e questa sempre più estesa nelle applicazioni (casuistica), per opera di forti ingegni, quali Giovanni De Lugo, poi cardinale, e Leonardo Lessio. Questi vi unì la teologia ascetica; la quale ebbe pure esimî cultori, che vi aggiunsero la mistica più alta, come un S. Giovanni della Croce e un venerabile Da Ponte (de la Puente); mentre altri vi aggiunsero la teologia pastorale in attinenza con la riforma cattolica, ordinata dal Tridentino, come un S. Carlo Borromeo e poi un S. Francesco di Sales, che fu pure teologo ascetico, il maestro più popolare della devozione cattolica, non meno che polemico e controversista efficacissimo contro l'eresia.

Rifiorì del pari la teologia positiva, secondo due diversi indirizzi: l'uno di polemica o controversia contro gli eretici, in cui primeggiò S. Roberto Bellarmino; l'altro di teologia storica, segnatamente di storia dei dogmi, nella quale fu principe il gesuita Petavio (Denis Petau) editore altresì di antiche opere greche, cronologo, letterato ed erudito insigne. Teologi positivi furono pure l'oratoriano francese Thomassin, il teatino italiano, poi cardinale, B. Tomasi, e altri, senza opposizione alla teologia scolastica. Maggiore prevalenza diede alla teologia ascetica e mistica, e alla liturgica insieme, il dotto cisterciense card. G. Bona.

Dall'indirizzo positivo della teologia, imposto anche dalle impugnazioni del protestantesimo, non poteva andare disgiunto lo studio più intenso dei Padri della Chiesa, dei concilî e della storia ecclesiastica in generale. Questo ebbe con l'oratoriano Cesare Baronio, poi cardinale, il suo grande restauratore e, indi a un secolo, nel sacerdote Ludovico Antonio Muratori il più erudito illustratore. Quindi vennero molteplici edizioni di opere antiche, specialmente patristiche, curate da domenicani, gesuiti e benedettini, maurini soprattutto; ampie collezioni di concilî (Hardouin, Mansi, ecc.), accurate investigazioni di antichi monumenti, e infine studî e scoperte di archeologia, divenute ausiliarî più frequenti della teologia.

Ma soprattutto presero incremento nella formazione teologica gli studî della Sacra Scrittura, ai quali, prima che dal protestantesimo, abusante della Bibbia, venne l'impulso dai grandi lavori preparatorî dell'età precedente, come quelli della poliglotta Complutense, della nuova edizione della Volgata e dei Settanta, di traduzioni della Bibbia, ben anteriori alla Riforma, e di eccellenti commentarî su ciascuno dei libri santi. Le pubblicazioni esegetiche divennero quindi sempre più numerose, e meglio ancora più critiche, più erudite; e l'uso dell'argomento scritturale nelle dimostrazioni teologiche si fece più accertato e più rigoroso.

Il progresso teologico non soppresse tuttavia le diversità delle scuole, degl'indirizzi, delle opinioni fuori del dogma definito: si ebbero quindi forti e lunghe controversie, ma tutte dominate pure da una grande idea, come quella, sorta in Belgio, circa la natura dell'ispirazione della Scrittura, o quella circa l'efficacia della Grazia, discussa tra domenicani e gesuiti nelle celebri congregazioni De auxiliis, anche innanzi ai papi (Clemente VIII e Paolo V), o quella, lasciata insoluta dal concilio di Trento, circa la Concezione Immacolata della Madre di Dio. Di altra natura, siccome suggerite da infiltrazioni di dottrine deterministiche del protestantesimo, furono le controversie sorte anzitutto in Belgio, di Michele Baio professore dell'università di Lovanio (baianismo), poi di Giansenio, vescovo di Ypres, col suo famoso Augustinus, di cui furono poi condannate dalla Chiesa cinque proposizioni (giansenismo), come più tardi nell'enciclica Unigenitus fu condannato tutto il sistema ereticale con un centinaio di proposizioni del discepolo Quesnel (quesnellismo).

