ASPETTI, Tiziano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ASPETTI (Aspeti, degli Aspetti, de Aspectis, de Aspettis, de Aspetis; talora de Aspectatis o de Expectatis), Tiziano

Estella Brunetti

Nato a Padova, molto verosimilmente non dopo il 1559, in quanto nel 1580 risultata maggiorenne. Una data di nascita sugli anni 1557-59 appoggerebbe altresì sul termine cronologico post quem offerto dalle nozze del padre Francesco con Ginevra de Vedutis: 12 febbr. 1557. Ad ogni modo, il 27 nov. 1561 Francesco dichiarava di avere due figli, uno dei quali dovette ben essere Tiziano.

L'arte tradizionale della famiglia fu quella di lizzaro, cioè di far pettini per tele, e la bottega passò da Grazioso, oriundo bolognese, ma padovano d'elezione (documentato a Padova 1° apr. 1471), al figlio Guido (m. 1528), e quindi al suo celebre primogenito Tiziano, detto Minio, e, alla morte di questo (1552), al secondogenito Francesco, già bombardiere e combattente nelle galee veneziane, e padre, appunto, di Tiziano Aspetti. Ma, accanto al mestiere di lizzaro, e specialmente interessante nei riguardi di Tiziano, è l'apporto artistìco con cui la famiglia degli A. si inserisce nella tradizione scultorea padovano-veneziana: a incominciare, se pure in termini essenzialmente tecnici, da Guido, noto fonditore, per continuare, in modo ben più saliente, con Tiziano Minio (nato entro il 1511 o 1512) e indi col nipote Tiziano iunior, entrambi anche cultori di quella bronzistica, che, sull'inizio del secolo, dopo la tradizione quattrocentesca di marca donatelliana rappresentata da Bartolommeo Bellano, e l'altra, autoctona, esitata dall'ambiente squarcionesco, trova un bronzista di prim'ordine in Andrea Riccio (1470-1532). E praticarono altresì la bronzistica, una volta giunti in area veneta, scultori toscani quali Iacopo Tatti detto il Sansovino (1486-1570) o Danese Cattaneo da Carrara (m. Padova 1573).

La comunanza del nome di battesimo dell'A. con Tiziano detto Minio fece sì che i due artisti venissero spesso confusi tra loro, con conseguenze implicanti talora la stessa paternìtà delle opere. La critica odierna è orientata a diminuire i meriti artistici del Minio mentre tende vieppiù a una netta rivalutazione dell'altro Aspetti, cioè Tiziano iunior il nipote.

Tiziano Aspetti, il cui grado di parentela col grande Tiziano Vecellio non appare ben chiaro (pronipote?), per quanto lui stesso affermasse di esserne "nipote di sorella", risulta già nel 1580 presente nella parrocchia di S. Maria Formosa, a Venezia, dove fu solito abitare, pur rimanendo sempre fedele alla patavinitas d'origine e intrattenendo frequenti rapporti con la propria città natale (specie nel periodo 1593-95 cuirisale la sua attività all'altare del Santo). A Venezia è altresì documentato per gli armi 1582 (ospite in casa del patriarca Grimani), 1584 (S. Maria Formosa), 1597 (S. Antonino), 1599 (S. Severo) e 1604 (S. Maria Formosa). Il 30 ott. 1599 lo troviamo in Toscana, con dimora a Carrara; il 3 maggio 1602 - pare fugacemente - a Padova, mentre è del 26luglio dello stesso anno la lettera che, da Verona, egli indirizzava alla corte di Mantova, dicendosi in procinto di recarvi entro pochi giorni due statuine d'argento commissionategli. Né si può tacere in questa sede l'opportunità che presenterebbe la pubblicazione anche delle altre varie lettere dell'Aspetti conservate nell'archivio Gonzaga, secondo la notizia del Bertolotti (1885).

