MANZUOLI, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MANZUOLI, Tommaso (detto Maso da San Friano)

Sabina Brevaglieri

Nacque a Firenze il 4 nov. 1531, nella zona di porta S. Frediano da cui derivò il soprannome. Nella bottega di P.F. Foschi ricevette la prima formazione, educato nel confronto con i grandi del manierismo, in particolare con il Pontormo (I. Carucci).

Imputabile all'ambiente artistico d'origine appare la sua perizia ritrattistica, che potrebbe trovare precoce conferma in alcuni dipinti già attribuiti a Foschi, come il Ritratto di giovane uomo (Firenze, Galleria degli Uffizi). Con il successivo passaggio nella bottega di C. Portelli, il M. acquisì l'eleganza di F. Salviati e il vivo interesse per lo stile del Rosso (Giambattista di Iacopo), maturati a partire dalle sue doti di eccellente copista. La vicinanza stilistica con il maestro si nutrì nella grafica di un attento studio di Andrea del Sarto, facendo del M. uno dei principali rappresentanti dell'intensa stagione di revival del manierista fiorentino. Assecondando pratiche condivise, Michelangelo fu una fonte primaria di riflessione, non eludendo il confronto con maestri più antichi, come dimostra la copia della cosiddetta Madonna Dudley (Oxford, Christ Church). Parallelamente, si cimentò con la cultura figurativa non fiorentina; e il disegno del Seppellimento di Cristo (Colonia, Wallraf-Richartz Museum) fu eseguito nel segno di una puntuale imitazione del modello offerto dal Parmigianino (F. Mazzola), reso riconoscibile soltanto dal monogramma "TO".

La stessa sigla "TO" caratterizza la prima opera datata del M., nel 1556 (Napoli, Museo di Capodimonte). Nota come I due architetti, raffigura personaggi sobriamente abbigliati di scuro, colti nell'atto di discutere un progetto in un elegante interno di palazzo. L'uomo più giovane, al centro del dipinto, è impegnato a misurare con un compasso, ma il suo sguardo si volge in direzione del più anziano compagno alle spalle, che osserva con attenzione la pianta dell'edificio, avanzando il braccio destro nella sua direzione.

La storia collezionistica del dipinto ha suggerito di individuare i ritrattati in ambito farnesiano. La figura più giovane sarebbe in questo caso il duca Ottavio, il cui interesse dilettantesco per l'ingegneria militare risulta compatibile con cultura e formazione delle élites rinascimentali. Età e ruolo subordinato del personaggio più anziano conforterebbero la sua identificazione con F. De Marchi, architetto militare al servizio dei Farnese. Il rapporto gerarchico fra le figure e la presenza di un cane sotto al tavolo di marmo in primo piano ben rappresenterebbero la fedeltà dell'architetto nei confronti dell'illustre allievo, immortalata dal M. in occasione di loro ravvicinati ma indipendenti soggiorni toscani (Bertini). Esclusa l'ipotesi di una commissione da parte di Domenico Baglioni, figlio di Bartolomeo detto Baccio d'Agnolo, in memoria del fratello maggiore Giuliano (Vertova), più convincente e omogenea all'ambiente in cui il M. fu attivo appare l'identificazione con Lorenzo Pagni e suo nipote Zanobi (Waldman). La somiglianza dell'uomo più anziano con il segretario di Cosimo I, raffigurato negli stessi anni in palazzo Vecchio, trova in effetti riscontro nella sua carica di sovrintendente alle fortificazioni dell'Elba. Nei cantieri di Cosmopolis risulta impegnato anche Zanobi, che proprio nel 1556 assunse la posizione di primo aiuto dell'architetto G. Camerini. Se l'anello con agata e fascia metallica del più giovane degli effigiati si ritrova nelle insegne della famiglia originaria di Pescia, la loro dialettica relazionale esalta la funzione di guida e protezione assolta dall'esperto funzionario mediceo. La pianta basilicale in primo piano sembra descrivere, nella specificità delle forme, un edificio reale, forse perduto, per cui Zanobi Pagni poté progettare una cappella. La scelta del templum invece di un più rispondente progetto di ingegneria militare serve d'altra parte a celebrare le virtù del giovane architetto emergente, testimoniandone le capacità di misurarsi con la più difficile delle sfide costruttive. Monumento di un gruppo familiare in ascesa e strumento di promozione sociale, il ritratto si muove tra gli insegnamenti di Foschi e l'indebitamento con Portelli, evidenziando alcune cifre caratteristiche del M. nella maniera di delineare gli occhi e nelle forme eleganti e graziosamente disarticolate delle mani.

