TIFO

Enciclopedia Italiana (1937)

TIFO (dal gr. τῦϕος "torpore")

Cesare Frugoni

Il tifo o ileotifo o febbre tifoide è una malattia infettiva acuta a sintomi generali e locali (intestino) provocata da un germe che le è specifico, il bacillo di Eberth-Gaffky. Benché non sia possibile definire con precisione l'epoca della sua comparsa, certo è che il tifo, confuso dapprima per secoli con parecchie altre malattie epidemiche gravi, ha colpito il genere umano dalla più remota antichità, potendosi già fin da Ippocrate, nella descrizione di alcuni casi, ravvisare il quadro clinico fondamentale della malattia. Differenziato nel sec. XVIII per particolare reperto anatomopatologico (enterite ulcerosa) da altre malattie a fisionomia tifosa (tifo esantematico, tifo ricorrente), poté essere esattamente definito nella sua etiologia e nel suo quadro clinico dopo la scoperta batteriologica dell'agente causale (K. J. Eberth, 1880). Con il progredire della tecnica batteriologica venne ulteriormente accertato che quadri morbosi clinicamente simili al tifo possono essere a volte provocati, oltre che dal tipico batterio di Eberth, anche da altri batterî che, simili a quello del tifo per la massima parte dei loro caratteri, da esso possono essere però differenziati per alcune particolari proprietà colturali (diverso comportamento su terreni zuccherati), antigeniche (formazione di anticorpi specifici diversi) e patogene sugli animali. Sono questi il B. paratifoso A e il B. paratifoso B.

Il Bacterium typhi Eberth-Gaffky con gli affini B. paratyphi A (Schottmüller, Brion e Kayser) e B. paratyphi B (Achard e Bensaude, Brion e Kayser) fa parte del gruppo tifo-coli. Ha l'aspetto di un bastoncino corto, tozzo, a estremità arrotondate, nella sua forma tipica circa 3 volte più lungo che largo, della lunghezza all'incirca di 1/3 del diametro di un globulo rosso (0,7 × 2-3 μ). È asporigeno, vivacemente mobile in terreni di coltura liquidi per i numerosi flagelli di cui è fornito. Colorabile facilmente con tutte le sostanze coloranti, è negativo al metodo di colorazione del Gram. Aerobio facoltativo, cresce bene e rapidamente su tutti i comuni terreni di coltura. Fuori del corpo umano, nell'ambiente esterno, la sua resistenza e vitalità sono notevoli; al riparo dalla luce e dall'essiccamento rimane vivo per dei mesi, ugualmente nel ghiaccio, in acqua sterile fino a 3-4 mesi, in acqua di fiume per circa 3 settimane, per molti mesi nelle fogne, nel terreno umido, nel concime. Poco resiste invece al sole; l'irradiazione solare diretta lo distrugge in poche ore. In mezzo liquido muore per riscaldamento a 58°-60° in meno di ½ ora. Mostra mediocre resistenza verso i disinfettanti comuni; il sublimato in soluzione all'1‰ lo distrugge in circa 30′, il formolo al 2% in circa 20′. Questi caratteri batteriologici generali, comuni ai germi di questo gruppo, valgono quindi sia per il b. tifico sia per i due paratifi: la differenziazione tra di essi e dagli altri batterî del gruppo si basa su proprietà colturali (diverso potere fermentativo sugl'idrati di carbonio, ecc.) e sierologiche (agglutinazioni con sieri-test, ecc.).

Nella propagazione del tifo l'uomo infetto, sia come ammalato sia come "portatore" (si dicono portatori quegl'individui che anche per lunghissimo periodo albergano ed eliminano batterî del tifo senza presentare contemporanei segni di malattia), è sempre la sorgente prima e necessaria da cui i nuovi casi di malattia hanno origine. Dai malati o dai portatori ai sani il contagio può avvenire sia direttamente, cioè per contatto diretto (come non di rado succede per chi assiste un tifoso), sia indirettamente, attraverso materiali in vario modo inquinati, per esempio acque infettate, latte, burro, verdure contaminate, ostriche, ecc., come di solito avviene nei casi di propagazione della malattia a tipo epidemico. Lo studio della diffusione delle infezioni tifiche è perciò della maggiore importanza anche dal lato sociale perché il persistere di esse sotto forma endemica locale può dare indicazioni sulla presenza, nelle località colpite, di condizioni igieniche difettose, come l'attenuazione e la scomparsa di esse rappresentano prova eloquente del migliorato stato igienico e del progresso conseguito.