A queste controversie si unirono in Francia quelle del gallicanesimo o regalismo, che mirava ad abbassare l'autorità del papa, e diede, anche altrove, pretesto all'autorità laica d'ingerirsi nell'insegnamento stesso della teologia. Ciò procurò bensì un più intenso studio intorno al trattato teologico sulla Chiesa e il papato - che già era sì bene ampliato fino dal secolo precedente per opera del Bellarmino specialmente ("Ecclesiologia") ed ebbe poi compimento e solenne sanzione dall'ultimo Concilio ecumenico Vaticano -; ma per l'ingerenza dei poteri laici portò anche ad un graduale scadimento della teologia. Il quale crebbe ancora vieppiù nella seconda metà del sec. XVIII, anche per le condizioni pubbliche e le rivoluzioni politiche e sociali, preparate dalle nuove scuole antiteologiche degli illuministi in Germania, dei "filosofi" in Francia, e dei loro seguaci altrove.

Così l'abuso della teologia positiva fece cadere in discredito la scolastica; l'erudizione storica indebolì la speculazione filosofica; la molteplicità e superficialità delle cognizioni offuscò l'unità della scienza e la logica concatenazione del sistema; l'analisi parve soppiantare la sintesi.

Il rimedio s'iniziò donde era cominciato il male, dalla filosofia. Questa, venutasi rinnovando nelle scuole cattoliche, sebbene lentamente, dopo i primi decennî del sec. XIX, e superati i sistemi nuovi proposti anche da studiosi ecclesiastici, ma troppo innovatori (quali La Mennais, Bautain, Gioberti, Rosmini, ecc.), si riportò alle fonti della scolastica, e specialmente a quella più genuina di S. Tommaso, che ebbe sempre la preferenza della Chiesa, manifestata dai papi. Ma il più forte impulso venne a ciò dalla voce e dall'opera ristauratrice di Leone XIII, che nella filosofia mirò a rialzare insieme la teologia (enciclica Aeterni Patris) e vi riuscì in gran parte, imitato poi, nei suoi sforzi, dagl'immediati successori fino a Pio XI, la cui costituzione Deus scientiarum (del 24 maggio 1931) porta la teologia cattolica nelle "università e facoltà di studî ecclesiastici" al più alto grado di scienza e di cultura, che si possa richiedere dai moderni progressi, specialmente per la parte storica e positiva.

Bibl.: Oltre alle indicazioni e agli autori accennati, e le opere generali di teologia, come la Summa theologica di S. Tommaso; v.: H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae, I-V, Innsbruck 1903-11; K. Werner, Geschichte der katholische Theologie, Monaco-Lipsia 1889; O. Bardenhewer, Geschichte der altkirchlichen Literatur, voll. 3, Friburgo in B. 1912 segg.; M. Grabmann, Die Geschichte der scholastischen Methode, ivi 1909-11; id., Die Geschichte d. kath. Theologie seit d. Ausgang d. Väterzeit, ivi 1933; J. Kleutgen, Die Theologie der Vorzeit, Münster 1860; Ch. Stater, A Short History of moral Theology, New York 1909. Possono essere ancora utili: E. Argenna, Storia della teologia, Fiesole 1834; A. Narbonne, Storia di ogni letteratura..., Palermo 1843 (compendio dell'opera di G. Andres, Dell'origine, progressi e stato attuale di ogni letteratura, il cui volume VII tratta Dell'origine e de' progressi della teologia); P. Perrone, Historiae theologiae cum philosophiae comparatae Synopsis, Roma 1845; J. Bellamy, La théologie catholique au XIXe siècle, Parigi 1904; Fr. Cayré, Précis de patrologie et d'hist. de la théologie, ivi 1930; id., Patrologia e storia della teologia (traduz. di T. Pellizzari), Roma 1936.

Teologia protestante.

