Terra

Enciclopedia Dantesca (1970)

terra

Eugenio Ragni
Giovanni Buti - Renzo Bertagni

Nelle sue molteplici accezioni, è vocabolo di larga frequenza in tutta l'opera dantesca, segnatamente nel Convivio e nella Commedia; presente nel Fiore, non compare mai nel Detto.

Designa l'elemento naturale, uno dei quattro che compongono l'universo secondo la teoria empedoclea adottata dalla fisica classica e da quella medievale, in Cv III III 2 le corpora simplici hanno amore naturato in sé a lo luogo proprio, e però la terra sempre discende al centro; V 5 quello [il fuoco] essere più nobile corpo che l'acqua e che la terra; VII 4 Certi altri [corpi] sono tanto sanza diafano, che quasi poco de la luce ricevono, sì com'è la terra, e 5 la bontà di Dio è ricevuta... altrimenti da la terra che da li altri [elementi], però che è materialissima; IX 12 Transmutasi anche questo mezzo [l'aria] di sottile in grosso, di secco in umido, per li vapori de la terra che continuamente salgono (cfr. per il concetto Rime C 54, Pg XXI 56 e XXVIII 98); in Pd I 117, ov'è detto che l'istinto, cui per legge naturale tutti gli elementi obbediscono, la terra in sé stringe e aduna, costringe la t. a lo luogo proprio, cioè al centro dell'universo (cfr. Cv III III 2); e VII 125 io veggio l'acqua, io veggio il foco, / l'aere e la terra e tutte lor misture / venire a corruzione, e durar poco.

In accezione più comune, indica il materiale di cui è costituita la superficie terrestre: Questo [fiumicello] passammo come terra dura, If IV 109; 'l duca mio... / prese la terra, e con piene le pugna / la gittò dentro a le bramose canne di Cerbero, VI 26; Pg IX 115 Cenere, o terra che secca si cavi, / d'un color fora col suo vestimento. È la materia (cfr. Pg XVII 114 limo, Pd II 133 vostra polve) con la quale Dio formò il corpo dell'uomo (Cv IV XV 8 la recente terra, di poco dipartita dal nobile corpo sottile e diafano, li semi del cognato cielo ritenea; Pd XIII 82 Così fu fatta già la terra degna / di tutta l'animal perfezïone), e che ritorna al primitivo stato inerte dopo la morte (Pd XXV 124 In terra è terra il mio corpo; e si noti come la ripetizione del sostantivo pur in accezione diversa amplifichi l'immagine).

In If XIV 110 terra cotta è il materiale che compone 'l destro piede del gran veglio di Creta; il piede di terracotta simboleggerebbe, secondo gli antichi commentatori e gran parte dei moderni, l'autorità papale, debole e corrotta; secondo altri, la concupiscenza (v. VEGLIO).

Come sinonimo di " terreno agrario " che riceve il seme e che produce frutti, t. è usato in Cv IV II 7 è disposta la terra nel principio de la primavera a ricevere in sé la informazione de l'erbe e de li fiori, e 10 Lo agricola aspetta lo prezioso frutto de la terra; IX 12 cose sono dove l'arte è instrumento de la natura... sì com'è dare lo seme a la terra; Pg XXVII 135 vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli / che qui [nel Paradiso terrestre] la terra sol da sé produce; XXVIII 69 più color [diversi fiori]... / che l'alta terra [il terreno del Paradiso terrestre] sanza seme gitta; XXXII 137 Quel che rimase [del carro], come da gramigna / vivace terra, da la piuma... / si ricoperse. In contesti figurati: Cv IV XXI 12 oh ammirabile e benigno seminatore [Dio], che non attende se non che la natura umana li apparecchi la terra a seminare!; Pg XI 117 La vostra nominanza è color d'erba, / che viene e va, e quei [il sole] la discolora / per cui ella esce de la terra acerba (la fama è labile come il verde dell'erba subito scolorito dal sole); con doppiosenso sessuale, in Fiore LXV 13 queste giovanette damigelle, / cu' la lor terra non è stata arata.

Col significato estensivo di " possedimento rurale ", considerato come bene economico, appare in Cv IV IV 3 con ciò sia cosa che l'animo umano in terminata possessione di terra non si queti, ma sempre desideri gloria d'acquistare; in If I 103, in relazione con la simbologia del Veltro, il quale non ciberà terra né peltro, non possiederà cioè (forse) beni territoriali o altre ricchezze; in Pg XX 76, dove Ugo Capeto profetizza che dall'impresa d'Italia Carlo di Valois non terra, ma peccato e onta / guadagnerà; e in Fiore LXIX 3 e CXVIII 9.

Per indicare il pianeta - che per D., giusta la concezione aristotelico-tolemaica, è una sfera in sé stabile e fissa in sempiterno... è fissa e non si gira e... col mare è centro del cielo (Cv III V 7, due volte) -, non è infrequente nell'opera in volgare la sostituzione di questo sostantivo, proprio del linguaggio astronomico (se ne vedano le occorrenze nella trattazione scientifica di questa voce), con equivalenti di ambito diverso (mondo, palla, tondo), con perifrasi metaforiche, come in Pd XXII 151 (L'aiuola che ci fa tanto feroci), e anche con gli avverbi giù e là giù (v.), in questa connotazione ovviamente esclusivi del Paradiso; mentre l'accezione settorialmente tecnica di t. è piuttosto frequente nel Convivio (II VI 10, XIII 11, XIV 16 [due volte], III V 7 [due volte], XV 16, IV VIII 7 [due volte], XIX 7 universa terra), scarsa altrove (Pg IV 69; e XIX 3, in cui è fatto riferimento in particolare alla qualità naturale del pianeta di essere freddo come l'elemento di cui è composto).

