TERRACOTTA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi TERRACOTTA dell'anno: 1966 - 1997

TERRACOTTA

A. Andrén

La parola italiana "terracotta" viene usata, dal Rinascimento in poi, e oggi anche in altre lingue, per indicare varî prodotti di argilla più o meno depurata, più o meno compatta, cotta fino ad assumere un colore rossastro o giallognolo, priva di copritura di smalto o di invetriatura, ma generalmente dipinta a colori vivaci applicati o prima o dopo la cottura. Prescindendo dai varî prodotti fittili di uso comune, privi di valore artistico o generalmente non compresi nella categoria delle t., come mattoni, vasellame, lucerne, pesi, tinozze, sarcofagi non decorati ecc., trattiamo qui delle t. figurate e decorative.

Per scopi artistici, l'argilla cruda è stata usata già nell'età paleolitica, come ci attestano non solo figurine primitive, ma anche i grandi bisonti di argilla cruda della grotta Tuc-d'Audubert (Ariège, Francia). Nell'antico mondo mediterraneo si è ricorso in tutte le epoche, dal Neolitico in poi, all'uso di t. per figurine di divinità, di uomini, di animali, che venivano collocate nei santuari quali doni votivi, o deposte nelle tombe per essere compagni e servi dei morti, o usate quali idoli e amuleti. Agli innumerevoli tipi di figurine si aggiungono le riproduzioni fittili votive e funerarie di templi e luoghi di sacrifizio, di case, di navi, con o senza figurine di uomini e di animali. Tali prodotti di t. sono spesso di grande importanza tanto per la conoscenza dell'architettura sacrale e profana, quanto per quella dei culti e delle religioni, dei riti sepolcrali e delle credenze riguardo all'Oltretomba.

In Egitto si trovano, tanto nei tempi predinastici quanto nelle epoche faraoniche, figurine funerarie di t. più o meno rozze, nonché riproduzioni fittili di navi e di case, ma in generale la t. è stata poco usata rispetto ad altri materiali preferiti dagli Egizi per durezza e levigatezza.

Nella valle dell'Eufrate e del Tigri l'argilla ebbe un impiego larghissimo: nelle tavolette per iscrizioni (duppu), nei mobili, nei mattoni ornati spesso a rilievi e smaltati. A parte quest'ultima produzione, la plastica in argilla si è però fermata (tranne qualche eccezione) ad un livello artisticamente assai basso, sia nella regione propria della cultura sumero-babilonese, come pure nei paesi da essa più o meno influenzati: Siria, Palestina, Assiria e l'Asia Minore hittita. Si notano specialmente, tra le figurine fittili, il tipo della dea della fertilità ripetuto per millenni, e inoltre idoletti che venivano collocati sotto la soglia, rilievi con raffigurazioni di demoni- di uso apotropaico- figurine di guerrieri, ecc.

Anche nelle regioni della cultura minoico-micenea la plastica in t. manteneva un posto secondario rispetto alle opere eseguite in materie più nobili. Di particolare interesse sono le figurine fittili di uomini e di una donna in costume cretese da Petsofà, dell'epoca Medio-Minoica I; le figurine di tori in stile naturalistico, dell'epoca Tardo-Minoica I, altri tori di esecuzione stilizzata, del Tardo-Minoico III e due tipi di idoletto stilizzato della stessa epoca, con le braccia alzate o abbassate lungo i fianchi (v. minoico-micenea, arte).

Solo con la formazione e con l'espandersi della cultura propriamente ellenica la plastica in t. si è sviluppata- in Grecia ed in alcune delle regioni sotto l'influenza della cultura greca (Asia Minore occidentale, Cipro, Italia)- sino a figurare accanto alla plastica in bronzo e alla scultura in marmo. In queste regioni le figurine fittili policromate furono fabbricate in quantità enormi per scopi votivi e sepolcrali, e anche come idoletti o come ornamenti delle case, nonché come bambole, talvolta con membra disgiunte e articolabili. E poiché le figurine fittili greche e grecizzanti, molto più numerose di quelle di bronzo, generalmente riproducono fedelmente la statuaria contemporanea o di poco anteriore, esse costituiscono un materiale importantissimo per lo studio dello sviluppo stilistico e dell'iconografia in generale e per l'identificazione di santuarî e di statue di culto.

Figurine. - Dopo la produzione delle figurine votive caratteristicamente stilizzate dell'epoca del cosiddetto stile geometrico (circa 900-750 a. C.)- principalmente cavalli con o senza cavalcatori, quadrighe, tori, ecc. - si manifesta anche nella coroplastica del VII sec. a. C., il cosiddetto stile dedalico. In seguito prevale, nelle statuette di donne o dee drappeggiate, sedute o stanti, nelle figurine di uomini stanti o giacenti, nelle protomi, quasi sempre a testa femminile, ed in altri prodotti fittili del VI sec. a. C., l'influsso dell'arte arcaica ionica, seguito poi da quello dell'arte attica; infine nelle figurine femminili vestite del peplo dorico ritorna un motivo della statuaria di "stile severo" (circa 490-450 a. C.). Più tardi nelle statuette dei secoli V-IV a. C. si ritrova un'eco dell'arte classica; infine, nelle figurine di fanciulle drappeggiate o ignude, di bambini giocanti, di amorini, di coppie amorose ecc., fabbricate a Tanagra, a Myrina e in altri luoghi, sono riconoscibili lo stile e il repertorio della scultura di età ellenistica (v. myrina; tanagra).

Come i vasi dipinti greci, le t. figurate di piccolo formato venivano spesso fabbricate per fornire una regione limitata o un certo santuario, e per l'esportazione, ciò che, accanto alle migrazioni di artisti e di artigiani, spiega la diffusione di stili e di tipi nei paesi d'importazione. Con l'espandersi della cultura greca e greco-romana si formavano così nuovi centri di fabbricazione di t. più o meno grecizzanti, ma destinate ad usanze religiose e ad esigenze locali diverse. Così nell'Egitto delle dominazioni macedone e romana si sviluppò una ricchissima produzione di t. raffiguranti divinità tanto egizie quanto greche ed ibride, nonché diversi tipi umani, spesso con intento caricaturale. Così si trovano a Roma figurine di gladiatori, di giocolieri ed attori grotteschi ed altre caricature; e nella Gallia, nella Germania, nella Spagna e nell'Africa della dominazione romana si trovano figurine di divinità indigene accanto a rappresentazioni conosciute anche altrove.

