TETTONICA

Enciclopedia Italiana (1937)

TETTONICA

Giovan Battista Dal Piaz

. La tettonica (cfr. il gr. τεκταίνομαι "costruisco") è quella branca delle scienze geologiche che studia le dislocazioni (spostamenti) e le deformazioni (cambiamenti di forma e di dimensione) subite dalla crosta terrestre solida (litosfera), per cause di forze telluriche rimaste ancor oggi misteriose. Questa disciplina ha, fra altro, lo scopo di rivelare l'intima struttura, si potrebbe quasi dire l'architettura, della crosta terrestre. Perciò il termine "tettonica" è anche sinonimo di "geologia strutturale".

Durante il decorso smisuratamente lungo dei tempi geologici la disposizione, o per essere più precisi, la giacitura dei materiali rocciosi ha variato di continuo, sia per il lento deprimersi e sollevarsi della crosta terrestre in amplissime ondulazioni, sia per il suo intenso corrugarsi in catene montuose. Ne consegue che in generale le rocce non hanno mantenuto la giacitura originaria, acquisita nel corso della loro formazione, avendo assunto invece una nuova giacitura, secondaria rispetto alla precedente e dovuta all'influenza delle cause dianzi accennate. Le masse litiche sono quindi quasi sempre più o meno fortemente dislocate, vale a dire rimosse dalla loro posizione primaria, e altresì deformate, non essendo possibile la più modesta dislocazione senza una qualsiasi deformazione. I geologi americani usano chiamare con il nome di "diastrofismo" l'insieme delle dislocazioni e delle deformazioni subite dalle rocce della crosta terrestre, posteriormente al loro deposito e al loro consolidamento. Si può affermare che tutti i terreni della litosfera, eccettuati solo quelli di deposito recentissimo e attuale, sono stati più o meno dislocati, perché anche le regioni cosiddette "tabulari" presentano quasi sempre leggiere inclinazioni che rispondono a ondulazioni di grandissimo raggio di curvatura.

Un'altra causa di notevoli spostamenti in seno ai materiali della crosta terrestre è rappresentata dai fenomeni eruttivi, che consistono nell'ascesa di masse fuse da bacini magmatici intratellurici verso l'esterno e nella loro solidificazione in zone meno profonde della litosfera (fenomeno eruttivo intrusivo), oppure in superficie (fenomeno eruttivo effusivo). Intimamente legato con questi processi è il fenomeno filoniano, vale a dire il riempimento di spaccature delle rocce preesistenti per opera dei magmi e dei vapori e delle soluzioni che si liberano da essi. Lo studio delle condizioni di giacitura e dei caratteri strutturali delle masse eruttive e dei loro filoni, nonché la ricerca dei rapporti che possono eventualmente intercorrere fra magmatismo e orogenesi, rientrano pure nel campo d'indagine della tettonica.

I materiali litici, che formano la parte solida della crosta terrestre (esclusa cioè l'idrosfera e l'atmosfera) si dividono, a seconda della loro. origine, in eruttivi, sedimentari e scistoso-cristallini. I tipi di giacitura delle formazioni eruttive sono svariatissimi e riflettono il modo d'origine delle masse stesse. I complessi intrusivi si possono distinguere in concordanti e discordanti, a seconda che la superficie-limite della massa eruttiva è parallela o meno rispetto alla superficie dei banchi rocciosi incassanti. Un tipo molto diffuso d'iniezione concordante è rappresentato dal filone strato, che è un filone o parte di un filone che segue le commessure fra un banco e l'altro delle rocce incassanti. Alla medesima categoria appartiene il laccolite, che si origina in zone piuttosto superficiali della litosfera, allorché un filone discordante o concordante s'inietta a un certo punto fra strato e strato, sollevando a guisa di cupola le formazioni rocciose sovrastanti. Si genera così una massa eruttiva di forma lenticolare, piano-convessa. Esempî tipici di laccoliti esistono nelle Henry Mountains (Stati Uniti). Il facolite (fig. 1) è invece un'iniezione concordante che ha avuto luogo in una regione, ripiegata o in via di ripiegamento; in questo caso il processo intrusivo non rappresenta la causa, ma piuttosto la conseguenza del ripiegamento che controlla la localizzazione, la forma e le dimensioni del facolite. Rientrano pure in questa categoria le iniezioni basali o apofisi eruttive di scorrimento (fig. 2) che si verificano soprattutto durante le fasi precorritrici della formazione di una catena di geosinclinale (v. oltre). Presso la base degli embrioni delle grandi pieghe future si formano, in conseguenza di fenomeni di scorrimento, numerose fratture grandi e piccole, lungo le quali avviene spesso l'iniezione di magmi basaltici e peridotitici. Le ofioliti o "pietre verdi", che si accompagnano ai calcescisti delle Alpi Occidentali e degli Alti Tauri, corrispondono appunto a iniezioni basali avvenute all'inizio dell'orogenesi alpina, durante l'era mesozoica.