Accompagnando nel 1604 monsignor Antonio Grimani, vescovo di Torcello e nunzio apostolico in Toscana, l'A. lasciava Venezia per Pisa, dove fu accolto in casa di Camillo Berziglielli, grande protettore di artisti. Certo, gli spostamenti non dovettero mancare: a Firenze, innanzi tutto, ed a Massa, dove il 13 genn. 1605 delegava Iacopo Palma, padre del suo allievo Felice, per trattare una faccenda di marmi. Nel testamento, steso il 24 luglio 1606, risulta infatti ben dimostrato quanto peso acquistasse per lui, in terra toscana, la pratica del marmo, accanto all'attivìtà di bronzista, mai trascurata. Lasciava allora, e proprio in Massa, diverse statue di marmo, in parte terminate e in parte no: dieci, di cui otto gli erano state commissionate, per l'altare della Beata Vergine, dalla veneziana Confraternita del Rosario; due, di grandi dimensioni, un S. Francesco e un S. Domenico,per il bolognese Angelo Michele di Guastavillani; e ancora due sculture che egli legava a Caterina Viola in Padova, figlia di una sorella, e sua erede universale. Di queste opere, nonché delle altre nominate nel testamento, non s'è finora ritrovata o identificata alcuna; ed altrettanto si dica di tutte le altre da lui eseguite in Toscana, fatta eccezione per il paliotto bronzeo in Santa Trinita a Firenze. La morte dell'artista si colloca con sicurezza tra il 27 luglio e il 3 nov. 1606 (1607, secondo lo stile pisano), a Pisa. L probabile che il primo termine cronologico (aggiunta di una clausola testamentaria) sia quello più corrispondente. La sua sepoltura, con relativo busto eseguito da Felice Palma, si trovava nel chiostro del Carmine di Pisa: il busto, per bombardamento dell'edificìo durante la seconda guerra mondiale, è stato temporaneamente rimosso (visibile, intatto, nel Museo di S. Matteo).

Passando all'esame della produzione artistica dell'A., ulteriori dati cronologici si aggiungono a quelli già elencati. Ma preme soprattutto rilevare via via, anche con nuove osservazioni, la sua posizione di cultura, e tanto più, in quanto le opinioni della critica, mancando di qualche antica fonte bene informata, accusano notevoli dispareri e avvertibili zone di disagio. Non pare, ad esempio, che vi siano ragioni sufficienti per considerare l'A. legato in qualità di allievo ad Alessandro Vittoria (1525-1608), l'erede in Venezia del ruolo primarìo, già tenuto dal Sansovino. Se nella sua prima opera nota - il camino della sala dell'Anticollegio nel Palazzo ducale a Venezia - egli si dimostra indubbiamente informato, nei due Telamoni, a certo scabro ed intenso linguaggio anatomico del Vittoria, pur tuttavia la lezione dominante è bensì quella sansovinesca, ma propria dell'Ammannati, bastando ricordare a tal fine i due Prigioni della Villa Donà delle Rose di Ponte Casale (Padova), che l'A. conosceva di certo. Va notato come uno dei due telamoni di Tiziano fu ripreso, poco dopo, da Girolamo Campagna (n. circa 1550 - m. dopo 1623) nella figura del S. Sebastiano alla Scuola di S. Rocco (salone superiore). Quanto al rilievo siglato con Venere nella fucina di Vulcano, facente pur esso parte del citato camino dell'Anticollegio, le paìesi accentuazioni in senso toscano paiono risalire piuttosto a Nicolò Tribolo (1500-1550), anziché al suggerito Francesco Mosca (m. Pisa 1578). Il camino dell'Anticollegio, essendo stato fornito della sua nappa di marmo fra il 1574 e il '76, e decorato di bel fregio classico e relativa cornice per commissione del 2 giugno '76 ad opera di due scultori Marco e Antonio, ebbe l'aggiunta delle tre citate opere dell'A. appena in un secondo tempo, ma non oltre l'anno 1589, in cui si provvide per l'ornamento in stucco della parte terminale. Le relative attribuzioni all'A. del disegno della coll. Prybram di Monaco e dei fogli Ven.121 e Ven.122 dell'Albertina di Vienna non presentano alcun solido fondamento. Del 3 nov. 1590 è l'incarico per il marmoreo Gigante dell'atrio della Zecca (l'altro venne eseguito dal Campagna), opera spiacevole nei risultati, ma interessantissima a richiamare il riporto di un sostanziale classicismo informativo nei termini di un'apertura ormai programmaticamente manieristica. E anche qui ricorre di bel nuovo un ricordo, enucleabile ad evidenza, dello stile - intorno al '40 - di Bartolomeo Ammannati (1511-1592): un richiamo, questo, inavvertito finora dalla critica e adatto ad appoggiare l'ipotesi, già avanzata, ma con meno fondate ragioni, di una presa di contatto fiorentina dell'A. prima dei suoi ulteriori e documentati soggiorni toscani.

