MASELLI, Titina

Dizionario Biografico degli Italiani (2020)

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MASELLI, Titina (Modesta)

Francesca Lombardi

Nacque a Roma l'11 aprile 1924, primogenita di Ercole e di Elena Labroca. Il padre, di origini molisane, era figura assai nota nell'ambito artistico romano, grazie a un'intensa attività di critico d'arte. Anche la madre fu figura cruciale nel determinare quel clima di peculiare vivacità culturale, animato da un fitto incrocio di relazioni parentali e amicali, entro cui si svolsero l'infanzia e la prima giovinezza di Maselli. Della cerchia di intellettuali, scrittori, artisti e musicisti che abitualmente si ritrovavano nella casa familiare in via Sardegna 139 – dove nel 1930 nacque il fratello Francesco (Citto) – o nei soggiorni estivi a Castiglioncello, fecero difatti parte, tra gli altri, Luigi e Fausto Pirandello, lo zio materno Mario Labroca, Massimo Bontempelli, Paola Masino, Emilio Cecchi, Palma Bucarelli, Alberto Savinio, Alfredo Casella.

LA FORMAZIONE E GLI ESORDI

In questo ambiente maturò la sua precoce vocazione artistica. Fortemente sollecitata dal padre, che per i suoi undici anni le regalò tavolozza e colori, sin dalla prima adolescenza iniziò difatti a dipingere con assiduità, soprattutto nature morte e ritratti. Diplomatasi al liceo classico Tasso, e iscrittasi alla facoltà di lettere, abbandonò poi gli studi, già orientata verso una scelta di professionalità in cui coniugare passione per la pittura e attrazione per un'immagine di femminilità non convenzionale, libera e indipendente.

In quella, al tempo, ancora acerba opzione, determinante si rivelò l'incontro con Toti Scialoja, a cui Maselli si legò nel 1941 e che sposò il 16 luglio 1945, trasferendosi nell'appartamento che l'artista divideva con i genitori in via di Porta Pinciana. Favorito anche dalla sofferta ricerca, pur nelle diverse età e inclinazioni, di una propria identità espressiva, l'intenso rapporto con Scialoja si svolse nel segno di un'appassionata comunanza di interessi artistici e intellettuali, condivisi con un vasta cerchia di amicizie, che comprese Cesare Brandi, Giovanni Stradone, Piero Sadun, Gabriella Drudi, Leoncillo Leonardi, Renzo Vespignani, fra gli altri.

Ancora con il nome di Modesta, nel settembre 1944 partecipò alla Prima Mostra d’arte Italia libera, promossa a Roma dal Partito d'azione (Galleria di Roma), esponendovi tre opere, fra cui Case, che venne acquistata dal mecenate Riccardo Gualino. Nello stesso anno collaborò anche attivamente con la Croce rossa americana, organizzando piccole mostre di pittura contemporanea italiana.

Nel frattempo iniziò a delinearsi, nei suoi tratti fondamentali, quella scelta di radicale, solitaria autonomia di percorso, che fu poi sempre peculiare della sua ricerca: una scelta che si tradusse, già nell’immediato dopoguerra, nella rinuncia alla possibile facilità del dipingere e nel progressivo affrancamento dal clima entro cui erano nate le sue primissime prove. Scartando quindi le suggestioni del lirismo proprio del tonalismo romano, elesse a privilegiati riferimenti visivi, oltre che l'asprezza della pittura di Fausto Pirandello, le sequenze in bianco e nero del cinema d'avanguardia e, soprattutto, l'icasticità dei dipinti di Édouard Manet, studiati sulle riproduzioni seppiate di un volume di Théodore Duret.

La «via d’entrata» risolutiva alla pittura, tuttavia, le si rivelò solo nell'estate del 1947, quando, dopo un viaggio a Parigi con Scialoja e altri amici artisti, a Procida iniziò a concentrarsi su oggetti comuni, effimeri – fette di anguria, bistecche – dipingendo opere in cui la memoria degli impasti della Scuola romana si convertiva in un espressionismo denso e sgarbato, con brani di colore cupi, pastosi, nell'intento di rendere il «senso ossessivo», l'implacabilità «della materia percorsa da energia» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 42).

Nel solco di tale intuizione nacquero nel 1948 una serie di dipinti, con ampie campiture di neri densi, profondi, come Natura morta sull'asfalto o Piazzale Flaminio (per le riproduzioni delle opere citate sino al 1997, ove non diversamente indicato, si rinvia a Maselli. Opere 1947-1997, 1997), che ribadirono il suo indirizzarsi verso temi inusuali – vedute notturne della città, detriti urbani – già nella determinazione, avrebbe affermato Maselli anni dopo, che gli «oggetti che non vengono guardati come assumibili nella pittura dalla gente come me, la gente del mio stesso ambiente o formazione, sono forse la realtà più vera» (Titina Maselli, 1988, p. n.n.).