Rilievi. - Fra i doni votivi fittili di piccolo formato si notano anche tabelle dipinte o a rilievo colorato, spesso provviste di forellini per essere appese. Spiccano tra le tabelle a rilievo quelle rinvenute a Locri Epizefiri (v.), (Museo Naz. di Reggio Calabria), prodotti di una fabbrica locale eseguiti in stile arcaico tardo e dedicati, come dimostrano i soggetti rappresentati (Ade e Persefone, ecc.), alle divinità ctonie. Tra le t. di uso sacrale si notano inoltre treppiedi ed arule decorati a rilievo. Un altro gruppo interessante di rilievi fittili è costituito da quelli dell'isola di Milo intorno al 475-440 a. C. (v. melici, rilievi), i quali rappresentano figure, scene mitologiche o di genere, eseguite senza fondo, a traforo, per essere applicate probabilmente a mobili lignei e a sarcofagi. Tra i rilievi si possono anche annoverare le diverse maschere fittili votive o funerarie, trovate sia in Grecia che in Italia, in Sardegna e a Cartagine; si notano specialmente quelle rinvenute nel tempio di Artemide Orthìa a Sparta (v.), attribuibili per la maggior parte ai secoli VII e VI a. C.

Plastica monumentale. - È tipico del mondo greco ed italico, e sconosciuto o quasi alle altre civiltà antiche mediterranee, il larghissimo uso di t. anche nella plastica a grande formato e per rivestimento di edifici sacri.

Secondo una tradizione trasmessaci da Plinio (Nat. hist., xxxv, 151 ss.), il ceramista Boutades di Sicione avrebbe eseguito a Corinto il primo rilievo di t. di dimensioni più grandi del naturale, giovandosi per il modello dell'ombra proiettata da una testa umana; lo stesso Boutades era anche considerato inventore delle maschere fittili poste alle estremità degli embrici sopra le gronde, cioè antefisse, che, modellate prima a mano (pròstypa), egli realizzò più tardi per mezzo di matrici (èctypa). Tale invenzione, secondo Plinio, fu l'origine della decorazione dei fastigi templari, cioè degli acroteri. Secondo un'altra tradizione pure tramandataci da Plinio, l'invenzione dell'arte di modellare in argilla fu invece attribuita a Rhoikos e Theodoros di Samo (VI sec. a. C.), generalmente designati quali inventori della fusione in bronzo. Queste tradizioni rispecchiano due fatti importanti: la posizione dominante, confermata dall'archeologia, della produzione corinzia di ceramica e di t. architettoniche durante i secoli VII e VI a. C., e l'importanza fondamentale avuta dall'arte di modellare in argilla per la tecnica della fusione di grandi statue bronzee (ogni statua di bronzo fusa a cera perduta è infatti la riproduzione di un modello fittile della stessa grandezza). Anche la statuaria in marmo è ricorsa a modelli fittili, dopo la liberazione della scultura greca dal rigido schema frontale dell'arte "arcaica". Anche questo fatto è rilevato da Plinio (Nat. hist., xxxiv, 35; xxxv, 153 ss.) il quale inoltre, citando Varrone, riferisce che i modelli in argilla (proplàsmata) eseguiti da Archesilaos (I sec. a. C.) furono venduti agli artisti a prezzo maggiore di opere altrui interamente compiute, e che il famoso Pasiteles (v.) non eseguì mai una statua senza il modello fittile, chiamando la plastica in argilla madre della cesellatura, della statuaria (in bronzo) e della scultura. L'importanza del modello fittile per la plastica in bronzo è confermata anche dal detto di Policleto, riferito da Plutarco (Convivalia, ii, 3, 2; De profectibus in virtute, 17), che il più difficile momento del lavoro arriva "quando l'argilla viene all'unghia". A parte la questione se l'arte di gettare in bronzo figure internamente vuote sia stata introdotta in Grecia dall'Egitto o meno, pare anche significativo che nell'Egitto faraonico e nel Vicino Oriente antico, ove statue fittili sono rarissime o mancanti, ci manchino pure grandi statue di bronzo, ad eccezione di quella della regina Napir-Asu di Elam, di fattura tecnicamente insolita (v. elamita, arte).

Siamo informati da Plinio (Nat. hist., xxxv, 66 e 155) e da Pausania (1, 2, 5; 1, 3, 1; i, 40, 4; vii, 22, 9) dell'esistenza in Grecia di statue e di altre opere plastiche eseguite, in varie epoche, interamente o in parte, di argilla cruda o cotta. Lo scarso numero di tali opere menzionate dagli autori, ed i ritrovamenti in suolo greco, non molto numerosi, di frammenti spesso assai ridotti di statue fittili di grandezza naturale o quasi, ci mostrano però che i Greci, maestri già da tempo dell'arte statuaria in bronzo e nei marmi del paese, si sono avvalsi di t. solo eccezionalmente per fare vere e proprie statue votive, commemorative o di culto. I paesi invece che nella tradizione e per i rinvenimenti archeologici spiccano quali centri della grande plastica in argilla, sono l'isola di Cipro e l'Italia.

