FRULOVISI, Tito Livio de'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRULOVISI, Tito Livio de'

Guido Arbizzoni

Nacque a Ferrara intorno al 1400, ma lasciò presto, con il padre Domenico, la città natale per trasferirsi a Venezia.

Il suo cognome è stato talora inteso come etnico (facendogli attribuire origini forlivesi o friulane), ma "Ferrariensis" o "de Ferraria" si definisce più volte egli stesso, nella dedica a Leonello d'Este e nel congedo del De republica e nelle subscriptiones di cinque delle sue commedie, come pure "Ferrariensis" lo definiscono Leonardo Bruni e Pietro Del Monte indirizzandogli epistole. In data 27 febbr. 1429 figura la richiesta di cittadinanza originaria veneziana di "Forluisi Baldassarre, Nicolò Lodovico, Tito Livio quondam Domenico" (Arch. di Stato di Venezia, Misc. codici, I, T. Toderini, Genealogia delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria), mentre un atto del 12 aprile dello stesso anno lo nomina come "Titus Livius de Perlovisiis quondam Dominici veronensis rector scholarum in contrata S. Bassi" (E. Bertanza - G. Della Santa, Documenti per la storia della cultura in Venezia, I, Venezia 1907, p. 315), dove la qualifica di "veronensis", potrà riferirsi al padre Domenico, o far supporre un soggiorno veronese prima dell'arrivo a Venezia.

A Venezia il F. fu alla scuola di Guarino Guarini, che vi insegnò negli anni 1414-19, ed ebbe come condiscepolo Pietro Del Monte, che più tardi, divenuto nunzio e collettore pontificio in Inghilterra, fu mediatore del suo passaggio al servizio del duca di Gloucester. Acquisì una discreta conoscenza del greco, sufficiente almeno per scrivere con eleganza di caratteri, per coniare nomi parlanti di etimologia greca per molti personaggi delle sue commedie e per introdurre nella Peregrinatio qualche battuta in greco.

Proseguì gli studi presso l'università di Padova, dove conseguì il titolo di notaio, ma non esercitò (o abbandonò ben presto) la professione notarile, preferendo dedicarsi agli studi letterari e all'insegnamento: "Possem adhaerere notariae, missisque litteris vitam tutari et ad extremos annos honeste producere; sed vincit virtutis amor" scrive nel De republica (ed. Previté-Orton, p. 369; a questa edizione si rinvia, in seguito, col solo numero di pagina). Fu così, almeno dal 1429 rettore della scuola in parrocchia S. Basso, con successo ("pecuniam multam in hac iuventute mea iam quaesisse", p. 369), ma anche suscitando forti rivalità da parte delle numerose scuole concorrenti. In relazione alla sua attività di insegnamento è la parte più cospicua e più nota della produzione letteraria del F., una serie di sette commedie latine in prosa, senza divisione in atti, cinque delle quali certamente composte e rappresentate a Venezia tra il 1432 e il 1435.

Le commedie del F. sono conservate da un unico codice, il manoscritto 60 della St. John's College Library di Cambridge, dal quale le pubblicò nel 1932 C.W. Previté-Orton. Secondo la descrizione dell'editore nel codice si riconoscono tre mani; la prima, un'elegante scrittura umanistica che fa pensare a un italiano, verga il testo delle prime cinque commedie; alla seconda, che tenta con vario esito di imitare la prima, è dovuto il testo delle due ultime commedie; la terza, riconosciuta come la mano dell'autore, è responsabile, oltre che delle rubriche, di numerose correzioni e di glosse che alludono anche a vicende personali e contengono talune parole greche. Si tratta di una produzione eccezionale per cronologia e per quantità: mentre sono le più antiche commedie umanistiche (salvo qualche farsa goliardica) di cui si ha la certezza della rappresentazione, il loro numero e la loro successione testimoniano un'applicazione del F. al genere comico non di carattere occasionale e marginale rispetto ad altre attività, letterarie e non, com'è di consueto per altri autori di commedie umanistiche. Se l'interesse verso il teatro comico classico fu animato nel F. dal magistero guariniano, egli trae quell'insegnamento a conseguenze esemplari, facendo delle recite delle commedie da lui composte momenti qualificanti del suo insegnamento veneziano.