Diciassette di questi oli su tavola furono esposti nell'ottobre di quell'anno a Roma, nella sua prima personale presso la galleria L'Obelisco. A presentarla fu Corrado Alvaro, il quale, riconoscendole il coraggio nelle scelte tematiche – «un telefono, una macchina da scrivere, una di quelle cartacce che la notte fanno un grumo bianco sull'asfalto della città» – ne coglieva con acutezza anche la distanza da una pittura di mera descrizione. Lo scrittore rimarcava inoltre la sua singolare attrazione per gli scenari urbani, anonimi, moderni, colti nell'oscurità della notte, che in quegli anni la portava a dipingere sempre più all'aperto, dopo il tramonto, prediligendo le zone intorno a piazza Fiume o alla stazione Termini: «Titina Maselli affronta qualcosa di più forte, la notte delle città, delle strade desolate, dei dintorni delle stazioni, la massa degli edifici moderni» (Titina Maselli, 1948, p. n.n.).

L'impegno come pittrice si coniugò, nella febbrile quotidianità del dopoguerra, anche con un'intensa vita di relazioni e vivaci interessi per la scrittura, la letteratura, il cinema, il teatro, la musica. Così, già dal marzo 1947, iniziò a frequentare le riunioni del gruppo degli Amici della domenica in casa Bellonci, partecipando nel 1948 al primo concorso per il manifesto del liquore Strega, in cui il suo bozzetto si classificò terzo, dopo quelli di Amerigo Bartoli e di Mino Maccari.

Nel frattempo, in una graduale messa a punto di quella che sarebbe stata poi sempre la sua personalissima iconografia, a partire dal 1948 ai temi urbani iniziò ad affiancare soggetti legati al mondo dello sport. Dipingendole a partire da giornali sportivi, si concentrò su figure di calciatori nello stadio, bloccati nel loro dinamismo, nella volontà di cogliere l'azione nell'istantaneità del suo sfaldarsi, affascinata in particolare dall'«effimero del momento iperbolico fissato dalle fotografie», dall'aspetto parossistico dello spettacolo sportivo, dalla «tensione urlata che si leva dalla folla» (T. Maselli, in Vergine, 1984).

All'avvio del nuovo decennio, presentò i primi esiti di queste ricerche in diverse occasioni: nel 1950 prese parte per la prima volta alla Biennale di Venezia con l'opera Giocatore ferito, e al premio Suzzara con Autista di piazza (Mantova, Galleria civica di arte contemporanea). Nel 1951 tenne una seconda personale a Roma (galleria del Pincio), dove raccolse notturni urbani, frammenti di sport, dettagli di camion, che nuovamente colpirono per originalità e durezza espressiva; ancora con quattro paesaggi urbani partecipò, alla fine dello stesso anno, alla Quadriennale romana.

Anche nei dipinti degli anni immediatamente successivi la spregiudicatezza nell'assunzione di «certa realtà bruta al dipingibile» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 42) si declinò in una pittura aspra, di crescente densità icastica, scevra da ogni compiacimento per la bella materia, caratterizzata da stesure corpose e gamme cromatiche ristrette, dove dominava il nero preparato con colori industriali: lo sottolineò Renzo Vespignani, ricordando i comuni esordi, segnati dall'intento «di “usare” la pittura per comunicare un nostro profondo disagio, le passioni della nostra generazione ancora acerba, ma già provatissima dalla paura e dalla disperazione» (Titina Maselli, 1955, p. n.n.).

Già, dunque, dai primi anni Cinquanta, Titina iniziò a porre le basi di una pittura di realtà assolutamente originale nel panorama italiano, ribadendo – con le sue «immagini rabbiosamente rattrappite» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 41) – la perentorietà del suo discorso isolato ed esclusivo: «io allora ero solissima, si faceva tutt'altra pittura intorno […] mi sono appoggiata a un rapporto molto ossessivo con le cose che volevo dipingere, cercando di non avere una ricerca stilistica, se non per esclusione» (Titina Maselli, 1964, p. 239). Nel rovente dibattito che, in quegli anni, contrapponeva astrattisti e realisti, optò difatti nuovamente per una posizione indipendente e solitaria; pur meditando con attenzione «quell'A B C della forma che gli astrattisti ripresentavano» (T. Maselli, in Vergine, 1984).

DA NEW YORK ALL'AUSTRIA. LA MATERIA – ENERGIA DELLA MODERNITÀ

Definitivamente consumatasi la separazione da Scialoja (1950), Maselli decise di trasferirsi a New York. Partì nel 1952, accogliendo l'invito del pittore Fabio Rieti, spinta anche dalla profonda fascinazione per la metropoli americana sviluppata sin dall’adolescenza grazie al cinema.

