MOCENIGO, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MOCENIGO, Tommaso. –

Giuseppe Gullino

Primogenito di Pietro di Giovanni, da San Samuele, e di Elena, il cui casato è ignoto, nacque a Venezia nel 1343.

La prima notizia sul M. riguarda la sua partecipazione alla difesa della «palada» (fortino) di Lova, sul margine della laguna, nel 1373, nell’ambito della cosiddetta «guerra dei confini» tra Padova e Venezia. Nell’aprile 1377 figura capo della Quarantia, dopo di che, scoppiata la quarta guerra contro i Genovesi (1378-81), secondo la testimonianza del cronista Daniele Chinazzo, i liguri giunsero al Lido inseguendo una nave del M. che proveniva dalla Siria, carica di cotone. Nel corso del 1380 il M. combatté contro i Genovesi asserragliati a Chioggia, nel novembre fu eletto nella commissione dei Cento sopra la Guerra ed ebbe parte nelle decisioni strategiche che consentirono ai Veneziani di uscire vittoriosi dal conflitto.

Nel 1382 acquistò all’asta una delle galere del convoglio di Alessandria e agli inizi di giugno, dopo la morte del doge Andrea Contarini, fece parte di tre delle commissioni elettorali del successore Michele Morosini, ma non di quella conclusiva.

Nel 1385 il padre divenne procuratore di S. Marco e la carriera politica del M. subì un’accelerazione; trasferita la propria residenza in Procuratia, dall’ottobre 1386 fu per un anno membro del consiglio dei Dieci e, come tale, nel 1387 fu eletto, insieme con il fratello Giovanni, in una giunta di 60 patrizi chiamati a decidere la politica del Comune nei confronti della Dalmazia.

Negli anni che seguirono, diplomazia, politica ed economia si intrecciarono fittamente nella vita del M.: nell’aprile 1389 fu uno dei dieci nobili che andarono incontro, fin nei pressi di Chioggia al signore di Mantova Francesco I Gonzaga, in visita a Venezia. Un anno dopo fu dei due officiales, che dovevano controllare la contabilità dei provveditori alle Biave. Quindi si associò al fratello Giovanni che commerciava in vino e tessuti con la Siria, e nella primavera 1394 fu eletto consigliere ducale. Il 24 febbr. 1395 accettò di recarsi ambasciatore a Ferrara, quindi nel giugno fu a Milano in un’ambasceria incaricata di porgere a Gian Galeazzo Visconti le congratulazioni per la conseguita dignità ducale. Al ritorno fu inviato come provveditore a prendere possesso del Polesine di Rovigo, che Venezia aveva avuto in garanzia dal signore di Ferrara.

La svolta decisiva nella carriera politica del M. si verificò all’inizio del 1396, quando gli fu conferito il comando della flotta dell’Adriatico. Proprio allora stava prendendo corpo il progetto del re d’Ungheria, Sigismondo, di una crociata contro il sultano dei turchi, Bāyazīd, che aveva ridotto l’Impero bizantino a una stretta fascia di territorio; dalla Francia e dalla Germania erano giunti soccorsi e, nell’estate, l’esercito cristiano marciò attraverso la Serbia verso Adrianopoli. Pertanto il Senato diede incarico al M. di recarsi sul Bosforo con otto galere e risalire il Danubio in appoggio ai crociati che muovevano verso la Tracia. La flotta del M. giunse a Costantinopoli il 2 settembre e liberò la città dall’assedio degli Ottomani, ma i successivi eventi non furono favorevoli ai collegati, che vennero annientati a Nicopoli (28 sett. 1396). Il re d’Ungheria e pochi superstiti poterono salvarsi solo grazie alle navi del M., che li attese alle bocche del Danubio e li trasportò al sicuro in Dalmazia.

Sigismondo volle premiarlo concedendogli una pensione vitalizia annua di 1000 ducati, da prelevarsi sui 7000 che egli riceveva annualmente da Venezia come contributo per l’impegno antiturco; tuttavia i magistrati veneziani frapposero una serie di obiezioni circa la legittimità di tale atto e il beneficio per il M. non fu mai riconosciuto.