Nel manoscritto le prime cinque commedie sono precedute da didascalie, esemplate sul modello di quelle presenti in codici terenziani, dove sono indicate le magistrature (doge e procuratori) in carica al momento della rappresentazione, l'indizione, il nome dell'organizzatore dello spettacolo (e recitator del prologo) e dei flautisti; la didascalia si chiude con la formula "tota est peracta latina". Molto si è discusso intorno alle modalità delle rappresentazione. La didascalia del Claudi duo dichiara questa commedia "acta sine mimis" (p. 35), mentre nel prologo si dice che la precedente Corallaria era stata realizzata con la partecipazione di histriones, ai quali il F. era poi stato costretto a rinunciare in seguito alle polemiche suscitate dai rivali. Il Previté-Orton ipotizza due successive maniere di rappresentazione: lettura di un recitator e azione muta dei mimi per la Corallaria, azione dialogata e agita sulla scena da parte degli allievi per le altre ("Si desunt histriones, ornatus supplebit agentum industria et ingenium adolescentum nostrorum discipulorum", p. 36). Ma, se è certa la rinuncia all'impiego di istrioni di professione per utilizzare invece gli allievi stessi (legando dunque ancor più strettamente l'esperienza teatrale alla scuola), da ciò non discende la necessità di postulare per la Corallaria un'esecuzione di tipo medievale. Gli actores nominati nelle didascalie sono gli allievi del F. Girolamo Da Ponte (Corallaria e Oratoria), Simone Fioravanti (Claudi duo), Antonio Da Ponte (Emporia) e il collega Paolo di Andrea, rector scholarum in S. Giovanni in Bragora (Symmachus). Il prologo della Corallaria suggerisce immediatamente la situazione scolastica, che detta l'affermazione della liceità del comporre (e rappresentare) commedie nuove e ispira la volontà di offrire alla gioventù veneziana un intrattenimento utile e onesto.

La Corallaria è una commedia a doppio intreccio, con contaminazione di motivi di tradizione comica classica e di tradizione novellistica, scenicamente statica giacché la maggiore parte degli eventi è narrata piuttosto che agita. La vecchia e ricca Claudipoti vorrebbe sposare Faceto e il servo Miles, lusingandola nelle sue speranze, riesce a farsi consegnare la dote. Scoperto l'inganno, Claudipoti sposerà il suo corteggiatore Euclione e Faceto la giovane Ericia, una fanciulla straniera che fino ad allora l'aveva servito sotto spoglie maschili. Il titolo, di stampo plautino, deriva dai coralli che Miles si fa prestare da Faceto e dona a Claudipoti per incoraggiarne le speranze matrimoniali. La scena è a Pisa, ma non mancano allusioni a luoghi e persone di Venezia (per esempio a un Benedetto Venier, che ricopriva la carica di signore di notte). La recita della Corallaria provocò al F. accuse di plagio (nei confronti di una ignota commedia di Giacomo Langosco) e immoralità (presumibilmente legate non tanto al contenuto, assai castigato, della commedia, quanto all'uso stesso del teatro). Da queste accuse il F. si difese nel prologo del Claudi duo, la seconda commedia rappresentata a breve distanza dalla precedente, e tentò di scongiurarle eliminando l'uso dei mimi e dando alla commedia un'intonazione fortemente moraleggiante: il nucleo centrale della vicenda è infatti tratto dal Timone, il dialogo filosofico di Luciano cui arriderà tanta fortuna teatrale. La commedia è ambientata a Ravenna; Plusipeno, che ha dilapidato le sue sostanze, si converte alla saggezza e Giove ordina a Pluto di restituirgli Ricchezza e di cacciare Povertà dalla sua casa. Anche questa commedia ha trama doppia: Pluto arricchisce anche i due giovani Filafrodite e Pornovosio, che hanno bisogno di denaro per le loro avventure amorose, vanamente ostacolate dal loro pedagogo, zoppo come Pluto (donde il titolo della commedia). Nonostante l'intenzione di costruire una favola edificante (evidente nell'uso delle personificazioni), il F. non sa frenare i suoi umori polemici che si manifestano attraverso la figura del ridicolo pedagogo, dietro il quale non è difficile riconoscere l'intenzione di irridere a colleghi rivali. Questi entrano in gara con il F. componendo in collaborazione e allestendo con gran pompa una nuova commedia, la Magistrea, oggi perduta. Nel prologo della sua terza commedia, l'Emporia, il F. si prende gioco dell'iniziativa degli avversari, rivendicando la propria superiorità come scrittore comico. L'episodio è interessante come testimonianza di un dibattito vivace e polemico che accende la vita della scuola veneziana intorno al tema dell'uso edificante e didattico del teatro. L'Emporia è esplicitamente ambientata a Venezia e mette in scena gli amori di Eutimo e Adelfe e di Lero e Afrodite. Per far fronte all'avidità di Afrodite Lero si procura il denaro vendendo Eutimo come schiavo. Dopo numerose peripezie e in seguito a un naufragio questi riesce a ritornare a Venezia e a sposare Adelfe, la quale poco prima aveva dato alla luce un bambino che, appena nato, è in grado di parlare e di annunciare il prossimo ritorno del padre. La nascita del bambino in scena fa pensare ad analoghe situazioni plautine e terenziane come pure foggiati su modelli classici sono i servi Crisolo e Dolo.

