CONTARINI, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Tommaso

Renzo Derosas

Nacque probabilmente nel 1488 da Alvise di Federico, dei Contarini della Madonna dell'Orto, e da Polissena Malipiero dì Tommaso di Nicolò.

Fratello del cardinale Gasparo, ebbe altri cinque fratelli (Federico, Gianantonio, Luca, Andrea, Vincenzo) - di cui solo Federico e Vincenzo si sposarono, il primo con Caterina Priuli di Giovanni e Paltro con Adriana Bernardo di Sebastiano - e quattro sorelle, tre delle quali presero marito (Contarina in Matteo Vitturi di Bartolomeo, Laura in Nicolò Grimani di Alvise e Paola in Matteo Dandolo di Marco); Sorafina si fece monaca nel convento di S. Chiara a Murano; Alvise ebbe poi anche due figli naturali: un maschio, Angelo, ed una femmina, che fu sposata a Vincenzo Bellegno di Benetto. Come il padre, pare che anche il C. - secondo un uso largamente diffuso nel suo ceto - avesse una figlia illegittima, dato che nel suo testamento egli assegnò un lascito vitalizio di 30 ducati annui ad una certa "Felicita, fo madre della qm. Bianca mia fiola".

La precoce morte del padre, nel 1502, costrinse il C. ad assumersi sin dalla prima giovinezza la maggiore responsabilità nella conduzione della famiglia, data l'ancor giovane età degli altri fratelli, mentre al primogenito Gasparo - sul quale evidentemente si appuntavano le speranze di una brillante carriera politica - venne lasciata l'opportunità di proseguire gli studi a Padova, di fatto interrotti solo sette anni dopo dalle vicende belliche.

Benché non ricchissimi, i Contarini godevano di un patrimonio considerevole, testimoniato anche dal loro palazzo alla Madonna dell'Orto, famoso per gli splendidi giardini. Nella redecima del 1537, la fraterna dichiarava un'entrata annua di circa 1.000 ducati derivante in gran parte da una "ruga" di case e botteghe a Venezia, da due possessioni di 250 e 70 "campi" a Piove di Sacco, e da oltre un migliaio di "campi" vallivi a Villafranca. Ma più redditizia ancora del patrimonio immobiliare doveva essere la vivace attività mercantile della famiglia. Una breve biografia di Gasparo, tracciata pare dal cognato Matteo Dandolo, ricorda come alla morte di Alvise i figli ne continuassero i traffici, "et se devisero li maggiori in Puglia, et Alessandria m. Thomaso, et m. Federico che era il terzo in casa" (G. Fragnito, Memoria individuale e costruzione biografica ..., p. 174).

In effetti, benché solo per il secondo decennio del secolo, vi sono numerose testimonianze di una prolungata presenza dei C. in Alessandria. Il Sanuto riporta alcune lettere che egli scrisse di qui al fratello nell'estate del 1511, informandolo dei preoccupanti successi della flotta portoghese nell'Occano Indiano e nel Mar Rosso, e delle gravissime conseguenze che ne derivavano per il traffico delle spezie. Sempre nel porto egiziano si trovava nel settembre del 1516, quando il fratello Gianantonio, al comando di una galera del viaggio di Alessandria intendendo subentrargli nella cura degli interessi familiari, ottenne dal Senato il permesso di farsi sostituire da lui come "vicepatron" nel ritorno del convoglio a Venezia. Ma poi, nel giugno successivo, il C. era ancora ad Alessandria, bloccato con la sua nave, assieme a numerosi altri legni veneziani, dalla repentina conquista turca dell'Egitto.