Nell'isola di Cipro, priva di pietra più nobile del calcare, ma famosa per la sua produzione di rame, sede di una industria di figurine fittili floridissirna già nell'Età del Bronzo, figura quale inventore delle tegole e fondatore dell'industria del bronzo il mitico re Kinyras (Flin., Nat. hist., vii, 195), che defraudò i Greci mandando loro, invece della flotta promessa per l'assedio di Troia, navi e guerrieri di terracotta (Apollod., Ep., iii, 9). Mentre in Cipro la statuaria in bronzo è degnamente rappresentata dalla testa di Apollo di Chatsworth (che è del V sec. a. C., e di arte puramente greca) la plastica monumentale in t. ci è nota attraverso una grande quantità di idoli talvolta di dimensioni colossali, o di doni votivi collocati spesso intorno all'idolo o all'altare. Questa plastica si sviluppa dalla metà circa del VII sec. a. C. fino all'età ellenistica, manifestando tanto le peculiarità stilistiche indigene quanto certe affinità con l'arte siriaca e influenze determinate dell'arte greca.

Statue fittili di stile greco più puro, si trovano nei secoli VI e V a. C. in Sicilia. Esempî cospicui sono: una statua di dea seduta, scoperta a Grammichele, opera indigena della metà del VI sec. a. C.; un'altra statua di dea assisa, pure da Grammichele, ma nello stile dell'arcaismo ionico intorno al 500 a. C.; una statua di peplophòros da Inessa, di stile severo (circa 490-450 a. C.); una serie di busti votivi, con testa muliebre coperta da modio, fabbricati durante tutto il V sec. a. C., scoperti a Grammichele e specialmente ad Agrigento.

Nell'Italia meridionale la coroplastica monumentale ci è degnamente rappresentata dalla statua fittile arcaica, forse di Zeus, da Paestum, e durante l'età ellenistica, da una quantità di statue votive e funerarie di t., scoperte specialmente a Capua e a Canosa, fra le quali si notano particolarmente immagini della dea Damia (seduta con in grembo bambini in fasce) figure drappeggiate, di uomini e di donne dalle proporzioni allungate, e le numerose figure di prefiche canosine. Talvolta sono busti, tagliati in piano all'altezza del diaframma. Nella Sardegna si notano due statue fittili da Nora.

È però nell'Etruria e nelle regioni influenzate dalla cultura etrusca, cioè nel Lazio, nelle colonie etrusche della Campania, nelle zone limitrofe dell'Umbria e nella pianura padana, regioni prive di marmo o di altra pietra bene adatta a scultura, che la plastica monumentale in t. ha avuto il suo più splendido e durevole sviluppo, attestato dalle fonti letterarie e dalle scoperte archeologiche. Secondo una tradizione raccolta da Plinio (Nat. hist., xxxv, 152), Damarato, padre poi in Etruria di Tarquinio Prisco re di Roma, fuggendo da Corinto fu accompagnato dai formatori Eucheir, Diopos ed Eugrammos, i quali insegnarono all'Italia la plastica in terracotta. La tradizione rispecchia il fatto, archeologicamente provato, dell'importanza dell'importazione in Italia di vasi corinzî nel VII sec. a. C. Plinio asserisce inoltre (Nat. hist., xxxv, 157), sull'autorità di Varrone, che l'arte di modellare in argilla era molto avanzata in Italia e specialmente in Etruria, ciò che ha probabilmente dato origine alle notizie erronee, tramandateci da Taziano e da Clemente Alessandrino, che gli Etruschi siano stati gli inventori di quest'arte. Come prova della sua asserzione Plinio, sempre trascrivendo Varrone, parla delle opere in Roma, dell'artista Vulca di Veio. Tali tradizioni sono state comprovate dalle scoperte a Veio di una serie di statue fittili dipinte, in grandezza naturale, databili agli ultimi anni del VI sec. a. C. (v. veio; vulca). Alle statue fittili di Veio si associano altre coeve o di poco più recenti come: frammenti di una figura di donna drappeggiata e di una di centauro di Civita Castellana, ora nel Museo di Villa Giulia a Roma ed altri frammenti, probabilmente di un gruppo di Giove, Giunone e Minerva, provenienti da Satrico, nello stesso museo.

In un altro passo (Nat. hist., xxxiv, 34) Plinio rammenta come cosa singolare che in Italia si sia continuato a dedicare nei templi, di preferenza, statue di dèi di legno o di t. sino alla conquista dell'Asia (II sec. a. C.). Questa notizia viene anche essa pienamente confermata dai rinvenimenti di statue fittili di varie divinità, non solo degli ultimi secoli della Repubblica, ma qualche volta anche di età imperiale, come, per esempio, quella di Mercurio da Tivoli, quelle di Cerere e di Proserpina scoperte ad Ariccia, e le statue di Giove, di Giunone e di Minerva erette a Pompei per sostituire le immagini delle divinità capitoline distrutte dal terremoto del 63 a. C. Ci sono anche note statue fittili di uso profano, come quelle di Minerva e di alcune Muse scoperte presso la Via Latina nel 1767 ed ora nel British Museum, le statue di un attore e di una attrice, di efebi, ecc. rinvenute a Pompei, ed altre.

Un altro ramo importante della t. etrusca è costituito dai sarcofagi e dalle urne funerarie, con una o due figure dei defunti giacenti sul coperchio. Spiccano fra i sarcofagi, per arte e per grandezza, i due esemplari arcaici a klìne di Caere (v. cerveteri), prodotti dell'arte etrusca ionicizzante della seconda metà del VI sec. a. C. I sarcofagi fittili di età tarda (III-I sec. a. C.), come pure le urne funerarie della stessa epoca, decorate anche a rilievo nel lato anteriore della cassa, sono invece- con poche eccezioni- di arte scadente, ma interessanti per i motivi mitologici dei rilievi e per la forza espressiva che ci rivelano alcune delle immagini dei defunti. Un terzo gruppo di t. etrusche ed etrusco-italiche di formato grande è costituito di un genere di ex voto noto anche in Grecia, specialmente per ritrovamenti fatti a Corinto- consistente in rappresentazioni di parti del corpo umano- teste intere o dimezzate, mani, piedi, braccia, gambe, mammelle, intestini, organi genitali, ecc. - in grandezza naturale. La grande massa di tali doni votivi naturalmente ha poco valore artistico, ma fra le teste se ne trovano alcune che interessano per i riflessi che mostrano dell'arte greca, per il loro realismo, o per l'essere ornate con riproduzioni fittili di oreficerie. Qualche volta si modellavano pure, specialinente negli ultimi tempi della Repubblica, veri ritratti di terracotta (v. ritratto).