In due luoghi è nominata la Terra. personificazione mitica, madre dei giganti (If XXXI 121, Pg XXIX 119; ma si veda anche tutto il passo di Cv III III 7-8, dove D. ricorda, sull'auctoritas di Ovidio Maggiore e di Lucano, la lotta tra Ercole e il gigante Anteo, che dal contatto con la t., ne la quale e de la quale era esso generato, traeva forza e vigore).

Designa ancora il globo terrestre, ma come sede della vita umana e animale, in Rime C 68, dove il tempo primaverile è definito dolce tempo novello, quando piove / amore in terra da tutti li cieli; in Cv IV IV 4 a queste guerre e le loro cagioni torre via, conviene di necessitade tutta la terra... essere monarchia; V 4 però che... la terra convenia essere in ottima disposizione; e la ottima disposizione de la terra sia quando ella è monarchia; XII 18 questo cammino si perde per errore come le strade de la terra; If II 2 l'aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / da le fatiche loro; XII 134 Attila... fu flagello in terra; XXIV 50 chi sua vita consuma, / cotal vestigio in terra di sé lascia, / qual fummo in aere e in acqua la schiuma; e ancora Cv III V 15, Rime Cv 14, If XXVII 78, Pg XIII 52, Pd I 91 e 141, VIII 116, XXV 124, XXVI 134, XXVII 22 e 140. È in particolare il luogo in cui Cristo, la sapïenza e la possanza / ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra (Pd XXIII 38; e cfr. VII 48), discese a incarnarsi per redimere gli uomini (Cv IV V 3 e 4, Pg VI 119, Pd XXII 41, Fiore CXII 1) e dove dal cielo venne a Maria l'arcangelo Gabriele col decreto / de la molt'anni lagrimata pace (Pg X 34); il luogo in cui si confonde, per equivoca lettura, la verità delle cose (cfr. Pd XXIX 74-75): la reale natura dei segni bui della Luna che fan di Cain favoleggiare (II 50), l'erronea attribuzione agli angeli dell'intelletto agente (XXIX 70), la validità che il vulgo ingenuamente attribuisce alle prediche e alle promession d'indulgenze e assoluzioni di preti istrioni (v. 121). È inoltre il luogo in cui si consuma la vicenda terrena di tutti gli uomini, rievocato in varie tonalità da molti personaggi, e col sostantivo specifico da Beatrice, le cui belle membra... so' n terra sparte (Pg XXXI 51); a proposito di s. Domenico, che in terra fue / di cherubica luce uno splendore (Pd XI 38); dei beati che formano la figura dell'aquila (XIX 16); di Adamo (XXVI 123); ed è infine ricordata da Beatrice parlando di Dionigi Aeropagita, che tanto secreto ver proferse / ... in terra (XXVIII 137).

Frequentemente poi - e appare naturale nel contesto della Commedia, nel Paradiso soprattutto - il sostantivo è legato o comunque posto in relazione, anche appositiva e talora implicita, con ‛ cielo ', venendo così a costituire il polo negativo di una linea tensionale che riassume emblematicamente l'intera vicenda dell'uomo, che dalla materialità della vita animale, rappresentata dal mondo terrestre con le sue passioni e i suoi ingannevoli traguardi (cfr. Pd XI 1-9; e XVIII 125 color che sono in terra / tutti svïati dietro al malo essemplo), approda all'ineffabile comunione con la divinità, percorrendo il difficile e accidentato cammino che D. rappresenta con l'allegoria globale della Commedia, viaggio dalla selva all'Empireo, al divino da l'umano, / a l'etterno dal tempo (XXXI 37-38).

L'accostamento dei due sostantivi, particolarmente nella locuzione ‛ cielo e terra ', si configura come sinonimo di " universo ", comprendendo la totalità del creato: così in Cv IV IX 2 tutto lo mondo, dico lo cielo e la terra; in If XIX 11 O somma sapïenza, quanta è l'arte / che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo [l'Inferno]...!; in Pg XXIX 25 là [nel Paradiso terrestre] dove ubidia la terra e 'l cielo; e in Pd XXV 2 Se mai continga che 'l poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra ... / vinca la crudeltà, dove D. " definisce la materia del poema, dove si dice di tutto l'universo, fisico e spirituale, umano e divino, terrestre e oltremondano " (Mattalia).

Disposti in opposizione, i due sostantivi intendono mettere in evidenza l'antitesi tra i due ambiti, l'umano e il divino, come in Pg XXXIII 90 veggi vostra via da la divina / distar cotanto, quanto si discorda / da terra il ciel che più alto festina; e come in altri luoghi, in cui la dimensione del tutto eccezionale dell'esperienza oltremondana risulta dichiaratamente incomprensibile alla mente umana, disposta per sua stessa natura a operare su moduli inadeguati alla nuova altissima materia: in Pd V 2 per il ‛ fiammeggiare ' di Beatrice di là dal modo che 'n terra si vede; in XIX 27 per conoscere qual sia il senso della giustizia divina nel condannare chi muore non battezzato e sanza fede (v. 76); in XXI 100 per segnare il divario tra l'intelligenza umana, che fumma, è cioè ottenebrata, e quella dei beati, che... luce.