Attivamente impegnato nella mercatura, il C. non sembrava dunque in questi anni intenzionato a seguire le orme del fratello maggiore, che cominciava a fare le sue prime apparizioni nella vita pubblica. Nel luglio del 1515 partecipava bensì, in virtù certo della lunga esperienza acquisita in questo campo, alla ballottazione per l'ufficio di provveditore sopra il Cottimo di Alessandria, ma senza riuscirne eletto. Non si hanno poi notizie di lui per oltre tre anni, sino a quando l'elezione di Gasparo ad oratore presso Carlo V, nel 1521, gli offrì l'opportunità di aggregarsi al suo seguito, verosimilmente con il compito di dirigeme l'economia domestica.

Mancano informazioni precise sulla sua lunga permanenza presso la corte imperiale, ma sembra comunque che il C. non rivolgesse particolare attenzione alle vicende politiche che prendevano corso in quegli anni, decisivi. Delle sue quattro lettere relative a questo periodo, inviate da Audenarde nel 1521, da Bruxelles nel '22, da Valladolid nel '23 e da Burgos nel '24, solo la prima si sofferma su argomenti di carattere militare. Le altre, invece, sono tutte dedicate alla descrizione della vita di corte, con le sue feste e le cacce, le cavalcate e i tornei; con genuina immediatezza, esprimono l'incantato stupore e l'ingenuo entusiasmo dei giovane patrizio che, libero da preoccupazioni politiche, entra in contatto con un mondo così radicalmente diverso dal suo, tutto improntato agli ideali ed ai miti cavallereschi e cortesi, ed il cui più grande campione è lo stesso imperatore, ammiratissimo dal C. per il coraggio ed il vigore dimostrati nelle giostre e nelle corride. Ma pur affascinato dalla vita cortigiana, il C. non tralasciava di occuparsi dei propri affari, per cui doveva restare certamente in stretto contatto con la famiglia a Venezia. In una lettera a Federico del 7 febbr. 1525, Gasparo spiegava appunto di sostituire in quella occasione il fratello che aveva dovuto recarsi di urgenza a Cartagena, dove l'Inquisizione aveva fermato i patroni delle galere di Barberia con l'accusa di aver venduto libri proibiti. Poiché una delle navi o il suo carico erano di proprietà della famiglia, aveva preferito non aspettare che Gasparo ottenesse la liberazione dei prigionieri, ed era salpato subito per Venezia assumendone egli stesso il comando, anticipando così di pochi mesi il rimpatrio del fratello.

L'ammissione al Senato nel febbraio del 1526, grazie ad un'offerta di 500 ducati, segnava finalmente l'ingresso dei C. nella vita politica, che restava ancora però, nella sua fase iniziale, tutt'altro che intensa. Oltre a qualche apparizione pubblica, ad un pranzo dal doge nel '26 e dal neocardinale Marino Grimani nel '28, e alla presenza nelle delegazioni inviate incontro al duca di Milano nel '30 e al duca di Urbino nel '32, il C. tornava in Senato nel '30 - dove il 9 marzo intervenne con veemenza in difesa del fratello, aspramente criticato per il suo operato nella pace di Bologna - e poi ancora "per danari" nel '31 e nel '32, mentre nel giugno del '31 era anche eletto provveditore "sora le Mariegole" dal Consiglio dei dieci.

Fu solo nel novembre del 1534 che ottenne un incarico di grande prestigio, l'ambasceria presso Carlo V, ma prima di partire, nell'ottobre del 1535, egli stesso segnalò in Collegio l'incompatibilità del proprio ufficio con la recente promozione cardinalizia del fratello, tanto più che l'imperatore, di ritorno dall'impresa di Tunisi, aveva manifestato l'intenzione di fermarsi per un certo periodo presso il pontefice. Ottenuto così l'esonero dall'ambasceria, alla cui richiesta forse non fu estraneo anche il desiderio di risparmiare le ingenti spese che essa avrebbe comportato, dopo quelle gravosissime appena sostenute per la nomina di Gasparo, il C. riprese l'attività politica solo qualche anno più tardi.