T. architettoniche. - La necessità di proteggere e di decorare i primitivi templi greci costruiti per buona parte con materiali facilmente deperibili- mattoni crudi e legno- ha condotto all'invenzione di rivestimenti decorativi di bronzo e di argilla cotta. In Grecia, l'uso del bronzo per tali scopi, conosciuto già nell'architettura micenea ed assira, ci è attestato solo da qualche sopravvivenza di ornamentazione bronzea e dalle notizie sul tempio di Atena Chalkìoikos a Sparta e sul terzo tempio di Apollo a Delfi (Paus., iii, 17, 2; x, 5, ii); quello di argilla, invece, da numerosi ritrovamenti di t. architettoniche.

Gli scavi eseguiti a Lerna nell'Argolide ci hanno dimostrato l'esistenza già nell'Elladico Antico di edifici rettangolari coperti con schisto e con tegole di argilla cotte. Per il sec. VIII a. C., un numero di casette o tempietti votivi di t., scoperti a Perachora e nello Heraion argivo, ci attestano l'esistenza di tetti a due falde molto spioventi e poco adatte ad essere coperte con tegole. Nell'età storica troviamo in Grecia due sistemi di protezione-decorazione architettonica di t., chiamati "tegolo laconico" e "tegolo corinzio" (I. G., ii, 167, 60; 1054, 58; cfr. Pollux, x, 157 e 182). Queste denominazioni rispecchiano il predominio, archeologicamente bene attestato, che hanno avuto in età arcaica nella produzione ceramica Sparta e Corinto; a quest'ultima città venne anche attribuita l'invenzione delle antefisse (v. sopra) e del frontone templare creato per l'abbassamento del tetto primitivo e chiamato, a causa della sua forma, aetòs, cioè "aquila (volante)"; (cfr. Pind., Olymp., xiii, 21; Anecdota Graeca Bekkeri, 343). Il sistema laconico, che vediamo sviluppato specialmente nel secondo tempio di Hera ad Olimpia (circa 600 a. C.), è più semplice e consiste dei seguenti elementi: tegole ricurve ed embrici semicilindrici restringentisi in alto per permettere la sovrapposizione dei pezzi; tegole di gronda piane con orlo anteriore a gocciolatoio; grandi coppi semicilindrici del colmareccio, provvisti di aperture semicircolari per l'inserzione degli embrici; antefisse ed acroteri a disco che chiudevano le estremità degli embrici sopra le gronde e sopra gli apici dei frontoni ed erano decorate con ornamenti geometrici dipinti ed incisi o, qualche volta, con motivi figurati a rilievo. Talora, come nel tempio di Artemide Orthìa a Sparta, le tegole terminali delle gronde e dei frontoni erano fornite di orli alzati che formavano sime laterali e frontonali. Sembra che le tegole del sistema laconico siano state collocate generalmente su uno strato di argilla cruda che le teneva a posto. Il sistema corinzio, più complicato, ci presenta nelle sue fasi più antiche una grande varietà di forme: tegole piane con margini laterali ricurvi o alzati ad angolo retto; embrici foggiati a guisa di tetto a doppia falda e spesso in maniera che tegola ed embrice avessero a formare un solo pezzo; antefisse concepite quale semplice chiusura dell'estremità dell'embrice, con una palmetta a rilievo; tegole di gronda con doccioni in forma di teste di uomini, di sileni, di leoni, di cani, applicate qualche volta alle fronti alzate delle tegole, ed alternate con antefisse a testa femminile, in modo da formare con esse sime laterali continue; sime frontonali di forma e decorazione variate, qualche volta ornate pure con palmette o teste umane collocate lungo l'orlo superiore; coppi del colmareccio, semicilindrici o a doppia falda, con in cima una serie di palmette diritte, collocati generalmente su embrici di forma speciale, coprenti le commessure tra coppo e coppo; acroteri a disco ornato con un gorgonèion e metope di t. dipinta, inserite fra triglifi di legno. Le tegole, gli embrici e le tegole terminali costituenti le sime erano congiunte e tenute ferme mediante un sistema di assottigliamento e dimezzamento degli orli commessi e, nel caso delle sime, anche per mezzo di un'asta di metallo attraversante i singoli pezzi. Di grande importanza è il fatto che alcune metope di Thermos e alcune tegole terminali di Kalydon portano indicazioni del posto che dovevano occupare, scritte con lettere dell'alfabeto corinzio, ciò che sta a dimostrare, insieme a criterî stilistici e tecnici, che le t. architettoniche rinvenute nei due santuarî etoli, al pari di altre scoperte a Corfù, sono di fabbricazione corinzia. Qualche volta t. dei due sistemi corinzio e laconico si trovano insieme sul medesimo tetto; si notano specialmente i casi ove le tegole e gli embrici delle gronde erano del tipo corinzio, mentre il resto del tetto fu coperto alla maniera laconica, meno costosa (v. anche tetto).

Verso la fine del VI sec. a. C. il sistema corinzio ha assunto le sue forme canoniche, rappresentate specialmente dal thesauròs di Megara ad Olimpia, e caratterizzate da una voluta disciplina della decorazione, particolarmente di quella figurata: le sime laterali e i coppi del colmareccio con gli acroteri discoidi a gargonèion sono abolite; le antefisse a testa umana o silenica sono sostituite da antefisse a semplice palmetta sopra un fior di loto; e i motivi figurati sono limitati agli acroteri in forma di sfingi, leoni, cavalli, Nikai alate, Zeus con Ganimede, ecc., e alle figure frontonali scolpite in marmo o in altra pietra. Nei secoli successivi questo sistema di rivestimento-decorazione è stato spesso tradotto, in tutto o in parte, in marmo. Tecnicamente interessanti sono le tegole fornite di una grande apertura per la luce e per il fumo, circondata da un orlo rilevato per impedire l'entrata di acqua piovana (Hesych., s. v. ὀπαία κεραμίς, ii, 54).

