TERZO MONDO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TERZO MONDO

Giampaolo Calchi Novati

(App. IV, III, p. 631)

Nonostante l'approvazione da parte dell'ONU, nel 1974, dei principi che in teoria avrebbero dovuto istituire un "nuovo ordine economico internazionale", le istanze del T.M. restarono largamente insoddisfatte. La trattativa, che doveva riguardare un ''pacchetto'' di misure relative al commercio, alla moneta, alle materie prime, all'energia e all'aiuto, che per questa sua impostazione complessiva fu denominata ''negoziato globale'', e che doveva svolgersi nell'ambito dell'ONU per assicurare insieme il massimo sia di consenso che d'influenza, non superò nemmeno la fase procedurale. La sessione speciale dell'Assemblea generale che si riunì nell'estate del 1980 non trovò l'accordo sia per divergenze specifiche, sia per mutamenti intervenuti nelle condizioni generali che avevano condotto poco prima all'elaborazione del Rapporto Brandt, un documento che, prendendo atto dell'interdipendenza esistente nel mondo, si prefiggeva di promuovere fra Nord e Sud uno sviluppo congiunto e una più equa distribuzione delle risorse nell'interesse della giustizia, della stabilità e della pace.

L'ultimo episodio di quel particolare clima fu il vertice Nord-Sud tenuto a Cancún (Messico) il 22-23 ottobre 1981; vi parteciparono i capi di Stato o di governo di 22 paesi, fra cui il presidente degli Stati Uniti, i capi di governo dei maggiori stati europei, rappresentanti dell'America latina e del mondo afroasiatico, Cina compresa. Furono assenti tuttavia i paesi dell'Est europeo (con l'eccezione della Iugoslavia, che figurava in quanto paese non allineato), giacché l'URSS sosteneva allora l'assunto che il sottosviluppo derivava dall'imperialismo e dal colonialismo occidentali, e che spettava all'Occidente rimediare alla crisi di cui soffrivano gli ex-territori coloniali delle potenze europee.

Vista a posteriori, l'idea di una trattativa su un insieme di questioni tanto diverse in una sede così vasta sembrava fatta apposta per radicalizzare i contrasti invece che smussarli, ed è stata giudicata un esercizio troppo ambizioso, votato a un sicuro insuccesso, e forse inutile, visto che gli eventuali accordi ''diplomatici'' avrebbero dovuto calarsi nell'economia ''reale''. Il fallimento ebbe comunque fondamentalmente origini politiche: questa almeno fu la conclusione a cui arrivarono i governi del T.M., attribuendo la responsabilità alle grandi potenze occidentali, che non avevano colto l'occasione di una riforma concordata. Contemporaneamente nel mondo occidentale andava prevalendo una scelta economica neo-liberista, una vera e propria ''controrivoluzione'' se paragonata alle ideologie ''terzomondiste''. Caldeggiata dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, tale impostazione rifuggiva da forme solidaristiche o da correttivi di tipo dirigistico a favore dei più deboli e propugnava come rimedio alla povertà e all'arretratezza del T.M. il ripristino integrale del libero mercato e dell'iniziativa privata.

Gli Stati Uniti e i loro alleati non ritenevano l'ONU una sede negoziale adatta, a causa delle maggioranze pressoché automatiche che si costituivano fra T.M. e blocco sovietico, e preferivano affrontare i singoli problemi nelle agenzie specializzate, dove la politica cedeva il posto alle convenienze tecniche e gli equilibri erano più propizi al mondo occidentale. In questa situazione, il T.M. cessava di essere l'utopia in cui molti avevano sperato alla ricerca di nuovi ideali e nuove esperienze, e rivelava all'improvviso i suoi limiti e le sue colpe: fame di massa, sprechi e corruzione delle classi dirigenti, dispotismi personali e dittature repressive, sistematica violazione dei diritti umani, instabilità endemica e moltiplicazione dei conflitti regionali.