Eletto nell'ottobre del 1539 savio alla Mercatura, nel febbraio del '40 fu chiamato all'Avogaria di Comun, ma dovette assai presto rinunciare all'ufficio, essendo inviato a Verona come provveditore generale, incaricato di garantire l'approvvigionamento della città e dei suoi castelli, ridotto a livelli allarmanti per la gravissima carestia in atto non meno che per la incapacità di far rispettare le leggi annonarie.

Giunto all'inizio di agosto, il C. affrontò subito il problema con determinazione, preoccupandosi di sollevare i rettori dalla responsabilità per la critica situazione venutasi a determinare e addossando ogni colpa alla "infideltà dei ministri", e soprattutto ai capitani "del Devedo", cui spettavadi vigilare contro le esportazioni di biade dal territorio. Fece dunque effettuare una requisizione di tutti i cereali esistenti nel contado, lasciandovi solo l'indispensabile per le sementi "et qualche poco per il viver de quelli habitanti", e ordinò la denuncia e il censimento particolareggiato di quelli conservati in città, senza trascurare nel contempo di cercare il consenso e la collaborazione della nobiltà veronese, i cui interessi erano evidentemente i più colpiti dalle misure del provveditore. Né il C. si limitò esclusivamente ai problemi annonari: una sua denuncia delle profonde discordie civili che turbavano la città portò a un immediato intervento del Consiglio dei dieci, che ne accoglieva in pieno il suggerimento di proibire tassativamente il porto d'armi e di revocare tutte le licenze precedentemente concesse. La sua intraprendenza dovette anzi urtare la suscettibilità dei capitano Iacopo Marcello, che nel novembre del '40 ottenne dai Dieci il riconoscimento di una sua eguale competenza nelle stesse materie annonarie affidate al provveditore.

La situazione si regolarizzò comunque nel dicembre, con l'elezione del C. a successore del podestà Cristoforo Morosini. Rimasto in carica fino all'aprile del '42, durante il suo reggimento fece ricostruire il palazzo della Ragione, distrutto dal grande incendio del 22 genn. 1541, ed emanò un provvedimento, invero di scarsa efficacia, che imponeva la relegazione di tutte le prostitute in alcune case dell'Arena, in sintonia con la politica di moralizzazione degli spazi urbani allora in atto in numerose città italiane e a Venezia in primo luogo, ma che soprattutto doveva ben accordarsi col severo spirito riformatore del vescovo Giberti.

Col Giberti, e con altri esponenti degli ambienti "spirituali" e del mondo ecclesiastico in generale, il C. dovette appunto avere rapporti assai più che episodici e casuali, per taluni - come il Carafa e il Cortese - iniziati certamente prima della nomina cardinalizia del fratello. Ne sono prova, ad esempio, le due visite che assieme a Matteo Dandolo il C. fece a Reginald Pole, la prima nell'agosto del '36 a Rovelone, l'altra a Verona nel settembre del '37. Ancora nel '36 il C. fungeva da tramite nello scambio epistolare tra il Carafa, che esprimeva per lui la massima stima, ed il fratello a Roma; nel maggio del 40 ospitava invece il cardinale Benedetto Accolti che ne ringraziava perciò Gasparo. Nel giugno del '36, inoltre, in veste di procuratore del fratello, il C. si era recato a prendere possesso del vescovado di Belluno. fermandovisi due mesi per compiere una minuziosa indagine sulla situazione religiosa della diocesi, da cui Gasparo prese spunto anche per taluni richiami disciplinari. Conclusa poi la podesteria di Verona, prima di far ritorno a Venezia il C. si recò in visita al fratello a Bologna, dove rimase dal 22 maggio al 12 giugno e dove ebbe occasione di rivedere molti degli amici del cardinale.