Nell'Egeo, a Creta e nelle regioni di cultura greca dell'Asia Minote si trovano tegole ed embrici sia del tipo laconico che di quello corinzio, usate qualche volta insieme. Anche le antefisse assumono le due forme note pure nella Grecia, secondo il tipo di embrice semicilindrico o a due falde, ma la loro decorazione, eseguita a rilievo, è per lo più figurata e talvolta d'indole mitologica: leoni, grifi o uccelli araldici, gorgonèia, teste di leoni, Eracle con l'arco, Bellerofonte su Pegaso, ecc. Sono egualmente rappresentati i due tipi di acroterio noti in Grecia: quello a disco e quello statuario, a figura di sfinge, di sirena ecc. La decorazione più caratteristica consiste però in tegole terminali e lastre di rivestimento che formavano fregi figurati con rappresentazioni a rilievo dipinto di corse di bighe, di guerrieri a piedi o a cavallo, di centauromachie, di banchettanti, di varî animali araldici, usati spesso per fiancheggiare i doccioni semitubolari delle sime laterali; a questi motivi cari all'arte arcaica ionica, se ne aggiunge un altro direttamente desunto dall'arte assira: l'albero sacro tra due capri o due antilopi rampanti.

Il sistema di rivestimento fittile tipico dei templi arcaici della Sicilia e della Magna Grecia ci è illustrato specialmente dalle t. architettoniche del thesauròs di Gela ad Olimpia, della seconda metà del VI sec. a. C., conformi per stile e per tecnica a quelle della Sicilia ed importate senza dubbio da Gela. Questo sistema ci presenta le seguenti caratteristiche: tegole piane combinate con embrici semicilindrici; coppi del colmareccio pure semicilindrici ed ornati in cima con palmette; sime ricurve collocate non solo sopra gli spioventi del frontone e lungo le gronde, ove erano provviste di doccioni tubolari, ma. anche sopra la cornice orizzontale del timpano; ed infine, lastre e cassette usate non solo per proteggere trabeazioni di legno, ma anche per rivestire cornici lapidee, per la mancanza di marmo e la qualità scadente della pietra locale. Ciò che contraddistingue di più questo sistema, è però l'assenza di antefisse, non combinabili con le sime laterali, e la ristrettezza dell'ornamentazione a rilievo, in quanto che sime, lastre e cassette di rivestimento erano decorate con disegni ornamentali eseguiti quasi esclusivamente a colori. La decorazione figurata era generalmente limitata ad acroteri a disco ornato con un gorgonèion; ad altri acroteri in forma di cavalieri, di arpie, di sirene; e ad enormi gorgonèia a rilievo collocati al centro dei frontoni. Nel corso del VI e del V sec. a. C. vennero però in uso, specialmente nella Magna Grecia, sime e rivestimenti decorati con meandri e con palmette e fiori di loto a tutto rilievo, mentre i gocciolatoi tubolari delle sime laterali vennero sostituiti da gocciolatoi a testa di leone; qualche volta le gronde erano prive di sime e decorate invece con antefisse a gorgonèion, a testa femminile o silenica, a palmetta. Un tipo di rivestimento fittile quasi unico ci presenta il tempio di Apollo Alèios a Cirò, della seconda metà del V sec. a. C.

Mentre nel mondo ellenico l'uso di rivestimenti architettonici di t. andava diminuendo in seguito al disciplinarsi del gusto, e mano a mano che i templi furono costruiti quasi interamente in pietra, quest'uso ebbe in Etruria e nel Lazio lunghissima durata e brillante sviluppo, a causa della mancanza in queste regioni di marmo e di altre pietre adatte a scultura architettonica, e grazie alla tendenza etrusco-italica di sovraccaricare i templi con decorazione ornamentale e figurativa. I rivestimenti fittili dei più antichi templi etrusco-italici, prodòtti indigeni del VI sec. a. C., dimostrano specialmente, ma non esclusivamente, l'influsso delle t. architettoniche di stile ionico arcaico dell'Asia Minore. Questi rivestimenti sono costituiti da tegole piane e da embrici semicilindrici; da coppi del colmareccio pure semicilindrici, con acroteri tondi a testa di gorgone a rilievo o qualche volta costituiti da figure di sfinge collocate sopra il coppo; da sime laterali basse con doccioni a testa felina; da antefisse semplici a gorgonèion o a testa femminile, qualche volta combinate con le sime laterali; ed infine, quale elemento più caratteristico, sime e lastre di rivestimento decorate con fregi a rilievo, rappresentanti i motivi noti nell'Asia Minore: processioni di animali, processioni e corse di bighe, guerrieri a cavallo, figure banchettanti, danzanti, ed assemblee di divinità. Singolari sono alcuni rivestimenti da Caere decorati con ornamenti eseguiti esclusivamente a colori.

Nel corso del tempo, dagli ultimi decenni del VI fino al I sec. a. C., i rivestimenti fittili dei templi etrusco-italici assumono forme sempre più ricche e variate, in cui gli elementi desunti dall'arte greca sono adattati al gusto locale e alle esigenze della costruzione peculiare dei templi. Questa è più nota attraverso le t. architettoniche, alcuni tempietti fittili votivi e la descrizione di Vitruvio, che non dagli avanzi dei templi stessi (v. Tavv. a colori).