In Italia precedentemente alla promulgazione della legge sanitaria del 1888 la morbidità e mortalità per febbre tifoide (tifo e paratifi) era elevata. Nel triennio 1887-89 morivano in media annuale per tifoide 24.913 individui pari al quoziente di 835 per 1 milione di abitanti. Da allora con lo svilupparsi delle opere di risanamento urbano, particolarmente della buona provvista di acqua potabile e delle fognature, con l'istituzione di idonei servizî igienico-sanitarî, e con il miglioramento dei servizî di assistenza sanitaria, congiuntamente a una sempre più intensa azione di profilassi diretta e anticontagionistica, la tifoide andò progressivamente regredendo. Nel triennio 1905-07 i morti per tifoide si ridussero annualmente a 9645 e cioè a un quoziente di 289; in quello 1911-13 a 8415 pari a 240 su 1 milione di abitanti. Durante la guerra mondiale si ebbe, come per altre malattie, un lieve aumento, e nella media annuale del 1920-22 si ebbero 9356 morti, pari a 252 per 1 milione di abitanti. Una nuova discesa nella mortalità per tifoide si manifestò a partire dal 1923 in dipendenza del riordinamento dei servizî sanitarî e dell'intensa opera di risanamento igienico dei centri abitati e delle campagne, intrapresa dal regime fascista. Nel triennio 1929-31 (media annuale) i morti per tifoide furono 6490 pari a 159 per 1 milione di abitanti, e negli anni 1933-34, per tifo addominale e per infezioni paratifiche, i morti sono stati rispettivamente 4721 e 4868 pari a quozienti di 112 e 115. Cospicui risultati si sono quindi ottenuti in Italia nella repressione della tifoide. Dal quoziente di 835 si è discesi a 115, avendosi così una diminuzione ragguardevole. Questa remissione s'è avuta in tutte le regioni e provincie del regno e in modo più accentuato nei grandi centri.

La persistenza di focolai endemici si ha nei piccoli comuni, nelle campagne, verso le quali vengono ora rivolte particolari cure dal regime, che ha messo in primo piano il problema dell'igiene rurale, del risanamento delle campagne, e questo programma trova l'espressione più larga nelle leggi e nelle provvidenze per la bonifica integrale.

Nell'uomo infettato i bacilli del tifo una volta penetrati nell'organismo se non sono distrutti dai molteplici mezzi e poteri di difesa, si riproducono, e dopo il periodo clinico d'incubazione passano nel sangue e vi si diffondono, sì che si costituisce la fase iniziale febbrile o setticemica della malattia, durante la quale le colture batteriologiche dal sangue riescono in genere positive. Dopo di che i germi si localizzano nel sistema linfatico, specie intestinale (le cosiddette placche del Peyer, a carico delle quali insorgono alterazioni caratteristiche ad opera del B. del tifo e delle loro tossine); le vie biliari e la cistifellea sono frequentemente infette. Le placche del Peyer presentano prima infiltrazione, poi necrosi con formazione di escare, e infine eliminazione delle escare e ulcerazione. Questa suole di solito guarire senza inconvenienti, ma a seconda del modo e tempo di distacco dell'escara possono anche aversi le due più gravi complicazioni del tifo: enterorragia e perforazione intestinale. Figurano anche milza infettiva e visceriti degenerative. Il periodo d'incubazione fra l'entrata dei germi nell'organismo e i primi segni di malattia è molto vario, fino a 2, al massimo 3 settimane. Segue il periodo prodromico con qualche giorno di malessere, fiacchezza, disturbi indefiniti generali o intestinali, e quindi la febbre che può solo mancare per un certo tempo (tifo ambulatorio). La febbre suole aumentare gradualmente a sbalzi e impiegare circa una settimana a raggiungere il cosiddetto periodo di stato, il quale dura in genere due settimane, raramente meno, con temperature fra 39° e 40°. Se ne ha poi diminuzione talora con notevoli oscillamenti (periodo anfibolo di circa una settimana) fino a graduale esaurimento. Quindi schematicamente una durata di quattro settimane: questo lo schema, che offre però grandi varianti e irregolarità.