Assieme ad un folto gruppo di veneziani, tra cui i nipoti Alvise, Lauro, Giulio e anch'egli assai vicino alle posizioni degli "spirituali", e un Sebastiano Contarini, vi convennero infatti in quei giorni anche Girolamo Negri, vicario vescovile a Belluno, Galeazzo Florimonte, in viaggio da Loreto a Milano, dov'era stato convocato dal marchese del Vasto, ed il Morone. Il C. ne approfittò anche per recarsi a visitare il Cortese a San Benedetto Po in compagnia del Florimonte, che vi si trattenne poi in attesa del Gonzaga e del Giberti. È difficile poter dire se questo rapido intreccio di incontri tra i maggiori esponenti degli "spirituali", e in un momento tanto delicato per loro, fosse del tutto occasionale, dovuto ad un fortunato concatenarsi di circostanze, o meno; di certo, mancano dei tutto elementi per attribuire un particolare significato alla presenza dei C. stesso, che in questo ambito non sembra essere mai andato oltre il ruolo di rappresentante, diremmo di ambasciatore personale del fratello, e forse di organizzatore di taluni aspetti materiali della sua "casa": una funzione cui sembra appunto far riferimento una lettera di quei giorni del Beccadelli a Carlo Gualteruzzi, dove si accenna ad un qualche affare di comune interesse che doveva essere "negotiato" coi Contarini.

Morto di lì a poco il cardinale, il C. fu poi uno dei promotori - col Dandolo, il nipote Alvise ed il Beccadelli - del tentativo di riproporne la figura, pur attenuata nei tratti meno accetti al clima post tridentino, secondo un progetto concepito sin dal 1550, durante la nunziatura veneziana del Beccadelli stesso, ma che arrivò a concretarsi solo con l'edizione parigina dell'opera contariniana del 1571, comprendente la biografia tracciata dal Della Casa e integrata da Piero Vettori.

Appunto alle complesse vicende della stesura del profilo biografico dei cardinale il C. partecipò attivamente, oltre che affidandone l'esecuzione a quanti in vario modo vi posero mano (da Nicolò Barbarigo a Giovanni Della Casa, a Ludovico Beccadelli, a Piero Vettori), anche fornendo direttamente numerose informazioni all'antico segretario del fratello, allora arcivescovo di Ragusa, cui il C., capitano generale da Mar, aveva appositamente fatto visita nel luglio e nell'agosto del 1558, sostando con la flotta nella città dalmata, dopo avergli precedentemente inviato la Vita dellacasiana con la preghiera di completarla.

Dopo la podesteria veronese, nel maggio 1543 il C. fece parte dei trenta tansadori incaricati di tassare gli estimati per meno di 10 ducati, e nel secondo semestre dei '44 entrò per la prima volta in Collegio, il massimo organo di governo della Repubblica, come savio di Terraferma; l'anno dopo fu uno dei cinque "super Napolitanos". Dopo un nuovo intervallo di assenza dalla vita politica, nel 1549-50 fu consigliere del doge e provveditore sopra le Fortezze; in questa carica nell'ottobre del '50, venne inviato a Peschiera per assistere il duca di Urbino nell'opera di restauro della fortezza; avrebbe poi dovuto ispezionare le altre fortificazioni della Terraferma, ma alla fine di novembre il Senato lo incaricò di recarsi a Mantova come ambasciatore straordinario per rendere omaggio a Massimiliano d'Asburgo. Nel gennaio successivo fu uno dei tre provveditori deputati a Soprintendere alla costruzione del ponte di Rialto. Nel 1551 rientrò anche nel Collegio, questa volta come savio del Consiglio, carica che ricoperse in seguito numerose altre volte, nel 1552, '53, '55, '57, '60, '61, '63, '66, '70, e '71, mentre fu nuovamente consigliere del doge nel 1554. Contemporaneamente a questi offici, che lo ponevano ormai stabilmente ai vertici della vita politica veneziana - nel 1551-52 e nel 1553-54 fu anche membro del Consiglio dei dieci - il C. ricoperse numerose altre cariche: nel 1552 ancora quella di provveditore alle Fortezze; nel 1553 e nel 1556 quella di provveditore all'Arsenal; nel 1553, 1559 e 1560 quella di conservatore ed esecutore delle leggi sugli uffici di S. Marco e Rialto. Ormai senatore di indiscusso prestigio, in occasione delle elezioni dogali del 1554, 1556 e 1559 fu .scelto come correttore delle leggi di Palazzo, e nel '54 e '59 fu anche correttore della promissione dogale, mentre nel '53 e '59 partecipò all'elezione dei dogi Marcantonio Trevisan e Girolamo Priuli; stando infine ai Pretiosi frutti del Priuli, nelle sette elezioni susseguitesi tra il 1553 ed il 1578 venne sempre "nominato al dogado... parte essendo in dimando, et parte senza sua voglia", ma senza successo. Ottenne invece il 15 marzo 1557 il titolo di procuratore di S. Marco de citra.