Sorse in opposizione alla teologia cattolica, per opera di Martino Lutero, il quale però non fu a contatto con la scolastica genuina, ma con quella già decaduta e nominalistica della scuola di Occam, aggravata dalle deviazioni o esagerazioni dell'agostinismo, massimamente rispetto ad alcuni punti concernenti la grazia, il libero arbitrio, ecc. Essa ebbe quindi come sua nota precipua il rifiuto della tradizione e di ogni autorità della Chiesa, nonché l'accettazione di una fonte unica della rivelazione e unica norma di fede, la Sacra Scrittura, e questa interpretata secondo il sentimento soggettivo di ciascuno (libero esame), senza riguardo al magistero ecclesiastico. In questo distacco dall'antica teologia convennero i maestri della nuova; ma per ciò stesso, mancando di guida legittima, discordarono tosto fra loro nei punti anche più essenziali della dogmatica e della morale. Così Zwingli, iniziatore del protestantesimo nella Svizzera, si scostò da Lutero col suo sistema tinto di panteismo e di fatalismo, che attinge principî dai vecchi manichei e dal moderno Wycliffe; meno originale, ma più razionalista del maestro, avversa ogni mistero, riduce i sacramenti a semplici segni o cerimonie, e viene perciò a contraddizione con la teologia luterana (controversia sacramentaria, ecc.); onde la Germania protestantica andò presto divisa in due campi nemici teologicamente, luterano e zwingliano. E la divisione si aggravò più tardi (1535) con la terza forma di protestantesimo dovuta alla teologia di Calvino (Institutio e poi Institutiones religionis christianae), più metodica e scientifica, come anche più radicale, molto più logica e razionalistica, che quella di Lutero; riuscita altresì, per la chiarezza e lo stile di forbito umanista, più efficace delle opere di Zwingli e di Melantone, soprattutto nelle nazioni latine (calvinismo). La teologia calvinistica, con il suo fatalismo più reciso, la predestinazione assoluta dei reprobi alla dannazione, ecc., tirò le ultime conseguenze della luterana, con fredda e inesorabile logica nel campo scientifico, e riuscì perciò invisa a Lutero ed ai suoi più rigidi seguaci.

Altri trassero le stesse conseguenze nell'ordine pratico, come Carlostadio, gli anabattisti e altri sovvertitori degli ordinamenti ecclesiastici, indi anche dei civili, fino alla guerra e strage dei contadini, sollevatisi in nome della libertà del nuovo vangelo e da Lutero non potuti reprimere con la persuasione delle sue ragioni teologiche o della propria autorità, ma fatti schiacciare con le armi dei principi.

Così la nuova teologia, cominciando dai tre fondatori del protestantesimo, si trova concorde nella parte negativa, cioè di opposizione e oppugnazione della teologia cattolica, ma discorde nella parte positiva della dottrina, salvo nello stabilire per unica norma di fede la Scrittura. Di qui essa ebbe la propria impronta, di teologia anzitutto polemica ed esegetica, cioè prevalentemente intesa allo studio e all'esame della Bibbia. Né da principio si curava molto della critica biblica, ma si atteneva alle edizioni allora correnti, nominatamente a quelle di Erasmo. Sennonché l'esegesi protestante, fin dagl'inizî, mirava a trovare nella Scrittura l'appoggio al nuovo sistema dottrinale della teologia riformata, come appare segnatamente dall'ordinamento degli studî, steso da Melantone circa il 1540. Questo vuole messo a fondamento la lettera ai Romani, rispetto ai passi intorno alla giustificazione per la fede, alla Legge e al Vangelo; indi la lettera ai Galati ma commentata da Lutero, e quella ai Colossesi postillata dallo stesso Melantone: solo dopo le lettere di S. Paolo, si dovrebbe leggere il Vangelo, ma con l'attenzione di accomodarlo alle conclusioni precedenti, cioè ai dogmi luterani, e opporlo al "papismo" cioè alle dottrine della teologia cattolica.

Anche intorno ai dogmi del protestantesimo, tuttavia, e nell'esposizione dei medesimi passi biblici, sorgevano dissidî, come intorno all'istituzione dell'Eucaristia, e circa la lettera di S. Giacomo, che Lutero rigettava sdegnosamente, e Melantone si studiava invece di spiegare in favore dei nuovi dogmi.

Quanto all'ispirazione biblica, la teologia protestante si atteneva alla teoria più rigida, che fin da allora appariva ben gretta a dotti cattolici, come al cardinale Caetano (Tommaso De Vio): la formula degli Elvetici la voleva anzi estesa, oltre che alle parole, ai punti delle vocali ebraiche.

I commentarî e scritti esegetici furono quindi molti, primeggiando quelli di Lutero, Calvino, Melantone, Beza - il quale ultimo fu il più ingegnoso esegeta, non meno che elegante umanista - né mancarono di parti buone, come la conoscenza dell'ebraico e la comparazione dell'Antico Testamento in Melantone; ma riuscirono tutti sostanzialmente polemici, talvolta acri e artificiosi, anche se non trascendevano all'invettiva violenta o al tono grossolano di Lutero nel suo commento ai Salmi, ai Galati, ecc. Una certa esegesi scientifica cercò Mattia Flacio Illirico, nella sua Chiave della Sacra Scrittura e nella Piccola glossa al Nuovo Testamento, ma venne accusato dal Beza come suo plagiario.