Il soggiorno negli Stati Uniti si prolungò fino al 1955, interrotto da brevi ritorni a Roma. Giunta con pochi mezzi, e stabilitasi in un hotel in Times Square, vi condusse una vita appartata, lontana dagli ambienti artistici, dedicandosi soprattutto alla pittura. L'atmosfera della città, il gigantismo, l'implacabile incombenza della sua struttura urbana, da subito, si rivelarono fondamentali nella maturazione della sua poetica e del suo linguaggio, confermandola definitivamente nella scelta della moderna condizione metropolitana quale tema centrale del proprio immaginario pittorico, come testimoniato anche dalle note in cui andava appuntando l'evolversi del proprio pensiero estetico: «Dare il senso di quest'aria disseccante scardinante contorcente» – annotava ad esempio nel 1952 – «Che questo non sia illustrativo, ma che la drammaticità (senza scampo) sia il nucleo e anche il soprassenso degli argomenti» (T. Maselli, in Titina  Maselli, 2006, p. 26).

Nel confronto con lo scenario newyorkese, l'iconografia dei dipinti di Maselli si ampliò: grattacieli, scale antincendio, impalcature, distributori di benzina, giocatori di baseball, pugili, convogli della metropolitana, spesso colti in primi piani ravvicinati, ostruenti. In parallelo la pittrice sviluppò con maggiore consapevolezza la ricerca di un linguaggio teso a superare l'aneddotico per «uscire dal fenomeno, passarlo come un ponte per toccare l'altra sponda: delle cose la verità ancora non percepita» (T. Maselli, in Titina Maselli, 1988, p. n.n.).

La raffigurazione di episodi emblematici della dimensione metropolitana si accompagnò difatti a un processo di riduzione all'essenziale della struttura dell'opera, in un figurare sintetico, raccorciato, caratterizzato ancora una volta dalla dominanza dei neri, interrotti da bagliori di luce, da griglie di segni, in gamme cromatiche ridottissime (Cielo nero e cartelli, 1952; Venetian blind, 1953; Fruit market, Da un subway all'altro, 1954). In tal modo Maselli andava declinando la sua tensione a tradurre la «materia-energia, dell'effimero quotidiano, del mondo moderno» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 41) in un discorso  «evidentissimo e freddo» (Maselli, 1997, p. 150), scevro da implicazioni sentimentali, narrative, sociologiche, come anche da seduzioni pittoriche.

Nel maggio 1953 espose alcuni di questi dipinti, ventidue, nella sua prima personale a New York, allestita presso la Durlacher Gallery; ancora con tre opere di ambientazione newyorchese partecipò, l'anno seguente, alla XXVII Biennale di Venezia.

Nel frattempo, in America, era nata la sua relazione con il diplomatico Marco Francisci di Baschi, allora membro della delegazione italiana presso l'ONU, insieme al quale fece definitivamente ritorno a Roma nel 1955. L’esperienza americana continuò tuttavia a rappresentare un riferimento fondamentale per tutti i decenni a venire: «New York la dipingo ogni giorno anche adesso; la suggestione è stata così forte (questa ipernatura) che è diventata un punto di partenza insostituibile», dichiarò difatti nel 1988 (Titina Maselli, 1988, p. n.n.).

Le opere americane, esposte anche nella Quadriennale del 1955, egemonizzarono le due personali che Maselli tenne nella primavera di quell'anno, quasi in contemporanea, a New York (Durlacher Gallery) e, appena tornata a Roma, alla galleria La Tartaruga. In quest'ultima circostanza Vespignani rimarcò l'assoluta originalità delle immagini notturne dell'amica, notando come la sua pittura fosse «pericolosamente vicina all’astrazione; ma queste superfici tagliate e sfaccettate, questi elementi saldamente intrecciati, non rispondono ad un giuoco formale: sono l'acciaio, i cavi, le centine, le tenebrose incastellature della tua città» (Titina Maselli, 1955, p. n.n.).

Nello stesso 1955, dopo la nomina di Francisci come console a Klagenfurt, Maselli lasciò nuovamente Roma per trasferirsi in Austria, dove visse i successivi tre anni. In questo periodo, in cui espose ancora alla Biennale di Venezia (1956), si dedicò a un solitario lavoro di rielaborazione, per via di memoria, dei temi ormai consueti, sviluppando una nuova riflessione sull'uso simbolico del colore (Città di notte, 1956; Calciatore con i fiori, 1957), nella ormai matura convinzione che la pittura fosse «pensiero, non voluttà» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 38).

IL RITORNO A ROMA. NUOVI ORIZZONTI DI FIGURAZIONE

Nel 1958 fece ritorno a Roma, dove trascorse tutto il successivo decennio, stabilendosi inizialmente con Francisci in via di Ripetta. Dopo lunghi anni di assenza, riallacciò i suoi rapporti con l'ambiente artistico romano, tornando a esporre nel 1960 a L'Obelisco, dove presentò soggetti newyorkesi e alcuni dipinti di tema sportivo, realizzati dal 1959, e costruiti su dinamici contrasti di sagome scorciate di calciatori su trame di segni iterati di folla (Calciatore in azione, 1959).