In assenza di convincenti riscontri per la "Madonna messa in mezo da s. Brigida, e da s. Antonio, che è nella chiesa del Paradiso fuor di Firenze" (R. Borghini), primo capolavoro pubblico del M., databile intorno al 1558, si deve considerare la Pietà (Parigi, galleria Gismondi), che un disegno preparatorio firmato (Chatsworth, Collection of the Duke of Devonshire) ha consentito di identificare con la pala per la chiesa fiorentina di S. Maria dei Candelli (Costamagna, 1992).

Il gruppo centrale si staglia compatto sullo sfondo roccioso, ricorrendo a una combinazione di motivi iconografici che riporta ancora a Portelli, nel solco di una cultura figurativa comune a un'intera generazione di pittori fiorentini. La forte ascendenza michelangiolesca del Cristo sulle ginocchia della Madonna risulta mediata dalle opere di G. Clovio, dalle quali il M. derivò anche altre figure della composizione. L'originale attenzione per il paesaggio si colloca sotto l'influenza di Salviati e forse anche di artisti nordici impegnati a Firenze nelle nuove arazzerie medicee. Si possono riferire alla pala tre pannelli di predella con Le Marie al sepolcro, Resurrezione e Noli me tangere (Arezzo, Casa Vasari). In quest'ultima scena, la ripresa in controparte del motivo della palizzata, di sfondo nel quadro principale, rafforza la coerenza dell'insieme, mentre un disegno preparatorio per Le Marie al sepolcro (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi) ne conferma paternità e datazione precoce.

La samaritana al pozzo (Firenze, Galleria Luzzetti) condivide con la Pietà la raffinatezza di resa delle figure femminili e la capacità di introspezione sui personaggi tra il Rosso e Salviati. Posa e fisionomia di uno dei discepoli in secondo piano tradiscono la somiglianza con il più giovane degli architetti del precedente ritratto; ma sono il magnifico paesaggio e le piccole figure schizzate sullo sfondo a consentire una datazione dell'opera intorno al 1560.

Datata al 1560 e siglata da monogramma è la Madonna con Bambino e i ss. Caterina di Alessandria, Maria Maddalena, Bernardo e Benedetto per il convento della Trinità di Cortona, di cui è noto anche il disegno preparatorio (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi). L'opera appare una summa dei principî della maniera, nella curiosa instabilità di figure che si snodano in atteggiamenti mobili e disarticolati. Principale fonte di ispirazione è in questa circostanza Foschi, nello stile che evoca il Pontormo, ma la ricerca di un superamento della tradizione protocinquecentesca non approda a risultati del tutto convincenti.

Nel segno di un preferenziale rapporto con i benedettini si pone anche la Madonna con Bambino e i ss. Giovanni Gualberto e Bernardo degli Uberti (Firenze, S. Salvi, Museo del Cenacolo), realizzata per la cappella della fattoria di Paterno, nel protettorato di Vallombrosa. Riconoscibili rispettivamente per la mitra abbaziale e per il cappello cardinalizio in bella evidenza, i due esponenti dell'Ordine indossano sgargianti paramenti sovrapposti al saio ed esibiscono attributi di elegante fattura, come il bastone a "tau" con raffinate protomi leonine e il prezioso pastorale.

Al 1560, ma con risultati di assoluta maturità, è datata pure la Visitazione per la cappella de' Pesci nella chiesa fiorentina di S. Pier Maggiore (Cambridge, Fitzwilliam Museum).

Composizione grandiosa, con la Madonna al centro ed Elisabetta inginocchiata davanti a lei, la scena è introdotta da un mendicante, iconograficamente estraneo all'episodio, che mediando l'accesso dell'osservatore alla scena sacra ne richiama l'attenzione sulla pratica della carità, la cui centralità fu riaffermata dai decreti tridentini sul valore delle opere. La canefora in secondo piano e la donna con bambino dietro di lei, sono chiare reminiscenze pontormesche; mentre gli angeli evocano Andrea del Sarto, in una combinazione brillante esaltata dal ricorso a una tavolozza cromatica ricchissima, degna del Bronzino (Agnolo di Cosimo). L'abile trattamento delle figure di sfondo ricorda la tecnica veloce delle predelle e proprio in questa direzione si potrebbero accostare alla pala i disegni preparatori per un'Annunciazione (Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins) e una Natività (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi).

