Terrorismo

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Terrorismo

Donatella della Porta

Il termine terrorismo viene in genere riferito ad azioni orientate ad acquisire potere politico, attraverso un uso della forza considerato come estremo, che ha l'effetto psicologico di diffondere il terrore tra alcuni gruppi della popolazione. Il concetto resta comunque ambivalente, essendo utilizzato per descrivere fenomeni storicamente molto diversi: dalle uccisioni dei sovrani in congiure di palazzo all'uso di violenza politica su larga scala durante le lotte di liberazione nazionale, ma anche dagli attentati compiuti da individui isolati a quelli condotti da apparati statali (t. di Stato). Soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale il t. è stato considerato come una forma grave di violenza, orientata a spargere il terrore con l'impiego dei mezzi di comunicazione di massa. Il tema della definizione del t. è stato affrontato anche dal diritto internazionale, senza che tuttavia si sia riusciti a trovare un accordo sull'individuazione di un confine tra t. e resistenza, il primo considerato come criminale, la seconda invece come legittima. Anche gli studi di taglio storico o sociologico sul t. lamentano la difficoltà di trovare una definizione accettata del fenomeno, ricordando che il termine terrorismo viene frequentemente riservato a quelle lotte di liberazione che falliscono, resistenza invece a quelle che hanno successo.

Le più diffuse definizioni del t. sono, infatti, insufficienti a individuare le peculiarità del fenomeno. Un primo problema nella sua delimitazione è la definizione di violenza politica, di cui il t. sarebbe una forma estrema. La violenza politica è considerata come uso di forza fisica orientata a danneggiare un avversario politico. Questa definizione non è comunque di facile utilizzazione, dal momento che elementi di costrizione e di danno risultano presenti anche in molte forme di azione collettiva (si pensi a uno sciopero o a una occupazione), senza che per questo esse possano essere definite violente. Resta inoltre la necessità di distinguere tra il genere violenza politica e la sua più sanguinosa specie, il t. appunto. A partire dall'etimologia del termine, è stata definita come terroristica quella violenza politica che si pone l'obiettivo - o ha l'effetto - di terrorizzare. Resta, però, la difficoltà di misurare gli stati psicologici di alcuni individui o gruppi. Se il terrore è considerato in psichiatria una forma estrema di ansia, accompagnata da immagini minacciose e ossessive, il suo livello è difficile da rilevare in una popolazione vasta. Spesso inoltre si parla di t. anche per azioni di portata limitata, che possono destare fra i cittadini stigmatizzazione, ma raramente forte coinvolgimento emotivo. Si deve aggiungere che il messaggio delle organizzazioni terroriste è fortemente differenziato rispetto ai diversi gruppi della popolazione, orientandosi spesso a sollecitare consenso, piuttosto che a terrorizzare. Il t. è una forma di comunicazione politica: l'obiettivo della violenza contro bersagli scelti a caso o anche selezionati all'interno di un gruppo della popolazione è di trasmettere un messaggio che va al di là della vittima immediata. La maggioranza delle azioni terroristiche presenta comunque livelli di violenza molto controllati, rimanendo spesso senza vittime: il loro obiettivo non è dunque massimizzare distruzione (e terrore), ma diffondere un messaggio politico che trovi consenso fra gruppi della popolazione, cercando di ridurre la stigmatizzazione collegata all'utilizzo di forme estreme di violenza.

Guardando alle caratteristiche degli attori che praticano la violenza, nelle democrazie il termine terrorismo è stato normalmente collegato a dei gruppi di dimensioni limitate i quali operano in condizioni di clandestinità. La dimensione del gruppo aiuta a differenziare il t. rispetto a rivoluzioni o movimenti di guerriglia, che coinvolgono cospicui gruppi della popolazione. La scelta di operare in clandestinità ha inoltre conseguenze rilevanti sulla logica di azione dei gruppi. È stato proposto (soprattutto per le definizioni giuridiche del fenomeno) di collegare il termine terrorismo a quello di crimine di guerra riservandone l'impiego per azioni di violenza contro civili da parte di gruppi di guerriglieri bene equipaggiati e addestrati alla guerra.