Su un piano analogo s'imposta il rapporto tra i due sostantivi in alcune occorrenze che, coerentemente alla teoria stilnovistica, intendono chiarire la funzione di tramite tra cielo e t. affidata a Beatrice beata, di cui D. esalta le virtù terrene (ciò che di lei si comprende in terra, Vn XIX 17), per le quali ella ancora in vita è disiata in sommo cielo (9 29); ella par... cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare (XXVI 6 8), per nostra salute (Rime LXIX 13: ma non tutti gli studiosi pensano si faccia qui menzione di Beatrice), e appresso lo trapassamento... vive in cielo con li angeli e in terra con l'anima di Dante (Cv II II 1).

In relazione con ‛ mare ', indica in particolare la parte solida dell'orbe terracqueo, il complesso delle t. emerse, la terra discoperta (Cv III V 8; e cfr. §§ 3 [due volte], 6, 8, 12, 14 e 16) ‛ inghirlandata ' dall'Oceano (Pd IX 84) e situata sulla sfera in posizione diametralmente opposta rispetto alla montagna del Purgatorio (Pg XXVIII 112), formatasi anch'essa nell'emisfero boreale dal ritrarsi della t. paurosa del contatto con Lucifero precipitante dal cielo (If XXXIV 122). E la superficie soggetta alle perturbazioni climatiche e ai terremoti (Vn XXXII 24, per la morte di Beatrice; Pg XXI 56, Pd VII 48, per la morte di Cristo), causati, secondo la fisica aristotelica, dai vapori che si generano e salgono dal centro della t. (Rime C 54 Versan le vene le fummifere acque / per li vapor che la terra ha nel ventre) sino alla regione fredda, al di sotto del cielo della Luna, per l'essalazion de l'acqua e de la terra, / che quanto posson dietro al calor vanno (Pg XXVIII 98; cfr. Cv III IX 12).

Vale, in accezione più circoscritta, " terraferma ", in If XVII 20, dov'è descritta la posizione di Gerione venuto a proda, che è detta simile a quella dei burchi che a riva... parte sono in acqua e parte in terra; in XX 83, dove la t. sanza coltura e d'abitanti nuda veduta da Manto nel mezzo del pantano è il luogo in cui sorgerà Mantova. In XXII 12, l'espressione segno di terra è variamente intesa dai commentatori: per gli antichi vale la linea della t. visibile dal mare (cfr. Buti: " Li marinai quando navicano seguitano due segni: l'uno si è la terra, quando la possono vedere, imperò che vanno al segno del monte che veggono da lungi "), o anche " faro " o altro segnale portuale (Benvenuto: " sicut navigant aliquando ad miram quae lucet in portubus "); i moderni invece, aderendo maggiormente alla situazione cui D. riferisce la similitudine, preferiscono pensare a segnalazione acustica data dalla stessa nave per annunciare la partenza. Ancora " terraferma " t. vale in Fiore LVI 5.

È sinonimo di " suolo ", " superficie terrestre ", anche come strato di una certa profondità, in cui può esser chiuso o custodito qualcosa (Cv I IX 6 la terra... dove lo tesoro è nascosto; Pd XIV 57 questo folgór [dell'anima] … / fia vinto in apparenza da la carne / che tutto dì la terra ricoperchia e che nel giorno del giudizio si ricongiungerà con l'anima), più spesso come strato superficiale solido e compatto della crosta terrestre (Rime C 59 la terra [in inverno] fa un suol che par di smalto; If XXIV 4 In quella parte del giovanetto anno / ... quando la brina in su la terra assempra / l'imagine di sua sorella bianca [la neve]; Pg V 120 a' fossati venne / di lei [della pioggia] ciò che la terra non sofferse, non poté assorbire; e ancora Vn XII 1, Cv III III 7-8 [quattro volte], If XX 32, XXXIII 66), ovvero elemento del paesaggio oltremondano (If VI 12 pute la terra che questo riceve, dove cioè cade il miscuglio di grandine grossa, acqua tinta e neve; Pg III 21 io vidi / solo dinanzi a me la terra oscura, sulla quale si proiettava l'ombra del corpo di D., il quale ricorda ulteriormente il fenomeno ai vv. 89 e 96; e, sempre in rapporto all'ombra di un corpo sul suolo, Rime CIV 48 dove 'l gran lume / toglie a la terra del vinco la fronda; Pg XXXII 130 Poi parve a me che la terra s'aprisse / tr'ambo le ruote [del carro], e vidi uscirne un drago). Efficace la locuzione di Fiore CCX 6 tu farai di piana terra letto, " cadrai a t. morto ".