Fra le iniezioni discordanti si deve annoverare in primo luogo la maggior parte dei filoni. Queste manifestazioni eruttive presentano di solito uno sviluppo modesto. Si conoscono tuttavia parecchi filoni che presentano lunghezze superiori ai 100 km.; il "Grande Dicco" della Rodesia, formato da rocce basiche e ultrabasiche, è lungo ben 500 km. e largo da 3 a 12 km. In Italia predominano per ricchezza e varietà di filoni la Sardegna, il massiccio dell'Adamello, il territorio di Predazzo nel Trentino, eec. Grandi masse magmatiche a giacitura discordante prendono il nome di ammasso o massiccio. Quando questi corpi intrusivi, o plutoniti, assumono dimensioni molto rilevanti e non presentano una base visibile, allora essi vengono distinti con il nome di batoliti (fig. 3). La catena del Monte Bianco comprende un grande batolite di età ercinica, successivamente deformato dall'orogenesi alpina. Batoliti colossali esistono nelle Ande e nelle Cordigliere dell'America Settentrionale. Il maggiore di tutti è quello della Coast Range, nella Columbia Britannica, lungo 2000 km. e largo fin 200 km. Queste masse eruttive si trovano quasi sempre in zone orogenetiche e sono di solito allungate parallelamente all'asse principale della catena montuosa a cui appartengono; esse rappresentano le iniezioni più o meno acide che prendono posizione verso la fine dei cicli orogenetici. L'etmolite (fig. 4) è un corpo intrusivo a forma d'imbuto e l'esempio tipico di esso ci viene offerto dal massiccio dell'Adamello. Nel caso dell'arpolite (fig. 5) invece si ha una massa magmatica in forma di piastra suborizzontale o poco inclinata, che s'insinua in corrispondenza a grandi discordanze stratigrafiche oppure a importanti orizzonti di movimento tettonico; l'arpolite viene alimentato mediante un camino o stelo, di solito piuttosto sottile e più o meno fortemente inclinato. Questo tipo di plutonite è molto diffuso nell'Europa centrale, soprattutto in Germania. Infine si è dato il nome di conoliti a quelle masse intrusive che sono penetrate nelle cavità potenziali create dalle dislocazioni. La forma delle camere così riempite dal magma può essere di un tipo qualsiasi.

Nei più antichi tempi precambrici predominarono i plutoniti concordanti, mentre invece nei tempi successivi si ebbe un'enorme prevalenza delle iniezioni discordanti. Ciò è particolarmente vero per le masse acide, a composizione pressappoco granitica, che formano la massima parte dei corpi intrusivi.

La manifestazione più caratteristica del fenomeno effusivo è rappresentata dai vulcani, che si possono definire come montagne costituite da materiali di origine eruttiva, di forma più o meno conica, a stratificazione periclinale. I vulcani possiedono un "camino" semplice o ramificato, che mette in comunicazione il serbatoio magmatico profondo con il cratere. Di solito un vulcano possiede un cratere principale e varie bocche secondarie, a ciascuna delle quali corrisponde generalmente un piccolo cono eruttivo; sull'Etna esistono non meno di 900 di tali coni avventizî. I vulcani si chiamano "omogenei" se sono formati esclusivamente o quasi da lave. Il tipo più comune è però lo "strato-vulcano", che è costituito da una complessa alternanza di lave e di materiale detritico (ceneri, lapilli, blocchi) d'origine eruttiva. Qualche volta l'apparato vulcanico è formato solo da detriti e allora prende il nome di "cono di ceneri".

Le montagne vulcaniche rappresentano la principale manifestazione delle cosiddette "eruzioni centrali", di quelle eruzioni cioè che avvengono attorno a un centro di attività, rappresentato dal camino vulcanico o canale di adduzione del magma. Le maggiori masse effusive traboccano però da lunghe e sottili fessure della crosta terrestre, dando luogo a coltri laviche relativamente poco potenti ma molto estese in senso orizzontale. A queste "eruzioni per fessure" si devono le maggiori colate basaltiche della terra, fra le quali primeggiano i cosiddetti traps del Deccan (India), estesi per oltre 300.000 kmq. di superficie e potenti localmente più di 1800 metri. Le singole colate laviche eccedono però raramente i 100 metri di spessore. In questa categoria rientrano anche i porfidi permiani della Venezia Tridentina, delle Alpi Bresciane, del Varesotto, ecc.

Il gruppo dei terreni sedimentarî (v. sedimentarie, rocce comprende tutte quelle rocce che si sono formate in conseguenza di processi di sedimentazione detritica, chimica e organogena, tanto in ambiente subaereo quanto in ambiente subacqueo. A questi terreni si debbono aggiungere i materiali piroclastici, che consistono in detriti di natura vulcanica spesso frammisti a depositi terrestri o marini.