Ad analoga altezza cronologica si pone anche la Resurrezione di Vienna (Kunsthistorisches Museum), in cui il michelangiolismo delle forme e l'acribia fiamminga nella descrizione dei dettagli di sfondo si stemperano in una vivace gamma cromatica che sembra riportare al nome del M.; anche l'Adamo ed Eva con due bambini (San Pietroburgo, Ermitage), opera derivata da un modello del Bachiacca (Francesco di Ubertino), rivela colori squillanti, ma d'intonazione fredda; mentre la sua ambientazione paesistica potrebbe consentirne l'identificazione con il quadro presente in casa del virtuoso gentiluomo Raffaele Gucci (Cecchi, 2001).

Raro inserto profano in una produzione finora nota eminentemente religiosa è l'Allegoria della Fortezza (Firenze, Galleria dell'Accademia).

Levigatezza di incarnato, panneggi dai profili taglienti e ricchezza di preziosi dettagli connotano l'imponente nudo femminile, caratterizzato da elmo e mazza ferrata nella mano sinistra, mentre la destra si appoggia su una colonna spezzata e il piede sulla testa di un leone accucciato ai suoi piedi. L'Ercole in lotta con il leone nemeo del secondo piano, nuovamente rappresentato sullo sfondo in marcia con una colonna sulle spalle, rientra nel repertorio di efficaci figurine che connota le pale d'altare di analoga altezza cronologica.

Sulla scorta di questa tavola, l'attribuzione delle figure di Fede, Speranza, Pazienza e Giustizia del fregio della sala della Gualdrada, nel quartiere di Eleonora a palazzo Vecchio (Cecchi, 2003) mette a fuoco il nodo cruciale e irrisolto delle relazioni del M. con G. Vasari e il circuito delle committenze medicee.

Membro dal 1563 della neoistituita Accademia del disegno, il M. venne in effetti menzionato nel 1565 da V. Borghini tra quei pittori "valenti e fieri", esterni alle grandi botteghe fiorentine. La scarsità di appigli documentari ha d'altra parte contribuito ad alimentarne l'immagine di pittore "di fronda", escluso dagli ambienti controllati dagli artisti di corte. Originale e indipendente nella sua interpretazione della maniera, assai distante dall'enfatica e magniloquente retorica vasariana, il M. rivelò un'autonomia espressiva non necessariamente respinta dai circuiti ufficiali e forse tutt'altro che estranea al fertile milieu religioso urbano.

Nel 1565, mentre ricopriva il ruolo di console in Accademia (lo fu di nuovo nel 1568), il M. partecipò alla realizzazione degli apparati effimeri per il matrimonio di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria. Un disegno firmato e datato (Louvre, Cabinet des dessins) rivela la complessa iconografia del pannello progettato per l'arco della religione al canto della Paglia. La Madonna con Bambino, s. Anna e s. Giovannino, affiancati da Maddalena e un'altra santa inginocchiata, si offrono all'adorazione su un alto basamento decorato da un'allegoria politica: una figura coronata di lauro e appoggiata su una tartaruga, emblema di Cosimo I, esibisce il giglio di Firenze, un putto sorregge la corona medicea e il leone sulla destra simboleggia la città.

Nel 1565 il M. ricevette dalla Confraternita di S. Maria della Laude e di S. Agnese l'importante commissione per l'Ascensione di Cristo con le ss. Agnese ed Elena, nella chiesa di S. Maria del Carmine. Realizzata per volontà di Lena Ottinelli, la pala, che include nella composizione la sua santa patrona, venne lasciata incompiuta alla morte del M. e più tardi terminata da G. Naldini (Clover) ma i disegni preparatori, fra i quali spicca per finitezza il foglio degli Uffizi, ne rivelano la complessa organizzazione dello spazio. Il confronto con la produzione grafica consente di collocare intorno al 1565 anche l'Adorazione dei pastori, affiancata dai pannelli con S. Andrea e Tobiolo e l'angelo, per la chiesa fiorentina dei Ss. Apostoli. Inequivocabile appare in questo caso il rapporto fra i grandi angeli del registro intermedio, quelli copiati dal M. dalla Nascita della Vergine di Andrea del Sarto nell'atrio dell'Annunziata (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi) e la sua personale rielaborazione in un foglio preparatorio per il quadro d'altare (Louvre, Cabinet des dessins).