Parecchie versioni latine della Bibbia si tentarono dai protestanti, per cui non valeva l'antica Volgata; la più accurata per classicismo, anzi in veste d'antichità romana, affatto contraria allo stile biblico, apparve quella di S. Castellion: fu dannata quindi come "opera di Satana", sicché Beza le oppose la sua traduzione, che ridiede alla Bibbia il suo colorito orientale.

Sulla Bibbia, così interpretata, si ergeva tutta la dogmatica protestante, senza uso di filosofia o della ragione umana, né dei Padri o dottori scolastici, ma col ricorso all'autorità di Lutero per i luterani, di Calvino per i calvinisti, la quale anche stava in pratica sopra alla stessa Bibbia. Le Istituzioni di Calvino erano il testo dogmatico per i calvinisti, come per i luterani erano le Ipotiposi di Melantone, la Confessione di Augusta e l'Apologia di essa, con la nota dominante della polemica fra gli uni e gli altri, e di tutt'e due i partiti contro i "papisti".

Lo stesso spirito animava la loro catechetica e in parte anche l'omiletica mentre la predicazione, mediante sia l'omilia sia la catechesi, era molto coltivata per la diffusione del protestantesimo. Lutero gran parlatore e molto popolare nell'antica lingua tedesca, ma senza cura dell'ordine logico, lasciò postille o commenti per dare materia ai molti predicanti impreparati; e questi si attenevano a quel metodo, aggiungendovi le facili invettive contro l'antica teologia. Nel catechizzare poi il popolo, serviva altresì il testo di Lutero, il suo Grande e Piccolo catechismo, mentre per i calvinisti si ebbero poi i manuali catechetici del Bullinger e di Calvino, e il catechismo detto di Heidelberg, molto diffuso massime nel Palatinato, dopo che Federico III passò al calvinismo nel 1559.

Ma anche circa le dottrine cristiane fondamentali il protestantesimo, col suo libero esame, portava fino dalla prima metà del sec. XVI un insanabile fomite di dissidî fra gli stessi teologi protestanti, già intimi di Lutero. Basti ricordare la controversia detta "antinomiana", provocata da Giovanni Agricola, col suo confuso e fluttuante opinare circa l'ordine e la forza della legge, del Vangelo, della penitenza, che Lutero ferocemente impugnò come sfrenata licenza, nell'abolizione di ogni legge e moralità (antinomismo); quella suscitata da Andrea Osiandro (e da lui detta osiandrica) circa la giustificazione e altri punti di ravvicinamento alla teologia cattolica, onde si trasse addosso fiere polemiche e persecuzioni; quelle di Giorgio Karg sul concetto stesso della giustificazione, della persona di Cristo, dell'Eucaristia, ecc., e di Giovanni Epino per la strana dottrina che l'anima di Cristo avesse patito in verità le pene dei dannati nell'inferno per compiere la redenzione non consumata con la sua passione e morte, onde lotte tra "consummatisti" ed "infernalisti" o "epinisti". Più grave fu la controversia sorta a proposito dell'Interim di Lipsia (1548) e della distinzione melantoniana in articoli di fede essenziali e non essenziali o "adiafori" (onde il nome di controversia adiaforistica); contro cui insorse l'Illirico con i luterani più rigidi, vedendovi un ritorno al papismo, onde la divisione fra teologi "antinterimisti" o flaciani, e "interimisti" o filippisti (seguaci di Filippo Melantone). In altre controversie ancora i flaciani presero partito per il luteranismo più estremo, come in quella di Giorgio Major sul merito delle buone opere presso Dio, negato da Lutero, e in quella di Giovanni Pfeffinger e altri teologi (di Lipsia) che ammettevano la necessità di un concorso o cooperazione umana (sinergia) alla grazia divina: cooperazione rigettata del pari da Lutero e dal Flacio; onde scoppiarono lotte furiose fra i teologi di Wittenberg, di Lipsia, di Jena e i flaciani, acuitesi dopo che Vittorino Strigel sorse a Jena in difesa dei sinergisti, perseguitati dai rigidi luterani.

