TIMEO

Enciclopedia Italiana (1937)

TIMEO (Τίμαιος, Timaeus)

Arnaldo Momigliano

Storico greco. I dati cronologici sono imprecisi. Luciano asserisce che arrivò a 96 anni; ed era certamente vivo circa il 264 a. C., anno in cui finiva press'a poco la sua storia. Le date della sua vita possono dunque essere intorno al 356-260 a. C. con larga oscillazione, in specie verso il basso. Era figlio di Andromaco, il capo dei cittadini di Nasso trapiantatisi nel 350 a. C. a Tauromenio: sembra però probabile dalle denominazioni degli antichi che T., invece che a Tauromenio, sia nato a Siracusa. Fu mandato in esilio da Agatocle in anno incerto, forse lo stesso anno 317 in cui questi salì al potere. T. dimorò poi per qualche tempo ad Agrigento e forse in quegli anni viaggiò, non molto, nell'Occidente. Poi si trasferì ad Atene, dove dimorò 50 anni: è incerto se in Sicilia o ad Atene (più probabile nella prima) sia stato discepolo dell'isocrateo Filisco. Tornò verosimilmente in vecchiaia in Sicilia.

L'opera storica di T. è perduta. La ricostruzione per mezzo delle citazioni dirette e dei brani di altri storici, che utilizzano suo materiale, è soggetta a gravi dubbî e lacune. Il tema era la storia di Siciliani e Italioti, cioè prevalentemente della grecità italiana. L'opera si concludeva al libro XXXIII, ma era continuata da una monografia in cinque libri su Agatocle e da un'ultima appendice sulla storia di Pirro e periodo seguente fino forse al 264 circa, in cui cominciava la storia di Polibio, che considerava la sua opera prosecuzione di quella di T.: in complesso dunque 39 libri. È naturale pensare, dati i sistemi antichi di pubblicazione, che T. desse lentamente fuori per lungo periodo di anni la sua opera. Quanto però ci sia di vero nell'asserzione di Suida, che distingue i primi 8 libri dell'opera col titolo 'Ιταλικὰ καὶ Σικελικὰ dai seguenti ‛Ελληνικὰ καὶ Σικελικὰ non è chiaro. Sappiamo che nel nono libro T. polemizzava con Aristotele sulla costituzione di Locri; ed è quindi possibile che il nono libro fosse effettivamente il primo libro di una nuova serie e desse l'occasione a T. di polemizzare con l'opuscolo di Aristotele sulla costituzione di Locri intanto uscito: ma anche questo è mera ipotesi. Che l'opera più propriamente storica fosse preceduta da un'introduzione geografica in 2 libri, come è stato sostenuto in specie da J. Geffcken, non sembra verosimile. La descrizione geografica era strettamente collegata con la narrazione delle origini mitiche e storiche delle città dell'Italia meridionale e della Sicilia. Nel libro X era raccontata la battaglia dell'Eloro del 492 a. C.; nel libro XIII si arrivava, per quanto sembra, alla spedizione ateniese in Sicilia, nel XXI a Timoleone. È pertanto ehiaro, sebbene l'economia dell'opera sia quanto mai incerta, che il periodo più antico e la storia tra il IV e il sec. III avevano una trattazione di gran lunga più vasta dei secoli intermedî.