La teoria della ''dipendenza'', nata soprattutto in America latina come premessa di un approccio dichiaratamente ''rivoluzionario'', che addossava i mali del T.M. al colonialismo e al neocolonialismo, non trovava più riscontri convincenti. In un mondo in cui tornavano in primo piano gli interessi dei singoli stati persero rilievo anche gli organismi che il T.M. aveva fondato per attuare e verificare la sua vocazione sovranazionale (il movimento dei Non Allineati, la Lega araba, l'Organizzazione per l'unità africana, ecc.). Il T.M. al proprio interno non aveva mai sciolto fino in fondo la contraddizione fra gli interessi individuali degli stati (o dei gruppi dirigenti) e le esigenze dello schieramento nella sua interezza. La forte valenza politica che si riassumeva nello ''spirito di Bandung'', e che implicava una solidarietà fra i paesi di nuova indipendenza, nonché il loro impegno a favore della pace, si era di fatto dissolta privando lo stesso non allineamento di gran parte del suo mordente e forse della sua ragion d'essere. I paesi che componevano il T.M. dovevano accettare di essere considerati come una somma eterogenea di nazioni e popolazioni, e le ultime espressioni di contestazione furono isolate o soffocate.

Soprattutto negli anni di massima espansione della presenza militare dell'URSS nel T.M. (intervento indiretto attraverso i Cubani in Angola nel 1975, sostegno all'Etiopia nel 1977-78 nella guerra per l'Ogaden contro la Somalia, invasione dell'Afghānistān nel 1979, stipula di numerosi trattati di amicizia e cooperazione con gli stati africani ''di orientamento socialista'', ecc.), sembrò realizzarsi una certa saldatura fra gli esperimenti rivoluzionari del T.M. e la politica di potenza di Mosca. Il contenimento concepito e praticato dagli USA non distingueva più fra Est e Sud: le ''guerre a bassa intensità'' previste dalla ''dottrina Reagan'' per impedire la diffusione di regimi ostili in America centrale, Africa e Asia, davano per scontato che il T.M. fosse diventato ormai il teatro prioritario della nuova guerra fredda apertasi dopo il 1980. La distensione, d'altronde, anche quando in Europa o nel campo degli armamenti aveva saputo generare intese importanti, non aveva trasmesso vantaggi diretti al T.M. né ai fini dell'avvio di un programma concertato di sviluppo né ai fini della pacificazione degli innumerevoli focolai bellici, e quindi entrò in crisi proprio per i contraccolpi di avvenimenti che avevano il loro epicentro nel T.M.; questo del resto non solo non era più in grado di difendere la propria autonomia a dispetto delle dichiarazioni di neutralismo e l'asserita volontà di pace, ma venne direttamente coinvolto nella sfida fra Stati Uniti e URSS. Era come se il T.M. non esistesse più o si fosse a sua volta frammentato in tanti sottosistemi che riproducevano tra loro le stesse antinomie che contrapponevano i due blocchi: lo dimostrava il ricorso sempre più frequente degli stati del T.M. a guerre di confine o egemoniche, al servizio di élites desiderose di coronare la loro ascesa con una legittimazione interna o internazionale.

Sembrò che dopo essere stato costretto a combattere tante guerre per procura, il T.M. avesse finalmente i mezzi e gli obiettivi per combattere le ''sue'' guerre. Emblematica fu la guerra fra ῾Irāq e Iran, durata dal 1980 al 1988 in un'area di grande importanza strategica, ma si deve ricordare anche la guerra per le Malvine-Falkland nel 1982 fra Argentina e Regno Unito. Non sempre le grandi potenze, malgrado un uso selettivo delle forniture d'armi, potevano decidere, come in passato, le guerre del T.M., le cui spese militari continuarono a salire fino al 1982, quando l'esplosione del problema del debito portò a un ridimensionamento di aiuti e crediti. A cominciare dal 1988 la diplomazia internazionale − con l'ausilio dell'ONU − riuscì ad avere una maggiore influenza nella risoluzione dei conflitti localizzati nel T.M., giovandosi di un rapporto più disteso fra Stati Uniti e URSS. Risultati concreti furono ottenuti nel Golfo Arabico, nell'Africa australe, nell'Afghānistān, in Cambogia, mentre altri conflitti (America Centrale, Sahara occidentale, Corno d'Africa), l'intricatissima questione libanese, per non parlare del conflitto storico fra Israeliani e Palestinesi, si dimostrarono più impervi alla mediazione delle Nazioni Unite (ai cui ''caschi blu'' fu conferito il Nobel della pace nel 1988) o delle grandi potenze, trovando se mai altre vie negoziali.