Tipologie di terrorismo

Le finalità specifiche dei gruppi terroristici sono varie: dalla secessione di un territorio al rafforzamento del potere di un governo. Radicalizzazioni violente si sono avute nel corso di conflitti sociali, etnici, religiosi. Sulla base degli scopi che le organizzazioni clandestine si prefiggono, si possono distinguere tre principali tipologie di t.: il t. ideologico di destra; il t. ideologico di sinistra; quello etnico-religioso.

ll t. di ispirazione ideologica di destra è disomogeneo all'interno quanto alle tattiche specifiche che sono utilizzate. In Europa il termine è stato usato soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del 20° sec. e poi, con nuova virulenza, negli anni Novanta. Gruppi radicali di destra - come, per es., Ordine nuovo in Italia - sono stati responsabili di azioni che, come le stragi di passanti inermi, miravano a produrre un panico generico, delegittimando la democrazia e favorendo le spinte verso regimi autoritari. In Italia, la strage di Piazza Fontana a Milano, avvenuta il 12 dic. 1969, avviò la 'strategia della tensione', rimanendo, nell'immaginario collettivo, come simbolo dello 'stragismo' nero, responsabile pure dei sanguinosi fatti di Piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus presso San Benedetto in Val di Sambro nel 1974. Cinquanta persone morirono in stragi attribuibili, tra il 1969 e il 1974, al t. 'nero'. Mentre alla metà degli anni Settanta queste organizzazioni apparivano in crisi, nella seconda metà dello stesso decennio una nuova generazione di giovanissimi militanti di destra - nell'ambito di organizzazioni clandestine come i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) e Terza posizione - prese a esempio i gruppi più violenti della sinistra, imitandone la struttura 'spontaneista', le tematiche orientate soprattutto a organizzare la rabbia dei giovani emarginati, la violenza come fine a sé stessa. La strategia delle stragi non venne tuttavia definitivamente accantonata: 85 furono le vittime della strage di Bologna, il 2 agosto 1980, e terroristi di destra, in contatto con la criminalità organizzata, furono coinvolti anche nella strage del Natale 1984, quando una bomba esplose in una galleria ferroviaria localizzata tra Firenze e Bologna, uccidendo 15 persone.

Soprattutto negli anni Novanta, infine, anche in Italia il t. di destra - in contatto con altri gruppi della destra radicale europea, come FANE (Fédération d'Action Nationaliste et Européene), FNE (Front National Européen) in Francia, i Wehrsportsgruppe Hoffmann in Germania - ha messo in atto i primi attentati di matrice razzista. Sull'esempio di quanto stava avvenendo in altri Paesi europei, gruppi della destra radicale (come il Movimento politico occidentale) hanno reclutato nelle subculture giovanili legate al tifo ultras e agli skinheads, coordinandosi, all'inizio del decennio, nel gruppo Skinheads d'Italia. In generale, in Europa la violenza estrema di matrice razzista si è diffusa sempre nel corso degli anni Novanta. Nel 1993 si sono contati 67 morti in incidenti razzisti, collegati alla cultura skinhead oltre che a gruppi neonazisti. Questo tipo di violenza è apparso particolarmente virulento in Germania dove, nello stesso anno, i servizi segreti interni segnalavano la presenza di 82 organizzazioni estremiste di destra, tra le quali la DVU (Deutsche Volksunion) con oltre 20.000 iscritti. Il numero di morti in attacchi razzisti è cresciuto in quel Paese da 0 nel 1990 a 10 nel 1991, a 17 nel 1992, a 27 nel 1993.

