AQUINO, Tommaso d'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

AQUINO, Tommaso d'

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Figlio di Atenolfa (II), nacque presumibilmente intorno al 1190, poiché la prima notizia a lui relativa lo mostra nel 1210 combattente nella rocca avita di Aquino, insieme con altri congiunti, e qui regis fidem servabant" (Riccardo di S. Germano, p. 33), contro le truppe di Ottone IV guidate da Diopoldo, castellano di Roccadarce e duca di Spoleto. Immutabilmente fedele a Federico II, gli rese omaggio a Gaeta nel marzo del 1212. L'anno seguente era in contrasto con il Comune beneventano per il possesso di un castero, come risulta da una lettera di Innocenzo III, in data 30 ag. 1213, in cui si consiglia prudenza ai magistrati di Benevento. Fu creato conte d'Acerra e capitano e giustiziere di Puglia e di Terra di Lavoro nel 1221. Esercitando tale carica, gravò di eccessive tassazioni i cittadini di Benevento, provocando un intervento diretto del pontefice Onorio III, che chiese a Federico II, in data 14 maggio 1221, l'alleviazione delle imposizioni fiscali. Alla fine dello stesso anno fu inviato dall'imperatore contro Tommaso conte del Molise, il quale, dopo aver dato il suo appoggio a Ottone IV e aver offerto invano la sua sottomissione, era tornato a ribellarsi apertamente. Dopo aver riconquistato a patti Boiano, iniziò l'assedio di Roccamandolfi (Campobasso), ove s'era rifugiato il ribelle. Nel febbraio del 1222 lo stesso Federico II venne a dirigere le operazioni, ma il conte del Molise riuscì ugualmente a fuggire, correndo a rinchiudersi nel forte di Celano. Ivi lo raggiunse, con altri feudatari fedeli all'imperatore, l'A., che iniziò un nuovo assedio e che, poco dopo, tornato a Roccamandolfi, riuscì ad ottenere la resa della fiera consorte del conte ribelle, Giuditta (1223). Nel 1225 e nel 1226 l'A. fu tra i pochi grandi feudatari che seguivano ovunque Federico II nei suoi spostamenti. Dopo il matrimonio dell'imperatore con Isabella di Brienne (9 nov. 1225), e dopo che Federico II ebbe assunto per sé il titolo di re di Gerusalemme spodestando il suocero Giovanni, l'A. fu inviato (1226) in Siria per stabilire in Acri e nel territorio circonvicino l'autorità imperiale. Quando, l'anno seguente, il sultano d'Egitto al-Kamil chiese allo Svevo di intervenire in Siria contro il fratello sultano di Damasco, l'A. fu incaricato da Federico II di condurre le relative trattative e si recò al Cairo insieme con Berardo arcivescovo di Palermo. Il gioco politico dell'imperatore svevo, che contava di allargare la sua sfera di influenza in Levante e, soprattutto, di ottenere Gerusalemme, allora in mano al sultano di Damasco, sfruttando la rivalità che opponeva i musulmani di Siria a quelli d'Egitto, subì però un duro colpo alla morte del sultano di Damasco (12 nov. 1227), evento che liberava al-Kamil dalla necessità dell'appoggio cristiano. L'A., che della politica orientale di Federico II si mostrava intelligente e fedele interprete, ne informò immediatamente l'imperatore. Intanto faceva del suo meglio per mantenere la tregua allora esistente fra cristiani e musulmani in Siria e in Palestina: nell'estate del 1228, ad esempio, intervenne duramente contro i Templari che avevano predato ai Saraceni beni per seimila marchi, e li costrinse a restituire il mal tolto. Federico, che ben conosceva i suoi meriti, non appena, il 7 sett. 1228, sbarcò in Palestina alla testa della sua crociata, lo inviò, insieme con Balian di Sidone, presso al-Kamil per pretendere la consegna di Gerusalemme. Nelle nuove trattative che s'intrecciarono fra Federico e il sultano egiziano, l'A. continuò a rappresentare una gran parte, e molto probabilmente fu anche per suo merito se esse, il 18 febbr. 1229, si conclusero con la soddisfazione delle richieste imperiali e con il passaggio di Gerusalemme al Regno franco. Nel frattempo l'esercito pontificio aveva assalito il Regno di Napoli; e l'A., che si trovava ad Accon, non appena ebbe la notizia dell'invasione, ne informò l'imperatore (allora a Ioppe) con una lunga missiva, nella quale, dopo aver narrato i fatti di cui era a conoscenza, gli raccomandava la massima prudenza per il ritorno. Fu certamente proprio per questo che Federico II decise di non lasciare l'A. in Siria, ma di ricondurlo con sé nel Regno, ove la fedeltà a tutta prova, lo zelo e l'influenza personale del grande feudatario potevano riuscirgli di notevole aiuto. Il 3 maggio del 1229, perciò, l'A. si imbarcò con Federico e fece ritomo in Italia, ove già nel giugno era inviato a sostenere Capua assediata dai pontifici. Nello stesso anno non riuscì però a riprendere Sora, i cui cittadini non vollero riceverlo.