Fu questa la prima di una serie di importanti personali che, nel corso degli anni Sessanta, in un orizzonte segnato dal diffuso ritorno all’oggettualità, documentarono le evoluzioni della sua pittura. La ricerca di Maselli continuò, difatti, a svilupparsi, intorno ai medesimi topoi immaginativi, ma già alcuni dipinti realizzati all'avvio del decennio testimoniarono il suo indirizzarsi verso un approfondimento dell’efficacia icastica dei suoi «archetipi di modernità» (T. Maselli, in Crispolti, 1985, p. 46) con immagini di formato crescente e maggiore distensione compositiva, spesso con dettagli ingigantiti in primi piani incombenti, di un cromatismo teso, elementare, strutturato in larghe zonature contrastanti (Autostrada, 1961; Camion, Cielo di notte, Bar a New York, 1963).

I primi esiti di questa nuova stagione espressiva, contrassegnata da una crescente attenzione critica, furono esposti già nel 1963 in due personali allestite a Bologna (Nuova galleria) e a Roma (galleria La Salita), introdotte da Cesare Vivaldi e da Francesco Arcangeli che, nelle loro presentazioni, divergevano sulle eventuali affinità della ricerca di Titina con il fenomeno emergente della pop art, tema che impegnò lungamente la critica anche negli anni a venire, nel tentativo di definirne anticipazioni, analogie e differenze. Emerse dunque già allora quella difficoltà a trovare puntuali collocazioni per il suo singolare percorso di outsider, che rimase poi tratto ricorrente nel discorso critico intorno alla sua opera.

In questi stessi anni nel suo repertorio comparvero anche raffigurazioni di volti di taglio cinefotografico, come Greta Garbo (1964), una delle tre opere esposte alla Biennale di Venezia nel 1964. In tale occasione – in cui emerse con particolare evidenza, in rapporto alla nuova ottica pop, il suo ruolo pionieristico nella selezione d'immagini tipiche dell'iconografia quotidiana – Maselli stessa ebbe modo di chiarire, in un'intervista a Maurizio Calvesi, la distanza della propria posizione rispetto a quella degli artisti nordamericani: «io ho sempre cercato di prendere dalla realtà degli elementi simbolicamente drammatici, e poi però ragionarli. […] Loro vogliono dipingere la cosa in sé. Io invece intendevo dipingere dei conflitti» (Titina Maselli, 1964, p. 239).

Nel frattempo il suo lavoro iniziò a essere ricondotto nell'eterogeno orizzonte della Nuova figurazione, mentre più stretti divennero i rapporti con alcuni degli artisti e critici – a lei vicini anche per orientamento politico – che avevano dato vita, all'inizio del decennio, al collettivo Il Pro e il Contro, individuando Il Fante di spade come galleria di riferimento: fra questi Vespignani, Piero Guccione, Lorenzo Tornabuoni, Eduardo Arroyo, Gilles Aillaud, Antonio Recalcati, con cui negli anni successivi Maselli condivise diverse occasioni espositive. Nel contempo si confrontò anche con pittori «lontani dalla pittura romana tradizionalmente intesa» (Rasy, 2004), come Franco Angeli o Tano Festa.

Un primo riscontro complessivo sulla sua opera venne, nell'aprile 1965, dall'importante antologica allestita a Roma presso la galleria Nuova Pesa, in cui trentaquattro opere ne ripercorrevano un quindicennio di lavoro creativo, sfuggito alla «debita valutazione»: in quella circostanza, difatti, i prefatori del catalogo – Duilio Morosini, Enrico Crispolti e Renato Barilli – concordarono nel «rivendicarle più di una priorità in ordine ai problemi e alle ricerche di una nuova oggettività della visione» (Titina Maselli, 1965, p. n.n.). In particolare Morosini la definiva «personalità non subordinata a niente e a nessuno», mentre Barilli ne sottolineava, fra l'altro, le tangenze con il linguaggio futurista, altro argomento spesso evocato nella lettura critica della sua opera. A tale proposito Maselli stessa, anni dopo, volle ribadire la sua distanza dalla retorica celebrativa del futurismo storico, rimarcando anche come il suo interesse non fosse mai stato rivolto all'aspetto «cinetico del movimento», quanto a «mostrare il passare», l'ineluttabilità del movimento continuo della realtà «dall'essere al non essere» (Titina Maselli, 1988, p. n.n.).

Sempre nel 1965, anno in cui trasferì il proprio studio in via Sardegna – dove, dopo la scomparsa del padre (1964), la madre viveva ormai sola – Titina partecipò alla V Rassegna di arti figurative di Roma e del Lazio e ad altre importanti collettive, fra cui «Alternative attuali 2» (L'Aquila) e «Il presente contestato» (Bologna). La nuova visibilità di cui godette il suo lavoro a partire da questo momento si accompagnò, del resto, a una progressiva intensificazione dell'attività espositiva, con l'appoggio critico di nuove, autorevoli voci: fra tutte quelle di Michel Sager, Lorenza Trucchi, Franco Solmi, Giuliano Briganti.