Il terzo grande gruppo di terreni riguarda le rocce metamorfiche in genere e gli scisti cristallini in specie. Le rocce di questa categoria non presentano più la facies originaria, che avevano quando si sono formate, ma possiedono invece una facies secondaria, acquisita durante i processi di metamorfismo. Si comprende come una qualsiasi roccia eruttiva, sedimentaria o mista si possa trasformare in una roccia metamorfica quando le condizioni-ambiente lo consentano. Esistono quindi orto- para- e metascisti, che derivano rispettivamente da rocce eruttive, sedimentarie e miste. I processi metamorfici possono essere promossi da cause inolto diverse. Noi conosciamo infatti: un metamorfismo di contatto dovuto all'azione chimico-fisica dei magmi e soprattutto dei loro vapori e soluzioni; un metamorfismo di carico, dovuto essenzialmente all'alta temperatura che regna nelle parti profonde della litosfera e all'enorme pressione degli strati sovrastanti, nonché all'azione del vapor d'acqua; un metamorfismo di dislocazione, dovuto più o meno alle stesse cause che producono il metamorfismo di carico e inoltre all'intervento di una forte spinta orientata, di natura tettonica.

La deformazione delle rocce sotto l'influenza delle forze orogenetiche può avvenire mediante ripiegamento (flessione) oppure mediante frattura (taglio); in generale essa è determinata da fenomeni di flessione e di taglio combinati insieme. Non si può quindi stabilire un limite rigoroso íra deformazioni per frattura e deformazioni per taglio, così come non si può nettamente distinguere fra regioni ripiegate e regioni fratturate. Dal punto di vista scientifico sarà più esatto parlare di regioni prevalentemente ripiegate e regioni prevalentemente fratturate. Quando le condizioni ambiente determinate dai fattori temperatura e pressione lo consentono, la deformazione delle rocce è accompagnata da processi di cristallizzazione metamorfica. Si entra così nel campo del metamorfismo di dislocazione al quale abbiamo poco prima accennato.

La deformazione delle masse rocciose è un fenomeno quanto mai complesso, le cui modalità variano continuamente col mutare delle condizioni ambiente, della natura dei materiali, dell'intensità e del tipo delle forze agenti, ecc. Così, per esempio, è evidente che i materiali litici della crosta terrestre non sono tutti egualmente ripiegabili. Le rocce sedimentarie finemente stratificate e i terreni metamorfici a netta e minuta scistosità presentano infatti un grado di flessibilità molto superiore a quello offerto da rocce più compatte, quali certe dolomie e le rocce eruttive in genere. In una stessa zona e sotto l'azione delle medesime forze orogenetiche, i materiali bene stratificati o scistosi daranno luogo a fitte e aguzze pieghettature, mentre invece i materiali massicci saranno colpiti da fratture o al più formeranno delle pieghe a grande raggio di curvatura. Ma anche i terreni più rigidi possono diventare plastici in determinate condizioni. Ciò avviene quando queste masse sono portate a grande profondità, sotto forte carico e a temperatura relativamente elevata. L'enorme pressione delle masse litiche sovrastanti impedisce quell'aumento di volume della roccia che deve di necessità accompagnarsi alla deformazione per frattura. Nel tempo stesso l'elevata temperatura e l'azione del vapor d'acqua contribuiscono a facilitare il rimaneggiamento intimo della massa rocciosa, che solo può consentire la deformazione plastica o flusso solido di tutti i terreni, anche di quelli più rigidi. D'altra parte noi sappiamo che i maggiori fenomeni di ripiegamento sono sempre stati accompagnati da processi di cristallizzazione metamorfica. Non si potrebbe immaginare la formazione delle enormi pieghe coricate della zona pennidica delle Alpi senza l'intervento di un intenso, completo rimaneggiamento tettonico-metamorfico dei materiali che costituiscono le pieghe stesse. Moderni studî petrografici hanno potuto dimostrare che durante la deformazione di grandi masse litiche, situate a una certa profondità, tutti o quasi tutti gli elementi mineralogici delle varie rocce vengono colpiti da fratture, flessioni, scorrimenti interni, ecc. I singoli granuli minerali, con l'intermedio di un sottile velo solvente, rotolano o slittano gli uni sugli altri, e assumono nuovi orientamenti, che rappresentano un adattamento alle condizioni di equilibrio create dalle forze orogenetiche. Nel tempo stesso questo complesso di azioni deformanti apre la via alla penetrazione dei mezzi solventi anche in seno alle rocce più compatte, facilitando le reazioni chimiche, i risanamenti cristallini delle fratture e le cristallizzazioni metamorfiche. È appunto il profondo rimaneggiamento tettonico-metamorfico che consente anche alle rocce più rigide di ripiegarsi nelle maniere più complicate ed eleganti.

Grande importanza agli effetti della deformazione hanno pure la intensità e la durata dello sforzo. Una forza molto intensa e di breve durata darà luogo più facilmente a fratture che non a flessioni. Invece una forza relativamente debole, ma applicata durante un lungo periodo di tempo, riuscirà a piegare anche delle rocce molto fragili. Occorre quindi tener presente quale enorme valore abbia il fattore tempo nei fenomeni tettonici; senza il suo intervento molte modalità dei processi di deformazione delle rocce ci riuscirebbero assolutamente incomprensibili.