Organizzazioni terroristiche di ispirazione ideologica di sinistra hanno, invece, prevalentemente diretto le loro azioni contro coloro che consideravano 'nemici' del popolo o, quanto meno, 'ingranaggi' del sistema di sfruttamento capitalistico. Nel corso degli anni Settanta organizzazioni terroriste di questo tipo sono emerse in molte democrazie occidentali: l'Esercito rosso in Giappone, i Weather Underground negli Stati Uniti, le BR (Brigate Rosse) e PL (Prima Linea) in Italia, la RAF (Rote Armee Fraktion) e le RZ (Revolutionäre Zellen) nella Repubblica federale tedesca, per citare soltanto i gruppi più conosciuti. In America Latina le azioni di gruppi guerriglieri, i Montoneros in Argentina, i Tupamaros in Uruguay, e infine i Sendero luminoso in Perù, hanno accompagnato il crollo di deboli governi democratici nei Paesi in cui si erano sviluppati, restando vittime del t. di Stato dei militari e degli 'squadroni della morte', formati da terroristi di destra con forti appoggi nelle istituzioni. In Italia, tra il 1970 e il 1982, organizzazioni del t. di sinistra sono state responsabili di oltre 1200 attentati con 190 feriti e 142 morti. Tra il 1977 e il 1979 il ritmo intensissimo degli attentati del cosiddetto t. diffuso accentuò il panico prodotto dai più sanguinosi agguati delle organizzazioni clandestine maggiori. Alle azioni più eclatanti - in particolare, da parte delle BR, il sequestro e l'uccisione del presidente della Democrazia cristiana A. Moro - si è sommata una lunga catena di attentati, rapine, conflitti a fuoco, ferimenti e omicidi.

Se la metà degli anni Ottanta vide un'ondata di attentati, soprattutto contro installazioni NATO, da parte di quello che sarebbe stato chiamato euroterrorismo - i residui gruppi BR in Italia, la RAF in Germania, le CCC (Cellules Communistes Combattantes) in Belgio, AD (Action Directe) in Francia -, nel corso del decennio successivo la parabola discendente del t. di ispirazione ideologica di sinistra nelle democrazie occidentali fu comunque drastica. In Europa le principali e più longeve organizzazioni clandestine che si richiamavano a ideologie di sinistra scomparvero negli anni Novanta. Nel 1992, la RAF dichiarò un cessate il fuoco, poi confermato pubblicamente nel 1998. In Italia, già nel 1987, i dirigenti di diverse generazioni delle BR, R. Curcio, M. Moretti e B. Balzarani, avevano dichiarato conclusa l'esperienza della lotta armata e, nel 1997, 63 ex militanti di gruppi clandestini di sinistra firmarono un appello per la fine della lotta armata. Alcuni militanti si riorganizzarono, tuttavia, dando vita alle 'nuove Brigate rosse', responsabili degli omicidi dei consulenti del governo su tematiche del lavoro, M. D'Antona nel 1999 e M. Biagi nel 2002, dell'agente di polizia Emanuele Petri durante una sparatoria nel 2003. Questi episodi, pur drammatici, sono rimasti fino a ora comunque isolati nonostante il periodico riemergere di piccoli gruppi clandestini i quali alle BR si richiamano.

Mentre il t. ideologico appare complessivamente in declino, almeno in Europa, dalla fine degli anni Novanta, le forme più durature e virulente di t. si richiamano invece a tematiche legate alla costruzione di Stati e nazioni. Il termine terrorismo si diffuse nel linguaggio politico soprattutto negli anni Settanta in relazione ad azioni violente ed eclatanti da parte di gruppi che si consideravano rappresentanti di nazioni senza territorio (come alcuni gruppi palestinesi). Questi gruppi utilizzavano forme di violenza che, come i dirottamenti aerei, colpivano principalmente i cittadini di Stati del 'primo mondo', con l'obiettivo di attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sulle tragedie dei loro popoli. Negli anni Novanta, nel continente europeo, i gruppi clandestini che avevano focalizzato l'attenzione sui diritti del popolo palestinese sono stati meno attivi, mentre i gruppi più visibili sono stati quelli legati al t. religioso-fondamentalista.