Più persistenti erano le lotte fra luterani e calvinisti; indi fra luterani rigidi e melantoniani o filippisti, combattuti questi da quelli accanitamente quali calvinisti segreti (criptocalvinismo). E il dissenso toccava anche punti i più sostanziali, come la natura stessa della fede giustificante; onde i calvinisti, ad esempio, asserivano la grazia non potersi perdere per qualsiasi delitto, e l'uomo essere infallibilmente sicuro della sua salvezza; i luterani invece ritenevano la grazia come ammissibile e distinguevano la fede speciale giustificante dalla fede storica generale. Ma infine prevalsero nella maggior parte della Germania i luterani; e per tutto il secolo seguente si vennero discutendo e concertando molteplici formule di concordia, sulle quali poi si modellava la loro teologia dogmatica. I luterani più rigidi tuttavia non volevano più formule di concordia, e ricorrevano talora anche alla detestata filosofia di Aristotele e ai metodi, prima aborriti, della scolastica cattolica, per difendere nella loro scuola la più stretta "ortodossia" luterana, accomunando tra gli eretici, con i papisti, i calvinisti, i flaciani, i maioristi e altri che per poco se ne scostassero. Quindi fu molto coltivata tra essi la polemica, estesa pure contro il socinianismo ed altri estremi, favoriti dal libero esame; più tardi anche la teologia, la biblica, la patristica e la storia ecclesiastica, come dall'operosissimo Fabricius (morto nel 1736) e da una schiera di altri storici ed eruditi.

I teologi riformati, calvinisti e poi anglicani, ecc., attesero di preferenza alla teologia biblica, alla filologia e lingue orientali, ad altri studî di varia erudizione, più che alla stretta dogmatica, loro impedita per diversi rispetti. In questo gl'indirizzi variavano pure secondo i paesi e i governi, che vi avevano più o meno diretta ingerenza, come nella Svizzera per la dittatura di Calvino e dei suoi successori, e in Inghilterra per la legge che vi aveva stabilito la costituzione episcopaliana e il primato regio, ossia l'identità del capo supremo dello Stato e della Chiesa. Così i teologi anglicani volgevano le loro cure a difendere siffatta costituzione, ma s'ingegnavano talora, come il Pearson contro il Saumaise e i presbiteriani, a salvare insieme l'indipendenza della Chiesa dallo Stato. E furono tra essi non pochi eruditi, storici e predicatori celebri; meno invece tra i presbiteriani, loro avversarî, i quali sostenevano la contraria "costituzione presbiteriana" scozzese, e avevano il loro centro a Edimburgo, nell'assemblea annuale dei deputati dei loro sinodi provinciali, per supplire all'autorità episcopale.

Anche in Olanda la teologia protestante si dibatteva tra il calvinismo rigido e il mitigato, e andò poi sino a favorire il socinianismo, anzi il semplice deismo con una scuola affatto razionalistica, che precorse in sostanza il razionalismo odierno del protestantesimo tedesco. Ma la scuola olandese di Francker diede pure valenti teologi dogmatici, come il Voëtius (morto nel 1676), da cui i rigidi calvinisti si chiamarono "voetiani". Loro oppositori furono il Cocceio e i suoi seguaci, che formavano l'altro partito dei teologi olandesi (cocceiani) più moderati. Maggiormente propensi alla polemica furono i teologi e predicanti del calvinismo francese, come il Jurieu, antagonista del Bossuet.

Per varietà di studî e di pubblicazioni primeggiarono i Basnage, tutta una famiglia di teologi, predicanti, studiosi e scrittori di storia sacra e profana in Olanda e in Francia. Ma gli "ortodossi" o conservatori cedettero poi sempre più il campo di fronte ai teologi liberali e razionalisti, favoriti da un altro indirizzo estremo del protestantesimo, il pietismo.