Un percorso iniziale, come si vede, non agevole; e però tutt'altro che disancorato dalla tradizione "veneta", la cui fonte stilistica più importante, per l'A., è costituita indubbiamente dagli esempi lasciati da quell'interessantissimo scultore, toscano d'origine, che fu Danese Cattaneo (neppure lui alieno da una tarda ripresa ammannatesca, sul '72). Per il S. Marco dell'A., una delle due figure a mezzo rilievo in pietra tenera eseguite per il ponte di Rialto tra il 19 gennaio e il 23 luglio 1590, il confronto col S. Girolamo del Vittoria, ai Frari, è calzante. Completano l'elenco delle opere visibili a Venezia l'Ercole con l'Idra e l'Atlante (Palazzo ducale, all'ingresso della Scala d'Oro), le belle figure della Giustizia e della Temperanza, prime opere in bronzo documentate, in corso d'esecuzione già il 28 nov. 1592 per volontà del patriarca d'Aquileia Giovanni Grimani, con i più tardi (1596 circa?) Mosè e S. Paolo (S. Francesco della Vigna), interpreti massicci delle parmigianinesche simpatie del Vittoria, il cui altissimo esempio di ritrattista s'avverte chiaro anche nei tre busti (Palazzo ducale) di Sebastiano Venier, Marcantonio Bragadin e Agostino Barbarigo, dove peraltro non sfuggono nemmeno certe composte consonanze, sia pure raggelate, risalenti ai nobili esempi del Cattanco.

Terminati entro l'11 febbr. 1593, i due begli altorilievi col doppio Martirio di s. Daniele del duomo di Padova, più che rappresentare una nuova meditazione sui grandi esempi artistici della città, si avvalgono di un pronto e quasi improvviso assorbimento di tardo manierismo extraveneto, e con una dovizia di passaggi e con una trattazione epidermica così animata e vivace da contare certo fra i traguardi più alti dell'artista. La lezione di Donatello sarà invece indubbiamente presente all'A. subito dopo, con i lavori per l'altare del Santo (6 nov. 1593 - 30 dic. 1595), nelle tre statue di S. Antonio, S Bonaventura e S. Lodovico: un rientro neo-quattrocentesco che egli integrò con le grazie e compattezze di cauto aggiornamento culturale del suo contemporaneo Girolamo Campagna, artista di meriti contenuti. Per le altre opere del Santo, pure in bronzo, e cioè i quattro Angeli cerofori (un parallelo di gusto è in quello pisano di Stoldo Lorenzi, 1583) e ancor più le quattro Virtù, la ormai raggiunta maturità stilistica dell'A. non fa più concessioni, se non nei confronti dell'elaborato e conchiuso formalismo del Giambologna (presente a Venezia nel '93). La statua marmorea del Redentore, sovrastante una delle pile dell'acqua benedetta al Santo,,e condotta tra il 30 dic. 1595 e l'8 maggio 1599, ,è cosa di secondaria importanza. Ma è proprio in questo lustro che l'A. dovette -continuare intensamente quella produzione di piccoli bronzetti, certo già esperita almeno dal '90 in poi con piena maestria e che doveva praticare in seguito sino alla morte, magari con una flessione, in favore dei marmi carraresi, a partire dal soggiorno pisano.