Le forme più drammatiche di questo tipo di violenza si richiamano a un'interpretazione radicale dell'Islam. Le azioni violente dei gruppi fondamentalisti islamici, che sembrano avere goduto di finanziamenti da parte di Stati arabi quali l'Irān, la Libia o l'Irāq, ma anche di Stati occidentali (inclusi gli Stati Uniti), vengono presentate come parte di una guerra santa contro valori laici e occidentali. Tra i più tragici esempi di questa forma di t. vi sono l'attentato compiuto nel febbraio del 1993 al World Trade Center di New York (che provocò la morte di 6 persone e il ferimento di oltre 1000), il dirottamento aereo di un volo Air France nel dicembre del 1994 (conclusosi con la morte di 3 ostaggi e dei 4 dirottatori); gli attentati alle ambasciate di Israele a Buenos Aires nel 1992 (attribuito a Ḥezbollāh) e a Bangkok nel 1994; l'assalto al consolato francese ad Algeri (5 morti) nello stesso anno; la bomba di al-Qā̔ida che uccise 19 cittadini americani in Sud Arabia nel 1996, gli attacchi contro le ambasciate americane in Kenia e Tanzania nel 1998 (301 morti). A questo va aggiunto lo stillicidio di attentati, da parte dei fondamentalisti islamici in Libano, Egitto e Algeria, contro turisti, giornalisti, tecnici, e diplomatici dei governi occidentali, oltre che contro politici, giornalisti e artisti locali, accusati di 'occidentalizzazione'. Le vittime del fondamentalismo negli Stati arabi sono cresciute nella prima metà degli anni Novanta: in Egitto (dove operavano la Ǧihād e Jemaah Islamiah) da 7 vittime nel 1992 a 132 nel 1993; in Algeria (dove era presente il Groupe Islamique Armé) da 43 nel 1991 a 602 nel 1993. Nel solo Egitto, 69 europei furono uccisi tra il settembre 1993, data entro la quale l'organizzazione clandestina Ǧihād aveva chiesto l'allontanamento degli occidentali dal territorio islamico, e la fine del 1994. All'inizio del 21° sec., la più eclatante azione di t. fondamentalista islamico sono stati gli attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Quel giorno, 19 attentatori (15 di loro provenienti dall'Arabia Saudita, 2 dagli Emirati Arabi Uniti, un egiziano e un libanese) presero il controllo di 4 voli di linea partiti dagli aeroporti di Boston, Newark e Washington. Alle 8,47, Mohamed Atta guidò il volo American Airlines nr. 11 a schiantarsi contro la North Tower del World Trade Center di New York; un quarto d'ora più tardi, un altro aereo fu dirottato contro la South Tower. Alle 9,30, un aereo si abbattè sul Pentagono, mentre il quarto volo, l'United Airlines nr. 93, dopo una ribellione dei passeggeri contro i dirottatori, precipitò nella campagna in Pennsylvania. Il drammatico bilancio degli attentati dell'11 settembre è di 2750 morti a New York; 198 al Pentagono. L'11 marzo 2004 una serie di bombe su treni locali che convergevano nella principale stazione di Madrid hanno ucciso 191 persone e ferito 2057. Il 7 luglio 2005, 4 terroristi fondamentalisti islamici si sono fatti esplodere in attentati suicidi nella metropolitana e su un autobus del servizio dei trasporti pubblici a Londra, causando 56 morti e 700 feriti.

Il t. legato al fondamentalismo religioso non riguarda, comunque, solo l'Islam: sono di ispirazione religiosa la metà dei 30 gruppi clandestini che, nel 1998, il segretario di Stato americano M. Albright dichiarò di considerare tra i più pericolosi. Al fondamentalismo islamico si contrappone un fondamentalismo israeliano. Al fondamentalismo cristiano si richiamano, negli Stati Uniti, gli attentati, talvolta con esiti mortali, contro cliniche dove si praticano interruzioni volontarie di gravidanza (per es., nel 1997 in Alabama e Georgia). Al buddhismo si riferirono invece gli attentatori che nel 1995 liberarono gas nervino nella metropolitana di Tokyo, dichiarando di agire contro un complotto massonico internazionale.