Queste tre commedie furono rappresentate in rapida successione tra il settembre 1432 e l'agosto 1433. Forse proprio le polemiche e i contrasti da esse suscitati indussero il F. a lasciare Venezia per compiere un viaggio che lo portò, nell'inverno 1433-34, forse a Firenze, certamente a Roma, Capua e Napoli. In quest'ultima città, dove, a suo dire, fu onorevolmente accolto, si trattenne più a lungo ed entrò in contatto con personaggi della corte della regina Giovanna II. A Napoli compose e ambientò il De republica, un dialogo di cui sono interlocutori, con il F. stesso, Giorgio d'Alemagna, conte di Buccino, e Ottino Caracciolo. Il dialogo, d'impianto ciceroniano fin dalla scelta della forma mimetica pura, ricondotta anche all'esperienza di commediografo, è dedicato a Leonello d'Este, con la scoperta intenzione di sondare la possibilità di ottenere (magari con la mediazione di Guarino) onorevole sistemazione nella città natale, anche implicitamente denunciando, con questo tentativo, le difficoltà veneziane.

Il De republica è conservato nel manoscritto Turri F 92 della Biblioteca municipale di Reggio Emilia, quasi certamente l'esemplare di dedica offerto a Leonello, e di qui è pubblicato, insieme alle commedie, dal Previté-Orton. Perduto è invece il codice che era stato donato nel 1443 dal duca di Gloucester all'università di Oxford. L'importanza di questo dialogo-trattato è stata segnalata dagli storici del pensiero politico, che ne hanno sottolineato i tratti di modernità. Sulle tracce di un aristotelismo depurato da ogni soggezione alla teologia, il F. prospetta una concezione integralmente laica dello Stato, fondata sull'educazione umanistica del principe. Anche il clero è soggetto al controllo dello Stato ("religionis magistrum principem velim", p. 357) nel momento in cui la sua funzione interferisce nell'orientamento della vita civile.

Il F. non riuscì a trovare conveniente sistemazione né a Napoli né a Ferrara e s'indusse quindi a tornare a Venezia, da Barletta, via mare, e a riprendere qui il suo insegnamento. Prima dell'agosto 1434 fece rappresentare una nuova commedia, il Symmachus, dal complesso intreccio di origine novellistica.