Buona parte della fortuna critica dell'A., oltre alla rinnovata comprensione dei fatti del tardo manierismo, di cui egli emerge come l'estremo e più alto rappresentante veneto allo scadere del secolo, si raccomanda proprio alla sua produzione di bronzetti, grande tradizione della scuola padovana. Statuette o battagli che fossero, i suoi modelli trovarono ripetizioni numerosissime, ma di diversissima qualità' nei vari centri fusori dell'epoca (a non parlare di più tarde ripetizioni). Attualmente il complesso di opere che gli si ascrivono, in questo settore, è così dilatato, anche in ragione delle solite attribuzioni "di comodo", che andrebbe seriamente riesaminato. Oltre a ciò, vi è tutto un gruppo di statuette e pìcchiotti (compresi quelli del dibattuto e misterioso Giovanni Antonio Tavani; cfr. Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXXII, del 1938),riuniti per la prima volta dal Planiscig (1918)e da lui attribuiti all'A. in sede d'ipotesi, con risultato senz'altro positivo per il suo tempo, ma poi confermatìglì con certezza (1921, 1930, 1930-31),sicché oggi sono purtroppo accolte in blocco come opere scontate e basi sicure per nuove aggiunte, mentre dovrebbero essere vagliate con estrema cautela. Un'altra difficoltà è costituita dalla somiglianza così notevole presentata da alcuni bronzetti del Campagna, e fors'anche dei due Campagna, se fosse del fratello Giuseppe l'Apollo siglato del Museo di Berlino. Possibilità di confusioni sono altresì avvertibili nei confronti di Danese Cattaneo e di Alessandro Vìttoria, nonché dei Rubini e, ma con rischi minori, di Nicola Roccatagliata, che fu evidentemente influenzato dall'A. Di contro a tali problemi, pochissime sono poi le personalità di bronzisti oggi relativamente chiarite. Meglio quindi limitarsi a qualche singola citazione di alcuni tra i migliori e accertati bronzetti dell'A., invero assai alti per qualità, proponendone qui una sistemazione cronologica.

Tutti ancorati al gusto della tradizione veneto-padovana, e pertanto opere giovanili, sono i due bronzetti Uomini nudi a cavallo di tigri (Parigi, coll. Rothschild), mentre una più ammorbidita trattazione anatomica suggerisce una datazione al '90 circa per l'Ercole col leone di Nemea del Metropolitan Museum di New York. Il Marte (New York, già coll. Pierpont Morgan e Venezia, Museo Correr), d'ispirazione ammannatesca, sta coi rilievi del duomo di Padova (1592-93), corrispondendovi ad evidenza per strettissimi riscontri, ed il Vulcano del Museo Civico di Padova, ormai così fluido nel suo vigoroso modellato, rientra bene sullo scadere dell'attività padovana (1595). Più elaborata eleganza, con un'apertura non solo giambolognesca, ma in genere di manierismo estremamente colto, distingue il Perseo (o Marte?) della coll. Frick di New York (già coll. Pierpont Morgan), databile avanti il 1600 (replica, con lievi varianti, in coll. Harris, Londra). Sempre considerati opere giovanili, da accostarsi al camino del Palazzo ducale, p er una loro risentita trattazione anatomica, i due bronzetti con Vulcano e Marte (già coll. Strauss, Vienna) legano invece assai meglio con i maturi e mossi stilemi del bronzeo rilievo di Santa Trinita e appartengono probabilmente essi stessi all'ultimo periodo toscano.