A tematiche religiose ed etniche si appellano anche organizzazioni attive nel chiedere l'indipendenza di alcuni territori. Limitando l'analisi al mondo occidentale, negli anni Settanta nascevano o rinascevano organizzazioni terroriste quali quelle degli indipendentisti radicali baschi (ETA, Euskadi Ta Askatasuna) o irlandesi (IRA, Irish Republican Army), ma anche i meno conosciuti FLQ (Front de Libération du Québec) e FLNC (Front de Libération Nationale de la Corse). Questi gruppi, che si concepivano principalmente come 'eserciti' di un movimento di liberazione nazionale, privilegiavano le azioni militari contro coloro che venivano considerati rappresentanti di una potenza straniera. I gruppi del t. indipendentista si sono poi scontrati con gruppi lealisti che, come i GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación) nei Paesi Baschi, l'Ulster Volunteer Force e la Ulster Defence Association nell'Irlanda del Nord, e il FRANCIA (Front d'Action Nouvelle contre l'Indépendance et l'Autonomie) in Corsica, volevano combattere con le armi il t. dei separatisti. In Europa la maggior parte delle azioni di t. sono state infatti legate a conflitti etnici o religiosi (principalmente nei Paesi Baschi e in Irlanda), con il t. etnonazionalista responsabile dell'80% delle azioni contate tra il 1950 e il 1995, e anche dei morti durante azioni di t. nello stesso periodo (contro il 13% delle azioni di t. perpetrato dalla estrema destra e l'8% da gruppi di sinistra). Una buona parte delle azioni di t. in Europa hanno riguardato il Nord dell'Irlanda (con un totale di 3114 morti tra il 1969 e il 1993): nonostante le 300 vittime tra il 1990 e il 1993, i negoziati avviati nel 1993 con i Provisionals dell'IRA hanno avuto comunque esito positivo. Anche il t. basco è declinato nel corso del decennio: il numero di morti scese da 41 in media tra il 1977 e il 1989 a 32 tra il 1990 e il 1993 (19 solo nel 1993). Mentre il t. a base etnica si è ridotto in Irlanda del Nord e nei Paesi Baschi, hanno avuto invece esiti sempre più drammatici i conflitti etnici nelle parti del mondo dove la democrazia è debole o ancora da costruire e nelle regioni un tempo facenti parte del Patto di Varsavia, dove l'unità nazionale era stata a lungo imposta con la forza da regimi autoritari e dove, dopo il crollo di quei regimi, si sono aperte lotte spesso sanguinose sui nuovi assetti territoriali. Azioni di t. brutale hanno accompagnato conflitti etnici, oltre che nella ex Iugoslavia, in territori prima appartenenti all'Unione Sovietica, quali l'Ucraina, la Georgia e l'Azerbaigian.

Sulle cause del terrorismo. - Nonostante l'attenzione crescente al fenomeno terroristico (sono stati pubblicati 1500 libri in inglese nei 12 mesi successivi agli attentati dell'11 settembre), la riflessione sulle sue cause è ancora aperta. In generale, sia le ricerche empiriche sia le riflessioni teoriche sull'argomento hanno riguardato tre livelli analitici: l'individuo, il gruppo e l'ambiente. Nel primo caso, ci si è interrogati sugli individui che divengono terroristi; nel secondo, le domande più rilevanti hanno riguardato i tipi di gruppi che utilizzano il t.; nel terzo, si è guardato alle precondizioni ambientali che facilitano l'emergere e la diffusione del fenomeno.

Tradizionalmente, i militanti delle organizzazioni clandestine sono stati descritti come persone immature, psicologicamente deboli, socialmente frustrate, fanatiche e crudeli. Ricerche basate su storie di vita e materiale biografico degli attivisti dei gruppi più radicali hanno però smentito che i terroristi tendano ad avere disturbi della personalità. Peraltro, anche le ricerche sui militanti di organizzazioni clandestine fondamentaliste hanno sottolineato che sono gli stessi gruppi armati a evitare di selezionare, anche per le missioni più estreme (come gli attentati suicidi), individui con personalità deboli, che potrebbero mettere in pericolo l'organizzazione stessa. Diversamente dagli stereotipi diffusi, inoltre, i militanti tendono ad avere livelli di istruzione e provenienza sociale più elevati rispetto a quelli dei loro gruppi di riferimento. I terroristi non sono, in genere, individui isolati: la decisione di aderire alle formazioni armate viene invece presa da persone già inserite in reti di rapporti amicali, dove i rapporti affettivi sono rafforzati da un comune impegno politico. La socializzazione alla violenza risulta spesso graduale e l'ingresso nelle organizzazioni della lotta armata non è percepito come una grossa frattura rispetto alle forme d'impegno precedenti. Luoghi di incontro comunitari, come, per es., le società gastronomiche o i gruppi alpini, nei gruppi terroristi a base etnica, i gruppi di ultras per i militanti della destra estrema, le scuole coraniche per i fondamentalisti islamici e le sette riunite attorno ai predicatori radicali del Christian Identity Movement per il fondamentalismo cristiano forniscono spesso bacini di reclutamento. Prevalentemente giovani di sesso maschile, molti militanti delle organizzazioni clandestine, soprattutto di tipo etnico-religioso, hanno delle storie personali di vittimizzazione (tra l'altro, precedenti esperienze di carcere) e/o hanno familiari o amici feriti o uccisi nel corso di conflitti spesso lunghi e sanguinosi. Precedenti esperienze in organizzazioni militari (eserciti, forze di polizia, gruppi di guerriglia) possono facilitare la socializzazione alla violenza di futuri terroristi.