Travestita da uomo, la fanciulla Piste parte alla ricerca dell'amato Simmaco, esule in seguito all'uccisione di un malvagio rivale. Dopo varie peripezie questi giunge a Tessalonica, dove, grazie al suo valore in guerra, acquista prestigio e ricchezza; anche Piste fa fortuna, imbastendo vantaggiosi affari. Alla fine i due naturalmente si trovano e si sposano. Di particolare rilievo il personaggio femminile, che si rifà alla Ginevra della nona novella della seconda giornata del Decameron, a parere del Padoan l'unico personaggio compiuto del Frulovisi.

Tra novembre 1434 e agosto 1435 ebbe luogo l'ultima rappresentazione realizzata a Venezia. Il prologo della nuova commedia, l'Oratoria, ripercorre la carriera teatrale del F. e ricorda le opposizioni e gli ostacoli via via incontrati, fino al Symmachus, che, suscitando le accuse di un frate predicatore di nome Leone, aveva segnato il prevalere degli avversari.

L'Oratoria dovrebbe dunque segnare l'abbandono del campo, la resa di fronte agli avversari ("Quinta fuerit Oratoria, quam vobis dabit et ultima. Heu, heu, ultima", ibid.). Una chiosa autografa del codice rivela che dietro il personaggio di Leocione si nasconde proprio quel Leone che si era fatto campione della fazione avversa al F., adducendo anche le tradizionali motivazioni contro la poesia e la lettura dei classici. Nella commedia il frate Leocione, approfittando del suo ruolo di confessore, cerca di sedurre Agna e poi tenta addirittura, travestendosi, di ottenerla in sposa. Agna infine sposerà il napoletano Exoco, che si era innamorato di lei in sogno e l'aveva quindi fatta ricercare per ogni dove. In bocca a Leocione è anche un sarcastico sermone (che dà il titolo alla commedia) contro i poeti classici: la loro colpa è quella di insegnare la virtù e dunque, giacché essi sono per definizione corruttori dei costumi, sarà d'uopo piuttosto seguire i santi vizi.

Non furono dunque solo rivalità professionali a contrastare la carriera di commediografo del F., ma ben più complesse questioni che coinvolgevano prese di posizione ideologiche. Se per il Claudi duo era stato accusato di voler introdurre una nova religio (per via dei personaggi mitologici), la polemica con fra' Leone fu una manifestazione, seppur minore, dell'avversione verso la poesia comica (che già era stata dei Padri della Chiesa) e della più generale condanna del culto verso l'antico quale si era recentemente manifestata nella Lucula noctis di Giovanni Dominici (G. Banchini) come inconciliabilità assoluta tra fede cristiana e cultura classica.

Dopo la rappresentazione dell'Oratoria, che nel prologo esprimeva un vero e proprio commiato, e nello scoperto, aspro attacco a fra' Leone manifestava una decisione di rottura, il F. abbandonò Venezia. Lo si ritrova poco più tardi in Inghilterra, al servizio di Humphrey duca di Gloucester, "protector" durante la minore età del nipote re Enrico VI. È da credere che di questo trasferimento si fosse fatto tramite il vecchio condiscepolo del F., Pietro Del Monte, allora nunzio in Inghilterra e legato da amicizia al duca. La prima data certa relativamente alla presenza del F. in Inghilterra è quella del 7 marzo 1437, quando egli ottenne la naturalizzazione. Il Previté-Orton ipotizza, tra la partenza da Venezia e l'approdo alla corte inglese, un viaggio a Rodi e Creta sulla base della successiva commedia, la Peregrinatio, che è ambientata in questi luoghi, oltre che in Inghilterra, e contiene alcune battute in greco parlato (che potrebbe essere eco di recenti esperienze). D.H. Jocelyn nega invece la necessità di ipotizzare questo viaggio, dato che la conoscenza dei luoghi che appare dalla Peregrinatio sembra più probabilmente di seconda mano, in assenza di qualsiasi spia che riveli una conoscenza diretta. Secondo il Jocelyn le due ultime commedie del F., la Peregrinatio e l'Eugenius, che dal Previté-Orton in poi erano state sempre ritenute composte in Inghilterra, andrebbero riferite al periodo dell'insegnamento veneziano: sol che esse non erano state ancora rappresentate (e nel codice sono quindi prive di didascalia) quando il F. abbandonò la scuola.