Proprio i disegni testimoniano, a questo punto, una crescente accentuazione del brio manieristico e della complessità compositiva nello stile del Manzuoli. In un foglio del Libro dei disegni di Vasari, all'interno di un'elegante cornice da quest'ultimo predisposta, l'esecuzione minuta di sei composizioni di vario soggetto (Convito in casa di Simone con ai lati S. Michele Arcangelo a sinistra e forse Giuditta e Oloferne a destra; e in alto Marte e Apollo con due figure di profilo nei riquadri laterali) ricorda i modi di I. Zucchi e la cifra del manierismo internazionale. Parallelamente, la Madonna con Bambino (Firenze, Uffizi) esemplata sulla perduta Madonna del libro del Pontormo, diventò una sorta di modello per il M. e la sua bottega, su cui sperimentare più evidenti ascendenze del Rosso, come nel caso della versione autografa di Birmingham (City Museum and art gallery). Una più marcata tendenza allo sfumato si può nello stesso momento riscontrare nel Ritratto di architetto (New York, Sotheby's, 1998), giovane uomo con pianta architettonica semiarrotolata in mano. Datato al 1566, il Ritratto di cavaliere dell'Ordine di Malta (New York, Metropolitan Museum) condivide con il precedente le tonalità fredde del fondo su cui si staglia la veste nera dell'anonimo effigiato, mentre la notizia di "molti […] ritratti che […] fece a varie persone" (R. Borghini, p. 540) trova per il momento scarsi riscontri attendibili e numerose dubbie attribuzioni.

In anni nei quali si intensifica la produzione nota del M., la sua presunta inclinazione per commissioni private e dipinti di piccolo formato sembra da ridimensionare. L'impegno sul versante dei quadri d'altare emerge in effetti nel confronto con la produzione grafica, delineando la prolifica attività del maestro e della sua bottega, a partire da una proposta stilistica alternativa alla norma vasariana e incentrata su delicatezza e grazia neo-pontormesche.

Monogrammata e datata al 1567, la Pietà con i ss. Girolamo e Francesco, per la chiesa di S. Agostino a Montepulciano, appare una splendida e matura prova del M., in cui ritornano l'intonazione grigio-perlacea e i toni freddi degli incarnati, così come i colori squillanti e metallici dei panneggi. L'intensità espressiva dei volti, in particolare del severo s. Francesco, evidenzia le capacità di introspezione psicologica del M. e la concretezza formale di figure asciutte e slanciate. Nel 1569 firmò e datò il Cristo in gloria con la Vergine e i ss. Pietro, Paolo, Girolamo, Bernardo e Donato vescovo per le monache di S. Donato in Polverosa. Commissionata da Faustina di Berto Carnesecchi per la chiesa di clausura, la pala è nota attraverso alcuni disegni (Louvre, Cabinet des dessins; Modena, Galleria Estense), confermando duraturi rapporti del M. con i circuiti benedettini.

Potrebbe essere avanzata al 1569 la Sacra Famiglia con s. Giovanni (Oxford, Ashmolean Museum), più matura interpretazione del già menzionato prototipo pontormesco della Madonna del libro. Poco più oltre, l'Adorazione dei pastori (University Park, Pennsylvania State University, Palmer Museum of art) non si limita e ridurre la scala della pala dei Ss. Apostoli, da cui trae ispirazione, ma appare profondamente trasformata nella raffinatezza di un notturno che incorpora ora influenze settentrionali.

Tra il 1569 e il 1570 si colloca la Trinità con i ss. Giacomo Maggiore, Filippo, Agostino e Crispino (Firenze, Galleria dell'Accademia), commissionata dall'arte dei cuoiai di Firenze che vi include infatti i suoi santi protettori. I colori freddi e smaltati, riscontrabili anche nella parallela Annunciazione con i ss. Nicola e Caterina da Siena (Arezzo, Casa Vasari), proveniente dal convento cittadino delle murate, avvertono ormai dell'ingresso nel nuovo decennio.