Per quanto riguarda, poi, i percorsi individuali, il mantenimento dell'impegno nel gruppo clandestino viene poi favorito dall'innescarsi di una serie di meccanismi di 'non ritorno'. La riduzione dei contatti con l'esterno è compensata da una sempre maggiore identificazione con la comunità della lotta armata, e al contempo, l'interiorizzazione dell'ideologia dell'organizzazione distorce la percezione della realtà. Il forte investimento iniziale nonché gli alti costi già pagati rendono psicologicamente difficile l'abbandono, spingendo invece a rilanciare il proprio impegno. Per chi è latitante, oppure rischia di diventarlo presto, i bisogni materiali, in termini di denaro, alloggi, documenti falsi, accrescono la dipendenza dall'organizzazione clandestina.

Un secondo tipo di spiegazioni dell'esistenza del t. si è concentrato sul livello del gruppo, guardando soprattutto all'ideologia delle organizzazioni clandestine: la giustificazione della violenza rivoluzionaria nei gruppi di sinistra, la promozione di golpe militari a destra, la proclamazione di guerre sante nel fondamentalismo religioso, identità etniche escludenti per i gruppi nazionalisti o razzisti. Soprattutto, il radicalismo religioso è sostenuto dalla propensione a visioni manichee con 'de-umanizzazione' del nemico, immagini di tempi apocalittici, appelli ad armarsi contro le forze del male. Gruppi fondamentalisti cristiani hanno così giustificato gli attentati alle cliniche dove si praticavano aborti, come accennato sopra, con citazioni bibliche a sostegno del diritto di usare la forza per difendere bambini non nati e riferimenti all'accettazione da parte della chiesa di dottrina della guerra giusta. La ǧihād (battaglia) è stata affermata dai gruppi fondamentalisti islamici sulla base del diritto islamico all'autodifesa, inclusa quella di dignità e orgoglio.

La ricerca sui gruppi clandestini attivi in diverse regioni del mondo indica che, comunque, l'ideologia tende a trasformarsi nel corso dell'azione, giustificando la scelta di strategie sempre più brutali. Le conseguenze implicite, anche se non previste, della scelta di clandestinità limitano, però, le capacità di adattamento all'esterno. In generale, il ciclo di vita delle organizzazioni terroriste è caratterizzato da un graduale processo di 'incapsulamento', durante il quale esse perdono a poco a poco interesse al raggiungimento di fini esterni, concentrandosi invece sull'obiettivo della mera sopravvivenza. Nel corso di questa evoluzione, gli obiettivi si radicalizzano e la partecipazione diviene totalizzante, mentre si riducono i contatti con l'ambiente esterno. Le formazioni clandestine divengono quindi simili a sette chiuse, con la conservazione in vita dell'organizzazione come fine ultimo, e con l'esasperazione della solidarietà interna e con una radicalizzazione strategica. Azioni terroriste sempre più brutali hanno la funzione di far crescere il morale dei membri, oltre che il prestigio dell'organizzazione rispetto ad altre che sono potenziali concorrenti. Le organizzazioni clandestine diventano imprenditori di violenza anche attraverso la distribuzione di incentivi selettivi agli attivisti: dalla protezione logistica in clandestinità agli aiuti materiali alla famiglia nel caso di missioni suicide, ma anche dalla sublimazione della violenza attraverso rituali complessi (come, per es., quelli che precedono le missioni suicide) alla propagazione del mito di una vicina vittoria.

