TIFONE ( o tifeo)

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

TIFONE ( o tifeo) (Τυϕωεύς, Τυϕώς, Τυϕάων, Τυϕών; Typhoeus, Typhon)

G. Uggeri

Démone primordiale della tempesta, personificazione delle forze naturali della terra e soprattutto del vulcanismo e dei terremoti.

Le fonti sono numerose ma la tradizione non è concorde sulla saga. Sarebbe il più giovane dei figli di Tartaros e Gea (Esiodo, Apollodoro), generato dopo la lotta con Zeus; oppure figlio di Kronos (Plutarco) o di Hera (Inno ad Apollo Pitico); o della stirpe di Eaco. Il figlio di Gea, creatura mostruosa dagli occhi infuocati, fu allevato dalla madre in Cilicia; il figlio di Hera fu allevato da una pitonessa, finché questa non fu uccisa nella lotta con Apollo. T. divenne enorme, con un capo che toccava le stelle ed un corpo bestiale alato. Con Echidne, figlia di Phorkos e Keto (che gli è anche attribuita come sposa), ebbe varî figli: Orth(r)os, Cerbero, l'idra di Lerna, la Gorgone, Scilla, il drago della Colchide, il drago delle Esperidi, la Chimera, la Sfinge, l'aquila di Prometeo, la scrofa del Crommio, le Arpie, il leone Nemeo, i serpenti di Laocoonte e varî vènti. T. abitava una grotta della Cilicia; dopo l'uccisione dei Titani, combatté contro tutti gli dèi o contro Zeus per il dominio del mondo e con grandi fragori e fiamme si alzò al cielo. Gli dèi fuggirono in Egitto e si tramutarono in belve. Zeus scagliò un fulmine contro T. e lo inseguì dall'Egitto fino in Siria (o nel Caucaso). Ma T. lo vinse e lo rinchiuse nella grotta di Corico, la cosiddetta grotta di T.; lo liberarono Hermes e Pan, sottraendolo alla guardia di Delphyne; Zeus dal cocchio alato fulminò allora T. e lo catturò sul monte Haemus in Tracia; siccome T. cercava di fuggire per il mar di Sicilia, Zeus lo gettò sotto l'Etna, da cui manda fiamme, o nella grotta Concia, o εἰν ᾿Αρίμοις, o nella costa cumana, o nell'isola di Pitecussa, o nel Tartaro. Sepolto sotto terra, provoca terremoti ed eruzioni. La lotta ha varianti notevoli in Nonnos (Dionysiaka, i-ii): T. ruba il fulmine di Zeus, intento a discutere con Plutone, e tenta di uccidere gli dèi che, tramutati in uccelli, volano in Egitto. Zeus con l'inganno riprende il fulmine e vince T. presso il Tauro. Secondo altri autori, T. prende parte alla Gigantomachia contro Atena, Efesto, Hera, Apollo e Posidone.

Si è pensato a una saga di origine beotica, legata al vento (δεινόν ϑ᾿ὑβριστήν τ᾿ἄνεμον; Hesiod., Th., 307), poi arricchita di elementi orientali. Un'origine in Asia Minore è indicata da Pindaro ed Eschilo; più precisamente εἰν ᾿Αρίμοις, da Omero ed Esiodo; quest'indicazione non è chiara: alluderà alla Siria (Aramei) o all'Armenia, ma sono state avanzate ipotesi contrastanti. Certo lo hanno collegato al vulcanismo i Greci d'Asia Minore, della Sicilia e della Magna Grecia, perché in Grecia mancano i vulcani. È stato suggerito un etimo semitico (cfr. fenicio Zephon = vento del Nord, o Zaphon = Nord, oscurità).

Il suo primo aspetto è quello di vento, perciò è rappresentato con le ali e le estremità serpentine, come i venti che s'insinuano e strisciano. È una divinità ctonia: del temporale e del fuoco (perciò collegato al fulmine di Zeus); personificazione del fuoco terrestre nella spiegazione del vulcanismo; non solo di questo, ma di tutti gli elementi naturali ostili. Ricchi, ma contraddittorî gli accenni descrittivi nelle fonti: nero o rosso, fiammeggiante e infuocato; con capo umano che tocca le stelle, occhi infuocati e voce terribile (poi con cento teste di drago o di belve d'ogni genere, che indicano i varî aspetti delle passioni brutali e tenebrose). Per Euripide è tricorpore; è sempre alato; ha forti mani; per taluni 100 o 200 braccia; ha forti piedi in Esiodo, ma poi sempre estremità serpentine. Nell'iconografia suo attributo normale sono le ali e i piedi di serpente (in quanto vento, cfr. Borea sull'Arca di Kypselos, Paus., v, 19, 1). Dalle fonti sappiamo che era raffigurato sullo scudo di Ippomedonte davanti a Tebe (Aysch., Sept., 476 s., 494) e sullo scudo di Pallade (Claudian., XXXV, 2, 21 s.); T. ed Echidne erano visibili sul Trono di Amicle (Paus., iii, 18, 10).