Scosso infatti il fondamento dottrinale e sminuito il valore stesso dell'intelligenza, la teologia protestante fu trascinata da Filippo Giacomo Spencer per una via nuova, della "pietà" o "pietismo", che trascura i dogmi, rigetta i libri simbolici, a tutto antepone i moti della volontà o le ragioni del cuore, e così riduce la religione a cosa del cuore, a mero sentimento. Il pietismo ebbe molto seguito, e finanche una propria università, quella di Halle, ma anche molte opposizioni, da parte dei wolfiani massimamente, destò forti controversie, nuove sette e scoppî di fanatismo in molte parti; e con ciò, aggiuntasi l'esclusione di ogni determinata forma di dogma, schiuse la via all'estremo contrario, al razionalismo. Da esso poi attinse Kant il suo principio, di affermare con la "ragione pratica" ciò che "la ragione pura" non vale a dimostrare (esistenza di Dio, immortalità dell'anima, ecc.), come altri filosofi (i sentimentali) la pretensione di fondare tutta la morale e trovare anzi un criterio di verità sul sentimento.

L'eccesso pietista destò la reazione non solo dei nuovi filosofi, ma anche di molti teologi, che non riconoscevano per divino se non quello che si conformava con la ragione, intesa questa come pensiero soggettivo o arbitrio proprio; spiegavano i miracoli al tutto naturalmente e abbassavano la dogmatica, posponendola alla morale non solo, ma volendola razionalistica. Né mancarono teologi che cercavano un accordo vano fra razionalismo e soprannaturalismo; i più ondeggiavano fra i sistemi varî dei nuovi filosofi, di Kant e dei suoi discepoli o successori, quali il Jacobi (pietista), Fichte, Schelling e Hegel. Fra essi lo Schleiermacher passò da un sistema all'altro con la sua "Teologia sentimentale" che provocò nuove divisioni fra diverse scuole o indirizzi di filosofi e di teologi. Anche la scuola hegeliana andò presto divisa profondamente, pretendendo gli uni che il sistema fosse inconciliabile con la teologia cristiana, gli altri il contrario (sinistra e destra hegeliana). Ma l'esito fu la prevalenza del razionalismo e della totale incredulità nel sopravvento della "sinistra", con lo Strauss e il Feuerbach. E al pieno razionalismo trascorse pure la nuova scuola di Tubinga dalla prima metà del sec. XIX in poi, nonostante il valore dei suoi studî critici e storici che coltivò di preferenza. Altre scuole, indirizzi e sistemi vennero poi sorgendo in gran numero per tutto il secolo XIX e i primi decennî del presente, nella teologia protestante dei varî paesi, come quelli di A. Sabatier in Francia (che preluse col suo programma al modernismo nella Religione dello spirito contro le religioni dell'autorità), e di A. Ritschl in Germania, il quale fondò una nuova scuola teologica, che pur volendo restare luterana, è tutta razionalistica e soggettiva. Questa ebbe poi una forte preponderanza in quasi tutte le facoltà di teologia protestante delle università tedesche, per merito dei suoi discepoli e promotori, fra i quali il più famoso per la sua erudizione e fecondità letteraria, non meno che per il suo "minimismo" teologico, A. von Harnack.

Con tale predominio delle scuole razionalistiche fu segnato lo sfacelo della teologia protestante, nonostante la debole resistenza dei pochi cosiddetti "ortodossi" e conservatori. Ma anche questi, pure rimanendo credenti, si trovano ormai ben lontani dagli antichi protestanti e dai loro libri simbolici, già sottomessi a molteplici correzioni. Essi cercano con ansietà - e si direbbe quasi, con rimpianto - ciò che i loro padri hanno perduto: la sicura norma fidei e la guida ferma dell'autorità.

Bibl.: Oltre le opere generali - come il Corpus Reformatorum, con le opere tutte di Lutero, Calvino, Melantone ecc. - e gli scritti dei teologi menzionati nell'articolo, vedi: J.-B. Bossuet, La storia delle variazioni della chiesa protestante, 2a ed. italiana, Padova 1733; G. J. Plank, Geschichte der protest. Literatur bis Concordienformel, Norimberga 1848; W. Gass, Geschichte der protest. Dogmatik, Berlino 1854-67; A. J. Dorner, Geschichte der protest. Theologie, 2a ed., Monaco 1868; G. Franck, Gesch. der protest. Dogmatik, Lipsia 1862-1905; A. v. Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, 4a ed., Tubinga 1909-10; J.-J.-C. Majal, Étude comparée des deux morales luthérienne et reformée, Parigi 1901; F. Reinhard, Studien zur Geschichte der altprotesant. Theologie, Lipsia 1906; O. Ritschl, Dogmengeschichte d. Protestant., voll. 4, Gottinga 1908-27.