REID, Thomas

Enciclopedia Italiana (1936)

REID, Thomas

Carlo Mazzantini

Filosofo, nato a Strachan (Scozia) il 26 aprile 1710, morto a Glasgow il 7 ottobre 1796. Insegnò nelle università di Aberdeen (1725-1764) e di Glasgow (1764-1780). Con lui prende inizio la cosiddetta scuola scozzese del senso comune, alla quale poi appartennero Dugald Stewart e altri, e che esercitò un influsso notevole anche in Italia e in Francia all'inizio del sec. XIX.

Già da parecchio tempo, alcuni scrittori, filosofi e teologi, per combattere quelle ehe loro sembravano vane "sottigliezze", e conseguenze assurde delle scuole filosofiche postcartesiane, si erano appellati - riprendendo del resto un vecchio motivo ciceroniano, tante volte discusso e sfruttato - al senso comune dell'umanità; così per es., il gesuita Cl. Buffier (Traité des premières vérités, 1717). Ma la posizione del R. acquista il suo pieno valore storico solo quando sia messa in relazione con l'empirismo inglese: il quale, dalla forma eclettica che aveva avuto con G. Locke, e da quella spiritualistica e mistica che gli aveva data G. Berkeley, era giunto con D. Hume a quelle conseguenze radicalmente scettiche, che il R. appunto afferma essere implicite nelle premesse da cui tutti questi pensatori erano partiti.

Premesse che sostanzialmente fanno tutte capo a una premessa fondamentale, di carattere gnoseologico: che cioè l'oggetto immediato della conoscenza sia sempre un'idea, nel senso che a questo termine davano gli empiristi inglesi: una modificazione cioè dell'anima, o della mente, che indubbiamente c'è in quanto è percepita o presente alla coscienza; ma che d'altro canto non ha altro essere se non appunto questo: di esser percepito (cuius esse, diceva il Berkeley, est percipi). Di questo, che egli considera un pregiudizio rovinoso, il R. fa carico non solo al Descartes e ai filosofi postcartesiani, ma anche ad Aristotele e a tutta la filosofia aristotelica-scolastica; ritenendo egli (con poca esattezza storica) che anche in questa tradizione filosofica l'idea sia universalmente considerata come l'unico oggetto direttamente conosciuto; mentre invece essa è per gli aristotelici un puro mezzo conoscitivo che fa conoscere piuttosto che essere conosciuta essa medesima (se non per riflessione successiva).

Il "senso comune" degli uomini è invece naturalmente e inconfutabilmente persuaso che la percezione coglie la cosa reale, così com'essa è in quanto è distinta da noi e da noi indipendente, e senza che si verifichi in ciò nessun'azione (né della cosa sulla mente, né della mente sulla cosa). La percezione perciò si distingue radicalmente dalla coscienza; l'oggetto di quest'ultima (ma di quest'ultima soltanto) è veramente uno stato o una modificazione della mente stessa che se ne accorge. Invece il percepito è una cosa reale in sé, non una parte del contenuto della coscienza di chi percepisce.

Come poi l'atto della percezione sia possibile, non è dato comprendere; ma appunto le "verità fondamentali" - quale, p. es., anzi in prima linea, il principio di causalità criticato dal Hume - non si comprendono; si constatano per una specie di irresistibile e inconfutabile istinto intellettuale e devono essere soltanto raccolte e catalogate. A questa specie di certezza, che egli chiama spesso "suggestione" (suggestion) intellettuale, ricorre il R. largamente, anche per quanto riguarda le verità morali e religiose.

Il punto difficile (e a un tempo il punto debole) della dottrina del R. sta nel fatto che egli, mentre pur vorrebbe rivendicare l'"evidenza" immediata dell'esistenza delle cose percepite e del valore di certe verità, d'altro canto sostiene che tale esistenza e tale valore devono essere "presi come concessi" (taken for granted), secondo il senso comune, senza esaminarli, senza sforzarsi di spiegare la possibilità di conoscerli, o almeno di confutare le obiezioni. Ciò significa avere sfiducia nell'evidenza intellettuale. Perciò il realismo del R. ha carattere istintivo e in fondo irrazionalista. Con tutto ciò il suo merito rimane intatto, quanto alla rivendicazione del valore delle credenze istintive e universali degli uomini. Le opere principali del R. sono: Inquiry into the human mind on the principles of common sense (1764); Essays on the powers of human mind (1785-1788). L'edizione completa delle opere del R. fu curata da W. Hamilton (Edimburgo 1846). Furono tradotte in francese da Th. Jouffroy. (Parigi 1828-35).

Bibl.: A. S. Pringle-Pattison, Scottish Philosophy. A comparison of the Scottish and German answers to Hume, Edimburgo 1899, 3ª ed. (corso di lezioni tenute nell'università di Edimburgo nell'anno 1882-83); L. Dauriac, Le réalisme de R., Parigi 1899; A. Campbell-Fraser, Th. R., 1898; M. F. Sciacca, Dio nella filosofia di T. R., in Logos, XVI (1933), fasc. 1°, pp. 1-24; E. Boutroux, Études d'hist. de la philosophie, Parigi 1925; M. F. Sciacca, La filosofia di Th. Reid, Napoli 1935.

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