L'ormai stabile impegno nei massimi consigli cittadini e l'età già alquanto avanzata non impedirono comunque al C. di assumere ancora incarichi operativi della maggiore responsabilità. Nel gennaio del 1557, infatti, quando con l'arrivo delle truppe francesi in Italia la tensione per la guerra antispagnola di Paolo IV giunse ad un punto critico, il Senato decise di. inviarlo come provveditore generale in Terraferma, col compito di dirigere e coordinare le misure necessarie alla salvaguardia del dominio veneziano.

Rimasto in carica poco meno di un anno, il C. si occupò soprattutto del restauro e del rafforzamento delle fortificazioni, in special modo a Brescia e a Verona, e del controllo dei sistemi organizzativi ed amministrativi dell'esercito, con la verifica dei ruoli, l'esecuzione delle mostre d'arme, la revisione dei conti delle camere fiscali. Ciò gli permise di individuare l'esistenza di alcune gravi disfunzioni dell'esercito veneziano, nell'organizzazione delle truppe, nell'armamento antiquato, nell'insufficienza delle paghe, che segnalò in Collegio in alcuni "aricordi" nel marzo.

Spostatosi poi il pericolo sui possedimenti in Levante, e particolarmente sulla isola di Cipro, che si temeva oggetto di un attacco da parte della grande armata che i Turchi stavano preparando, a pochi giorni dal suo ritorno, il 13 marzo 1558, il C. fu eletto capitano generale da Mar e posto al comando dì una flotta, precipitosamente allestita, di quasi novanta galere. Preso il mare all'inizio di maggio, fu presto chiaro che l'obiettivo dei Turchi era il Regno di Napoli, cosicché il C. poté limitarsi ad una breve ricognizione fino a Corfù, al solo scopo di rincuorare i sudditi atterriti, curandosi solo di tenere in esercizio gli equipaggi e attenendosi ad una condotta di grande prudenza persino nei confronti dei pirati uscocchi, a proposito dei quali, riconosciuta l'inefficacia e la pericolosità di azioni di forza, non vedeva soluzione migliore che un loro arruolamento al servizio della Repubblica.

Tornato il 29 ottobre, negli anni seguenti il C. fece quasi ininterrottamente parte della zonta del Consiglio dei dieci, ed ebbe numerosi incarichi dipendenti da questo magistrato: nel 1559, 1560, 1569, 1570 e 1575 fu provveditore sopra Monti; nel '62 e '69 fu inquisitore contro la propalazione dei segreti; nel marzo del '62, venne incaricato, con Bernardo Zorzi e Melchiorre Nadal, di rivedere nell'Historia di Pietro Giustinian alcuni passi ritenuti offensivi della famiglia d'Avila, ma fu poi sostituito da Federico Valaresso; nel '69 fu uno dei tre procuratori incaricati della custodia della piazza, secondo le misure di sicurezza predisposte in seguito all'incendio dell'Arsenale; nel 1570, invece, rifiutò la carica di provveditore sopra la quiete della città, adducendo i molti altri impegni pubblici che lo tenevano occupato e "la sua grave età". Nel 1566 era stato anche inviato a Udine, con Melchiorre Michiel e Alvise Mocenigo, per esaminare la questione della fortificazione della città, su cui erano sorte gravi divergenze in Collegio. Nel 1574, infine, fu uno dei procuratori incaricati di reggere l'ombrello a Enrico III in visita a Venezia.