I principali tipi di pieghe sono già stati descritti nell'articolo relativo a questa voce. Noi ci limiteremo perciò a fornire alcune notizie suppletorie, allo scopo dì rendere il presente articolo più completo e organico. Ogni piega possiede un proprio asse, che è la linea passante per il punto di massima curvatura o cerniera della piega stessa. La direzione di tale linea si chiama direzione assiale della piega. L'asse di una piega non è quasi mai orizzontale, o, se è, lo è soltanto per breve tratto. Esso subisce infatti svariate ondulazioni positive e negative. Dove l'asse si solleva si hanno le culminazioni assiali, dove invece l'asse si deprime si hanno le depressioni assiali. Le culminazioni determinano la comparsa di masse tettonicamente profonde (nelle Alpi, le pieghe del Sempione-Ticino e degli Alti Tauri); in corrispondenza delle depressioni si trovano invece avanzi delle masse tettonicamente più elevate (nelle Alpi, le masse della Valpelline-Cervino, dei Mythen, del Chiablese, delle Prealpi Romande). Il fenomeno dell'ondulazione assiale è in stretto rapporto con la conformazione dell'avampaese, di quella zona cioè contro cui sono venute a battere le onde orogenetiche. In corrispondenza a una intumescenza dell'avampaese, le pieghe tenderanno a sollevarsi per sormontare l'ostacolo e si determinerà così una culminazione assiale. In corrispondenza a una zona depressa, le pieghe si potranno invece muovere più liberamente verso l'esterno e anche verso il basso, e si formerà allora una depressione assiale. La genesi delle ondulazioni assiali è più o meno contemporanea alla formazione delle grandi pieghe di una catena montuosa.

Non bisogna dimenticare che le oscillazioni degli assi tettonici avvengono spesso a scala enorme, interessando talvolta l'intero sistema di pieghe che costituisce un sistema montuoso. Questo fenomeno ha un'importanza fondamentale per la comprensione della struttura delle catene a pieghe. Sono infatti le ondulazioni assiali che, consentendo ai processi erosivi di mettere a nudo gli elementi tettonici più profondi e salvando dalla distruzione qualche relitto di quelli più elevati, ci permettono di ricostruire la struttura di catene potenti anche qualche decina di chilometri, com'è il caso delle nostre Alpi (fig. 7).

Mentre la causa prima delle deformazioni che hanno colpito la crosta terrestre è verosimilmente unica, si riconosce al giorno d'oggi che le catene montuose non presentano sempre lo stesso tipo di struttura. Argand distingue i seguenti quattro tipi fondamentali di catene e di regioni piegate in genere: a) catene geosinclinali; b) pieghe di copertura; c) pieghe di fondo; d) catene bordiere.

Le catene della prima specie risultano dal progressivo avvicinarsi di due moli continentali, che rinserrano fra loro una grande depressione della litosfera, detta geosinclinale, di solito occupata dalle acque di un mare mediterraneo. Le geosinclinali rappresentano le sedi preferite della sedimentazione, giacché i depositi che si accumulano in questi giganteschi truogoli sono di gran lunga più potenti di quelli che si formano durante lo stesso periodo di tempo sopra i continenti e in seno ai grandi bacini oceanici. Per tal fatto, le catene di geosinclinale sono caratterizzate dall'enorme spessore dei sedimenti nuovi, cioè non ripiegati in precedenza, che le distingue nettamente dagli altri tipi di catene. Sotto l'influenza delle spinte orogenetiche, il fondo della geosinclinale si va gradualmente comprimendo e ondulando, in modo da generare una serie di rilievi o geanticlinali e di solchi secondarî o geosinclinali di II° ordine. Contemporaneamente la geosinclinale si va riempiendo di sedimenti provenienti dai bordi delle due masse continentali e dalle parti emerse e prossime all'emersione delle geanticlinali. La sedimentazione nella geosinclinale è in stretto rapporto con i movimenti tettonici precursori delle grandi crisi orogenetiche, e può avere, a seconda dei luoghi, carattere epeirogenico, orogenico e talassogenico. La sedimentazione epeirogenica avviene sul fondo dei mari epicontinentali, presso il bordo dei continenti stessi. In questo caso si formano prevalentemente depositi terrigeni (derivati dalle terre emerse) o depositi calcarei di acque poco profonde. Questo tipo di sedimentazione si manifesta mediante cicli spesso ripetuti, ciascun ciclo essendo costituito da tre fasi differenti: 1. fase di trasgressione; 2. fase di inondazione; 3. fase di regressione. Durante la prima fase avviene la distruzione della spiaggia continentale in seguito all'avanzata del mare, con formazione di brecce, conglomerati e arenarie. Con la fase successiva, la sedimentazione presenta carattere più batiale (profondo), generando in prevalenza argille e marne. La fase regressiva s'inizia con il graduale ritiro delle acque marine, e si può terminare con la formazione di lagune e infine con l'emersione totale. Questa fase è spesso contrassegnata dalla produzione di caratteristici depositi lagunari di natura chimica (anidrite, gesso, ecc.), che precipitano in seguito all'evaporazione del solvente. Depositi del genere abbondano nel Permico e nel Triassico. I cicli di sedimentazione epeirogenica, con le loro fasi di avanzata e di ritiro del mare, sono dovuti a movimenti del continente, probabilmente connessi con i movimenti orogenetici che avvengono in seno alla geosinclinale.