Gli studi sul t. si indirizzano, poi, alle condizioni ambientali che possono contribuire al suo emergere e alla sua crescita, menzionando ora la presenza di fratture etniche o di classe, ora la cultura politica di un Paese, ora lo spettro delle disuguaglianze economiche. Rilevando l'importanza delle esperienze storiche, si è osservato che raramente il t. è un'azione solitaria, essendo invece spesso sostenuto da comunità caratterizzate da culture di violenza, rette da un senso diffuso di ingiustizia. Esperienze di oppressione di gruppi etnici producono sentimenti di umiliazione, ma anche rabbia e indignazione con ricerca di una vendetta contro quella che viene vissuta come aggressione indiscriminata contro un popolo. In questi casi si sviluppano identità esclusive e l'omogeneizzazione del gruppo, sempre più chiuso rispetto all'esterno, rafforza la resistenza all'esterno. In un circolo vizioso, la polarizzazione delle relazioni fa crescere l'isolamento. Per quanto riguarda le precondizioni sociali, crisi di sviluppo connesse a problemi interni o internazionali, disoccupazione, urbanizzazione accelerata, povertà estrema sono state spesso citate come cause di devianza individuale o collettiva. Fra le condizioni permissive per il t., si è parlato comunque anche di modernizzazione e industrializzazione, che accentuano la vulnerabilità delle società contemporanee.

Se un certo accordo vi è nel considerare le variabili politiche come rilevanti per la spiegazione della violenza terrorista, le interpretazioni specifiche si sono però contraddittoriamente concentrate sulla risposta dello Stato all'emergere delle organizzazioni clandestine, ritenuta ora troppo debole, ora eccessivamente repressiva; sulle reazioni delle élites al governo rispetto all'aggregarsi di nuove domande collettive, talvolta analizzate in termini di assenza di riforme, talaltra in quelli di un mutamento troppo rapido; sulle condizioni del sistema politico, accusato di ostacolare la costituzione di nuovi attori collettivi o, viceversa, di istituzionalizzare precocemente i movimenti. Mentre c'è chi sostiene che la democrazia introduce alcune precondizioni per il t., dato che i diritti limitano gli strumenti repressivi in mano allo Stato e la libera stampa diffonde i messaggi dei terroristi, viceversa il t. è stato anche visto come sostituto di movimenti sociali quando situazioni politiche o altre riducono la propensione alla mobilitazione di massa.

L'emergere di formazioni armate è senza dubbio influenzato dalla disponibilità di simpatie e protezioni esistenti all'esterno, così come dalle strategie repressive scelte dagli apparati istituzionali. La posizione dei partiti può generare tolleranza verso i gruppi terroristi o contribuire a isolarli. Attraverso i mezzi di comunicazione di massa si può aiutare a diffondere il messaggio dell'insurrezione armata o danneggiare le formazioni clandestine, offrendo un'immagine caricaturale dei loro militanti. Le diverse condizioni ambientali aiutano a spiegare non solo le differenze strutturali e ideologiche esistenti tra gruppi emersi in periodi o ambienti differenti, ma anche i cambiamenti della stessa organizzazione nel tempo. In particolare, rispetto alle organizzazioni terroriste presenti nelle democrazie occidentali, si è osservato che esse emergono e si rafforzano in una situazione di progressiva radicalizzazione di movimenti sociali di fronte a una risposta intempestiva e inefficace da parte degli attori istituzionali.

