TITOLO

Enciclopedia Italiana (1937)

TITOLO

Agostino Tesio

. Diritto Canonico. - Titolo di chiesa. - Nel linguaggio liturgico odierno significa il nome del mistero o del santo in cui onore è dedicata una chiesa.

Ben diverso però fu il suo significato nella Chiesa primitiva, e specialmente in Roma; e l'opinione oggi più comune spiega l'origine dell'uso di tale voce in questo modo. Nei primi tempi del cristianesimo, patrizî o matrone convertiti posero a disposizione dei cristiani qualche aula dei loro palazzi, e lì all'ombra del diritto della proprietà privata, cioè sub titulo d'un nome potente e dello ius domiciliare, i fedeli si radunavano per il culto. Tale sarebbe il significato legale del nome del primitivo proprietario associato sempre a quello del suo titolo, e non si avrebbe alcuna dedicazione a santo di sorta. Solo più tardi i titoli romani presero il nome dei loro celesti patroni, e a ciò influì in parte la circostanza che, essendo stato attribuito culto a parecchi tra i fondatori dei primitivi titoli, anche le altre chiese, denominate già da persone affatto private, vennero col tempo dedicate a martiri omonimi, le cui reliquie, a cagione appunto di questa omonimia, furono trasferite in quelle vetuste aule. Così il titulus Sabinae, titulus Balbinae, titulus Anastasiae, divennero ben presto tit. Sanctae Sabinae, ecc., senza che queste sante abbiano avuto alcuna relazione con le rispettive fondatrici di quelle chiese. Papa Vigilio, in una lettera del 538 al vescovo di Braga, dice che le chiese non si potevano erigere se non sopra tombe di martiri, o almeno in esse dovevano essere trasportate le loro reliquie; ma essendo in molti luoghi l'esumazione delle salme ostacolata dalle leggi e dai costumi del tempo, e moltiplicandosi assai il numero delle chiese con il diffondersi della religione cristiana, tale legge fu successivamente ridotta all'obbligo, tuttora vigente, che la pietra sacra di ogni altare abbia un piccolissimo sepolcreto contenente sacre reliquie. La legge ecclesiastica odierna (Cod. Dir. Can., can. 1168) vuole che ogni chiesa abbia il suo titolo, che non può essere mutato, e del quale si deve celebrare ogni anno la festa.

Fra tutti i titoli o chiese di Roma, meritano speciale menzione quelli fra cui venne assai presto divisa l'amministrazione ecclesiastica dell'Urbe. Il numero sempre crescente dei fedeli indusse i papi a concedere il fonte battesimale e la facoltà di amministrare altri sacramenti anche ad altre chiese oltre alla principale o cattedrale. Queste chiese avevano clero, patrimonio e cimitero distinti; e il primo ecclesiastico del loro clero era chiamato cardinalis. Questi, con i diaconi regionarî, formavano come il consiglio del vescovo di Roma, e da essi ebbe origine il collegio cardinalizio. Tali titoli principali da principio erano 25; più tardi salirono a 28, e il loro elenco si può desumere dai firmatarî del concilio romano sotto papa Simmaco. A tali chiese fu riservato per antonomasia il nome di "titoli"; ed essendosi sempre conservato l'uso di preporre i cardinali a una di dette chiese romane, con il crescere del numero dei cardinali, si accrebbe anche il numero dei primitivi titoli, fino all'attuale di 50, che sono, salvo pochissime varianti, quelli fissati da Sisto V con la costituzione del 15 aprile 1587.

Titolo di ordinazione. - L'uso dei primi tempi della Chiesa fu di elevare agli ordini sacri soltanto secondo il bisogno dei singoli luoghi e comunità dei fedeli: gli ordinati poi, con l'ordine sacro ricevevano pure la destinazione a una chiesa determinata, che assieme assicurava loro il sostentamento dal suo patrimonio. Poiché le chiese allora si chiamavano tituli, si diceva che il vescovo ordinava il tale, p. es., ad titulum Sabinae, e il clero prendeva perciò il suo appellativo dalla chiesa o dall'uffizio cui era addetto. Appresso, la parola titulus in materia di ordinazioni subì una deviazione giuridica, e passò a significare, invece del luogo sacro, l'annesso reddito patrimoniale che assicurava il sostentamento all'ecclesiastico; finché prese un senso ancora più esteso, e significò senz'altro la fonte stessa del sostentamento dell'ordinando, poiché la Chiesa fu sempre sollecita che fosse assicurato il mantenimento ai suoi ministri, per il decoro del grado e perché potessero più tranquillamente attendere al sacro ministero.

Nella disciplina odierna i titoli di ordinazione per il clero secolare sono: il titulum beneficii ecclesiastici, che è il più proprio e ordinario; il titulum patrimoniii o pensionis, costituito o dai beni proprî dell'ordinando, o da una pensíone o censo certo; il titulum servitii dioecesis vel missionis, con cui il capo della diocesi o della missione si obbliga a dare all'ordinando un officio che gli assicuri il sostentamento. Per i religiosi di voti solenni è il titulum paupertatis, e per quelli di voti semplici il titulum mensae communis.

Bibl.: O. Marucchi, Manuale di archeologia cristiana, Roma 1933; I. Schuster, Liber Sacramentorum, II e VI, Torino 1922; F. Cappello, De sacramentis, II, parte 3a, Roma 1935.