Se l'ordine delle commedie non è in dubbio (ed è più volte ribadito dall'autore), non sembra facile trovare una collocazione veneziana alla composizione delle due ultime, le quali anche si segnalano per una maggior lontananza dai canoni classici, che a volte è scelta consapevole del F., come quando, nel prologo della Peregrinatio, dichiara la rinuncia all'unità di luogo e al conseguente espediente di dar notizia per via di nunzi o di lettere degli accadimenti che si svolgono in luoghi lontani da quello della scena. Se è vero che la rappresentazione dei luoghi è piuttosto generica e non del tutto convincente l'idea del Previté-Orton che in personaggi dell'Eugenius siano adombrati il duca di Gloucester, il duca di Bedford, il re Enrico VI e il F. stesso, è peraltro difficile credere alla casualità dell'ambientazione inglese della Peregrinatio, come anche al fatto che il lunghissimo e lentissimo Eugenius potesse essere stato concepito per le scene venete (sembra piuttosto un testo destinato alla lettura, come potrebbe confermare, nel codice, l'assenza di didascalia e anche di spazio bianco lasciato per essa, come nella Peregrinatio).

Questa narra del viaggio di Clero a Creta alla ricerca del padre, che qui si era stabilito e risposato dopo aver abbandonato in Inghilterra la prima moglie e il figlio. Alla fine Clero ritrova il padre e ne sposa la figlia adottiva, mentre la morte improvvisa della prima moglie sana la situazione di bigamia. L'Eugenius ha invece un'esilissima trama di scoperta intenzione edificante, dilatata dalle lunghi discussioni moraleggianti particolarmente fitte nella prima parte. Eugenio abbandona la propria sposa Macrotima (la pazienza) per Erichia (la ricchezza) in obbedienza alla volontà dei genitori; quando scopre che quest'ultima è solo fonte di scontentezze e di apprensioni la ripudia e ritorna a Macrotima.

Presso il duca di Gloucester il F. svolse anche attività di segretario: a lui indirizzò una lettera Leonardo Bruni il 13 dic. 1437 per giustificare il ritardo dell'invio della traduzione della Politica di Aristotele commissionata dal duca. In ossequio al compito di gratificare i mecenati con scritti encomiastici il F. compose la Vita Henrici Quinti e l'Humphrois.

La prima è una celebrazione del re fratello del duca di Gloucester e introduce nella cultura inglese un'impostazione storiografica di tipo monografico plutarcheo a essa prima di allora ignota. Della Vita, data alle stampe a Oxford nel 1716, sopravvivono le due copie gemelle di dedica al re Enrico VI e al duca di Gloucester (Cambridge, Corpus Christi College Library, 285, e Londra, College of Arms Library, Arundel 12). L'Humphrois è un poema in 1.140 esametri (che manifestano appieno la scarsa propensione del F. per la scrittura in versi e l'intonazione epica), riscoperto solo di recente in un codice della Biblioteca Colombina di Siviglia (ms. 7.2.33). Vi è narrata e celebrata la campagna militare condotta dal duca di Gloucester nelle Fiandre nel 1436.

Il F. lasciò l'Inghilterra probabilmente nel 1438, giacché nel luglio 1439 era già da qualche tempo a Venezia, da dove, trovandosi in nuove difficoltà, si rivolgeva per aiuto al Del Monte. Prima di partire, angustiato anche dai debiti contratti, aveva tentato di guadagnarsi la protezione di un avversario politico del duca di Gloucester, il vescovo di Bath e cancelliere del Regno John Stafford, indirizzandogli un Encomium, con il quale chiedeva un impiego presso il re o almeno il pagamento dei debiti per poter finalmente tornare in patria. Il Previté-Orton ritiene che causa del suo allontanamento possa essere stata l'inadeguatezza delle competenze del F. rispetto alle attese e alle esigenze del duca: poco classico il suo latino, superficiale il suo greco, inadeguato al compito eventuale di allestire traduzioni. Una concausa almeno sarà stato il carattere irruento e bizzoso che gli rimproverava anche il Del Monte. Il quale predispose comunque il ritorno del F. in Inghilterra, ma durante il viaggio, nella primavera del 1440, questi fu arrestato in una imprecisata località: promettendogli ancora la sua assistenza il Del Monte tornava a rimproverargli l'uso quanto meno imprudente della lingua, probabile causa della nuova sventura.