Frequente l'unione con preposizioni a formare ora semplice locuzione locativa (Pg V 84 i' caddi; e lì vid'io / de le mie vene farsi in terra laco; VII 52 E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito), ora locuzioni più complesse in aggiunta a verbi di stato (sedere, giacere, ecc.: Rime CII 43 Amor... / mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco; If III 114 Come d'autunno si levan le foglie / fin che 'l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie; VI 37 Elle [le anime dei golosi] giacean per terra tutte quante; IX 78 [le rane] per l'acqua si dileguan tutte / fin ch'a la terra ciascuna s'abbica; e ancora XIV 22, XXIII 111, XXIV 103, Pg V 84, X 116, XII 30, XV 110, XIX 72, XX 143, XXXII 94, Pd XII 77) o di moto (cadere, gettare, rovesciare, andare, ecc.: Rime LXVII 64 io caddi in terra, CIII 35 Amor... m'ha percosso in terra, e stammi sopra; Cv IV IX 17 è da ferire nel petto a le usate oppinioni, quelle per terra versando, cioè, figuratamente, smantellandole; If VII 15 tal cadde a terra la fiera crudele [Pluto]; e ancora XIV 33, XXIV 113; XXVII 102 tu m'insegna fare / sì come Penestrino in terra getti, dove la locuzione vale " radere al suolo "; Fiore CCVIII 4, CCXI 4, CCVIII 14 in terra boccone, CCXIII 9, CCXVI 13).

Con particolare riferimento alla direzione dello sguardo, in atteggiamento denotante vergogna, paura, riflessione, sbigottimento, è presente Vn IX 4 [Amore] mi parea disbigottito, e guardava la terra; If VIII 118 [Virgilio] Li occhi a la terra e le ciglia avea rase / d'ogne baldanza; XVIII 48 O tu che l'occhio a terra gette / Venedico se' tu Caccianemico; e ancora Pg XIX 52, XXXI 65, Rime dubbie XI 1, Fiore XXIV 1. In contesto metaforico, ‛ guardare a t. ' vale " essere attratti dalle passioni e dai beni terreni ", come in Pg XIV 150 Chiamavi 'l cielo / ... e l'occhio vostro pur a terra mira e XIX 120 Sì come l'occhio nostro [degli avari e prodighi] non s'aderse / in alto, fisso a le cose terrene, / così giustizia qui a terra il merse.

Più specificamente, indica il terreno sul quale si posano i piedi nel camminare, il suolo come punto di appoggio, in Cv I XII 4 di tutta la terra è più prossima quella dove l'uomo tiene se medesimo, però che è ad esso più unita (ma alcuni studiosi, tra cui il Giuliani e il Moore, interpretano il vocabolo nel senso di " regione " o " nazione ", evidentemente guardando a tutto il contesto); IV Le dolci rime 40 (verso ripetuto nel commento, VII 10) e tocca a tal, ch'è morto e va per terra (la locuzione vale altrove " vivere ": Fiore CXII 1 Tanto quanto Gesù andò per terra); If XXII 122 Lo Navarrese... / fermò le piante a terra, e in un punto / saltò e dal proposto lor [dei diavoli] si sciolse; XXVIII 63 Mäometto... a partirsi in terra lo [il piede] distese; Pg XXVIII 53 Come si volge, con le piante strette / a terra e intra sé, donna che balli / … [Matelda] volsesi; XXVIII 17 non credo che fosse / lo decimo suo passo in terra posto.

In Pg XIX 61, nell'esortazione di Virgilio a D. (Bastiti, e batti a terra le calcagne), al senso letterale della locuzione (" cammina ", " procedi oltre ") si aggiunge quello metaforico di ambito morale (" calpesta, disprezza le cose terrene "), particolarmente evidenziato dai due versi successivi (li occhi rivolgi al logoro che gira / lo rege etterno con le rote magne, in cui ritorna la metafora dello sguardo già segnalata in Pg XIV 150 e XIX 120; v. anche SGUARDO; VISO), e ulteriormente rinforzata, con perfetta equivalenza d'immagini, nel discorso di Adriano V (vv. 118-120). Analogo carico allegorico nell'occorrenza di Pd XXII 74 Ma, per salirla [la scala dei beati], mo nessun diparte / da terra i piedi: nessuno abbandona i beni mondani, lamenta s. Benedetto, per abbracciare la regola, la vita monastica.

Frequente l'accezione più specifica di " territorio ", " regione ", " città ", di solito seguita da toponimo o da altra ulteriore specificazione - spesso perifrastica ovvero evincibile dal contesto - diretta all'identificazione di una località determinata.

Soltanto in un luogo dell'Inferno (XX 55 Manto fu, che cercò per terre molte; cfr. v. 83) e in uno del Fiore (XXXIII 11 la terra mi parea molto selvaggia) t. appare nel significato di " regione ", " luogo "; in Cv IV VI 19 (tre volte; e due volte in XVI 5, nella ripetizione del passo, che è traduzione di Eccl. 10, 16-17) è usata invece come sinonimo generico di " nazione " (Guai a te, terra, lo cui re è fanciullo, e li cui principi la domane mangiano!... Beata la terra lo cui re è nobile...!). Si aggiunga If XXII 4, nel senso di " territorio limitrofo ".