Il polso in principio è meno frequente di quanto la febbre implicherebbe, ipoteso, dicroto. Intanto si ha malessere profondo, talora sangue dal naso, e quasi sempre cefalea spesso violenta con alterato sensorio, delirio frequente più o meno agitato, tremori diffusi, sopore, prostrazione, ottundimento profondo (vero stato tifoso) fino anche alla completa incoscienza, talora con perdita di feci e delle urine. Intanto si hanno lingua arida, bocca fuligginosa, frequente catarro bronchiale, e sulla pelle, specie al tronco, compaiono papule rossastre (roseola tifica, caratteristica). Il ventre si fa meteorico, sensibile, specie alla fossa ileocecale, mentre la milza e un po' anche il fegato aumentano di volume (milza infettiva). Si ha in genere diarrea, che nei casi classici dà feci fetide, liquide, color verde pisello. Tutti i sintomi gradualmente s'attenuano verso la fine della malattia. Nel sangue si ha leucopenia, o diminuzione dei globuli bianchi (3-4-5000 in luogo di circa 8000), e nelle urine frequente albuminuria e cilindruria. Tipo e decorso possono essere i più varî: dal tifo ambulatorio e dall'abortivo al tifo protratto o con ricadute, o con recidive, o in vario modo complicato. Fra le più comuni complicazioni vanno ricordate la miocardite, la nefrite grave, i fatti nervosi, dal meningismo alla vera meningite, le emorragie più o meno gravi, talora mortali, non di rado facilitate da errori dietetici o da purgami. Ricordiamo ancora la peritonite, o da diffusione (meno grave) o da perforazione (gravissima, con collasso brusco e quasi sempre morte rapida a meno che un tempestivo intervento operatorio possa - benché raramente - salvare il malato), e le enterorragie che possono intervenire nel periodo di distacco delle escare e che sono causa non rara di morte, senza contare altre complicazioni come colecistiti, broncopolmonite, parotiti, polineuriti, arteriti cerebrali, cistiti, pieliti, ecc., e la forma emorragica (tifo emorragico) grave, che non ha nulla a che fare col tifo petecchiale.

La diagnosi, oltre che dei criterî clinici, può giovarsi dei dati di laboratorio. Le ricerche sulle urine, feci, e sulla bile estratta con duodenosondaggio (C. Frugoni, 1915) hanno scarso valore pratico diagnostico; la leucopenia ha valore relativo.

Due dati di laboratorio di importanza pratica per la diagnosi, sono l'emocoltura e la sieroagglutinazione di Widal. L'emocoltura per molti giorni dall'inizio della malattia, se convenientemente praticata su terreni adatti (tali cioè da annullare l'azione battericida che il sangue umano in vitro svolge per il B. di Eberth e da favorire lo sviluppo del germe), dà quasi sempre reperto positivo (presenza nel sangue del B. del tifo) e cioè diagnosi matematica. La reazione di Widal si basa sull'azione agglutinante del siero di sangue dei malati per i B. del tifo. Dà di norma esito positivo, a partire dal 7°-8° giorno di malattia, a una diluizione che per avere valore pratico non deve essere inferiore a 1:50, ma è abitualmente di più. Il suo significato è diverso nei soggetti recentemente vaccinati contro il tifo, o che abbiano superato da poco tempo il tifo.