Nel luglio dell'anno seguente l'A. giurò a San Germano i patti stipulati fra Federico II e Gregorio IX e negli anni successivi fu sempre nel seguito dell'imperatore, presenziando, prima (1231) col titolo di capitano del Regno, poi (1235) con quello di giustiziere, a molti importantissimi atti, e intervenendo più volte direttamente sia nelle campagne militari, sia nell'amministrazione del Regno: così nell'aprile del 1232 fu lui a raccogliere in Meffi un forte contingente di truppe e ad inviarlo ad Antrodoco contro Bertoldo fratello di Rinaldo di Spoleto; fu lui che nell'aprile del 1235, dovendosi l'imperatore recare in Germania, formò, insieme con gli arcivescovi di Palermo e di Capua, un consiglio di reggenza del Regno. Nel dicembre dell'anno seguente raggiunse Federico II in Germania, per ritornare poi in primavera nel Regno. Nell'aprile del 1238 partecipò alla grande curia tenuta dall'imperatore a Verona, e poi all'assedio di Brescia. Verso la fine dell'anno, insieme con l'arcivescovo di Messina, con quello di Palermo e con Ruggero Porcastrella si recò a Roma presso il pontefice "pro pace et forma concordie hic inde tractata" (Riccardo di S. Germano, p. 198). Richiamato in Lombardia da Federico II nel marzo del 1239, vi rimase, sempre al seguito dell'imperatore, fino all'anno seguente. Circa in quest'epoca subì la perdita dell'unico figlio maschio Atenolfa; di essa l'imperatore volle consolarlo con una lunga lettera, in cui lo invitava a riporre tutte le sue speranze nei due nipoti Tommaso (poi conte di Acerra) e Iacopo.

Nel frattempo, le sorti della dominazione imperiale in Siria erano precipitate; Riccardo Filangieri, cui non era rimasto che Tiro, aveva accumulato errori su errori; cosicché nel giugno del 1242 l'imperatore pensò di valersi ancora una volta dell'esperienza dell'A., e, dopo aver destituito il Filangieri, creò il vecchio feudatario capitano generale dei Regno franco. In Siria l'A. era ancora, con la stessa carica, nel maggio 1248. Non si hanno di lui altre notizie.

Fonti e Bibl.: Böhmer-Ficker, Regesta imperii, V, 1-2, Innsbruck 1881-1894, passim (cfr. 3, ibid. 1901, Personennamenregister, p. 2335, sub voce Thomas v. Aquino); Ryccardi de Sancto Germano Chronica, in Rer. Italic. Script., 2 ed., VII, 2, a cura di C. A. Garufi, passim (cfr. Indice, sub voce Tommaso d'Aquino); F. Scandone, Margherita di Svevia figlia naturale di Federico II contessa di Acerra, in Arch. stor. per le prov. napol., XXXI (1906). pp. 299-301; F. Schneider, Toscanische Studim, in Quellen und Forschungen, XI(1908), pp. 268-273; E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, I, Berlin 1927, pp. 107 s., 155, 165, 168, 170, 190, 341, 345, 428, 433; II, ibid. 1931, pp. 45, 277, 282; E. Jamison, I conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, in Convegno storico abruzzese-molisano - Atti e memorie, I, Casalbordino 1933, pp. 122 s.; R. Grousset. Histoire des Croisades et du Royaume franc de Jérusalem, III, Paris 1936, pp. 276, 286, 302, 304, 400.

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