Ancora a Roma, nel 1967, espose per la prima volta presso Il Fante di spade, la galleria diretta da Mario Roncaglia – che accolse negli anni successivi diverse sue personali –, proponendovi alcuni dipinti recenti, con soluzioni formali che Barilli, presentandola, imparentava ora a quelle cinematografiche, notando d'altro canto, nella produzione ultima, un'inedita insorgenza del colore. In effetti, nei dipinti realizzati nello scorcio del decennio Maselli approdò a composizioni più semplificate, monumentali, dalla tavolozza schiarita in colori accesi e antinaturalistici, in una nuova nettezza dell'immagine pittorica (Fiume di macchine, 1967; Fili elettrici nel cielo, La città IV, 1968; Traffico a New York, 1970). Nel 1968, anno in cui partecipò anche al premio Marzotto, venne invitata a esporre al Salon de Mai a Parigi, episodio che ricordò poi come decisivo nello stabilire un particolare legame con la capitale francese (Grigliè, 1978).

Animata come sempre da vivaci passioni intellettuali, etiche e politiche – pur se, nella connaturata insofferenza a ideologie e schieramenti, il suo essere comunista non si tradusse mai in un impegno militante –, in questi anni romani Maselli partecipò attivamente anche alla vita artistica e culturale della città. Nel biennio 1966-67 realizzò, con Tornabuoni, le sue prime scenografie nell'ambito della breve esperienza d’avanguardia della compagnia Il Porcospino, promossa, fra gli altri, da Dacia Maraini, Enzo Siciliano e Alberto Moravia. Nel 1967 si confrontò con Vespignani, che in quegli anni la ritrasse in più occasioni, su alcuni dei temi allora al centro del dibattito artistico – il ritorno all'objective, l'impegno etico dell'artista, il rapporto con la società e la storia –, esplicitando le proprie posizioni in un epistolario pubblicato sulla rivista La città (marzo 1967). Nel 1969, inoltre, interpretò il ruolo della madre nella pellicola Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi, mentre nel 1970 comparve in un film del fratello Citto, Lettera aperta a un giornale della sera.

ANNI SETTANTA. PARIGI E LE PRIME AFFERMAZIONI INTERNAZIONALI

Conclusasi la relazione con Francisci, alla fine del 1969 – assecondando ancora una volta quella vocazione al nomadismo, quel desiderio di spaesamento, di distanza dal proprio ambiente, che riconobbe sempre come necessario e vitale per la propria creatività – Maselli decise di trasferirsi a Parigi, dove aveva cari amici. Dal 1972 si stabilì in una casa-studio a La Ruche, complesso destinato sin dai primi del Novecento ad accogliere atelier d'artista, intensificando quindi i rapporti con gli ambienti artistici e intellettuali della città, dove frequentò, fra gli altri, Aillaud, Arroyo, Valerio e Camilla Adami, Fabio Rieti e il suo assistente Bernard Michel.

Da allora la sua attività iniziò a dividersi, in una sorta di inquieta «nevrosi vitalistica» (T. Maselli, in Vergine, 1984), fra la Francia e Roma, dove tornava periodicamente, anche per stare vicino alla madre. Non si allentò difatti il legame con l'Italia. Già nel 1970 tre antologiche, presentate da Marco Valsecchi, a Milano (galleria Finarte - Eunomia), a Ferrara (Centro Attività Visive, Palazzo dei Diamanti), e a Roma (Il Fante di spade), proposero un'ampia selezione delle sue opere, a partire dal 1950.

Alcuni dipinti presentati in quelle occasioni annunciavano l'avvio di una nuova stagione della sua ricerca che, in un percorso di continue variazioni e arricchimenti, si protrasse sino allo scorcio del secolo: abbandonata la raffigurazione dei singoli motivi, iniziò difatti a orientarsi verso composizioni strutturate sull'associazione di alcuni dei suoi consueti temi iconografici, in una nuova, complessa, tensione dinamica, che si coniugò con un cromatismo squillante, su supporti di formato crescente, con una predilezione per la tela in sostituzione della tavola (Goal 1, La Città 1: 1971; Boxeur et néon, 1972). Dal 1973, poi, l'associazione di temi iniziò a tradursi in una compenetrazione per trasparenza, come in Tramonto nello stadio (1973), pervenendo, nelle tele di sempre maggiori dimensioni della seconda metà degli anni Settanta, a una più accentuata complessità dei rapporti di intersecazione tra figure a ambiente, con contrappunti cromatici audaci e sovrapposizioni più filtranti, in spazialità senza profondità, espanse a ostruire l'intero campo visivo, caratteristiche, queste ultime, in grado di generare un intenso coinvolgimento dell'osservatore (N. Y. 7 p.m., 1975; Boxeur et ville, 1978; Calciatori e palazzo, 1980).

La fase aurorale di tale ricerca – che Titina stessa ricondusse al bisogno «di mettere più carne al fuoco, per dire ancora di più quello che voglio dire della complessità dell'immagine, dell'essere un tutt'uno dell'energia fisica, psichica, dell'energia umana, con quella delle cose» (Maselli, in Crispolti, 1985, p. 46) – fu documentata, fra l'altro, dalle mostre tenute nel 1972 alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence, e nel 1973 a Milano, alla galleria Il Fante di spade. Jaques Dupin, che la presentò in ambedue le occasioni, rilevò difatti il nuovo, teso equilibrio delle sue ultime opere, in cui tessuto urbano e figura in azione, calciatore o pugile, «si sovrappongono e si incastrano, si contraddicono, interferiscono, il dinamismo dell'uno accusando l'immobilità dell'altro» (Titina Maselli, 1973, p. n.n.).