Nell'enorme ricchezza di tali t. si notano specialmente le lastre di rivestimento delle trabeazioni di legno, decorate con disegni svariatissimi, generalmente di palmette e di fiori di loto a rilievo policromato; altre lastre dipinte senza rilievo, di rivestimento dell'interno delle celle; tegole di gronda dipinte, fissate con chiodi ed ornate spesso con una cortina pendula; antefisse che, abolite le sime laterali, assumevano grandezze notevoli, presentando il solito motivo del gorgonèion, della testa di sileno e di menade, di Achebo, eccezionalmente di negro, con intorno un nimbo baccellato o decorato con palmette e fiori di loto; altre antefisse a figure intere, singole o a coppia, di sileni e di menadi, di arpie e di altri esseri mostruosi, della cosiddetta Artemide Persiana (πόντια ϑηεῶν) e di un genio alato, ecc.; antefisse meno grandi collocate sopra la cornice orizzontale del timpano; lastre a rilievo figurato coprenti le testate del columen e dei mutuli nel timpano; grandi sime frontonali, baccellate e decorate in cima con una cornice traforata costituita da girali sormontati da palmette; varî acroteri figurati o a grande palmetta traforata; ed infine- elemento introdotto nel V sec. a. C. - figure frontonali generalmente eseguite in alto rilievo ed applicate, leggermente inclinate all'infuori per essere meglio visibili, a grosse lastre fissate al fondo del timpano. Caratteristica etrusco-italica è inoltre l'uso di collocare sul colmo del tetto grandi statue a tutto tondo, come quelle di Veio già citata, e di applicare alla fronte di sime e di antefisse altre figure eseguite ad alto rilievo; questo gusto ha anche causato la reintroduzione di fregi figurati di t. nell'età ellenistica. Fra i tanti templi a decorazione fittile etrusco-italica, doveva avere particolarità proprie il tempio di Cerere a Roma dedicato nel 493 a. C., il cui rivestimento di t. dipinta fu eseguito dai plasticatori e pittori greci Damophilos e Gorgasos (Plin., Nat. hist., xxxv, 154). L'attività di tali plasticatori greci ci è attestata a Roma anche dal rinvenimento nel Foro Romano e sull'Esquilino di frammenti di t. architettoniche che si differenziano per l'esecuzione dalla grande massa di t. architettoniche etrusco-laziali, nonchè a Caere dai rivestimenti con ornamenti a solo colore sopra menzionati.

La multiforme decorazione fittile dei templi etrusco-italici non è però interamente creata nelle officine dei plasticatori, ma per buona parte in quelle dei bronzisti. Vitruvio (III, 3, 5) dice espressamente che il Capitolium romano, il tempio di Cerere testé citato ed altri templi dello stesso tipo erano ornati con opere figurate di t. o di bronzo dorato, ed altri autori parlano di tempietti bronzei, cioè con rivestimenti di bronzo, quali l'edicola delle Camene eretta da Numa nella valle di Egeria (Serv., ad Aen., i, 8) e l'edicola di Concordia eretta sul Foro Romano da Gn. Flavio nel 304 a. C. (Plin., Nat. hist., xxxiii, 19). Tali notizie sono confermate dai rinvenimenti, a Palestrina e nel tempio di Diana a Nemi, di frammenti di rivestimenti di bronzo, conformi a quelli di t. e talvolta dorati, nonché dal fatto che alcuni elementi della decorazione architettonica di t. specialmente le cornici a girali traforate, le cortine pendule delle tegole di gronda e parecchi tipi di lastre a disegni ritagliati- dimostrano per le loro forme metalliche di essere originariamente creati per l'esecuzione in bronzo. L'uso di t. architettoniche si è col tempo propagato anche al di là dell'Italia, come ci è attestato, per esempio, dalle antefisse trovate in Spagna ed in Francia, e dai fregi figurati rinvenuti a Castelman-le-Nez e ad Orgon nella Francia meridionale. Nell'Italia della tarda Repubblica e dell'epoca imperiale, in cui si affermava l'architettura templare ellenistica in pietra, si è tuttavia continuato ad usare la t. per la decorazione di edifici profani.

Le costruzioni dei tetti degli atrî tuscanici, displuviati e testudinati, esigevano, all'incontrarsi delle falde, tegole di forme speciali, chiamate colliciares e deliciares (Festo, 73 e 114). Si notano inoltre sime ornamentali, con doccioni a testa di leone, a delfino, a maschera teatrale ecc., le quali costituivano l'orlo dei compluvi degli atrî; piccole antefisse decorate per lo più con un gorgonèion o con una testa di divinità sormontata da palmetta; e, specialmente notevoli per quantità e valore artistico, sime ordinarie e lastre di rivestimento decorate talvolta con disegui derivati dal repertorio etrusco-italico, ma per lo più con motivi decorativi e mitologici desunti dall'arte classicistica neoattica. A questi ultimi prodotti, fabbricati durante il periodo che va dagli ultimi anni della Repubblica fino al principio del II sec. d. C., e chiamati spesso col nome del marchese G. P. Campana che ne fece grandissima raccolta, si aggiungono alcuni rilievi frammentari di t., di dimensioni molto più grandi, riproducenti tipi ben noti di menadi neoattiche o altri modelli classici.

Tecnica. - Mentre per i vasi fittili, ad eccezione dei recipienti molto grandi, si è generalmente procurata, sciogliendola in acqua, un'argilla per quanto possibile depurata ed omogenea, per le t. si è invece usato un impasto la cui consistenza varia secondo la grandezza e la destinazione degli oggetti. Di solito, le figurine sono fatte interamente di argilla ben depurata, ma meno compatta di quella usata per i vasi. Statue e statuette, sarcofagi, t. architettoniche, teste votive di grandezza naturale ecc., presentano invece un'argilla più o meno grossolana e spesso deliberatamente frammista con sabbia, pozzolana o frantumi di t., evidentemente per assicurare agli oggetti maggiore resistenza ed impedire che si fendessero durante la cottura, a causa della evaporazione dell'umidità e della contrazione dell'argilla sotto l'azione del calore. Nelle t. di fattura più accurata, e specialmente in quelle modellate a mano, questa argilla grossolana è di solito coperta da uno strato di argilla depurata più plasmabile.

