The Best Years of Our Lives

Enciclopedia del Cinema (2004)

The Best Years of Our Lives

Michele Fadda

(USA 1946, I migliori anni della nostra vita, bianco e nero, 172m); regia: William Wyler; produzione: Samuel Goldwyn; soggetto: dal romanzo in versi Glory for Me di MacKinlay Kantor; sceneggiatura: Robert Sherwood; fotografia: Gregg Toland; montaggio: Daniel Mandell; scenografia: George Jenkins, Perry Ferguson; costumi: Irene Sharaff; musica: Hugo Friedhofer.

Finita la guerra, tre soldati diventano amici durante il viaggio che li riporta alla loro città natale, Boone City. Il più anziano, Al, è un sergente di fanteria. Il più giovane, Homer, è un marinaio mutilato, con degli uncini al posto delle mani. Il terzo, Fred, è un capitano d'aviazione. Giunti a casa, ognuno affronta a suo modo l'impatto del ritorno. Homer vive con disagio le attenzioni che gli vengono rivolte, rifiutando l'amore della fidanzata Wilma, scambiato per una manifestazione di pietà. Al, a fatica, accoglie l'affetto della moglie e dei due figli, e torna a lavorare in banca per occuparsi dei prestiti da elargire ai reduci. Fred accetta un impiego da commesso nel grande magazzino in cui un tempo lavorava come gelataio, e si trova costretto a vivere con una moglie volgare che non lo ama. Licenziato per avere difeso in pubblico Homer, viene aiutato da Al, che però si oppone all'amore che sta nascendo tra Fred e Peggy, sua figlia. Rotta la relazione con Peggy, abbandonato dalla moglie, Fred, deciso a lasciare la città, ritrova la voglia di vivere lavorando in un cimitero di aerei bombardieri. Nel frattempo, Homer ha capito che l'amore di Wilma è sincero, e decide di sposarla. Durante il matrimonio dell'amico, Fred si riavvicina a Peggy, con la benedizione dei genitori di lei.

Vincitore di sette premi Oscar, The Best Years of Our Lives è forse l'esempio più riuscito tra i tentativi da parte di Hollywood, all'indomani del secondo conflitto mondiale e sull'eco delle prime prove del cinema neorealista in Europa, di produrre pellicole di impegno civi-le, capaci di affrontare direttamente i problemi sociali dell'epoca. William Wyler cercò di innestare un impianto più realista sugli stilemi del cinema hollywoodiano, sfruttando in primo luogo l'esperienza maturata nel suo lavoro di documentarista sul fronte europeo durante la guerra, che si concretizzò nei due mediometraggi Memphis Belle (1944) e Thunderbolt (1945), realizzati per conto della U.S. Air Force. Con maggiore incisività rispetto al precedente Mrs. Miniver (La signora Miniver, 1942), film di propaganda diretto da Wyler a beneficio degli alleati inglesi, in The Best Years of Our Lives lo scrupolo nel documentare l'impatto sociale della guerra si evidenzia innanzitutto aggirando gli elementi più palesemente mistificatori della messa in scena hollywoodiana. Il realismo del regista si mostra, tra l'altro, nella scelta delle scenografie, nell'attenzione rivolta ai particolari degli interni (i singoli appartamenti dei protagonisti, o altri luoghi del vivere comune, come i bar o il supermercato), o ancora nel ben noto partito preso di fare indossare agli attori dei vestiti comprati nei grandi magazzini. Soprattutto, l'intero tentativo di rispecchiare più fedelmente il trauma del ritorno a casa dei reduci ruota intorno alla scelta di far interpretare il personaggio di un mutilato di guerra a Harold Russell, attore realmente handicappato, che Wyler aveva individuato in Diary of a Sergeant, una pellicola di propaganda dell'esercito statunitense. Tuttavia, sebbene il regista nel lungo svolgersi del racconto sembri privilegiare i tempi morti della normale quotidianità dei personaggi rispetto al grande respiro della progressione narrativa hol-lywoodiana, gli elementi realistici rimangono per lo più di facciata, e il film non riesce e forse non vuole sottrarsi al carattere riconciliatorio tipico dell'ideologia del cinema americano del tempo (accentuato dalla presenza del matrimonio finale, peraltro imposto a Wyler dal produttore Samuel Goldwyn). Di qui gli esiti di una pellicola che da un lato André Bazin, in un suo famoso saggio, non esitò a definire emblematica insieme dell'etica registica wyleriana e del migliore spirito democratico americano, ma che dall'altro lato, in quegli stessi anni, Robert Warshow stigmatizzò come paradigmatica della falsa coscienza politica di Hollywood, sempre pronta a far credere che i problemi sociali possano comunque essere risolti dall'iniziativa individuale. Ciononostante, la capacità wyleriana di integrare le tecniche del realismo con i moduli narrativi hollywoodiani appare ancora oggi in tutta la sua forza proprio nei momenti in cui, sottraendosi a facili formule riassuntive, essa sembra farsi correlato oggettivo di una pacificazione sociale non pienamente risolta.

