CAMINO, Tolberto da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMINO, Tolberto da

Josef Riedmann

Figlio di Guecellone (VI) e di una nobildonna di cui ignoriamo il casato, Beatrice di Bonaparte, nacque nel febbraio del 1263 dal ramo "di sotto" dell'antica e potente famiglia feudale trevigiana. Il C. (il terzo di nome Tolberto nella famiglia), che anche le fonti coeve indicano per lo più con l'appellativo di "comes Cenetensis", dopo la morte del padre (1272) aveva ereditato insieme con il fratello minore Biaquino (IV) estesi feudi nel distretto di Ceneda.

Già nel 1278 ottenne da Adalgerio di Villalta, vescovo di Feltre e Belluno, la conferma di ulteriori feudi. Nel nov. 1283 ebbe una parte direttiva nel rivolgimento in seguito al quale venne instaurata in Treviso la signoria dei Caminesi "di sopra". Probabilmente come ricompensa per tale aiuto, insieme con il fratello poté occupare l'importante Oderzo grazie all'appoggio di Gherardo, capitano generale e nuovo signore di Treviso. Su quella fortezza, però, vantavano antichi diritti sia i Caminesi "di sotto", sia la città di Treviso: il contrasto che sorse fra di loro sfociò in un lungo processo, sul cui esito non siamo meglio informati. Per rendere ancora più stretta l'unione tra i due rami della casata si giunse, prima del 1291, al matrimonio fra il C. e la figlia di Gherardo, la famosa Gaia, ricordata in Purg., XVI; vv. 139-140. Queste nozze non valsero tuttavia ad impedire una cospirazione che il C., con l'aiuto di alcuni cittadini trevigiani, ordì contro il suocero nel 1291. Il complotto venne però scoperto, e il C., insieme con il fratello Biaquino, che agì quasi sempre di concerto con lui, si salvò con la fuga. Nel luglio di quello stesso anno si poneva, con i suoi sudditi ed i suoi beni, sotto la sovranità di Venezia: con la città lagunare strinse un patto di mutua assistenza militare; e a lui vennero concessi i diritti di cittadinanza veneziana. Sembra tuttavia che i contrasti con Gherardo - che portarono le truppe del capitano generale ad assediare il castello di Camino, possesso ereditario del ramo "di sotto" della casata - siano stati ben presto composti. Nel settembre del 1293 si giunse ad un ulteriore chiarimento. Il patriarca di Aquileia, Raimondo Della Torre, si accordò con il C. e con suo fratello per la costituzione di un tribunale arbitrale, che accertasse i danni causati dai due Caminesi ai beni della Chiesa di Aquileia, e li sciolse quindi dalla scomunica in cui erano incorsi durante il conflitto che li aveva opposti ai patriarchi aquileiesi. Negli anni successivi il C. collaborò, con funzioni diverse, col "buon Gherardo". Nel 1299 ricoperse la carica di podestà di Treviso, e in tale veste governò - secondo quanto ebbe a dichiarare egli stesso dopo il rovesciamento della signoria - seguendo fedelmente le direttive del capitano generale. Prese inoltre parte sia ai conflitti tra il signore di Treviso ed il patriarca di Aquileia, sia alle ambascerie.

Il C. poteva disporre, allora, di proprietà nella stessa Treviso, ed apparteneva - non per ultima ragione a causa del suo matrimonio con Gaia - al ristretto entourage del suocero. Questi lo arricchì pure di beni e di rendite. Dai diversi vescovi di Feltre e Belluno il C. riuscì sempre ad ottenere, di volta in volta, la conferma dei suoi ricchi feudi. Dalla sua unione con Gaia ebbe un'unica figlia, Chiara, che sposò il conte Rambaldo di Collalto.

Grande prestigio godette il C. anche all'epoca della signoria di Rizzardo (II) su Treviso. A lui si rivolsero nel 1310 i Veneziani, in occasione della congiura di Baiamonte Tiepolo, per pregarlo di salvaguardare i loro connazionali. Col vescovo di Ceneda, Francesco, egli concluse una vasta permuta di beni che gli fruttò il possesso di Portobuffolé. In seguito alla morte della moglie Gaia, che lo aveva nominato suo erede universale (1311), entrò in possesso di ulteriori estesi possedimenti e di altre cospicue rendite. Quando nell'aprile del 1312 Rizzardo (II) venne gravemente ferito in un attentato, il C., insieme con la figlia Chiara ed il fratello Biaquino, fu tra i fedelissimi che vegliarono per una settimana al capezzale dell'agonizzante signore di Treviso; e dopo la morte di questo fu, accanto al fratello e al genero, il suo esecutore testamentario. Il C. appoggiò in un primo momento anche Guecellone (VII), succeduto senza opposizioni al fratello Rizzardo (II) nella signoria di Treviso: prese infatti parte alle sue campagne militari contro Cangrande Della Scala, quando il "bando" di Treviso venne inviato in soccorso di Padova. Sembra però esser stata di rilievo la parte da lui avuta nell'insurrezione che nel dicembre del 1312 rovesciò ed espulse dalla città, dopo nemmeno nove mesi di governo, lo stesso Guecellone (VII), e restaurò le istituzioni comunali: non solo perché gli appartenenti al ramo dei Caminesi "di sotto" non furono banditi da Treviso dopo la caduta della signoria della famiglia, ma anche perché al C. e al fratello Biaquino il Consiglio del Comune accordò il permesso di portare armi all'interno della città. Fu loro concesso, inoltre, di poter essere accompagnati da un piccola scorta armata. Il C. svolse pure un ruolo importante in Treviso in occasione delle successive campagne militari condotte dalla città contro Cangrande Della Scala e contro il conte di Gorizia, Enrico.

Nel 1314 si sposò, in seconde nozze, con Samaritana Malatesta; e da questa unione gli nacquero un'altra figlia, Beatrice, e un maschio, Biaquino, che nel testamento del 1317 nominò suo erede universale. Da una nobildonna a noi ignota aveva avuto una terza figlia, naturale, Mabilia.

Il C. morì nel settembre del 1317. Le sue spoglie vennero deposte, come quelle del padre e della prima moglie, nella chiesa di S. Niccolò in Treviso.

Bibl.: P. M. Federici, Notizie storico-genealogiche della famiglia del signori da Camino, Venezia 1788, pp. 70-85; A. Marchesan, Gaia da Camino nei docc. trevisani, in Dante e nei commentatori..., Treviso 1904, pp. 26 ss.; G. B. Picotti, Gaia da Camino, in Giorn. dantesco, XII (1904), pp. 81-90, passim;Id., I Caminesi e la loro signoria su Trevisodal 1283al 1312, Livorno 1905, pp. 92, 113 ss., e 333 (con l'indicazione delle fonti e ulteriore bibliografia).

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