Negli anni Settanta si cimentò anche in alcuni lavori per il teatro, inaugurando un'attività destinata ad assumere, nei decenni seguenti, una crescente importanza. La prima occasione le venne offerta da Jean Jourdheuil e Jean-Pierre Vincent, animatori del Théâtre de l'Espérance, i quali – colpiti dalle opere esposte alla Fondazione Maeght – la invitarono a realizzare le scene e i costumi per la Tragédie optimiste di Vsevolod Vichnevski (1974). Fu questo il primo episodio di una lunga serie di ideazioni scenografiche in cui si distinse, ancora una volta, per originalità di approccio ed esiti. Confluirono in questo nuovo ambito espressivo, oltre alla sua straordinaria cultura letteraria e musicale, anche antiche suggestioni maturate negli anni giovanili, grazie all'assidua frequentazione dei teatri romani, tanto che «archetipo in qualche modo mitico», per il suo lavoro scenografico, si rivelò il ricordo del Delitto e castigo messo in scena da Luchino Visconti nel 1946 a Roma (Damisch, 2001, p. 12).

Nel frattempo la sua produzione pittorica iniziava a godere di sempre più estesi riconoscimenti, anche internazionali: nel 1975 uscì la prima monografia a lei dedicata, firmata da Jean-Louis Schefer, mentre si susseguivano le occasioni espositive, sia in Italia sia all’estero, fra cui, nello stesso 1975, la personale introdotta da Aillaud, al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris (ARC 2), in cui Maselli presentò il lungo dipinto Da un metrò all'altro. Nel 1980, a Roma (libreria Giulia), espose invece una selezione dei suoi lavori su carta, produzione che, in quegli anni, andava assumendo un maggior rilievo nel suo lavoro. A cavallo fra i due decenni, inoltre, testimoniarono ampiamente delle evoluzioni della sua pittura alcune importanti antologiche: nel 1979 a Berlino (Kunstamt Kreuzberg), nel 1980-81 a Ferrara (Padiglione d'arte contemporanea), e nel 1981 a Todi (Palazzo del Popolo).

Contestualmente il discorso critico intorno alla sua opera si andava ampliando, con contributi in cui emergevano anche accenni a una possibile lettura del suo percorso in chiave di genere, come nel dialogo con Simona Weller, o nella presentazione alla mostra di Todi, in cui Marisa Volpi si interrogava sulla dicotomia, quasi una sorta di «schizofrenia», fra la postura intellettualmente severa dell'artista – decisa a fissare «con eccezionale concentrazione l'immagine di un agonismo cupo e vitale, spoglio e grandioso» – e una femminilità vissuta con «raro esprit de finesse» (Titina Maselli, 1981, p. n.n.).

GLI ANNI OTTANTA. FRA PITTURA E TEATRO

Nel 1982, dopo la morte della madre (1981), Maselli vendette la casa familiare per acquistare un piccolo appartamento in via di S. Calisto 10, affacciato sulla basilica di S. Maria in Trastevere. Nel corso degli anni Ottanta, difatti, pur continuando a mantenere lo studio a La Ruche, avuto in dotazione a vita dalla città di Parigi, sempre più spesso alternò l'attività in Francia con frequenti, lunghi soggiorni a Roma, nel corso dei quali le sempre vivaci relazioni con l'ambiente artistico romano si rinnovarono nella frequentazione di vecchi e nuovi amici. Fra questi anche Moravia, legato a lei da un rapporto di antica consuetudine, che nel 1981 firmò l'introduzione alla personale allestita dalla galleria Giulia al Grand Palais di Parigi (FIAC 81), soffermandosi, fra l'altro, sulle dimensioni delle sue tele, ormai cresciute a dismisura: «Strano a dirsi, perché vedendoti così magra e fragile non lo si penserebbe, per quanto riguarda lo spazio tu sei in un rapporto di rivalità con la realtà» (A. Moravia, 1981, in Maselli, 1997, p. 180).

Nel 1983 Maselli tornò a presentare a Roma, sempre alla galleria Giulia, la sua produzione recente, in cui, accanto a opere che registravano un ritorno di attenzione per immagini senza effetti di sovrapposizioni, altre evidenziavano invece l'enunciarsi di un'ulteriore fase nell'elaborazione dei suoi tipici motivi, con compenetrazioni di vertiginoso dinamismo, dal cromatismo esasperato, e forme smembrate in schegge di colore-luce su griglie e pattern via via più pulviscolari (Elevated, grattacieli e calciatore ferito, 1984). L'evolversi di tale ricerca verso soluzioni sempre più coinvolgenti venne documentato, fra l'altro, dai due dipinti esposti nel 1984 a Milano (Studio Marconi, galleria Gastaldelli) – fra cui Stadio, lungo nove metri, fra gli esiti più intensi di quella stagione –, e ancora dalle quattro grandi tele con cui, nello stesso anno, tornò a partecipare, dopo un lunghissimo periodo di assenza, alla Biennale di Venezia.