In tutte le altre occorrenze dell'accezione, la presenza di una specificazione di ambito geografico, storico o culturale evoca, spesso suggestivamente, un preciso toponimo; se generica sarà la specificazione di due occorrenze del Fiore (LVI 2 terra istrana, CXIV 14 terra d'oltre mare), ben altrimenti determinata essa sarà designando l'insieme delle nazioni riunite sotto una medesima fede o sotto un solo sovrano (la terra cristiana, Pg XX 44; If XXVII 90 terra di Soldano, cioè i possedimenti saraceni nei quali era stato proibito ai cristiani mercanteggiare; la terra che 'l Soldan corregge, V 60, dove D. intende alludere più specificamente all'Egitto, che Diodoro Siculo dice conquistato da Nino, ovvero - secondo altri commentatori - a Babilonia sull'Eufrate, erroneamente scambiata dal poeta con Babilonia sul Nilo, sede nel sec. XIII del Soldano d'Egitto); l'Africa (la terra che perde ombra, Pg XXX 89; la terra di Iarba, XXXI 72: dove però D. intende forse indicare, come suggeriscono alcuni commentatori, la sola Libia, di cui Iarba era appunto re); la Palestina (la Terra Santa, Pd IX 125); l'isola di Egina della quale, divenuta terra diserta, Eaco fu giusto e saggio partitore a nuovo popolo e distributore (Cv IV XXVII 18); la Boemia (Pg VII 98 la terra dove l'acqua nasce / che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta); l'Ungheria (Pd VIII 65), la terra che 'l Danubio riga / poi che le ripe tedesche abbandona; l'Italia (dolce terra / latina, If XXVII 26, e cfr. XXVIII 71; la terra prava / italica, Pd IX 25; e anche Cv IV V 19 li Romani volsero abbandonare la [loro] terra); la terra di Toscana (Pg XIII 149); la fortunata terra / di Puglia (If XXVIII 8; è possibile tuttavia che qui D. alluda all'intero territorio meridionale, nel quale si svolsero, oltre alla battaglia di Canne, le sanguinose lotte tra Normanni e Arabi, tra Angioini e Svevi, che sono ricordate subito dopo); il Regno di Sicilia (Guglielmo... cui quella terra plora / che piagne Carlo e Federigo vivo, Pd XX 62).

Due volte il vocabolo ricorre nel significato più circoscritto di " città ", in Vn XXX 1 scrissi a li principi de la terra, dove D. allude alla cittade innominata, in cui è ambientato il libello; e in

If XXXI 21 Maestro, dì, che terra è questa?, allorché scorgendo in distanza i giganti, D. crede di vedere il profilo di un agglomerato cittadino irto di torri (al v. 41 ricorderà infatti Montereggion). Accompagnato da specificazione, due volte soltanto il vocabolo indica città non italiane: Tebe (Cv IV XXV 10 Polinice... non nominò suo padre, ma li antichi suoi e la terra e la madre) e Marsiglia (Pd IX 92 la terra... / che fé del sangue suo già caldo il porto, con allusione alla strage dei Marsigliesi perpetrata per ordine di Cesare da Decimo Bruto nel 49 a.C.); delle italiane sono ricordate Firenze (Rime XCI 97 Canzone, a' tre men rei di nostra terra / te n'anderai; XCVI 77 Fiorenza, la mia terra; If XIV 9 nostra terra prava [delle tre ombre dei sodomiti], e 58 Di vostra terra sono; XXIII 105 tua terra [di D.]), Lucca (i' torno per anche / a quella terra, che n'è ben fornita: / ogn'uom v'è barattier, XXI 40); Mantova (XX 98 la mia terra [di Manto]; Pg VI 75 O Mantoano, io son Sordello / de la tua terra!, e 80 la sua terra [di Sordello]); Ravenna (Siede la terra dove nata fui / su la marina dove 'l Po discende / per aver pace co' seguaci sui, If V 97); Rimini (XXVIII 86 Quel traditor che vede pur con l'uno [Malatestino Malatesta], / e tien la terra che tale [Curio] qui meco / vorrebbe di vedere esser digiuno); Forlì (XXVII 43 La terra che fé già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio nell'assedio terminato il 1 maggio 1282). La connotazione di " patria ", implicita peraltro anche in alcune delle occorrenze citate (per es. Pg VI 75 e 80), è esplicita nel contesto metaforico di Pd XXV 92-93 Dice Isaia che ciascuna [anima] vestita / ne la sua terra fia di doppia vesta: / e la sua terra è questa dolce vita, cioè il Paradiso.

Di una particolare pregnanza il vocabolo è poi caricato in Pd XI 56, dove il gioco metaforico d'identità tra s. Francesco e il sole permette che il sostantivo indichi sul piano letterale la cittadina umbra di Assisi o almeno i territori circonvicini, su quello simbolico invece l'intera t., cui il santo ardente di carità cominciò a far sentir... / de la sua gran virtute alcun conforto.

Per analogia, il significato di " territorio ", " regione " è esteso anche nell'ambito del mondo ultraterreno, a indicare l'Inferno (La terra lagrimosa, If III 133), la montagna del Purgatorio (la nova terra, XXVI 137), il Paradiso terrestre (l'alta terra, Pg XXVIII 69; ma qui il sostantivo preso isolatamente ha il significato di " terreno "); quello di " città " a Dite, che ne ha tutto l'aspetto (If VIII 77 terra sconsolata, e 130 per lui [il messo celeste] ne fia la terra aperta; e ancora IX 104, X 2).