Le opere che l'A. creò, giungendo a Pisa nel 1604, per Camillo Berzighelli, e che passarono in seguito nella villa Usimbardi di Ruciano, non. sono finora riemerse, e si raccomandano tutte allo spoglio elenco che ne dà, a Seicento inoltrato, Filippo Baldinucci, il quale, del resto, non dovette neanche conoscerle direttamente, né si peritava di dichiarare come "molte e molte altre opere condusse Tiziano Aspetti, di marmo e di getto, delle quali a noi non è chiara la cognizione". Rimane dunque, unico esempio di attività toscana, il citato altorilievo col Martirio di s. Lorenzo (Firenze, Santa Trinita, capp. Usimbardi; un calco in gesso al piano superiore dei canonicato di S. Lorenzo) - ma si tratta di opera di altissimo interesse per meditare come l'A. dovette contribuire, nell'ambito dei rilievi toscani, ad una ripresa di quei valori più propriamente plastici che la stessa scuola giambolognesca non dimostrò di intendere a sufficienza. Il Martirio di s. Lorenzo riflette, oltre a tutto, un ben definito e ponderato percorso dell'Aspetti. Rispetto ai due rilievi padovani, basati sul maggior aggetto di singole parti e con prevalente pittoricismo nei trapassi, si realizzano qui tutti i requisiti dell'altorilievo senza contaminazioni di sorta. Una lezione forse troppo perentoria per quella tradizione fiorentina ch'era stata iniziata allo "stacco" di singole parti a cominciare, né più né meno, dal Ghiberti stesso, ma che, raccolta, darà i suoi frutti, come per es. nel tardo e accentuatissimo altorilievo, finanche con figure a tutto tondo, di Ferdinando Tacca (Firenze, S. Stefano, capp. Bartolomei, 1656). Riesce invece difficile, finché non emergano nuovi ritrovamenti, valutare la portata degli influssi più stretti che l'A. dovette forse esercitare, a sua volta, con le opere toscane, sui tardi seguaci del Giambologna.

Fu scolaro diretto dell'A., col quale è documentato a Venezia fin dal 1602, Felice Palma di Massa Carrara (1583-1625), poi trasferitosi col maestro in Toscana dove continuò ad operare. Completamente ignorato dalla critica modema, meriterebbe di essere studiato per il suo bene aggiornato classicismo, sia pure puristico, da primo Seicento, assai nitido e calzante, specie nei ritratti, in cui pare possibile avvertire incidenze, fors'anche dell'ambiente romano, ivi incluso il toscano Francesco Mochi (1580-1654).