Contestualmente all'approfondimento di questa nuova modalità di figurazione, che attraversò tutto il decennio, alcune importanti antologiche andavano intanto proponendo puntuali ricostruzioni storiografiche del suo lavoro, fra cui quella tenutasi nel 1985 a Macerata, e curata da Enrico Crispolti, a cui seguirono quelle ordinate nel 1986 a Suzzara, e nel 1988 a Cavriago e a Sant'Ilario d'Enza e, ancora, a Lisbona (Fondazione Calouste Gulbenkian). Nel 1989, presentata da Achille Bonito Oliva, la pittrice tornò inoltre a proporre alcune sue tele recenti a Roma (galleria Giulia).

Anche l'impegno per il teatro andava crescendo. Decisivo in tal senso si rivelò l'incontro con il regista Bernard Sobel, con cui collaborò per la prima volta nel 1980, firmando i progetti di scena per due pièces di Beckett (Va-et-vient; Pas moi) al Festival di Avignone, che si rivelarono esemplari del suo peculiare approccio all'attività scenografica, intesa soprattutto come riflessione sui significati più riposti del testo, da tradursi non in termini descrittivi, ma in emblemi, in forme plastiche e dinamiche, animate da un movimento reale. Nel corso degli anni Ottanta – parallelamente al proficuo sodalizio con Sobel, che si protrasse sino allo scorcio del secolo – la pittrice lavorò anche con diversi altri registi, fra cui Klaus Michael Grüber, Marc Liebens e Carlo Cecchi: con quest'ultimo, in particolare, si instaurò – a partire dai bozzetti scenici ideati nel 1989 per un Amleto per il Festival di Spoleto – una profonda sintonia, che si tradusse in seguito in un duraturo, importante rapporto di collaborazione.

GLI ULTIMI ANNI

L'impegno parallelo nella pittura e nel lavoro per il teatro caratterizzò intensamente anche gli ultimi anni, nel corso dei quali Maselli continuò a dividersi fra Parigi e Roma.

In un orizzonte segnato, specie in Italia, da un discreto, seppur intermittente, interesse critico per la sua produzione pittorica, nel 1990 le venne dedicata una vasta antologica a Mesola (Ferrara), mentre nel 1991 un'altra ampia personale si inaugurò a Mantova (Casa del Mantegna), con opere dal 1948 al 1990. Ancora negli anni seguenti – mentre la sua ricerca denunciava un'ulteriore evoluzione in direzione di composizioni meno frammentate nel segno, ma dinamizzate da vivaci contrasti cromatici (Boxeurs, 1994; Calciatori in azione, 1997) – la sua produzione, antica e recente, continuò a essere oggetto di una certa attenzione. Oltre alla consueta partecipazione a rassegne e collettive, diverse occasioni espositive concorsero difatti a delineare ampie rivisitazioni del suo percorso. Nel 1996 le prime opere su tavola (1947-1959) vennero riunite a Roma, nella galleria dell'amica Netta Vespignani, mentre nel 1997 le venne tributata la maggiore antologica di sempre a Stra (Villa Foscarini Rossi), con dipinti dal 1947 al 1997. A queste seguì, nel 1998, una personale di sue opere recenti, ordinata a Roma, ancora una volta presso la galleria Giulia.

Negli stessi anni il lavoro per la scena – che riscuoteva crescenti consensi e successi, specie in Francia – diveniva sempre più intenso. A partire dalle scenografie per Lucrèce: la nature des choses (1990, Bobigny), Maselli ideò numerosissimi allestimenti di potente efficacia scenica per alcuni dei maggiori teatri e festival europei, confrontandosi sia con testi classici sia moderni, in un fecondo rapporto di collaborazione, oltre che con Sobel e Cecchi, con molti altri registi. Nel 2001, in occasione della sua cinquantesima scenografia, uscì il volume di Hubert Damisch, nel quale la pittrice, in un lungo dialogo con l'autore, condensò alcune riflessioni sul suo particolare modo di intendere l'esperienza scenografica e sulla necessità di «far sentire il respiro del testo» attraverso una proposta tridimensionale, dinamica: «Lì dove uno scenografo tradizionale proporrebbe un quadro, oppure una macchina che renderebbe possibile ogni sorta di effetto scenico, il pittore lancia come una massa arrotondata [...] una palla di significati» (p. 13).

Anche in questa ultima stagione non venne meno la sua passione per la scrittura, con la stesura di note autobiografiche, poesie, e un romanzo; una produzione a cui tuttavia, se si eccettuano brevi appunti e alcuni frammenti memoriali pubblicati in diversi cataloghi, non si decise mai a dare piena visibilità.