Il pianeta. - Parlando della T. quale si presenta in complesso nell'opera dantesca è opportuno, per maggiore chiarezza, distinguere vari aspetti, e cioè: la sua posizione nell'universo; la sua dimensione e conformazione; la sua abitabilità (‛ climi '); l'ubicazione e reciproca relazione delle principali località secondo D.; alcune particolarità degne di nota (ombra della T., illuminazione, stagioni, ecc.).

L'opera nella quale maggiormente si parla della T. è la Quaestio, dove all'interno della questione se possa mai la superficie dell'acqua trovarsi al di sopra della superficie della terraferma, viene trattata tutta la conformazione e distribuzione del globo terracqueo. Anche in Cv III V e II III D. si occupa della T., a illustrazione, rispettivamente, dei versi: Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira (III Amor che ne la mente 19) e Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete (Cv II v. 1). Ma se l'esposizione - fra Quaestio e Convivio - è abbondante per i primi tre punti elencati, poco e incidentalmente tratta del quarto, che invece è il più importante per gli accenni geografici, astronomici e cronologici così frequenti nella Commedia.

Per D. la T. è una sfera immobile al centro dell'universo. Della sfericità della T. egli parla come di cosa su cui non cade dubbio: così nella Quaestio parla continuamente di circolarità, semisfericità, calotta sferica (figuram circularem cum convexo, § 57); e nel Convivio usa i vocaboli palla o, più raramente, tondo: in su questa palla (III V 12), sopra questa palla (§ 13), lo quale [equatore] tutta la palla cerchia (§ 19), questa palla dove noi siamo (§ 21); 'l suo tondo [globo] tutto si girava a torno al suo centro (§ 6). Qualcosa di più è detto a proposito dell'immobilità della T., con la breve confutazione dell'Anticthona (v.) di Pitagora e della teoria di Platone nel Timeo, secondo la quale la T. girava giornalmente sul suo asse seguendo lo primo movimento del cielo (ottavo o delle Stelle fisse), sia pure a rilento per la sua grossa matera e per la massima distanza.

La confutazione di D. è conforme alla dottrina aristotelica: Queste oppinioni sono riprovate per false nel secondo De Coelo et Mundo da quello glorioso filosofo al quale la natura più aperse li suoi segreti; e per lui quivi è provato, questo mondo, cioè la terra, stare in sé stabile e fissa in sempiterno. E le sue ragioni, che Aristotile dice a rompere costoro e affermare la veritade, non è mia intenzione qui narrare, perché assai basta a la gente a cu' io parlo, per la sua grande autoritade sapere che questa terra è fissa e non si gira, e che essa col mare è centro del cielo (Cv III V 7).

La T. ha un raggio di 3250 miglia (Il VI 10) e naturalmente un diametro di 6500 miglia (XIII 11, IV VIII 7); la semicirconferenza (mezzo lo cerchio di tutta questa palla, III V 11) di 10200 miglia e naturalmente la circonferenza - equatoriale - di 20400 miglia. Questo dato si ricava con più lungo calcolo da Pd XXX 1-3 Forse semilia miglia di lontano / ci ferve l'ora sesta, e questo mondo / china già l'ombra quasi al letto piano.

Le misure base per il calcolo sono: 1 ora = 15 gradi (360°: 24 h = 15°); 1 grado = miglia 56,6; 1 ora = 850 miglia.

Fra l'ora del mezzogiorno (l'ora sesta) e la prima alba (quando l'ombra della T. è quasi orizzontale) ci sono sette ore di differenza, e fra due luoghi che abbiano quella differenza di tempo ci sono circa 6000 miglia: 6 ore darebbero 5100 miglia, e 24 ore - quante ne occorrono alla luce del sole (circolo d'illuminazione) per fare tutto il giro del globo - 20400 miglia (5100 X 4), che è appunto la circonferenza terrestre. Questa misura è in Alfragano (Liber de aggregat. cap. VIII): " Cum ergo multiplicaverimus portionem unius gradus [miglia 56,6] in rotunditate orbis quae est 360 gradus erit illud quod inde aggregabitur rotunditas terrae et est 20 milia et quadringenta miliaria et cum diviserimus rotunditatem terrae per tertiam et septimam erit quod exibit quantitas diametri terrae quae est 6 milia et quingenta miliaria fere ".

Ma mentre Alfragano sembra che parli di miglia arabe, D. parla di miglia romane o latine o italiche: ora il miglio arabo essendo di quasi due Km (1978 m.) dà una circonferenza di circa 40.000 chilometri, vicinissima alla reale, mentre il miglio romano, essendo di quasi un chilometro e mezzo (m. 1475), dà una circonferenza inferiore di un quarto, e quindi abbastanza lontana dalla reale.

Su questa superficie sferica sono distribuite terre e acque. La terra emersa, la gran secca (If XXXIV 113), si chiama comunemente " la quarta abitabile " perché corrisponde a un quarto della sfera. Nella Quaestio D. dice: terra quae emergit ab aquis et quam comuniter quartam habitabilem appellamus (§ 5), e poi aggiunge: figura terrae emergentis est figura semilunii (§ 51); e infatti una mezzaluna corrisponde a un quarto di sfera. Ma se in longitudine il semilunio si estende per 180°, in latitudine si estende soltanto per 67° circa, ossia dall'equatore al circolo polare artico, o, come dice D., al circolo descritto attorno al polo del mondo dal polo dell'eclittica che è distante 23° circa dal polo del mondo. Quindi si tratta di un semilunio incompleto, tutt'attorno al quale si stende l'Oceano, quel mar che la terra inghirlanda (Pd IX 84).