La stima guadagnata con l’impresa del 1396 gli valse bensì l’elezione a savio del Consiglio, nei primi giorni dopo il suo ritorno, il 12 genn. 1397; poi, ancor prima del termine del mandato, il 13 marzo fu prescelto fra i tre inviati al re Sigismondo, per indurlo a prendere nuovamente le armi contro i Turchi.

In seguito fu membro di una commissione che doveva occuparsi del commercio del rame; quindi, nella primavera 1398, fu eletto savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre, alla qual carica fu confermato per il periodo 30 sett. 1399 - 30 ag. 1400. Il prestigio di cui ormai godeva è confermato dalla sua presenza a palazzo ducale in occasione di numerose cerimonie o eventi diplomatici, come la stipulazione della pace con Gian Galeazzo Visconti, il 21 marzo 1400; ancora, a fine anno fu uno dei correttori della promissione ducale e poi dei quarantuno elettori del doge Michele Steno (1° dic. 1400). Avogador di Comun fra il 28 gennaio e il 18 apr. 1401 (in marzo e aprile figura anche «sindaco» nel Trevisano, con l’incarico di rafforzarvi gli apparati difensivi), il 20 maggio era a Milano, per una missione presso Gian Galeazzo Visconti; poi il 28 giugno 1402 si recò a Padova, insieme con Carlo Zeno, per portare la solidarietà del Senato a Francesco Novello da Carrara, i cui figli erano stati catturati dai viscontei.

Savio del Consiglio per il semestre ottobre 1402 - marzo 1403, dopo poche settimane, il 22 ott. 1402, fu nominato provveditore a Negroponte, col compito – analogamente a quanto aveva fatto un anno e mezzo prima nel Trevisano – di visitare le fortificazioni dell’isola. Al termine dell’incarico, il 28 marzo 1403 il M. fu nuovamente eletto savio del Consiglio, ma di nuovo non portò a termine il mandato, perché venne eletto duca di Candia, la massima autorità nell’isola di Creta. Qui la presenza del M. è documentata dal 15 sett. 1403 al 16 luglio 1405; di particolare interesse, per quanto attiene la sua vita privata, la corrispondenza intrattenuta col fratello Giovanni.

Durante la permanenza del M. in Levante, Venezia si era impadronita della terraferma fino al Garda, sicché, appena dopo il rimpatrio, fu nominato provveditore in campo presso le truppe che assediavano Padova, ultima e più tenace città ostile all’annessione. Il 22 novembre crollava la signoria carrarese e il M. assumeva il governo come vicepodestà, avendo per collega Zaccaria Trevisan. Non rimase a lungo a Padova, giusto il tempo di accogliere il rituale giuramento di fedeltà dei rappresentanti delle corporazioni cittadine e di impartire le prime direttive circa l’organizzazione amministrativa e militare; il 5 febbr. 1406 rientrò a Venezia, essendo stato nominato procuratore di S. Marco de supra.

Quattro mesi dopo era a Genova in qualità di plenipotenziario per concordare le compensazioni relative ai danni patiti dai rispettivi mercanti a Beirut, Famagosta e Rodi; vi rimase perlomeno fra il 18 giugno e il 2 luglio, dopo di che entrò a far parte dei savi del Consiglio e rimase in carica dall’ottobre 1406 al 16 sett. 1407.

In questa veste il 20 nov. 1406 operò attivamente alla stipulazione del patto di protezione con Obizzo da Polenta, signore di Ravenna, accordo che avrebbe consentito alla Repubblica – qualche decennio dopo – di impadronirsi di quella città e del suo territorio.

