CATULLO, Tomaso Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 22 (1979)

CATULLO, Tomaso Antonio

Maurizia Alippi Cappelletti

Nacque a Belluno il 9 luglio 1782; dopo aver seguito gli studi di medicina, matematica e chimica, nel 1811 divenne professore di storia naturale e chimica nel liceo di Belluno; quando questo fu soppresso, quattro anni dopo, passò a insegnare in quello di Verona prima e di Vicenza poi.

Nel 1806 si era iscritto alla facoltà di medicina dell’università di Padova, ma non terminò gli studi. Più tardi tuttavia, nel 1829, per meriti scientifici, fu chiamato alla cattedra di storia naturale dell’università di Padova, succedendo a S. A. Renier; vi restò fino al 1851 insegnando mineralogia, geologia e zoologia. Nel ’36 la facoltà medica gli conferì la laurea ad honorem in medicina e lo nominò suo direttore. Fu anche, per due volte, rettore magnifico.

Gli interessi del C. compresero un vasto campo che va dalla chimica alla metallurgia, alla geologia e alla paleontologia: più di cento pubblicazioni – anche se non tutte originali, però sempre minuziose ed erudite – ne danno testimonianza. Fu comunque alle scienze geologiche che egli portò un contributo determinante.

In un primo studio sui terreni argillosi delle Alpi del Veneto, sia pure rivolto a fini pratici, Sulle argille delle Alpi..., Padova 1837, poi ampliato nel Trattato sopra la costituzione geognostica-fisica dei terreni..., ibid. 1838, il C. si attenne alla classificazione che Alessandro Brogniart propose, nel 1829, nel suo Prospetto dei terreni, tralasciando le molte riforme di nomenclatura che lì comparivano. Ma il libro è un’ampia raccolta di argomenti vari, in cui prevale un tipo di ricerca tesa alla ricognizione delle cause di certa morfologia terrestre. Il C. affronta il problema dell’origine dei ciottoli nei terreni d’alluvione, avvicinandosi alla soluzione più di alcuni suoi illustri contemporanei, quali W. Bowles e G. B. Brocchi, il problema della formazione dei laghi alpini, della genesi delle sorgenti, delle deviazioni dei corsi d’acqua.

A questi temi morfologici si dedicò peraltro anche in anni più tardi. Trattò della presenza dei massi erratici, dichiarandosi favorevole alla teoria della dispersione per forze vulcaniche, durante il sollevamento dell’arco alpino, ritenendo insuperabili le obiezioni alla teoria di un trasporto per mezzo dei ghiacciai; nel 1846, in Osservazioni sulle rocce levigate delle Alpi Venete, edito a Venezia, in F. Zantedeschi, Raccolta fisico-chimica, pp. 363-68, si oppose alla teoria secondo cui certe rocce sarebbero state levigate dai ghiacciai perché ritenne doversi questo effetto attribuire piuttosto all’azione delle acque correnti e allo spostamento delle superfici rocciose delle fessure. Come si vede, il C. non fu sempre felice nell’individuazione delle cause: questo può in parte attribuirsi al numero di problemi cui si accinse, eccessivo rispetto alle possibilità di osservazione diretta, anche se, per la verità, egli spese molto del suo tempo in escursioni di studio. Si occupò più volte delle caverne del Veronese, del Vicentino e del Bellunese, che descrisse in Sulle caverne delle provincie venete, Venezia 1844, insieme agli ossami di orso che vi si trovavano.

Nelle prime pubblicazioni di carattere esclusivamente geologico sulle arenarie grige e sulle glauconie bellunesi appare quello che è l'apporto migliore del C., ed è l’attribuzione ragionata dell’età relativa delle rocce; in questi lavori egli corresse l’errore di P. Maraschini che le aveva riferite al Cretaceo e le spostò al Terziario, riconoscendone anche la natura sedimentaria.

Ma il lavoro che pone il C. in primo piano nella storia della geologia regionale, e al quale si riferirono anche nei decenni successivi gli studiosi dei terreni alpini, fu la Zoologia fossile delle provincie venete (Padova 1827), la prima opera in cui furono descritte esattamente la successione e la disposizione dei terreni secondari italiani, fino ad allora ignorati. È un rassegna, anch’essa compilata seguendo la partizione dei terreni del Brogniart, delle rocce costituenti il tratto alpino che va dall’Isonzo al lago di Garda: da quelle cristallizzate alle intermedie, fino alle formazioni più recenti.

L’originalità del lavoro del C. consiste nel metodo da lui adottato per la determinazione cronologica dei te rreni, determinazione che si basa sulla presenza dei fossili tipici di un certo periodo: un’introduzione decisiva nella scienza geologica, che il C. applicò per primo alle rocce del Veneto. Infatti i geologi veneti si erano serviti fino ad allora dei caratteri litologici; anche P. Maraschini aveva scritto nel 1824 la sua Cronologia stratigrafica del Vicentino valendosi dei caratteri predetti. Ma le indicazioni delle specie fossili nei sedimenti più antichi erano allora scarse e piuttosto vaghe: il C. pertanto dovette cercare eventuali analogie e concordanze con le proprie raccolte e osservazioni, nell’opera dell’unico autore che aveva elencato le specie fossili più antiche insieme ai terreni che le contenevano, il barone E. F. von Schlotheim.