Molte formazioni armate sono nate, in effetti, nel corso di conflitti sociali acuti. Da alcuni movimenti che rivendicavano indipendenza rispettivamente dalla Gran Bretagna e dalla Spagna sono state fondate l'IRA e l'ETA; nel corso di lunghi cicli di protesta sono nate le BR in Italia e la RAF in Germania; dalle rivendicazioni di gruppi che si proclamano difensori delle masse diseredate sono venuti, come già ricordato, i Montoneros in Argentina e Sendero luminoso in Perù; dalla diaspora e dalla repressione dei curdi o dei palestinesi sono nati gruppi che cercano di riconquistare, con le armi, un territorio per i loro popoli. In tutte queste situazioni, si è avuta ungraduale del conflitto. Nelle diverse situazioni, alcuni eventi hanno rappresentato fattori precipitanti, togliendo legittimazione, almeno agli occhi dei gruppi terroristi, alle istituzioni. La strage di Piazza Fontana a Milano, il processo di Burgos in Spagna, Bloody Sunday in Irlanda rappresentano per molti militanti momenti di non ritorno, in quanto simbolizzano l'imbarbarimento della lotta politica e giustificano soggettivamente la 'presa delle armi'. Se per un lungo periodo i palestinesi di Ḥamās si limitavano a colpire soltanto bersagli militari, la distinzione tra civili e combattenti venne abbandonata dopo due attacchi israeliani contro moschee. La scelta delle armi è stata spesso giustificata come risposta a violenza istituzionale, o come resistenza in una guerra anticoloniale. Nel corso delldi un conflitto, le aspettative sulla brutalità e sull'inumanità degli avversari divengono profezie che si autoavverano. Nel corso della radicalizzazione, i temi del conflitto si spostano verso valori percepiti come fondamentali, gli obiettivi divengono sempre meno negoziabili, la leadership più intransigente, i membri più disponibili all'uso di mezzi estremi. L'intervento di terze parti (spesso di militari) rende, dunque, le controversie sempre meno trattabili in modo pacifico.

Soprattutto in relazione alle forme recenti di t., sono state sottolineate anche dimensioni geopolitiche e, più in generale, di relazioni internazionali. Molte risorse di militanza, oltre che materiali, sono venute al t. legato al fondamentalismo islamico dalla guerriglia in Afghānistān contro l'invasione sovietica nel 1979 (con forti finanziamenti americani), finita con il ritiro sovietico nel 1989. Proprio militanti della brigata internazionale panaraba attiva in Afghānistān, spesso impossibilitati a ritornare nei loro Paesi per condanne anche a morte, sarebbero andati alla ricerca di nuove guerre, incontrando imam radicali esiliati da Egitto, Giordania, Siria e Algeria. È stato infatti osservato che, anche dietro agli attentati dell'11 settembre, più che una narrativa religiosa, vi è una rivendicazione nazionalista contro quella che è percepita come occupazione e sfruttamento di territori e ricchezze arabe da parte degli occidentali. Più in generale, il t. fondamentalista degli anni Novanta è stato ricollegato alle trasformazioni nelle relazioni internazionali seguite al crollo del blocco sovietico e alla aggressività (reale o percepita) degli Stati Uniti, rimasti come unica superpotenza a livello mondiale.

bibliografia

D. della Porta, Il terrorismo di sinistra, Bologna 1990.

R.W. White, Provisional Irish republicans. An oral and interpretative history, Westport 1993.

D. della Porta, Social movements, political violence and the State. A comparative analysis of Italy and Germany, New York 1995.

M.J. Moyano, Argentina's lost patrol: armed struggle, 1969-1979, New Haven 1995.

Terror from the extreme right, ed. T. Bjørgo, London-Portland 1995.

Terrorism in context, ed. M. Crenshaw, Philadelphia 1995.

P. Chalk, West European terrorism and counter-terrorism. The evolving dynamic, London 1996.

M. Juergensmeyer, Terror in the mind of God. The global rise of religious violence, Berkeley 2000.

Ch. Tilly, The politics of collective violence, Cambridge-New York 2003.

International handbook of violence research, ed. W. Heitmeyer, J. Hagan, Dordrecht-Boston 2003.

Research on terrorism. Trends, achievements and failures, ed. A. Silke, London 2003.

J.O Engene, Terrorism in Western Europe. Explaining the trends since 1950, Cheltenham-Northampton (Mass.) 2004.

Making sense of suicide missions, ed. D. Gambetta, Oxford 2005.

CATEGORIE
TAG

Mezzi di comunicazione di massa

Fondamentalismo religioso

Strage di piazza fontana

Seconda guerra mondiale

Immaginario collettivo