Rinunciato al ritorno in Inghilterra, il F. soggiornò qualche tempo a Milano, presso Filippo Maria Visconti, ma se ne allontanò presto, insofferente del servizio. "Ego a vobis abiens… ex principibus nauseans adeo stomachatus sum, ut ipsorum ieiunium aliquantisper sit habendum cum popularibus viventi", scrive a Pier Candido Decembrio in una lettera che il Previté-Orton data al 1442, ma che andrà forse spostata a qualche anno più avanti, comunque non oltre il 1447, dato che del duca di Gloucester si fa menzione come di persona ancora in vita. Nella stessa lettera il F. narra anche di essersi addottorato in arte e medicina a Tolosa e di essere quindi passato a Barcellona, proprio mentre vi infuriava la peste: ma egli preferisce vivere appartato in campagna e non visitare ammalati. Chiede le opere di Celso e Galeno e invia copia della Vita Henrici Quinti, che vent'anni più tardi, nel 1463, il Decembrio volgerà in italiano dedicandola a Francesco Sforza.

Negli ultimi anni di vita il F., a quanto pare, abbandonò la militanza letteraria; l'ultima notizia che se ne conosce risale a parecchi anni più tardi, quando, nel 1456, Lodovico Foscarini si rivolse a lui, di nuovo a Venezia, per chiedergli consigli medici.

Le opere del F. si leggono in Opera hactenus inedita T. Livii de Frulovisiis de Ferraria, a cura di C.W. Previté-Orton, Cantabrigiae 1932 (le sette commedie, il De republica, l'Encomium Iohannis Stafford); Titi Livii Foro-Juliensis vita Henrici Quinti regis Angliae, Oxoniae 1716 (a cura di T. Hearne); la traduzione del Decembrio della Vita Henrici Quinti è conservata nel Cod. lat. 2610 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna e nel cod. Urb. lat. 922 della Biblioteca apostolica Vaticana; l'Humphrois è nel ms. 7.2.23 della Biblioteca Colombina di Siviglia.