L'inizio del nuovo secolo segnò un brusco arresto nell'attività espositiva, mentre non si diradò il suo impegno nel lavoro per la scena: con la vitalità di sempre, continuò difatti a creare scenografie e costumi per diverse opere e testi teatrali, sia in Italia sia in Francia. Con pari intensità continuò a dipingere, riattualizzando i consueti argomenti, specie quelli di tema sportivo, in lavori di formato quasi esclusivamente orizzontale, caratterizzati da inquadrature oblique e scorciate, e da un cromatismo acceso e contrastato (Calciatori in corsa, 2002; Boxeurs, 2003; Boxeurs, 2005: Roma, collezione Brai-Maselli).

Dopo il premio Presidente della Repubblica, conferitole nel 2000 da Carlo Azeglio Ciampi, nel giugno 2004 la città di Roma, per i suoi ottant’anni, le volle dedicare una grande festa, promossa dal sindaco Walter Veltroni alle Scuderie del Quirinale, occasione in cui venne anche annunciata l'intenzione di riunire la sua produzione pittorica e scenografica in un'ampia antologica, curata da Bonito Oliva e dall'Archivio della Scuola Romana, da inaugurarsi l'anno successivo. Sino agli ultimi giorni Maselli lavorò per la mostra romana, che non si tenne mai, e per le scenografie di un nuovo spettacolo a Zurigo.

Morì a Roma, nella sua casa di Trastevere, il 21 febbraio 2005. Venne sepolta, accanto alla madre e al padre, a Pescolanciano, il piccolo borgo molisano dove aveva trascorso molte estati della sua gioventù.

Fonti e Bibliografia

Per la bibliografia e la ricostruzione del percorso artistico e biografico si fa riferimento, principalmente, ai volumi: E. Crispolti, T. M. Metropoli, l'immagine ostruente (catal.), Macerata 1985; M. Opere 1947-1997 (catal., Stra), a cura di M. Goldin, Venezia 1997; S. de Gregori, T. M. Autoritratto involontario di una grande artista, Roma 2015. Fondamentali sono inoltre gli scritti e le interviste rilasciate dall'artista, in vari articoli e cataloghi, fra cui, oltre ai già citati: T. M. intervistata da Maurizio Calvesi, in Marcatré, II (1964), 8-10, pp. 236-239; S. Weller, Il complesso di Michelangelo, Pollenza 1976, pp. 43-46; L. Grigliè, Perché Parigi? T. M. Un rifiuto delle radici, in Corriere d'informazione, 11 gennaio 1978; L. Vergine, Calciatori e grattacieli sul fondo della notte. Intervista a T. M., in Il Manifesto, 25 marzo 1984; T. M. (catal.), [Cavriago 1988]; T. M. (catal., Mesola), testo di V. Sgarbi, Bologna 1990; T. M. Olio su tavola 1947-1959 (catal.), a cura di S.M. Farci, Roma 1996; T. M. Metafore della città (catal., Roma), a cura dell'Archivio della Scuola Romana, Milano 2006. Tra i contributi principali si segnalano anche: T. M. (catal.), testo di C. Alvaro, [Roma 1948]; T. M., testo di R. Vespignani, Roma [1955]; T. M. (catal.), testi di D. Morosini - R. Barilli - E. Crispolti, Roma 1965; T. M. (catal.), testo di J. Dupin, [Roma 1973]; J.-L. Schefer, T. M. Le corps de la peinture, Torino 1975; T. M. (catal., Berlino), a cura di R. Civegna - G. Fabbi, testo di G. Aillaud, Modena 1979; T. M. (catal., Ferrara), testi di R. Barilli - G. Aillaud - J. Dupin, [Cento 1980]; A.M. Boetti, Fasci di luce sulla metropoli, ring per gli eroi delle masse. Le visioni di T. M., in Il Manifesto, 19 luglio 1981; T. M. Dipinti 1948-1978 (catal., Todi), a cura di G. Crisafi, testi di F. Serpa - M. Volpi, Roma 1981; T. M. (catal. Suzzara), a cura di A. Lui, testi di J.- C. Bailly - M. Volpi, [Mantova 1986]; T. M. Opere 1948-1990 (catal.), testi di L. Trucchi - L. Somaini - A. Veca, [Mantova 1991]; H. Damisch, T. M. Lavori per la scena, Roma 2001; E. Rasy, Titina e i suoi esili, quel vizio del ritorno, in Corriere della Sera, 10 giugno 2004; T. M. La poetica della modernità (catal.), a cura dell'Archivio della Scuola Romana, testo di C. Terenzi, [Isernia 2006]; T. M. Essere in movimento (catal., Roma), a cura di B. Pietromarchi, [San Marino 2014]; T. M. (catal.), a cura di C. Bertola - M. Minini, Venezia 2016; T. M. I riti della modernità (catal.), a cura di C. Terenzi, [Roma 2020].

Si ringraziano, per le notizie relative alla biografia di Titina Maselli, Stefania Brai e Citto Maselli.

Crediti immagine: Per cortesia Fondazione Toti Scialoja

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