Bibl.: Oltre a quella essenziale contenuta in A. Venturi, Storia dell'Arte italiana, X, 3, Milano 1937, pp. 279-311, si vedano: G. Degli Agostini, Scrittori veneziani,II,Venezia 1754, p. 347 n. 1; G. B. Rossetti, Descrizione... di Padova, Padova 1780, pp. 60 s., 64, 79, 137; M. Valéry, L'Indicateur italien,Bruxelles 1835, pp. 135, 155 s., 282, 313; Ch. C. Perkins, Les sculpteurs italiens, II, Paris 1869, p. 236; A. Bertolotti, Artisti in relazione coi Gonzaga, Modena 1885, p. 79; A. De Champeaux, Dictionnaire des Fondeurs..., I, Paris-Londres 1886, ad vocem;A.Moschetti, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, II, Leipzig 1908, pp. 190-193; L. Planiscig, Randglossen zu Venedigs Bronzeplastik der Hochrenaissance, in Jahrbuch d. Kunsthist. Samml. d. allerh. Kaiserh., XXXIV(1917-18), pp. 1-24; Id., Die Estensische Künstsammlung, I, Wien 1919, pp. 134 s.; Id., Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp. 559-594 e passim; Fr. Schottmüller, An equestrianstatuette of the Renaissance, in Art in America, XIII (1925), pp. 63-72; P. Schubring, Die Kunst der Hochrenaissance in Italien, Berlin 1926, p. 529; L. Planiscig, Andrea Riccio, Wien 1927, pp. 63 s., 169, 236 s.; G. Lorenzetti, in Encicl. Ital., IV, Roma 1929, pp. 970 s.; W. von Bode, Die italienischen Bildwerke der Renaissance und des Barock, II, Berlin-Leipzig 1930, nr. 257-259, 296, 297; Planiscig, Piccoli bronzi italiani del Rinascimento, Milano 1930, p. 38; Id., Lettera al Prof. A. Venturi, in Dedalo, XI(1930-31), pp. 24-35; G. Nicodemi, Bronzi minori del Rinascimento italiano, Milano 1933, pp. 151, 154 s.; P. Gardner, A Venetian statue for Kansas City, T. A.,in Art News, XXXVI(30 ott. 1937), pp. 14, 22; H. Comstock, The Connoisseur in America, A signed Renaissance sculpture for the Nelson Gallery' in The Connoisseur, C (1937), pp. 328 s.; A. Moschetti, Il Museo Civico di Padova, Padova 1938, pp. 15, 223; E. Rigoni, L'architetto Andrea Moroni, Padova 1939, pp. 30 s.; M. Benacchio Flores D'Arcais, Vita e opere di T. A., Padova 1940 (con documenti; estratto degli articoli apparsi in Boll. d. Museo di Padova, VI [1930], pp. 189-206; VII [1931], pp. 101-152; VIII [1932], pp. 67-103; X-XI [1934-39], pp. 91-138); riproduz. in Oberlin College Bulletin, V (1948), p. 36; R. Salvini, Bronzetti veneti al Museo estense, in Arte Veneta,II(1948), pp. 107-109; E. Rigoni, Notizie sulla vita e la famiglia dello scultore T. A. detto Minio, in Arte Veneta, VII(1953), pp. 119-122; G. G. Zorzi, Nuove rivelazioni sulla ricostruzione delle sale del piano nobile del Palazzo Ducale di Venezia dopo l'incendio dell'11 maggio 1574, ibid., VII(1953),, pp. 137 s.; riproduz. in Oberlin College Bulletin, XI(1954), p. 77; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Roma 1956, pp. 111, 155, 245, 253, 265, 341, 369, 371, 373, 433, 460; C. Semenzato, Alcune Opere della raccolta Benavides al Liviano, in Bollett. d. Museo Civico di Padova, XLV (1956), pp. 89-104; H. R. Weihrauch, Die Bildwerke in Bronze (Cat. del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco), München 1956, nr. 80, 126, 132, 268, 293-312; H. Landais, Les bronzes italiens de la Renaissance, Paris 1958, pp. 14 s., 40, 59, 79; riproduz. in Weltkunst,XXIX (1959), nr. 11, p. 2; Fr. Cessi, Alessandro Vittoria bronzista, Trento 1960, pp. 58, 119; riprod. in Art Quarterly, XXIII(1960), nr. 1, p. 101; riprod. in The Burlington Magazine, CII(1960), nr. 687, p. II; O. Benesch, Disegni veneti dell'Albertina di Vienna, Venezia 1961, pp. 48 s.; H. Olsen, Ital. Paintings and Sculpture in Denmark, Copenhagen 1961, p. 100; Exhibition of Ital. Bronze Statuettes (Catal. della mostra al Victoria and Albert Mus.), London 1961, nr. 163-166; riproduz. in Mostra Mercato Internazionale dell'Antiquariato, Catalogo, Firenze 1961, stand 35; riproduz. in The Burlington Magazine, CIV (1962), nr. 708 (marzo), p. XXXI; Meester van het Brons. Der Italianse Renaissance (Cat. della mostra al Rijksmuseum, 1961-62), Amsterdam s.d., nn. 39, 151-163 178; Bronzetti italiani del Rinascimento, (Catalogo della mostra a Pal. Strozzi), Firenze 1962, nr. 159-161.

CATEGORIE
TAG

Seconda guerra mondiale

Bartolomeo ammannati

Marcantonio bragadin

Alessandro vìttoria

Metropolitan museum