La distinzione tra i periodi dell’era mesozoica, in particolare tra Giurassico e Cretaceo, che in Italia è particolarmente difficile perché la serie dei terreni si presenta continua, fu fatta dal C. sulla base dei ritrovamenti fossili; egli assegnò l’arenaria rossa ammonitica al Giura e non al Creta, come si faceva allora comunemente; e il biancone al Creta soprastante. Ritrattò più tardi, nel 1853, questa sua attribuzione, per riconfermarla ancora negli scritti successivi. Comprensibili incertezze, come comprensibili sono del resto gli errori che non mancano – e sono talvolta grossolani –, se si tiene conto dell’epoca in cui il C. lavorava, dei mezzi che aveva a disposizione (molti fossili gli erano inviati da raccoglitori che ne dichiaravano un’origine falsa) e della vastità dell’impresa.

I lavori successivi del C., del resto, correggono molte di queste inesattezze e si rivelano assai precisi e documentati, tanto che i geologi contemporanei condivisero la distinzione che egli fece di molte specie nuove. Il C. usò il metodo della cronologia paleontologica anche negli studi dei terreni terziari, questi ben più noti in Italia dopo la pubblicazione della Conchiologia fossile subappennina di G. B. Brocchi; confrontò i fossili dell’arenaria verde terziaria e quelli del calcare grossolano di Verona tanto da poterne riavvicinare i rispettivi terreni e mostrò che l’arenaria verde è presente talvolta anche tra le rocce del Terziario e non è esclusiva del Cretaceo. Dal 1816 al ’22 egli aveva raccolto Echinidi fossili del Terziario, descrivendone più di quaranta specie. E si può ben dire che i suoi interessi furono assai ampi nello stesso campo della geologia, se si considerano gli studi sui terreni più recenti di alluvione e su quelli più antichi del Triassico alpino, la cui presenza riuscì a dimostrare confrontandone i fossili inclusi con quelli trovati in altre regioni d’Europa.

La ricerca diretta sul terreno aveva arricchito il C. di una notevole collezione di ciottoli e fossili che regalò al Museo dell’università di Padova: un suo grande merito fu infatti l’incremento di questa istituzione che aveva avuto origine nel 1733 con le collezioni di A. Vallisneri, docente dal 1709 di medicina pratica nell’ateneo padovano. Il C. riuscì ad assicurare al museo la famosa collezione della famiglia Castellini di Castelgoberto, ricca di splendidi esemplari ittiologici del giacimento di monte Bolca, fornitore di quasi tutti i musei del mondo. La collezione di pesci fossili di Padova è così divenuta una delle prime del mondo. La fauna a rudiste dei calcari del Cansiglio e del Fadalto furono dono del Catullo.

Nei primi anni di attività scientifica il C. si era occupato di storia della geologia più che altro con lavori eruditi: voleva stabilire chi fosse stato il primo autore italiano di opere a carattere mineralogico e lo individuò nel pesarese C. Leonardi, autore nel 1502 di uno Speculum lapidum. Scrisse anche numerose biografie di noti geologi per le Biografie degli Italiani illustri di E. De Tipaldo, che non si levano al disopra del livello generale dell’opera.

Morì a Padova il 13 apr. 1869.

Oltre alle opere già citate ricordiamo: Manuale mineralogico, Belluno 1812; Memoria sopra le rovine accadute nel comune di Borca nel Cadorino..., ibid. 1814; Memoria seconda sull'arenaria verde e grigia del Bellunese, colla indicazione delle specie fossili che in essa si trovano, Verona 1816; Storia dellorigiine e dei progressi della mineralogia, in Giorn. dellAteneo di Treviso, Pavia 1818; Osserv. sopra i monti che circoscrivono il distretto di Belluno, Verona 1818; Osserv. sopra i terreni postdiluviani delle prov. austro-venete, Padova 1834; Catal. degli animali vertebrati permanenti o di passaggio nella provincia di Belluno, Belluno 1838; Nota intorno gli Echinidi fossili della Creta e del terreno terziario delle prov. venete, in Nuovi Annali delle scienze natur. di Bologna, s. 3, VI (1841), pp. 176-182; Considerazioni intorno ad una memoria del Signor di Collegno..., in Atti d. I. R. Istituto veneto..., III (1844), pp. 293-297; Geognosia dei massi erratici che si veggono sui monti e nelle valli adiacenti dello Stato Veneto, in F. Zantedeschi, Raccolta fisico-chimica, Venezia 1846, pp. 353-362; Prodromo di geognosia paleozoica delle Alpi Venete, Modena 1847.

Fonti e Bibl.: Necr., in Atti d. I. R. Ist. ven. di sc., lett. e arti, s. 3, XV (1869-70), pp. 595-614; I. Cantù, LItalia scient. contemp., Milano 1844, p. 120; D. Diamilla Müller, Biografie autogr. e ined. di illustri italiani, (lett. di A. Scarsellini), Torino 1853, pp. 96 ss.; G. B. Ronconi, Prospetto degli scritti di A. T. C., Padova 1857; G. Omboni, Bibliografia delle principali opere finora pubbl. sulla geologia del Veneto, in Atti d. Soc. Ital. di sc. nat., V (1863), pp. 353-398; G. B. Dal Piaz, LUnivers. di Padova e la scuola veneta…, in Mem. d. Soc. geol. d. Un. di Padova, VI (1919-22), pp. 5-41; L. Alpago Novello, Carteggio di T. A. C. con C. Ranzani, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, VIII (1936), pp. 771-774; Un secolo di progresso scientifico, Pisa 1939, pp. 165, 172, 183.

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