Per questi ultimi anni è rimasta testimonianza di un intervento del C. al Senato, ancora sul problema dei rapporti coi Turchi. In occasione del dibattito svoltosi nell'agosto del 1568 sulla commissione da dare al provveditor d'armata Antonio Cavalli, egli si oppose fermamente a quanti, sospinti da propositi di rivalsa ormai circolanti inSenato, volevano affidargli anche il compito di catturare un corsaro che, dopo aver gravemente danneggiato i domini veneziani, era passato al servizio dell'annata turca. Coerentemente al contegno già tenuto dieci anni prima e conscio dell'irrimediabile indebolimento della potenza veneziana, il C. sottolineò realisticamente e impietosamente i pericoli di una guerra "che, come fosse attacata, vi bisogneria altro che parole a cavarsene con honore, et vi ricordo che non havete più un Napoli, una Malvasia, né un Arcipelago da poter donare per ottener un'altra pace, né per voi sete bastanti in occasione di poter resister a una potenza tale, percioché non havete né danari né armata né genti per starli inanzi" (G. Lippomano, Storia veneta dal 1551 al 1568, ms. in Bibl. naz. Marc., Mss, It., cl. VII, 213 [= 8836], cc. 330v-332).

Politicamente il C. si identificò comunque senza riserve nella posizione delle "case vecchie". Nell'elezione dogale del 1567, la proposta della sua candidatura, assieme a quella del Dandolo, veniva considerata dal nunzio Facchinetti come un "dispetto" fatto ai "giovani", particolarmente forti in Maggior Consiglio. Quattro anni dopo lo stesso nunzio, a proposito di un intervento del C. in una questione riguardante il monastero di S. Nicolò, rassicurava la Curia romana indicandolo come "gentil huorno pieno d'integrità et alieno dal sospetto delle brutture". Alcuni anni dopo la sua morte, anche papa Sisto V, proprio nell'esprimere la sua irritazione verso i giovani, ne rimpiangeva la scomparsa come di uno degli "oracoli" della città.