Una situazione simile si presentò nell’estate 1407 (2 giugno - 5 agosto), allorché il M. fu tra i rappresentanti di Venezia che conclusero un’alleanza quinquennale con il duca d’Austria, Alberto V, un trattato amichevole con il conte di Arco, in Trentino, e un patto pure quinquennale con Pandolfo Malatesta, Niccolò d’Este e Francesco Gonzaga, signori di Brescia, Ferrara e Mantova. Il M. era savio del Consiglio quando, nella seconda metà del 1408 (17 luglio - 4 dicembre), fu chiamato a far parte di una commissione di esperti incaricati di fornir parere sull’acquisto della Dalmazia, offerta a Venezia da Ladislao d’Angiò in opposizione a Sigismondo d’Ungheria. Così, mentre suo fratello Leonardo si portava a Zara per prendere possesso della regione, il M., che aveva ancora ricoperto il saviato del Consiglio fra luglio 1409 e marzo 1410, si recò con Giovanni Barbo a Buda, da Sigismondo, nel tentativo, non riuscito, di sventarne la reazione. Nonostante le benemerenze acquisite dal M. presso il re dopo la disfatta di Nicopoli, l’incontro, svoltosi il 27 marzo 1410, non sortì esito positivo.

Negli anni che seguirono il M. alternò la sua presenza tra i savi del Consiglio ad altre tre ambascerie a Sigismondo, senza però riuscire a evitare l’invasione del Friuli da parte degli Ungheresi, guidati da Pippo Spano. Dopo la tregua di Castellutto (17 apr. 1413), che pose fine almeno provvisoriamente agli scontri, le trattative proseguirono a Lodi, dove Sigismondo si era recato per incontrare il papa Giovanni XXIII e fissare la convocazione del futuro concilio di Costanza; il M. si trovava appunto a Lodi con i colleghi Antonio Contarini e Francesco Foscari, quando fu eletto doge in seguito alla morte di Michele Steno. Era il 7 genn. 1414, la notizia gli pervenne qualche giorno dopo; a Verona lo aspettava una delegazione di dodici senatori, che lo scortarono sino a Venezia dove giunse il 28 gennaio.

Sedette sul trono ducale per quasi dieci anni, durante i quali la Repubblica inflisse una clamorosa sconfitta ai Turchi sulle acque di Gallipoli e acquistò il Friuli, dopo aver abbattuto l’antico patriarcato di Aquileia; e tuttavia personalmente si dimostrò sempre incline alla pace, convinto com’era che la vera autentica vocazione della Serenissima fosse sul mare. E il mare significava il Levante, non l’Italia. Esponente di una famiglia da secoli legata alla pratica del commercio marittimo, all’avventura mercantile, il M. riteneva pericoloso l’inserimento di Venezia nelle questioni italiane. Essa aveva da poco conquistato il Veneto, vale a dire il controllo dei fiumi e delle strade che portavano ai valichi alpini; di ciò doveva accontentarsi, senza spingersi oltre. Donde il contrasto con il «procurator zovene» Francesco Foscari, fautore di una politica interventista basata sull’alleanza con Firenze, in funzione antiviscontea.

Sembra che, prossimo alla fine, nel 1423, il M. abbia convocato la Signoria affidando il suo testamento politico a un memorabile discorso, nel quale indicava le linee guida della sua azione: difesa della fede, cura del diritto e, soprattutto, amore della pace. Nessuno più di lui sapeva quanto difficile fosse stato negoziare la tregua con il re Sigismondo, allora – insieme con i Turchi – il più potente nemico di Venezia; perciò, davanti alla morte, egli avrebbe messo in guardia i senatori contro Francesco Foscari: il suo governo avrebbe portato la guerra, che significava distruzione, perdita del potere, delle sostanze, del prestigio. Senonché a succedergli sarebbe stato chiamato proprio Foscari, e la scelta avrebbe avuto il significato di una svolta decisiva nella storia della Serenissima.

Il M. si ammalò alla fine di marzo del 1423; morì la sera del 4 aprile, domenica di Pasqua, e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo in una bella arca marmorea sul muro a destra della sacrestia.

Non avendo preso moglie, nel testamento, redatto il 7 apr. 1422, beneficiava la figlia naturale Margherita e lasciava eredi il fratello Leonardo e i due nipoti, Andrea e Marino, figli di un altro fratello defunto, Francesco.

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