In questo senso, The Best Years of Our Lives si mostra davvero come il punto più maturo della riflessione ‒ iniziata in pellicole come Dead End (Strada sbarrata, 1937), Wuthering Heights (La voce nella tempesta, 1939) e soprattutto The Little Foxes (Piccole volpi, 1941) ‒ condotta da Wyler e dal grande operatore Gregg Toland sulle possibilità espressive della profondità di campo. Rispetto alle sperimentazioni adottate dallo stesso Toland durante la sua collaborazione con Orson Welles in Citizen Kane, l'uso del deep focus perde in Wyler il suo carattere eversivo nei confronti dell'impianto figurativo della rappre-sentazione 'classica', e diventa espediente tecnico in diretta continuità con la 'trasparenza' del linguaggio hol-lywoodiano; ma d'altra parte, la scelta di privilegiare una migliore messa a fuoco nell'inquadratura rispetto alle deformazioni wellesiane lungo l'asse della profondità porta, in The Best Years of Our Lives (si pensi alla citatissima inquadratura nel bar, con Fredric March e Harold Russell al pianoforte, e Dana Andrews che, sullo sfondo, telefona a Teresa Wright), a una compresenza di piani all'interno della medesima sequenza che non solo, come si avvide Bazin, chiama maggiormente in causa l'attenzione dello spettatore, ma mette in sospensione le più consolidate gerarchie tra primo piano e sfondo, aprendo il film a quegli elementi di complessità ermeneutica che ne costituiscono il fascino maggiore. Al di là infatti delle connotazioni realistiche, l'impatto drammatico di The Best Years of Our Lives vive nell'esplicitarsi di quelle ambiguità sul piano dell'immaginario che hanno reso grande la Hollywood classica, vuoi negli incerti confini spaziali in cui si svolge la vicenda narrata (Boone City, il 'non luogo' in cui vivono i protagonisti), vuoi nell'attenuazione dei legami temporali prodotta dalle continue ellissi, o vuoi ancora, a un livello mitico, nella debolezza dell'elemento maschile rispetto a quello femminile, rimando inconscio a una tradizione matriarcale che ha radici profonde nella cultura americana. E non a caso, la potenzialità visiva della messa in scena di Wyler si esprime in tutta la sua intensità nella famosa scena con Dana Andrews dentro la carlinga dell'aereo in via di demolizione, momento in cui la riflessione sugli effetti della guerra si trasferisce su un piano pienamente metaforico e non realistico, nonché sequenza tra le più memorabili dell'intero cinema hollywoodiano degli anni Quaranta.

Interpreti e personaggi: Dana Andrews (Fred Derry), Fredric March (Al Stephenson), Mirna Loy (Milly Stephenson), Teresa Wright (Peggy Stephenson), Virginia Mayo (Marie Derry), Harold Russell (Homer Parrish), Cathy O'Donnell (Wilma Cameron), Hoagy Carmichael (Butch), Gladys George (Hortense Derry), Roman Bohnen (Pat Derry), Ray Collins (Mr. Milton), Steve Cochran (Cliff), Minna Gombell (madre di Homer), Walter Baldwin (padre di Homer), Dorothy Adams (madre di Wilma), Don Beddoe (padre di Wilma), Ray Teal (Mollet), Dean White (Novak), Charles Halton, Marlene Aames, Michael Hall, Ralph Sanford, Hal Dawson, Clancy Cooper, Blake Edwards.

Bibliografia

J. Agee The Best Years of Our Lives, in "Nation", December 7 e December 14, 1946.

R. Warshow, The Anatomy of Falsehood, in "Partisan Review", May-June 1947, poi in The Immediate Experience, New York 1962.

A. Bazin, William Wyler ou le janséniste de la mise en scène, in Qu'est-ce que le cinéma?, Paris 1958 (trad. it. Milano 1973).

E.G. Laura, I migliori anni della nostra vita, in "Bianco e nero", n. 5, maggio 1959.

M.A Jackson, The Uncertain Peace, in American History/American Film, a cura di J.E. O'Connor, M. Jackson, New York 1979.

S.L. Chell, Music and Emotion in the Classic Hollywood Films: 'The Best Years of Our Lives', in "Film Criticism", winter 1984.

K. Silverman, Historical Trauma and Male Subjectivity, in Male Subjectivity at the Margins, New York-London 1992.

Ch. Viviani, Un classique américain, in "Positif", n. 484, juin 2001.

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