Morì a Venezia il 15 dic. 1578.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia veneta, 18: M. Barbaro, Arbori de'patritii veneti, II, p. 466; Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 165, c. 75v; Ibid., Notarile, Testamenti, Cesare Ziliol, busta 1264, reg. X, cc. 52-53v; Ibid., Dieci savi alle decime, busta 100, S. Croce, n. 12; Ibid., Segretario alle voci, Misti, reg. 11, c. 4v; Ibid., Segretario alle voci, Maggior Consiglio, reg. 1, c. 116; reg. 2, c. 3; reg. 3, cc. 1, 68v, 183, 191, 233v; Ibid., Segretario alle voci, Pregadi, reg. 1, cc. 12, 20v, 27v, 28, 35v, 36v, 37v, 74v, 82, 84; reg. 2, cc. 1, 43, 55v, 73; reg. 3, cc. 1, 2, 4, 5, 52, 103; reg. 4, cc. 2, 3; Ibid., Segretario alle voci, Elezioni del Consiglio dei dieci e Zonta, reg. unico (1570-1597), cc. 1, 3, 7. 35, 38; notizie di altre cariche ricoperte dal C., Ibid., Consiglio dei dieci, Comuni, reg. 25, cc. 50, 87v, 119, 122; reg. 29, cc. 8v, 71, 177, 188; Ibid., Senato. Mar, reg. 15, c. 122v; il rifiuto dell'ambasceria a Carlo V, Ibid., Senato, Secreta, reg. 56, c. 139; sulla missione a Verona, Ibid., Capi dei Consiglio dei dieci, Lettere rettori, Verona, busta 193, nn. 96, 98, 109-110; Ibid., Consiglio dei dieci. Comuni, reg. 113. cc. 187v, 206, 216; Ibid., Senatoi Secreta, reg. 61, cc. 82v, 83, 87, 90; su quella a Peschiera, Ibid., Senato, Terra, reg. 37, cc. 69, 72, 88; relezione e la commissione per la carica di provveditore generale in Terraferma, Ibid., Senato, Secreta, reg. 70, cc. 64, 72v-74; la relazione, Ibid., Collegio, Relazioni, busta 33, 1, cc. 1-6v; la commissione per il capitanato generale da Mar, Ibid., Senato, Secreta, reg. 71, cc. 21-24; i relativi dispacci e rubricario del C., Ibid., Senato, Provveditori da Terra e da Mar, busta 1078 e busta 1063, cc. n. n. (15 maggio-22 ott. 1558); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, C. 290v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 205 (= 7463): R. Curti, Serio delle famiglie nobili venete, II, c. 109; Ibid., Mss. It., cl. VII, 10 (= 8492): M. Barbaro, Nozze di nobili, cc. 129, 130, 131, 132, 133; Ibid., Mss. It., cl. VII, 213 (= 8836): G. Lippomano, Storia veneta dal 1551 al 1568, cc. 5v-6, 5v, 11, 12, 22, 28, 66v, 103, 105, 330v-332; Venezia. Bibl. del Civico Museo Correr. Cod. Cicogna 3781, G. Priuli, Pretiosifrutti del Maggior Consiglio, I, c. 180; Ibid., Cod. Cicogna 3416: I. Coletti, Uomini illustri... della stirpe Contarini; due atti notarib relativi alle proprietà del C. a Piove di Sacco, Ibid., P. D. c, 2304/10, n. 30; due lettere del C. al Beccadelli, due del Beccadelli al C. ed altre del Beccadelli dove si fa cenno del C., in Parma, Biblioteca Palatina, Mss. Pal. 1027, f. 12 e 1010, ff. 245, 247 s., 259, 259rv, 274, 281, 297, 306, 3115; lettere del Beccadelli a Carlo Gualteruzzi dove si parla del C., in Modena, Biblioteca Estense, Autografoteca Campori, Mss. It, 1827-α. B.1.31, cc. n. n. (23 e 24 maggio, 10 e 13 giugno 1542); una lettera del Carafa a Gasparo Contarini con apprezzamenti sul C. in Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 5697, f. 119. Si veda inoltre: M. Sanuto, Diarii, Venezia 1886-1901, XVII, coll. 154-156; XXII, col. 641; XXIV, col. 600; XXV, col. 567; XXXII, coll. 270 5.; XXXIII, coll. 67 s.; XXXIV, coll. 356-358; XXXVI, coll. 543 s.; XXXVIII, coll. 202, 205, 213; XL, col. 836; XLI, coll. 216, 424; XLII, coll. 76; XLVII, coll. 57; LIII, coll. 25; LIV, coll. 35, 467; LVI, coll. 201; Regesten und Briefe des Cardinals Gasparo Contarini (1483-1542), a cura di F. Dittrich, Braunsberg 1881, pp. 3, 90, 102, 1103, 125, 257; Clarissim. virorum Gasparis Card. Contareni... Aloysii Lollini episcopi Epistolae..., Belluni 1840, p. s; W. Friedensburg, Der Briefwechsel Gasparo Contarini's mit Ercole Gonzaga