Se la terra emersa ha la figura di un semilunio, ossia di un quadrante sferico, non emerge dall'acqua con contorno circolare e non forma una calotta sferica: D. nella Quaestio (§§ 49-58) insiste su questo punto, dicendo che, se fosse una calotta sferica, longitudine e latitudine (nel senso corrente di lunghezza e larghezza) sarebbero uguali, mentre sappiamo che l'una è 180° e l'altra 67°. Già Aristotele (Meteor. II V) aveva fatto la stessa osservazione, aggiungendo che la lunghezza della terra emersa è più grande della sua larghezza in maggior proporzione che il cinque al tre. ma allora come si spiega il mappamondo ‛ a ruota ' o a ‛ T ' (con l'oriente volto in alto), abbastanza diffuso nel Medioevo e del quale troviamo una descrizione ancora nella Sfera del Dati del 1435? Le cose sono così contrastanti che il mappamondo deve spiegarsi come un espediente (perfino ingegnoso, in questo senso) per esprimere l'estensione relativa dei tre continenti senza la pretesa di riprodurre la figura effettiva della gran secca.

Anche così incompleta, la terra emersa (in forma trapezoidale più che semilunare) non è tutta abitata: infatti la fascia equatoriale a sud è troppo calda e la fascia artica a nord è troppo fredda. Quello che rimane (3/5 circa) è propriamente l' ‛ abitabile ' o ‛ ecumene ', diviso in sette zone o ‛ climi ' (v.) che vanno dalla regione calda dei Garamanti (Cv III V 12 e 18) alla regione fredda degli sciti (Mn I XIV 6). Gerusalemme si trova nel terzo clima, a 32° di latitudine (questa misura in D. non compare mai, ma si ricava dalle sue fonti tra cui Alfragano) e a 90° di longitudine rispetto alle due estremità che sono Gade a occidente e Gange (le foci) a oriente: sicché la città santa è posta in medio climatum, meglio ancora che in mezzo alla terra emersa. Questa ubicazione corrisponde a dei passi biblici (pressoché dogmatici nel Medioevo) come: " Ista est lerusalem. In medio gentium posui eam et in circuitu eius terrae (Ezech. 5, 5); " Deus... / operatus est salutem in medio terrae " (Ps. 73, 12).

Se Gerusalemme è il centro del mondo abitato, Roma per D. è il centro del mondo occidentale o cristiano, a 45° dalla città santa e da Gade. Quando D. trovandosi sui Gemelli e movendosi con essi osserva l'aiuola che ci fa tanto feroci, la vede tutta da' colli a le foci (Pd XXII 151-153), cioè dalle colonne d'Ercole o colli di Abila e Calpe alle foci del Gange (è meglio intendere l'espressione anziché in un senso generico in un senso specifico, quello della longitudine). Per D., Gerusalemme e il Purgatorio sono antipodi avendo lo stesso orizzonte e diverso emisfero (Pg IV 67-71). Il Mediterraneo che separa Gerusalemme da Gade si estende per 90° (Pd IX 82-87). Vale la pena di ricordare che i termini di longitudine e di latitudine - poi applicati a tutta la T. anche in senso astronomico - sono sorti dalla figura caratteristica del Mediterraneo, che agli antichi appariva più lungo che largo in misura assai maggiore che a noi in quanto lo facevano lungo più del doppio.

Nella concezione geo-topografica di D. ci sono dunque quattro capisaldi, posti a 90° di longitudine e a 6 ore di tempo l'uno dall'altro, e cioè, nell'ordine: Gerusalemme, Gange, Purgatorio e Gade (o Ebro o Siviglia o Marocco). Quando il sole sorge al Purgatorio, tramonta a Gerusalemme, è mezzanotte al Gange (ed è - completando - mezzogiorno a Gade): Pg II 1-6; quando il sole sorge a Gerusalemme, tramonta al Purgatorio, è mezzanotte a Gade ed è mezzogiorno al Gange: XXVII 1-6. E così via in varia combinazione. Le indicazioni cronologiche di D. si basano tutte su questa geo-topografia, di esemplare semplicità architettonica e geometrica, ma proprio per questo convenzionale e, alla prova dei fatti, approssimativa e difettosa, come tutta la geografia del suo tempo.