Le figurine fittili più primitive sono piene e modellate a mano, in forma tondeggiante o di semplice placchetta, con dettagli incisi con una stecca o resi per mezzo di palline e fettucce d'argilla aggiunte. Figure più grandi, però, dovevano necessariamente farsi con l'interno vuoto, per alleggerirne il peso, per risparmiare materiale e per evitare cottura ineguale e fessure. Pare che l'idea della figura fittile vuota sia sorta nell'officina del vasaio, il quale talvolta dava ai suoi prodotti forme più o meno antropomorfe. Sta di fatto, comunque, che non solo molti idoletti fittili micenei, ma pure alcune statue e statuette arcaiche di t. trovate in Cipro, a Praisos e sull'acropoli ateniese, hanno un corpo cilindrico, o a cono, eseguito sul tornio del vasaio o per mezzo di fettucce di argilla sovrapposte l'una all'altra in cerchio, come nella fattura dei vasi a dimensioni grandi. Il fatto che la stessa forma del corpo si trovi anche in statue arcaiche di bronzo e di marmo, si spiega probabilmente come dovuto ad influsso della plastica in argilla. Anche gli acroteri a disco furono spesso eseguiti sul tornio del ceramista.

In statue di forma più naturalistica, le pareti fittili furono plasmate esclusivamente a mano, con l'aiuto di un'armatura di legno, chiamata κάναβος, stipes, crux (Hesych., s. v. Κάναβος; Pollux, viii, 164; x, 189; Tertull., Apol., 12; Ad nationes, i, 12), che sosteneva la figura mentre era ancora molle, e che doveva sparire durante la cottura. Plinio (Nat. hist., xxxiv, 45 s.), infatti, dice di aver visto nell'officina di Zenodoros, maestro del colosso bronzeo di Nerone, non solo il modello fittile dell'opera, ma anche la prima impalcatura di esso, costituita di piccoli pioli di legno (surculi). Per sostenere meglio e rinforzare la statua, questa veniva spesso appoggiata o attaccata, a guisa delle statue marmoree romane copiate da originali di bronzo, ad un pilastro o ad un tronco d'albero, modellato in un pezzo con essa, o si faceva scendere il drappeggio fino alla base per servire di appoggio. Spesso si costruivano nell'interno della statua pareti e puntelli fittili di rinforzo, e le parti sporgenti venivano talvolta rinforzate mediante aste di metallo che si introducevano prima della cottura, o che le riunivano con altre parti della statua.

La modellazione veniva compiuta parzialmente con l'aiuto di una stecca appuntita ad un'estremità ed appiattita all'altra. Diverse gemme, alcuni sarcofagi a rilievo raffiguranti Prometeo in atto di modellare l'uomo, e una pittura vascolare rappresentante Atena che sta modellando un cavallo, ci illustrano l'uso della stecca. La modellazione ad incisione, e l'uso riscontratosi qualche volta anche in figure fittili, come regolarmente in statue di bronzo, di eseguire gli occhi con materiale diverso sono indizî, da aggiungere a quelli già citati, dell'affinità che esiste fra la tecnica dell'argilla e quella del bronzo (v.) e degli influssi reciproci che l'una tecnica ha esercitato sull'altra. Strumento più importante della modellazione erano tuttavia pur sempre le dita dell'artista, come ci attestano numerosissime impronte su prodotti fittili di ogni genere e di ogni epoca. Le membra di una statua, la massa dei capelli, la barba, alcuni particolari del vestimento, le oreficerie, ecc. venivano sovente aggiunte, come parti separate, al corpo più o meno compiuto. Qualche volta, specialmente per figure grandi e complicate, forse a ragione della capacità limitata della fornace, o per facilitare la cottura, sempre rischiosa a causa della contrazione dell'argilla, si eseguivano figure frontonali e sarcofagi in due o più parti componibili talvolta per mezzo di perni. L'uso di matrici si rendeva utile specialmente per la grandissima produzione di t. votive ed architettoniche. Le matrici si ottenevano premendo una massa adeguata di argilla contro un prototipo di t. modellato a mano. Le impronte, stondate al dorso e provviste, se occorreva, di incisioni o forellini per le cordicelle che dovevano legarle ad altre per ottenere figurine a tutto tondo, venivano anche esse cotte nella fornace, dopo di che erano pronte per la fabbricazione di una quantità grandissima di oggetti fittili, solidi o vuoti, esattamente consimili all'originale, ad eccezione di differenze minori originate da eventuali ritocchi a mano, e non contando l'inevitabile diminuzione causata dalla cottura sia della matrice come dell'oggetto formato in essa. Le matrici si conservavano accuratamente nelle officine dei modellatori, come si vede specialmente dai ritrovamenti nel quartiere dei ceramisti a Corinto di gran numero di matrici e di figurine fittili, databili nel periodo che va dal VII fino al III sec. a. C. Qualche volta, trattandosi di forme per la produzione di t. architettoniche templari, esse venivano conservate in un tempio, come era il caso di uno dei templi della contrada Vignale a Civita Castellana, ove furono trovate insieme antefisse fittili e le matrici che erano servite per la manifattura di esse. Qualche volta una linea irregolare e un po' rialzata, attraversante il rilievo di un'opera plastica fittile, ci attesta l'uso di una matrice rotta e ricomposta. Quando però una matrice era irreparabilmente rotta, troppo logorata, scomparsa o per altra ragione non più disponibile, se ne è sovente procurata un'altra ricavandola mediante impronta sopra un oggetto fatto con la matrice originale; ripetendo questa procedura si è talvolta ottenuta una serie di copie differenti per grandezza e per particolari, a causa della diminuzione progressiva del formato e della nettezza, nonché per i ritocchi e le aggiunte resi necessari da un tal procedimento. (Lo Jastrow ha constatato un ritiro dall'8,5% al 9,4% a seconda della terra; perciò un originale diminuisce una prima volta nella esecuzione della forma e una seconda volta nel successivo stampo, complessivamente dal 17% al 18,8%). Rilievi votivi, lastre di rivestimento, antefisse, sime ed altri membri di decorazione architettonica ornati ad una faccia sola furono generalmente eseguiti pieni con l'aiuto di una sola matrice, e al loro lato posteriore fu data a mano, o con l'aiuto di qualche strumento adatto, la debita forma piana o ricurva. Per figurine o statuette si usava regolarmente una matrice che rendeva la parte anteriore, mentre quella posteriore, quando non veniva lasciata aperta, si formava o con una fetta liscia di argilla o con l'aiuto di un'altra matrice, cosicché la statuina risultava internamente vuota, eseguita veramente a tutto tondo. Inferiormente, la figurina veniva lasciata aperta o collocata su un pezzo discoide di argilla che le serviva di base. Talvolta, e specialmente quando si trattava di figure in atteggiamenti più complicati, la difficoltà o l'impossibilità di staccare senza danno dalla matrice una mezza figura intera, ha condotto all'uso di matrici speciali per la testa, per le estremità o per altri particolari. Un simile procedimento si è usato, eccezionalmente, anche per la famosa serie di antefisse arcaiche del tempio della Mater Matuta a Satricum (Museo di Villa Giulia, Roma), raffiguranti ciascuna un sileno ed una menade, la cui varietà di movimento e di espressione è stata ottenuta combinando un limitato numero di matrici che rendevano i corpi dei due protagonisti, in atteggiamenti diversi, e due matrici per le teste. In numerose teste votive e in frammenti di statue fittili, le une e le altre di fattura etrusco-italica, è stato possibile constatare che le imitazioni di orecchini e di collane che le adornano sono state eseguite con l'aiuto di matrici ottenute sopra veri pezzi d'oreficeria e si conosce almeno un esemplare di tali matrici.