La prognosi è sempre riservata. La cura è sintomatica: le varie cure specifiche proposte non hanno ancora avuto sicura sanzione. Coefficienti di cura di primaria importanza, tali da poter notevolmente influire sul decorso della malattia, sono un'accurata ed esperta assistenza e un'alimentazione adatta del malato. La profilassi si basa sulle comuni norme di igiene: denuncia, precauzioni nell'assistenza dei malati, disinfezione dei loro escreti, sorveglianza delle acque, astensione dall'uso del latte crudo o non pastorizzato, di verdure crude, di frutta di mare, ecc., guerra alle mosche. Si praticherà inoltre controllo batteriologico (feci-urine) dei convalescenti (eventuali portatori), specie quando si tratti di persone addette alla manipolazione di alimenti inquinabili (lattai, cuochi, ecc.).

Oggi possediamo anche un mezzo profilattico efficace nella vaccinazione preventiva, che si pratica iniettando nei sani sottocute vaccini misti (preparati con colture uccise di bacilli del tifo e di B. paratifosi A e B). La vaccinazione antitifica, praticata su larghissima scala nell'esercito italiano durante la guerra mondiale (A. Lustig) ha dato importantissimi risultati.

Oltre che per iniezione, recentemente è entrato nella pratica un nuovo metodo di vaccinoprofilassi per via orale, appoggiato sulla teoria dell'immunità locale, intestinale, nel tifo. Benché non sia ancora possibile dare un giudizio sicuro sulla sua efficacia pratica, specie nei confronti con la vaccinazione per iniezione, i dati statistici per esso finora raccolti, prevalentemente all'estero, sembrerebbero deporre per qualche utilità.

Infezioni da B. paratifosi A e B. - Già nella descrizione del tifo abbiamo accennato all'esistenza di forme clinicamente tifosimili indipendenti dal B. di Eberth e dovute ai B. paratifosi A e B. Ai caratteri batteriologici di questi germi fu pure accennato trattando del B. di Eberth. Va ricordato qui che, come il B. del tifo, anche il B. paratifoso A proviene principalmente dai malati, che il B. paratifoso B, diversamente dal tifo, oltre che dai malati (B. paratifoso B tipo "Schottmüller") può provenire, e più frequentemente, anche da carni usate a scopo alimentare, specie di suini, ovini, bovini, essendo esso patogeno per questi animali (B. paratifoso B tipo "Breslau"). Il quadro clinico che nell'uomo l'infezione da paratifi può dare è sia quello di un comune tifo, sia quello (e questo principalmente per il B. paratifoso B tipo "Breslau") di una sindrome gastroenterica acuta febbrile. Nel primo caso, clinicamente è spesso impossibile differenziare le forme tifose dalle paratifose; non costanti segni differenziali sono che in generale queste ultime hanno incubazione più breve, decorso più benigno e meno lungo, e, pur essendo spesso più abbondantemente diarroiche, hanno meno di frequente complicazioni intestinali che quelle da B. tifoso. In esse le enterorragie sono molto rare, le peritoniti da perforazione rarissime. Il loro inizio, ciò che è raro nel tifo, è frequentemente brusco, la febbre presenta spesso una curva irregolare, a volte anche intermittente, non sono rari brividi e sudori. Nel secondo caso (infezione a forma gastroenterica) la malattia incomincia di solito bruscamente, e, accompagnati da modica febbre, dominano fin dall'inizio nella sintomatologia clinica i disturbi a carico dell'apparato digerente: diarrea, dolori, nausea, vomito. La malattia può già dopo pochi giorni di decorso attenuarsi nella sua sintomatologia gastrointestinale, mentre la febbre moderata persiste, e compaiono altri sintomi comuni nell'infezione tifosa (tumore di milza, roseola); ma può anche nei casi gravi, attraverso una violenta sintomatologia diarroica, coleriforme, portar via in brevi giorni il malato. Anche nelle infezioni da paratifi come nel tifo, la diagnosi si vale dell'emocoltura e delle sieroagglutinazioni. In esse, in armonia con la forma generalmente più benigna, anche la prognosi suole essere di solito meno severa che nel tifo. Profilassi e cura non differiscono in linea generale da quelle del tifo, con in più, riguardo alla profilassi per il B. paratifoso B, una stretta sorveglianza sulle carni quando si siano avverati dei casi sospetti.