nebst einem Briefe G. P. Carafa's, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, II (1899), p. 221; A. Casadei, Lettere del card. Gasparo Confarini durante la sua legazione di Bologna (1542), in Arch. stor. ital., CXVIII (1960), pp. 220, 224, 237; Epistolarum Reginaldi Poli... et aliorum ad ipsum..., Brixiae 1744-1748, I, p. 476; II, p. 90; III, p. CCLIX; F. Pellegrini, Nuovidocum. risguardanti il. card. Gasparo Contarini, in Archivio venero, s. 2, XVII (1887), pp. 440 S.; Monumenti di varia letter. trani dai ms. di m. L. Beccadelli, I, Bologna 1797, p. 5, 6, 9, 10; I libri commem. della Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 287, 315; Calendar of State Papers... relating to English affairs existing in the archives... of Venice..., V, a cura di R. Brown, London 1873, pp. 167, 452, 453, 475; Nunziature di Venezia, V, a cura di F. Gaeta, Roma 1967, pp. 174, 183; VIII, a cura di A. Stella, ibid. 1963, p. 171, 304; IX, a cura di A. Stella, ibid. 1972, p. 139; Relaz. dei rettori veneri in Terraf., IX, Podesteria e capitanato di Verona, Milano 1977, p. 66; è dedicata, tra gli altri, al C. la Logica dell'ecc. m. Nicolò Massa..., Venetia 1550; A. Valier, Dell'utilità che si può ritrarre dalle cose operare dai Venez. libri XIV..., Padova 1787, p. 340; A. Morosini, Historiarum Venetarum Libri..., in Degl'istorici delle cose veneziane..., VI, Venezia 1729, pp. 103, 107, 124, 229; Historia di Georgio Piloni..., a cura di L. Alpago Novello-A. da Borso-R. Protti, Belluno 1929, pp. 543 s.; G. N. Doglioni, Historia veneriana..., Venetia 1598, p. 755; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare..., Venetia 1663, pp. 166, 369; G. F. Palladio, Historie della prov. del Friuli, Udine 1660, p. 185; G. Dalla Corte, Dell'istorie della città di Verona, III, Venezia 1744, p. 306; P. Zagata, Cronica della città di Verona, III, Verona 1749, pp. 94 s.; F. Comer, Ecclesiae Venerae antiquis monumenris..., XII, Venetiis 1749, p. 19; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Veneziane, Venezia 1827-53, II, pp. 222, 227, 228, 237, 241-243; IV, pp. 14, 193, 458, 681; V, p. 592; VI, p. 864; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, X, Venezia 1854, p. 194; segnala erroneamente una relaz. del C. dalla Spagna la Nouvelle Biographie générale..., XI, Paris 1855, col. 647; F. Dittrich, Gasparo Contarini 1483-1542..., Braunsberg 1885, pp. 111, 354, 416, 444; P. de Nolhac-A. Solerti, Ilviaggio in Italia di Enrico III..., Roma 1890, p. 62; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita Privata..., II, Bergamo 1928, p. 196; H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, III, Gotha 1934, p. 36; G. Bigaglia, La chiesa della Madonna dell'Orto in Venezia, Venezia 1937, p. 37; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini, Venezia-Roma 1958, p. 28; A. Tenenti. Cristoforo Da Canal. La marine vénitienne avant Lépante, Paris 1962, pp. 37, 57, 98, 186; C. Pasero, Ildominio veneto..., in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, p. 391; J. B. Ross, Gasparo Contarini and His Friends, in Studies in the Renaissance, XVII (1970), pp. 200, 205; G. Fragnito, Gli "spirituali" e la fuga di Bernardino Ochino, in Riv. stor. ital., LXXXIV (1972), pp. 795, 804; A. Santosuosso, Le opere ital. del Casa e l'edizione principe di quelle latine nei carteggi vettoriani del British Muserim, in La Bibliofilia, LXXIX (1977), pp. 51-59; G. Fragnito, Memoria individuale e costruzione biografica. Beccadelli, Della Casa, Vettori alle origini di un mito, Urbino 1979, pp. 36, 47-50, 56-59, 65, 154, 174; G. Mazzatinti, Invent. dei mss. delle Bibliot. d'Italia, XI, p. 194; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 39.

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