Abbiamo già detto che di T. direttamente conosciamo assai poco. Abbiamo però la certezza che il siciliano Diodoro lo ha utilizzato ampiamente nella narrazione che egli fa della storia siciliana nella sua Biblioteca storica; sappiamo inoltre che Plutarco lo ha utilizzato in alcune sue biografie, in specie in quella di Timoleone; che Licofrone nell'Alessandra, la fonte di Trogo Pompeo, Pausania almeno nei capitoli sui Galati del X libro, nonché l'autore anonimo dello scritto pseudoaristotelico sulle meraviglie (Περὶ ϑαυμασιῶν) e Diogene Laerzio e Apollonio di Tiana nelle vite di Pitagora (la seconda presso Giamblico) se ne sono valsi. Si deve aggiungere l'utilizzazione indiretta di tutti gli scrittori che si sono serviti di Posidonio, il quale a sua volta si giovò molto di T. per un'intrinseca affinità di metodo. Molto materiale di T., oltre a quello esplicitamente citato, si deve trovare presso gli antichi scoliasti, in specie di Apollonio Rodio e di Licofrone: trascrizioni dimostrate di passi di T. sono, per es., anche in Cicerone. Le difficoltà sorgono gravissime però quando si voglia delimitare con precisione l'ambito dell'utilizzazione di T. Per Licofrone si aggiunge anche una difficoltà cronologica, se, come oggi la maggioranza inclina nuovamente a ritenere, la Alessandra, sua, va posta nei primi decennî del sec. III a. C.: in tal caso si deve ritenere che T. sia stato utilizzato quando non era ancora apparso. Il massimo problema verte naturalmente sul più sistematico utilizzatore: Diodoro. Una teoria, che risale a una monografia classica di Chr. Volquardsen, attribuisce a T. in sostanza tutta la narrazione di storia siciliana in Diodoro: ma, di recente, R. Laqueur ha tentato di dimostrare che T. è utilizzato soltanto per completare la narrazione principale che risale ad altre fonti, e per la parte più antica a Eforo, sicché noi non possederemmo affatto, come prima si riteneva, una narrazione continuata, che ci possa dare la misura di T. Manca ancora però, per un giudizio sicuro, una condízione indispensabile: un'analisi dello stile delle parti di Diodoro in questione, per decidere se criterî stilistici possono aiutare la separazione di ciò che è di T. da ciò che non è. Per ora la dimostrazione del Laqueur non è sufficiente e conferma solo ciò che già si sapeva: che in ogni caso T. non è utilizzato da solo, ma accanto ad altra fonte.

Malgrado le oscurità nella questione delle fonti, le linee più generali della personalità storiografica di T. sono ancora afferrabili. Di fondamentale importanza è il lungo excursus contro T. nel libro XII di Polibio, sebbene contenga una caratteristica solo negativa dell'autore, che pure Polibio asseriva di voler continuare, e questa caratteristica non sia sfornita di quelle malignità ad hominem, che corrompono la polemica antica più di regola ancora che la moderna. In sostanza, T. è un continuatore della storiografia politico-retorica iniziata da Isocrate. Ma per lui non esiste più un problema panellenico, come per Eforo e Teopompo. Egli sente sì la civiltà greca, la contrapposizione tra greco e barbaro; ma in realtà, nonostante la residenza ad Atene, i suoi interessi più vitali si limitano alla grecità d'Italia. Donde il contrasto fra Greci e Cartaginesi assurto a punto centrale della sua storia; e i Cartaginesi, che i Greci metropolitani del sec. IV vedevano di regola con occhio benigno (si pensi ad Aristotele contro cui T. polemizza), ridotti a barbari rozzi e perseguiti di odio tenace. Accanto c'è l'aristocratico figlio di Andromaco, ostile alla politica dei Dionisî come a quella di Agatocle, che l'ha cacciato. Donde il forte sentimento delle libertà comunali, che lo fa simpatizzare anche con il pur tanto diverso Demostene. Ne consegue il connubio solo in apparenza paradossale, ma in realtà costituente la tragedia più profonda della Sicilia greca, tra l'odio ai Cartaginesi e l'odio ai tiranni, che avevano fatto scopo della loro vita la lotta contro i Cartaginesi. T. cerca di mantenere la propria coerenza dimostrando che Gelone, il vincitore di Imera, non era tiranno, che Dionisio il Vecchio non fece che rovinare i successi concessigli dagli dei per le colpe dei Cartaginesi; che infine Agatocle ha agito sempre con la massima inabilità nelle lotte antipuniche. L'eroe è invece Timóleone.