Siglato e datato al 1570, il Ritratto di Francesco I, allora reggente (Prato, palazzo comunale), parte della serie medicea per il salone del Consiglio, raffigura il protagonista seduto, in elegante costume nero filettato d'oro. La statuetta allegorica sul tavolo sorregge lo scudo di Prato, mentre in primo piano corona e scettro alludono al ruolo di reggente. Inconfondibili appaiono la forma elegante delle mani e la capacità di penetrazione psicologica dell'effigiato, in linea con il disegno autografo del volto, suo diretto modello (Cannon-Brookes, 1965, pp. 169 s.).

Sul fronte grafico, la perfezione raggiunta a questa data dallo stile minuto e rifinito rende l'Annunciazione (Roma, Istituto nazionale per la grafica) e il foglio dell'Ecce homo (Louvre, Cabinet des dessins) lavori finiti piuttosto che preparatori a una traduzione in pittura.

Nell'agosto del 1570 il M. affittò una nuova bottega nell'attuale via Ricasoli.

Fra 1570 e 1571 si scalano i due visionari pannelli per il cosiddetto studiolo di Francesco I in palazzo Vecchio, vero e proprio testamento artistico del pittore. Coordinata da Vasari su progetto iconografico di V. Borghini, l'impresa collettiva di decorazione vide il M. impegnato sulla parete occidentale, dedicata all'elemento dell'aria.

Tra erudizione mitologica, simbolismo ermetico e forse anche allusioni magico-alchemiche, egli si attenne fedelmente al programma nel pannello del registro superiore. Fonte di riferimento per la Miniera dei diamanti fu in primo luogo la discussione pliniana sul cristallo. Derivato dalla solidificazione di umidità atmosferica raffreddata dai venti, esso veniva spesso accostato ai preziosi materiali dipinti dal M., mentre uomini nudi li raccolgono sullo sfondo di un'aspra montagna rilucente, scalata con corde e cesti da altri cercatori. La bizzarra postura delle figure, con una mano legata dietro alla schiena, sembra evocare le catene di Prometeo, celebrato nel soffitto dello studiolo e ricordato nella Storia naturale (XXXVII, 2) proprio a proposito della passione dell'uomo per le gemme. L'affollata e variopinta scena in primo piano, dove uno dei nudi offre pietre a personaggi esoticamente abbigliati chiama in causa la letteratura sulle Indie, in particolare Garcia da Orta (Colóquios…, 1563), da cui il motivo trae ispirazione. La composizione orientaleggiante sembra elaborata dal M. sulla scorta di un proprio disegno (Rennes, Musée des beaux-arts), a sua volta ispirato da un'incisione di Luca di Leida, in circolazione a Firenze fin dall'inizio del secolo. Nel caso dell'ovale della Caduta di Icaro nella fascia inferiore, destinato a decorare uno degli sportelli degli armadi in cui era conservata la collezione di rarità di Francesco, la scelta del motivo si inserisce in un complesso sistema di rispondenze fra programma iconografico e oggetti custoditi nello studiolo. Più che alludere a manufatti di piume, il soggetto ovidiano, di per sé pertinente al tema dell'aria, rimanda ancora alla teoria pliniana sul cristallo, evocando la presenza di raffinati manufatti prodotti dagli artigiani medicei (Feinberg, 2002). Con la pittura dai piani sfaccettati e colori preziosi del M. si conferma la sua decisiva ascendenza pontormesca, a cui rimandano, soprattutto nella Miniera di diamanti, il caratterizzato contrappunto dei personaggi e la loro articolata gestualità. Talento per le figure di piccolo formato e raffinatezza di esecuzione rendono i pannelli del M. una delle più fantastiche e capricciose creazioni dell'ultima stagione della maniera fiorentina.

Il 14 genn. 1571 il M. curò le esequie di I. Sansovino. Estrema è probabilmente un'altra serie di committenze benedettine, nelle quali la mano del M. è ormai affiancata da estesi interventi di allievi. Nei pannelli di predella conservati nella chiesa della Ss. Annunziata appare evidente la collaborazione del giovane Iacopo Da Empoli. Nella monumentalità compositiva e nella fredda orchestrazione cromatica di una Assunta e santi, conservata nell'abbazia di Monte Cassino, ma proveniente da altra sede dell'Ordine, si distingue la partecipazione dell'allievo A. Fei del Barbiere.

Ancora un disegno preparatorio (Louvre, Cabinet des dessins) restituisce le tracce di una Madonna della misericordia originariamente ad Ancona (R. Borghini), perduta durante la seconda guerra mondiale.

Il M. morì nel 1571 e fu sepolto nella chiesa del Carmine di Firenze il 2 ottobre.

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