La sedimentazione orogenica è limitata alle regioni della geosinclinale prossima alle spiagge di una geanticlinale, che emerga dalle acque come una cordigliera. In tal caso l'abrasione marina determina la formazione di depositi clastici (brecce, conglomerati, arenarie) a spese della geanticlinale. I detriti possono scivolare lungo i fianchi della geanticlinale, andando in parte a mescolarsi con i depositi di mare profondo delle geosinclinali secondarie. Se la geanticlinale non emerge, ma rimane coperta da acque poco profonde, allora si possono depositare su di essa brecce conglomerati e arenarie, come pure sedimenti neritici calcareo-dolomitici, di origine organica. In corrispondenza alle parti più elevate delle geanticlinali si determinano quindi lacune stratigrafiche anche notevoli. Le complesse vicende della sedimentazione orogenica sono naturalmente determinate e controllate dai movimenti tettonici che subiscono le geanticlinali durante le fasi embrionali dell'orogenesi.

La sedimentazione talassogenica è caratterizzata da depositi pelagici, ossia di mare aperto, che ricoprono le parti più profonde delle geosinclinali secondarie e che si susseguono senza interruzione nel corso del tempo. Si tratta generalmente di depositi batiali e in qualche punto anche abissali. La serie dei terreni talassogenici non può presentare lacune stratigrafiche, rivelatrici d'interruzioni nel processo sedimentario, e ciò perché le fasi precorritrici dell'orogenesi non sono abbastanza intense per provocare l'emersione del fondo delle geosinclinali di secondo ordine.

Le geanticlinali rappresentano gli embrioni di talune delle maggiori pieghe future. Infatti, un po' alla volta, sotto l'influenza delle spinte orogenetiche, esse diventano asimmetriche e si coricano dalla parte del loro fianco esterno, più ripido, sopra i materiali raccolti nella depressione antestante. Frattanto in corrispondenza alle fratture grandi e piccole situate alla base delle geanticlinali in moto, ha luogo l'iniezione concordante di magmi basici e ultrabasici, che s'intrudono fra i sedimenti della geosinclinale e che talora dànno luogo anche a effusioni sottomarine (fig. 2). È questa la fase embrionale o precorritrice dell'orogenesi, con la quale s'inizia la formazione della catena. Durante la successiva fase parossistica, di solito multipla, le due moli continentali si accostano sempre di più, rinserrando fra di loro l'interposta zona geosinclinale come fra le mandibole di una morsa. Una delle due zolle continentali funziona generalmente da massa-ostacolo, detta anche avampaese, contro cui urtano e si modellano le pieghe sorte dalla geosinclinale. L'altra zolla continentale funziona invece da massa spingente e prende il nome di "retroterra". Nel caso delle catene alpino-hymalaiane, l'avampaese era rappresentato dal vecchio continente eurasiatico (= Europa + Asia, escluse le regioni meridionali); invece il retroterra era costituito dagli antichi blocchi continentali dell'Africa, dell'Arabia, della Penisola Indiana e dell'Australia. L'interposta zona geosinclinale corrispondeva all'immenso mare mediterraneo del Mesozoico, la cosiddetta "Tetide". In questo mare interno emergevano qua e là i dorsi allungati delle geanticlinali, formando qualche gruppo d'isole che, nell'insieme, non doveva essere molto dissimile dall'attuale Arcipelago della Sonda. Durante i parossismi orogenetici, le geanticlinali si trasformano un po' alla volta in gigantesche pieghe coricate, mentre i bordi dei continenti si deformano profondamente, dando origine a complesse strutture che esamineremo in seguito. Se la compressione è sufficientemente intensa, avviene che una delle due moli continentali tenda a salire sull'altra, comprimendo sotto di sé il contenuto della zona assiale della geosinclinale. Il ciclo orogenetico si chiude con una o più "fasi tardive", durante le quali si verifica più che altro l'ulteriore deformazione di strutture già formatesi in precedenza, talora accompagnata o seguita da intrusioni ed effusioni di magmi prevalentemente acidi. La complessa manifestazione dell'orogenesi in più fasi distinte non è limitata alle catene di geosinclinale, ma si estende anche alle catene di altri tipi.