A parte il Mediterraneo calcolato 90° invece di 42° e la longitudine Gade-Gange calcolata 180° invece di 100°, non è chiaro ed es. se per D. il Gange si trovi sull'equatore o sul tropico del Cancro o addirittura sul parallelo di Gerusalemme: donde la disputa ancora viva sull'interpretazione di Pd XI 51 come fa questo [sole] tal volta di Gange. A questo proposito, tralasciando altri quesiti particolari, non si può tacere l'obiezione fondamentale fatta da Rodolfo Benini, il quale sostiene che il Sion di D. (Pg IV 68) non è il colle di Gerusalemme ma il monte Sinai. " Io tengo... per fermo che il Sion, di cui è parola una sola volta nel Poema, sia l'altro, quel grande, quello che con Isaja immagineremo sopraelevato in vertice montium sui tre famosi gioghi del gruppo del Sinai, e australe a Gerusalemme quanto basta - riportandoci all'incerta geografia del Trecento - per collocarlo giusto sul parallelo del tropico nostro " (p. 69). Il " minuscolo colle di Gerusalemme " (alto 750 m sul mare e solo 150 sui dintorni) non può fare da contrapposto alla montagna del Purgatorio che è incredibilmente alta (addirittura 147 miglia: p. 143). E tout se tient: se la montagna è altissima, non può essere stata costituita dal materiale della relativamente piccola cavità in cui Lucifero venne a incastrarsi precipitando dall'Empireo al centro della T. (come generalmente s'intende), ma da tutto il materiale venuto a mancare per dar luogo al baratro infernale, di modo che si deve congetturare " l'eguaglianza di volume del Monte e del Cavo " (p. 157). Comunque si pensi in proposito (v. ANTIPODI), è certo che il cataclisma terrestre di If XXXIV 121-126 sta alla base di tutta la cosmografia dantesca, in quanto spiega come l'orbe terracqueo si costituì, sia all'interno che all'esterno, assumendo la sua forma definitiva.

Fra le particolarità di rilievo, c'è da considerare l'ombra della T. nello spazio e l'ombra del sole sulla T. e, più ampiamente, la modalità dell'illuminazione solare col conseguente fenomeno delle stagioni. Il cono d'ombra della T., diametralmente opposto al sole, mentre si erge sull'antimeridiano a mezzogiorno, è orizzontale al sorgere e al tramontare del sole ed è quasi orizzontale, quasi al letto piano, all'alba (Pd XXX 1-3). Questo quanto alla direzione, in rapporto all'orizzonte di un luogo qualunque; quanto alla lunghezza, esso raggiunge il cielo di Venere (IX 118-119) che dista, quando è più vicina, 167 volte il raggio terrestre (Cv II VI 10). Da questo fatto si è ricavato che D. coi tre primi cieli costituisca una specie di preparadiso, in corrispondenza all'Antipurgatorio e al vestibolo dell'Inferno. In Pg XXX 89 il poeta parla della terra che perde ombra, cioè della zona terrestre su cui il sole meridiano cade a perpendicolo impedendo il prolungamento dell'ombra: questa zona può essere l'equatoriale all'equinozio o la tropicale al solstizio; e si può preferire l'una o l'altra in base a una diversa argomentazione. Nel secondo dei capitoli del Convivio già citati (III V) D. parla a lungo del giro del sole intorno alla T.: egli immagina al polo nord una città di nome Maria e al polo sud una città di nome Lucia, e descrive il modo in cui queste due città vedono procedere il sole nel giro diurno equatoriale (sulla linea dell'equatore o in circoli paralleli all'equatore) e nel giro annuo eclittico (lungo una circonferenza inclinata di 23° 1/2 sull'equatore e che s'interseca con esso nei punti equinoziali, in congiunzione con l'Ariete e con la Libra). Siccome il sole ogni giorno gira attorno alla T. spostandosi sull'eclittica, il circolo d'illuminazione si sposta continuamente con lui provocando le stagioni: e i poli terrestri vengono ad avere ognuno sei mesi di luce e sei mesi di buio: Per che si può vedere che questi luoghi hanno un dì l'anno di sei mesi; e una notte d'altrettanto tempo; e quando l'uno ha lo giorno, e l'altro ha la notte (§ 17). L'equatore ha la state grandissima due volte l'anno (agli equinozi di primavera e di autunno, quando il sole è equatoriale) e due piccioli verni (ai solstizi, quando il sole è tropicale). Inoltre l'equatore ha sempre il dì uguale alla notte (12 ore l'uno e 12 ore l'altra) e vede il sole ogni giorno girare non come una mola o macina ma come una ruota. I poli invece (Maria e Lucia) lo vedono girare come una macina, e i luoghi intermedi lo vedono girare più o meno inclinato: D. cioè descrive quelle che modernamente si chiamano la ‛ sfera retta ', la ‛ sfera parallela ' e la ‛ sfera obliqua '. Non manca inoltre di dire che mentre Maria (emisfero settentrionale) vede il sole procedere nel cammino diurno verso destra, Lucia (emisfero meridionale) lo vede procedere verso sinistra, come accade agli antipodi (Pg IV 55-57).

Bibl. - Alfragano, Il Libro dell'aggregazione delle stelle, a c. di R. Campani, Città di Castello 1910; D.A., Quaestio de aqua et terra, a c. di F. Angelitti, Palermo 1915; I. Sanesi-G. Boffito, La geografia di D. secondo E. Moore, Firenze 1905; G. Marinelli, La geografia e i padri della Chiesa, ibid. 1908; G. Ricciotti, La cosmologia della Bibbia e la sua trasmissione fino a D., Brescia 1932; R. Benini, D. tra gli splendori de' suoi enigmi risolti, Roma 1952²; B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1965², 311-340; A. Pézard, Tours du monde avec D., in " L'Alighieri " VI 1 (1965).