Tegole ed embrici si fabbricavano nelle forme e nelle misure stabilite per mezzo di modelli di pietra, due esemplari dei quali sono stati rinvenuti ad Assos e ad Atene.

Dopo essere modellati a mano, o formati mediante matrici, gli oggetti fittili venivano generalmente coperti con un'ingubbiatura sottile applicata per immersione in una soluzione argillosa o in latte di calce, oppure con l'aiuto di un pennello.

Tutti i prodotti fittili si lasciavano, probabilmente, ad asciugare nelle matrici o all'aria aperta prima della cottura. Le figure vuote, di tutte le grandezze, furono anche regolarmente provviste, quando erano ancora crude, di un buco quadrangolare o rotondo, tagliato nel dorso allo scopo di dare sfogo al vapore che si creava durante la cottura e che altrimenti avrebbe fatto scoppiare le figure.

Policromia. - Almeno nei tempi più antichi si procedeva prima della cottura a dare agli oggetti fittili quella policromia che era considerata necessario complemento e l'ultima rifinitura di ogni opera plastica e scultorea non metallica, e che nelle opere fittili serviva pure a coprire il materiale umile, facendolo rassomigliare alle sculture di marmo o di altra pietra, similmente policrome. Le t., grazie al fatto che i loro colori hanno spesso subito con esse la cottura, hanno generalmente policromia più o meno ben conservata, e talvolta quasi intatta; esse ci dànno perciò schiarimenti preziosi circa l'effetto e lo sviluppo della policromia statuaria ed architettonica antica, altrimenti non tanto ben conosciuta.

I colori, applicati con pennelli che hanno spesso lasciato le loro tracce nelle tinte generalmente assai dense, sono regolarmente sei: carminio, vermiglio, azzurro cupo, nero, bruno scuro più o meno rossiccio, per rendere la carnagione maschile, e bianco più o meno puro, per quella femminile, secondo la convenzione generalmente mantenuta nella pittura. Le t. architettoniche greche dell'età arcaica furono spesso decorate usando gli stessi colori a vernice e la stessa tecnica ad incisione della ceramica contemporanea. Nelle t. architettoniche, in generale, si vede pure come i disegni, prima della colorazione, siano stati tracciati a linee leggermente incise nell'argilla ancora molle, mediante compassi ed altri mezzi meccanici; qualche volta il pittore era aiutato da incisioni fatte nelle matrici, che lasciavano linee leggermente rialzate sui calchi. Nelle figurine fittili greche e grecizzanti dell'epoca ellenistica, e anche nelle t. architettoniche tarde, compaiono pure altri colori: blu chiaro, violetto, verde, giallo. Forse perché questi colori non tolleravano il calore della fornace, la policromia di queste t. è stata generalmente applicata dopo la cottura e, perciò, è meno ben conservata. Non di rado, e specialmente in t. greche di formato grande, si è dato ai colori, e particolarmente a quelli del nudo, un lustro come di smalto o di metallo, somigliante probabilmente alla cosiddetta γάνωσις, o lucidezza, delle statue marmoree policrome (Plut., Quaest. rom., 287 c; Vitr., vii, 9, 4). Le imitazioni di oreficerie erano generalmente dorate. Alcune figurine da Smirne sono interamente dorate, ad imitazione di statuette di bronzo.

Mentre abbiamo una conoscenza assai precisa intorno alla cottura dei vasi nell'antichità, grazie ai rinvenimenti di fornaci e di materiale di scarico proveniente da esse, nonché per esperimenti di cottura fatti con materiale antico e moderno, non siamo altrettanto bene informati circa la cottura delle t. antiche. Le figurine fittili venivano probabilmente cotte nelle stesse fornaci usate per i vasi. Le statue etrusche e cipriote di dimensioni naturali o colossali, che difficilmente si lasciavano spostare prima della cottura, venivano probabilmente modellate nell'interno di grandi fornaci, coperte forse solo dopo il compimento del lavoro e spezzate per tirar fuori le statue dopo la cottura; ciò che potrebbe aver dato l'origine alla leggenda della quadriga fittile veiente del tempio Capitolino, allargantesi durante la cottura.

Falsificazioni. - Le figurine di t., e specialmente quelle di Tanagra e di Myrina, sono state imitate da falsificatori, spesso con l'aiuto di matrici antiche o con matrici ottenute quali impronte di figurine autentiche. Né mancano falsificazioni fittili di formato grande, come il noto sarcofago "etrusco" del British Museum, ritirato nel 1935, la Diana del City Art Museum a St. Louis, la Kòre della Gliptoteca Ny Carlsberg a Copenaghen e i grandi guerrieri del Metropolitan Museum of Art a New York.

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