Le Alpi rappresentano l'esempio classico delle catene di geosinclinale (fig. 6). Esse infatti sono costituite da tre zone fondamentali: le Elvetidi, le Pennidi e le Austrodinaridi, che derivano rispettivamente: dalla soglia meridionale dell'Antica Europa; dalla parte assiale della geosinclinale mesozoica, la Tetide, che seguiva più a sud; e dal promontorio settentrionale del vecchio continente africano. La geosinclinale alpina si estese attraverso una regione ripiegata in precedenza dall'orogenesi ercinica, durante la seconda metà dell'era paleozoica. Già nel Carbonico superiore il mare cominciò e ricoprire i ruderi spianati delle catene erciniche nella zona allora corrispondente alle Carniche. Un po' alla volta le acque marine estesero il loro dominio verso ovest e verso settentrione. Nel Permico superiore avevano invaso gran parte della zona alpina orientale, finché nel Triassico la trasgressione divenne generale. Nacque così la geosinclinale alpina, che persistette durante tutta l'era mesozoica. In seguito al movimento dell'Africa verso settentrione, il fondo della Tetide si ondulò, dando luogo ad alcune geanticlinali, ora emerse ora sommerse, mentre alla base delle maggiori pieghe nascenti si verificò un'imponente eruzione ofiolitica. A queste fasi embrionali dell'orogenesi alpina, avvenute durante il Mesozoico, fecero seguito le fasi parossistiche del Terziario, che portarono alla formazione completa e definitiva della catena e alla sua totale emersione dalle acque del mare. La parte cristallina della zona Elvetica si deformò in enormi "cunei listrici" (tipo Argentera, M. Bianco, Aar-Gottardo), separati fra loro da superficie di taglio e di movimento. Invece la copertura mesozoica-terziaria dei massicci elevetici si staccò dal suo rigido substrato cristallino e si rovesciò verso l'esterno della catena, formando una serie d'importanti "falde di scorrimento". Nella zona pennidica (fig. 7) si formarono invece delle grandiose "pieghe coricate", come quelle di Antigorio, del Gran San Bernardo, del M. Rosa, della Dent Blanche, dell'Adula, del Tambò, della Suretta, ecc., in parte derivate da corrispondenti geanticlinali mesozoiche. È opportuno avvertire in via generale che, quando un'anticlinale si corica sopra uno dei suoi fianchi, avviene che i terreni costituenti il nucleo della piega si estendano a ricoprire i più recenti terreni della sinclinale sottostante. Si verifica in tal modo il fenomeno del "ricoprimento" tettonico di terreni più recenti a opera di terreni più antichi. Il fatto si osserva con particolare evidenza nel caso delle pieghe coricate pennidiche, che sono costituite da altrettanti nuclei anticlinali di scisti cristallini pretriassici, rovesciati e scorsi verso la parte esterna della catena, in modo da ricoprire le sottostanti sinclinali mesozoiche per un'estensione di parecchie decine di chilometri. Nelle tipiche pieghe coricate, originatesi in profondità e sotto forte carico, come quelle pennidiche, ben raramente si giunge fino alla soppressione completa del fianco inferiore (rovesciato). Invece nelle pieghe di ambiente più superficiale si osserva che il fianco inferiore delle anticlinali si stira e si assottiglia fino a lacerarsi; allora il fianco rovesciato è sostituito da una superficie di taglio, lungo la quale avviene lo scorrimento della sovrastante parte della piega. Queste strutture sono talvolta chiamate impropriamente "pieghe faglie", noi le distingueremo con il nome più preciso di "falde o (coltri) di scorrimento". Al tipo ora descritto appartengono di solito le falde elvetiche (come, per esempio, quelle di Morcles, dei Diablerets, di Wildhorn, di Glarona, del Säntis, ecc.). Le falde austroalpine rientrano più o meno in questa categoria, per quanto in esse la parte cristallina sia molto più sviluppata che non nelle coltri elvetiche. Le Alpi dei Grigioni e del Reticone, la maggior parte delle Alpi Austriache e Bavaresi, nonché gran parte delle montagne della Valtellina e dell'Alto Adige appartengono al sistema delle falde austroalpine. Computi esatti permettono di affermare che il complesso dei ricoprimenti austroalpini è scorso verso nord per un'estensione di oltre cento chilometri, realizzando la sovrapposizione del promontorio africano all'originaria zona assiale della Tetide e al bordo meridionale dell'Antica Europa.