Fonti e Bibl.: Le lettere di P. Del Monte al F. sono pubblicate (dal ms. Vat. lat. 2694, cc. 176 e 231) da R. Sabbadini, in T.L. Frulovisio umanista del sec. XV, in Giorn stor. della lett. ital., CIII (1934), pp. 74-79; qui sono anche le lettere di Leonardo Bruni al F. (p. 73) e del F. al Decembrio (p. 80), ristampate in Leonardi Bruni Epistolarum libri VIII, II, a cura di L. Mehus, Florentiae 1741, e da M. Borsa, Pier Candido Decembrio e l'umanesimo in Lombardia, in Arch. stor. lombardo, s. 2, X (1893), pp. 5-75; la corrispondenza con L. Foscarini si legge nel Cod. lat. 441 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (cc. 170, 171, 175, 191, 196, 198) e nel ms. 85 della Biblioteca comunale di Treviso (cc. 298, 301, 307, 337, 346, 349). In G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VI, 2, Roma 1784, p. 111, sono compendiate le poche e incerte notizie sul F. note all'erudizione settecentesca. L'edizione del Previté-Orton è preceduta dal cenno di G. Voigt, Il risorgimento dell'antichità classica ovvero il primo secolo dell'Umanesimo, II, Firenze 1890, p. 248, da un primo saggio biografico dello stesso Previté-Orton, The earlier career of Titus Livius de Frulovisiis, in The English historical Review, XXX (1915), pp. 74-78 e da pochi altri interventi sulle opere allora note: J.H. Wylie, Decembri's version of the "Vita Henrici Quinti" by Tito Livio F., ibid., XXIV (1909), pp. 84 s.; C.L. Kingsford, The early biographies of Henry V, ibid., XXV (1910), pp. 58-61; Id., English historical literature in the fifteenth century, Oxford 1913, pp. 50-56; V. Ferrari, Il "De republica" di T.L. de' F., sec. XV, in Studi di storia, di letter. e d'arte in on. di Naborre Campanini, Reggio Emilia 1921, pp. 17-28. L'edizione del Previté-Orton (su di essa vedi Sabbadini, T.L. F., pp. 55-73 e le recensioni di M. Lehnerdt in Philologische Wochenschrift, LIII [1933], pp. 1190-1200, e in Gnomon, X [1934], pp. 157-162, di C. Foligno in Archivio veneto, LXII [1932], pp. 282-288), rendendo noti i testi teatrali del F. e fornendo, nell'Introduction, un documentato profilo biografico e l'analisi delle opere resta punto di riferimento per tutta la successiva bibliografia: F. Battaglia, Il trattato "De republica" di T.L. de' F., in Riv. intern. di filosofia del diritto, XV (1935), pp. 487-505; G. Saitta, Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento, I, Bologna 1949, pp. 367-372 (sul De republica); R. Weiss, Codici umanistici in Inghilterra, in Giorn. stor. della lett. ital., t. CXXXI (1954), p. 387; I. Sanesi, La commedia, I, Milano 1954, pp. 129 s. (ma non ha conoscenza diretta dell'edizione del Previté-Orton); B. Fava, Elenco descrittivo di 30 codici quattrocenteschi della Biblioteca municipale di Reggio Emilia, in Atti e mem. della Deput. di storia patria per le antiche province modenesi, s. 8, VII (1955), pp. 165 s. (sul codice del De republica); R. Weiss, Humphrey,duke of Gloucester and T.L. F., in Fritz Saxl 1890-1948. A volume of memorial essays…, London 1957, pp. 218-227; A. Stäuble, Le sette commedie dell'umanista T.L. F., in Rinascimento, s. 2, III (1963), pp. 23-51; A. Perosa, Teatro umanistico, Milano 1965, pp. 25 s., 30 s.; R. Weiss, Humanism in England during the fifteenth century, Oxford 1967, pp. 41-48; A. Stäuble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, pp. 51-65 e passim; S. Rossi, Ricerche sull'Umanesimo e sul Rinascimento in Inghilterra, Milano 1969, pp. 19-25; Duke Humphrey and English humanism in the fifteenth century (catal.), Oxford 1970, nn. 2, 4, 6; W. Ludwig, Titus Livius de' F. Ein humanistischer Dramatiker der Renaissance, in Humanistica Lovaniensia, XXII (1937), pp. 39-76; L. Marzari, Presenza di Luciano nel teatro umanistico: i "Claudi duo" di T.F. L., in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, CXXV (1977), pp. 213-230; A.M. Negri Rosio, Contributi per lo studio del "De republica" di T.L. F., in Contributi (Biblioteca municipale A. Panizzi, Reggio Emilia), I (1977), 2, pp. 129-158 (alle pp. 137-140 importanti rettifiche all'ed. Previté-Orton) e II (1978), 3, pp. 117-151; A. Sammut, Unfredo duca di Gloucester e gli umanisti italiani, Padova 1980, pp. 17-21, 99 s., 109; G. Padoan, La commedia rinascimentale a Venezia: dalla sperimentazione umanistica alla commedia "regolare", in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, I, Vicenza 1981, pp. 377-384 (poi in La commedia rinascimentale veneta, Vicenza 1982, pp. 11-23); G. Gentilini, La commedia umanistica a Venezia, in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, CXXXIX (1981), pp. 187-204; R. Guarino, Gli umanisti e il teatro a Venezia nel Quattrocento. Scritture, ambienti, visioni, in Teatro e storia, II (1987), 1, pp. 135-166; H.D. Jocelyn, The two comedies of T.L. de' F. allegedly written in England, in Studi umanistici piceni, XII (1992), pp. 135-142.

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