Entro questo fondamentale indirizzo politico-retorico si scorgono faci nîente i segni dei tempi nuovi in confronto a Eforo e Teopompo. Per intanto, benché sia isocrateo di educazione, T. è, in retorica, tra i primi, accanto ad Egesia, ad adottare il nuovo stile asiano, sia pure nella sua forma semplice, non nella bombastica. E la religiosità ha un rilievo ignoto a tutti gli storici del sec. IV. Non si tratta nel fondo di religiosità nuova; T. è di coloro, che in Atene erano in buon numero tra gli eruditi (si cfr., per esempio, lo stesso Filocoro), i quali si attaccavano con maggiore intensità alla religione tradizionale. T. ha pertanto zelo speciale nel dimostrare la rapida conseguenza in bene e soprattutto in male di ogni azione compiuta rispetto agli dei; gode poi di affondare le mani nelle storie pie delle origini mitiche delle città occidentali, perdendo il senso della distinzione fra epoca mitica ed epoca storica così esplicitamente formulato da Eforo. Ma in questa stessa religiosità tradizionale non mancano venature di sentimenti nuovi. T. ha il gusto delle mistiche concordanze di date: a lui risale, per es., l'identità di data per la fondazione delle due città rivali, Roma e Cartagine. È perciò da credere che le sue ricerche cronologiche, oltre a corrispondere a una ben nota tendenza della nuova erudizione alessandrina, non fossero estranee a questi interessi religiosi. Comunque si deve a lui la diffusione del computo per olimpiadi, la cui lista aveva confrontato con le liste degli efori e dei re spartani, degli arconti attici e delle sacerdotesse di Era in Argo. Tendenze nuove, sempre in rapporto con la nuova condizione, sono pure nell'ampia raccolta di documenti e nei forti interessi di descrizione etnografica, in cui accanto alle notizie raccolte nei proprî viaggi dovevano avere parte prevalente le informazioni libresche: T. ha il merito di aver preso sul serio i viaggi di Pitea e di avere per primo dato uno schizzo di etnografia celtica. Le accuse di Polibio contro di lui si rivolgono appunto a questa tendenza erudita, di contro alla storiografia prammatica, che considera necessarie accanto all'esperienza libresca la conoscenza diretta per mezzo di viaggi (Polibio sottovaluta forse in questo senso T.) e soprattutto la pratica politica e militare.

La popolarità di T. fu grandissima fino al sec. III d. C., in particolare nei secoli a. C.: e fu forse maggiore, come del resto è spiegabile, tra i Romani che non tra i Greci, per le notizie che offriva sia su Roma in particolare, sia su tutte le altre città dell'Italia, che stava diventando romana, sia infine sui Cartaginesi e sull'Occidente barbaro. E curioso che per Aulo Gellio T. sia addirittura uno storico che ha scritto in greco de rebus populi Romani. È poi assai verosimile congettura che nell'asprezza della polemica di Polibio contro T. si rifletta la reazione alla popolarità che T. aveva in Roma e forse alla stessa imitazione che di T. poteva aver fatto Catone nella sua opera sulle Origini: come non è d'altra parte caso che Polibio stesso si sia detto continuatore di T. Nemici di T. furono, del resto, anche degli eruditi per ragioni o di metodo o di semplice differenza di notizie. Istro Callimacheo e Polemone di Ilio (il secondo specialista in preistoria italica e sicula) scrissero opere intere contro di lui.

Bibl.: Per ora fondamentale la raccolta dei frammenti in C. Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, I, p. 193 segg., ma si attende quella di F. Jacobi, Fragmenta der griech. Historiker, III; Chr. Volquardsen, Untersuchungen über die Quellen d. griech. und sizilischen Geschichte bei Diodor XI-XVI, Kiel 1868; G. M. Columba, De Timaei historici vita, in Riv. filol. class., XV (1884), p. 353 segg.; J. Geffcken, Timaios Geographie des Westens, Berlino 1892; A. Rostagni, La vita e l'opera di Pitagora secondo T., in Atti Acc. scienze Torino, IL (1913), p. 373 segg.; id., Le vicende della scuola pitagorica secondo T., ibid., p. 554 segg.; M. A. Levi, T. in Diodoro IV-V, in Raccolta di scritti in onore di G. Lumbroso, Milano 1925, p. 152 segg.; id., Studi su T. di Tauromenio, in Raccolta di scritti in onore di F. Ramorino, ivi 1924, p. 67 segg.; R. Laqueur, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, col. 1076 segg.

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