All'interno della zona austroalpina, costituita come si è visto da una serie di falde scorse verso il settentrione, segue la zona delle "Alpi Meridionali" o "Dinaridi" (fig. 9), formata da pieghe e scaglie rivolte prevalentemente verso il mezzogiorno. Non si deve credere che il rovesciamento a sud delle strutture "dinariche" rappresenti un motivo tettonico del tutto indipendente e prodotto da forze contrarie a quelle che hanno determinato la formazione delle altre parti della catena. Al contrario, come ora vedremo, la tettonica dinarica non rappresenta altro che un effetto particolare di quelle medesime cause che hanno generato le pieghe e i ricoprimenti rivolti verso il settentrione. Ai grandi parossismi orogenetici del Terziario antico seguì un periodo di collasso, durante il quale si verificò lo sprofondamento della regione interna della catena rispetto alle altre parti delle Alpi. Il graduale abbassamento delle "Dinaridi" fu accompagnato da un fortissimo raddrizzamento delle zone di origine o "radici" delle falde austroalpine e pennidiche. Nel Terziario superiore si verificò una forte ripresa della compressione tettonica, dovuta alle fasi tardive dell'orogenesi. Il blocco dinarico, nuovamente spinto verso il settentrione, venne a cozzare contro l'insuperabile ostacolo costituito dalle predette zone di radice, ormai raddrizzate fino alla verticale. Mentre queste ultime venivano ribaltate a sud, si generavano delle controspinte tali da provocare il caratteristico rovesciamento verso mezzogiorno di quasi tutte le strutture dinariche, tanto nelle Prealpi Lombarde quanto nelle montagne del Trentino e del Veneto.

Una lunga serie d'intrusioni, allineate a rosario, accompagna da un capo all'altro delle Alpi la zona limite fra le falde austroalpine e le "Dinaridi". Tali masse eruttive, fra cui basterà ricordare quelle del Bacher-Eisenkappel, delle Vedrette di Ries di Predazzo, di Bressanone, dell'Adamello, di Bregaglia, di Biella e Traversella, ecc., rappresentano le manifestazioni tardive del ciclo magmatico alpino, che hanno avuto luogo quando le maggiori pieghe e falde delle Alpi si erano già formate. La caratteristica distribuzione di detti massicci ha valso loro l'appellativo di "periadriatici"; essi si estendono lungo o presso grandi linee di dislocazione, che probabilmente hanno rappresentato la principale via di adduzione del magma. Alle masse untrusive si debbono aggiungere anche gli apparati vulcanici e le colate effusive che si trovano all'estremità orientale delle Alpi, nel Vicentino e nel Veronese, nonché in corrispondenza al gruppo degli Euganei.

Per quanto riguarda i rapporti fra l'orogenesi alpina e il concomitante metamorfismo di dislocazione, osserveremo che i grandi fenomeni di ricoprimento hanno creato nelle parti più profonde della catena le condizioni ambiente necessarie perché si sviluppasse una completa e intensa cristallizzazione metamorfica. Le rocce della zona pennidica vennero quindi trasformate in scisti cristallini, e quelle che si trovavano già dapprima in tale stato subirono un nuovo rimaneggiamento tettonico-metamorfico. Nelle più elevate zone elvetiche e austroalpine, il carico delle masse rocciose non fu in generale sufficiente a promuovere una vera e propria cristallizzazione. I terreni di queste unità presentano quindi deformazioni prevalentemente clastiche, spesso molto intense, che non di rado hanno ridotto le rocce allo stato di brecce tettoniche o miloniti. I processi di milonitizzazione assumono il loro massimo sviluppo presso la base delle falde austroalpine e ciò sta in rapporto con il grandioso movimento di traslazione verso nord subito da queste unità tettoniche.

Vaste aree delle moli continentali sono formate da un vecchio zoccolo basale (Grundgebirge), di rocce eruttive e di scisti cristallini fortemente ripiegati, ricoperto in discordanza dai cosiddetti terreni di copertura, ossia da una serie di sedimenti non ripiegati e quindi suborizzontali. Avviene spesso che, in conseguenza di spinte orogenetiche trasmesse attraverso lo zoccolo basale, i terreni di copertura si stacchino dal loro rigido substrato e si ripieghino indipendentemente da esso, dando origine così a catene di copertura. Il fenomeno avviene molto più facilmente se alla base dei terreni di copertura si trovano materiali plastici (gesso, anidrite, argilla, ecc.), che agevolano il distacco e lo scivolamento delle sovrastanti masse rocciose, funzionando da vero e proprio "lubrificante tettonico". Un bell'esempio del genere è fornito dalla catena del Giura franco-svizzero (fig. 10).