Compare tra Protocorinzio e Corinzio su vasi transizionali tardi ed è un soggetto favorito dagli artisti corinzî del tardo VII secolo. La forma primitiva (su un alàbastron, Payne, n. 375) ha corpo serpentino che esce proprio sotto le spalle; in seguito l'estremità serpentina s'innesta alla vita (Payne, nn. 98-103); lo stesso nel Corinzio antico (Payne, nn. 348-52, 374-75, 389-91, 985); ma con doppio corpo serpentino su un alàbastron da Rodi (Payne, 392) e più tardi su un'idria calcidese di Monaco, da Vulci come un'altra, a Londra, con analogo T. (Roscher, c. 1451, fig. 3). Con sei ali è su un rilievo bronzeo dello Ptoon; tricorpore nel frontone in pòros dell'Acropoli, come nella coppa del Pittore di Heidelberg. Si ricordi ancora la brocca a figure rosse di Canosa, la pasta vitrea di Berlino (copia moderna, Roscher, c. 1453, fig. 6), la sardonice di Athenion a Napoli. Incerta la presenza nel fregio di Pergamo, che comunque facilitò l'espansione del motivo nella prima metà del II sec. (cfr. Etruria).

Anche l'iconografia etrusca conosce il démone alato a gambe serpentine. Lo scarabeo di corniola Robinson presenta il gigante imberbe alato, che stringe con le mani i due serpenti con cui terminano le gambe. Il gigante a estremità serpentine torna su un'antefissa di Satrico e sullo specchio volcente al Vaticano, sull'esergo, dove stringe due delfini. Il tipo del gigante pergameno è riflesso nel pilastro centrale della tomba tarquiniese del Tifone.

Bibl.: J. Schmidt, in Roscher, V, 1916-24, c. 1426-54, s. v. Typhon; G. Giannelli, in Enc. It., XXXIII, p. 836, s. v.; Mess-Usener, Der Typhon-Mythus bei Pindar und Aeschylus, in Rhein. Mus., LVI, 1901, p. 167 ss.; O. Gruppe, Griechische Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906; W. v. Massow, Die Kypseloslade, in Ath. Mitt., XLI, 1916, p. 76 s.; E. Buschor, Der Dreileibige, ibid., XLVII, 1922, p. 58; V. Bonacelli, La scimmia in Etruria, in St. Etr., VI, 1932, p. 346 ss.; W. Kirfel, Die dreiköpfige Gottheit, Bonn 1948; W. Deonna, Trois, superlatif absolu, in Antiquité Classique, XXIII, 1954, 2, p. 403 ss. Per il Transizionale e il Corinzio: H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 76 s. Alàbastron di Rodi: C. V. A., Paris, Cab. Méd., tav. 14, 6 e 8. Idria di Monaco: E. Buschor, Griechische Vasen, Monaco 1940, p. 81, fig. 90. Coppa di Chiusi: J. D. Beazley, Black-fig., 1956, p. 65, n. 42. Rilievo bronzeo dello Ptoon: M. Holleaux, in Bull. Corr. Hell., 1892, p. 352, tav. X. Frontone dell'Acropoli: T. Wiegand, Die archaische Poros-Architektur, Cassel-Lipsia 1904, pp. 73-81. Brocca di Canosa: M. Mayer, Die Giganten und Titanen, Berlino 1887, p. 392 ss., fig. i. Sardonica di Napoli: A. Furtwängler, Gemmen, I, tav. 57, 2. Scarabeo Robinson: ibid., tav. 63, 14; II, p. 284, 14; III, p. 204. Antefissa: R. Herbig, Götter und Dämonen, Heidelberg 1948, p. 30, fig. 45. Specchio di Vulci: Gerhard-Körte, Etr. Sp., Berlino 1884, tav. LXXVI. Tomba del Tifone: M. Pallottino, Tarquinia, in Mem. Acc. Lincei, XXXVI, 1937, cc. 423; 429, fig. 103.