Il T.M. conserva una precaria unità nelle conferenze internazionali organizzate dalle varie istituzioni facenti capo all'ONU, su temi come lo sviluppo e il commercio, la donna, l'ambiente, la scienza e soprattutto la popolazione. Causate dallo scarto demografico fra Nord e Sud (nei paesi del T.M. vivono i tre quarti circa della popolazione mondiale, che ha toccato i 5 miliardi di individui nel 1987) ma anche dalle calamità naturali e dalle guerre, le migrazioni sono divenute un fattore strutturale delle relazioni internazionali e in ispecie del rapporto Nord-Sud: il flusso alla volta del Nord solleva problemi sempre più critici di assimilazione, anche se bisogna tener presente che sono pur sempre i paesi del T.M. a ospitare la maggioranza dei profughi. Nonostante il commercio estero globalmente sia in continuo aumento, solo i paesi più dinamici del T.M. sono stati in grado di trarre un vantaggio effettivo dalle opportunità del mercato mondiale. Nella grande maggioranza resta ancora determinante l'impronta lasciata nell'economia dalla divisione internazionale del lavoro di origine coloniale, che relega i paesi in via di sviluppo nel ruolo di produttori ed esportatori di materie prime rendendoli particolarmente dipendenti dalle fluttuazioni dei prezzi che, riflettendo il mutamento profondo della produzione nei paesi industriali, hanno mostrato una generale tendenza al ribasso. Mentre quindi alcuni singoli paesi del T.M. sono prossimi a essere cooptati nel centro o quanto meno nella semiperiferia del sistema (i cosiddetti NIC, New Industrialized Countries), quelli più poveri, dell'Africa nera soprattutto, dipendono dalla cooperazione se non dall'assistenza del Nord. Di particolare gravità per molti PVS, in genere i paesi a reddito medio, che hanno accesso al mercato dei capitali, è il peso del debito estero. Gli organismi finanziari internazionali condizionano le politiche di aiuto a programmi di aggiustamento strutturale (SAP), che comportano, in nome della libertà di mercato e al fine di stimolare l'iniziativa e l'imprenditorialità, una drastica riduzione delle spese sociali, lo smantellamento delle industrie statali deficitarie, la svalutazione delle monete. Quasi ovunque sono stati abbandonati gli esperimenti di collettivismo o di ''deconnessione'' dal mercato per arrivare a uno sviluppo autocentrato, rafforzando piuttosto i vincoli con il Nord e partecipando più attivamente agli scambi di merci, capitali e tecnologia.

Il collasso del ''socialismo reale'' in Europa orientale nel corso del 1989 e la rinuncia dell'URSS a difendere il suo ''impero'' hanno sottratto al T.M. un modello, già di per sé discusso e avaro di successi. Disarticolato, destabilizzato dai disegni espansionistici degli stati più forti, scaglionato lungo una scala abbastanza estesa a seconda delle risorse e delle fasce di reddito, il T.M. resta malgrado tutto un soggetto politico del sistema internazionale; in attesa di trovare una collocazione più organica e funzionale nell'era postcomunista, il T.M. da un lato spera di beneficiare della distensione e del disarmo, dall'altro teme di essere lasciato solo a gestire le crisi di transizione, in concorrenza con l'Est europeo, per quanto riguarda sia gli aiuti dell'Occidente sia gli spazi del mercato.

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