Quelle stesse forze orogenetiche che deformano i bordi dei continenti e le aree geosinclinali, determinano in seno ai vecchi zoccoli continentali un ripiegamento più profondo. Gli antichi massicci, irrigiditi perché già più volte ripiegati, iniettati di magmi e metamorfosati, si ondulano e si ripiegano a loro volta. Si formano così le pieghe di fondo, che consistono in pieghe di medio e di grande raggio di curvatura, completamente indipendenti dalle vecchie strutture. Esse dànno luogo talora ad amplissime ondulazioni dello zoccolo continentale, appena sensibili alla nostra osservazione; in altri casi invece fanno l'impressione di autentiche catene. Non di rado sono accompagnate da importanti fratture e da grandi scorrimenti. Le pieghe di fondo sono di solito più o meno parallele al bordo continentale in via di deformazione, e diventano tanto più tenui quanto più ne sono lontane. Questo tipo di ripiegamento deve essere considerato come la più importante espressione del fenomeno orogenetico, perché i fasci di pieghe e le catene che produce possono avere dimensioni superiori a quelle delle più grandi catene di geosinclinale. D'altra parte, a parità di volume, la deformazione dei vecchi zoccoli continentali, relativamente rigidi, richiede una quantità di energia assai maggiore di quella che occorre per ripiegare i terreni sedimentarî, molto più plastici, che riempiono le geosinclinali o che costituiscono la copertura dei continenti. Inoltre, il volume delle pieghe di fondo in tutta la crosta terrestre è di gran lunga superiore a quello delle catene di altro tipo. Si comprende quindi come il ripiegamento di fondo rappresenti non solo la reazione specifica del continente allo sforzo tangenziale, ma anche la principale manifestazione del diastrofismo sulla Terra.

E veniamo infine alle catene bordiere, che sorgono nelle regioni situate al limite fra un continente e il libero oceano. Esse sono generalmente costituite da pieghe di fondo dello zoccolo continentale e della zona sottomarina che ne forma il talus, nonché da pieghe di copertura dei sedimenti che ammantano lo zoccolo, e dei depositi accumulatisi sopra il talus. Le catene bordiere sono quindi fondamentalmente diverse per origine e struttura da quelle di geosinclinale, a malgrado di certe rassomiglianze superficiali. Le catene circumpacifiche dell'Asia e delle due Americhe appartengono a questa categoria. Anche nelle catene bordiere sono stati scoperti grandiosi esempî di ricoprimenti tettonici, che non hanno nulla da invidiare per dimensione a quelli classici delle Alpi. Così, per esempio, lungo la fronte orientale delle Montagne Rocciose, esistono grandiosi e ripetuti scorrimenti, estesi perfino 35 miglia. Queste fratture sembrano dovute a un movimento d'insieme verso oriente delle Montagne Rocciose sopra la superficie dei Grandi Piani.

I diversi tipi di catena finora illustrati rientrano tutti nella grande categoria delle catene a pieghe, la cui genesi è imputabile all'azione di forze compressive, agenti in senso tangenziale rispetto alla superficie terrestre. Esistono però altri rilievi del suolo, positivi e negativi, che si distinguono nettamente dai precedenti per caratteristiche strutturali, per modalità di genesi e forse anche in parte per origine. Talvolta masse rigide, per lo píù formate da terreni cristallini, vengono a restare come isolate ed emergenti sulle aree vicine, per via d'una serie di faglie che le circonda, in modo da originare degli enormi blocchi più o meno simili a dei parallelepipedi. Una massa che rimane fissa, mentre le zone circostanti sprofondano, o, inversamente, una massa che s'innalza mentre le zone circostanti rimangono fisse, è detta "pilastro rigido" (Horst). Di solito essa pure è colpita da faglie minori. In corrispondenza invece di un'area affossatasi, situata tra zone non sprofondate, e limitata da faglie o da sistemi di faglie scalariformi, si ha una cosiddetta "zolla affondata", o "fossa tettonica" (Graben). Un esempio classico di fossa tettonica è offerto dalla valle del Reno, fra Basilea e Magonza. Tale fossa decorre tra due pilastri rigidi, i Vosgi a ovest e la Selva Nera a est, ed è limitata ai due lati del Reno da due sistemi di faglie scalariformi.

Il Monte Sinai è un pilastro rigido, compreso fra i due affossamenti del Golfo di Suez-Mar Rosso e del Golfo di Akaba, che si estende verso nord nella fossa del Mar Morto. Questo sistema di fratture si continua nell'Africa orientale mediante la depressione dancalo-galla, che si collega verso sud-ovest con la "grande valle", di sprofondamento in cui sono contenuti i laghi Rodolfo, Nyanza, Tanganica, Nyassa, ecc. (fig. 11). In tal modo dallo Zambesi alla Palestina, su una distanza di 4000 miglia, si succedono numerose fosse tettoniche che, sebbene non costituiscano un'unica depressione continua, sono però tutte geneticamente legate tra loro. Questo sistema di fratture è senza confronto il più grande che esista sulla Terra, e la sua presenza ha un'importanza fondamentale anche dal punto di vista geografico ed economico per le regioni ch'esso attraversa. Il fagliamento che provocò la formazione delle predette fosse tettoniche, fu accompagnato da grandi effusioni laviche nel Mozambico, nell'Abissinia e financo in Persia.

Si può ricordare che talune delle grandi fosse oceaniche vengono interpretate come zolle affondate.

Per il passato la genesi delle faglie, dei pilastri rigidi e delle fosse tettoniche era generalmente attribuita a spinte agenti in senso radiale rispetto alla superficie della Terra. Gli studiosi moderni propendono invece a imputare anche le deformazioni di questo tipo a forze orizzontali, o, per essere più precisi, alle componenti verticali delle spinte tangenziali.

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