GIZZI, Tommaso Pasquale

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIZZI, Tommaso Pasquale

Giuseppe Monsagrati

Nacque a Ceccano, nel Frusinate, il 22 sett. 1787 da Domenico Nicola e da Cecilia Ciavaglia. Di famiglia benestante e tradizionalmente legata alla Chiesa (ma un fratello, Francesco Luigi, fu in epoca napoleonica maire di Ceccano), fu educato nel collegio-seminario di Ferentino e si mise presto in evidenza per il carattere docile e collaborativo, che lo fece apprezzare sia dagli insegnanti sia dai condiscepoli. Conseguiti i gradi minori nel 1808-09, il 2 sett. 1810 fu ordinato sacerdote; quando, alla fine del periodo francese, la famiglia si trasferì a Roma - sembra perché la popolazione di Ceccano non perdonava al fratello la collaborazione con gli occupanti - il G. si iscrisse alla Sapienza, dove il 22 luglio 1817 si laureò in diritto canonico e civile. Gli bastarono poi un anno di pratica in uno studio legale per ottenere nel dicembre 1819 la qualifica di avvocato rotale, e l'appoggio del segretario di Stato E. Consalvi per essere inviato nel 1820 a Lucerna come uditore del nunzio pontificio I. Nasalli.

Questo primo impiego, destinato in pratica a protrarsi fino al 1828, rivelò in lui un elemento particolarmente ferrato nelle questioni legali ma dotato anche delle qualità diplomatiche necessarie per affrontare le lunghe vertenze che in quegli anni di crescente secolarizzazione opponevano la nunziatura alle autorità dei vari Cantoni o allo stesso direttorio federale. Si era infatti diffusa la tendenza a colpire le posizioni della Chiesa cattolica con decreti di incameramento dei beni ecclesiastici o di soppressione di conventi e ordini religiosi, il che costringeva Roma, oltre che a far valere le proprie ragioni, anche a fronteggiare l'avanzata del protestantesimo negli stessi Cantoni rimastile fedeli. Come esperto giuridico della nunziatura il G., che anche nei documenti era designato con il titolo di avvocato, doveva preparare le pratiche dei ricorsi e poi condurre le trattative per farli accogliere, anche minacciando conseguenze gravissime ma senza mai arrivare alla rottura. Ottenne più di un successo (per esempio con la promulgazione della bolla di erezione del vescovato di San Gallo), ma la questione che lo impegnò maggiormente fu la riorganizzazione della diocesi di Basilea, conclusasi felicemente nel 1828 con una convenzione ratificata dai Cantoni di Zug, Berna, Lucerna e Soletta e fatta propria nel 1829 anche dai Cantoni di Argovia e Turgovia; per condurla in porto il G. dovette perfino interrompere la missione che nel marzo 1827 lo aveva dirottato verso la nunziatura di Monaco di Baviera: tornato a Lucerna come internunzio nel settembre 1827, ne ripartì nel settembre 1828 per riprendere il posto di uditore a Monaco che mantenne fino al gennaio 1829, quando da Roma gli giunse la nomina a incaricato d'affari presso la corte del re di Sardegna.

Avevano influito su questa decisione le condizioni di salute del G., a disagio nei climi freddi per la malattia (la gotta) che aggravandosi con il tempo lo avrebbe costretto a lunghe pause di degenza. Se non curarono i suoi mali, i sei anni trascorsi a Torino lo affaticarono di meno e lo collocarono in un ambiente senz'altro più congeniale alle sue vedute, che erano quelle di un uomo che credeva ciecamente negli ideali della Restaurazione e considerava essenziale il ruolo della Chiesa nel sistema di Stati assoluti definito al tempo del congresso di Vienna. Nel Piemonte legittimista dell'ultimo scorcio di regno di Carlo Felice e quindi in quello dei primi anni di regno di Carlo Alberto, il G. dovette badare che non si affermasse la tendenza, presente in alcuni consiglieri dei sovrani, a limitare gradualmente i privilegi del clero e la sua funzione nella vita del paese. Una volta soddisfatta questa esigenza, non dispiacque alla sua mentalità giuridica l'uso della religione come instrumentum regni, né gli furono estranee tutte quelle iniziative (contatti continui con la diplomazia austriaca, avversione dichiarata per la cultura francese, consigli e sostegni alla classe politica piemontese per la repressione delle prime attività cospirative mazziniane, richiesta di misure commerciali contro la Svizzera per l'ospitalità data ai fuorusciti) che fossero in grado di tenere in piedi l'assetto dell'Italia della Restaurazione. Tale era la sua confidenza con il mondo austriaco che quando il 23 genn. 1835 la segreteria di Stato lo nominò internunzio a Bruxelles, fu deciso che prima passasse per Vienna per trattare con il cancelliere K.W.L. von Metternich il ritiro delle truppe austriache e francesi dallo Stato pontificio dove erano state chiamate dopo la rivoluzione del 1831: sotto questo profilo l'incontro del 16 giugno 1835, se non produsse risultati, servì almeno al G. per ricevere indicazioni sulla sua prossima missione e per dare a Metternich la certezza di poter contare su quest'uomo che, a Torino come in Svizzera, aveva "donné des preuves non équivoques de sa fidelité ultramontaine" (A. Simon, Instructions aux nonces, p. 43).

Nel Belgio resosi da poco indipendente occorreva infatti rafforzare l'autorità del re Leopoldo I sia sul piano internazionale sia su quello interno, dove era ancora vivo il pericolo del radicalismo laicizzante e forte il peso delle dottrine lamennaisiane. Come primo rappresentante del papa nel nuovo Regno, il G. corrispose benissimo alle direttive della segreteria di Stato romana che lo aveva messo in guardia contro il rischio di apparire troppo interessato agli aspetti temporali della politica interna del Belgio: doveva occuparsene ma senza darlo troppo a vedere, rafforzare il partito cattolico restando però dietro le quinte, opporsi - se necessario - senza provocare conflitti, agire comunque sempre in chiave conservatrice; e dunque prudenza, tatto e discrezione caratterizzarono il suo operato che fu efficace anche sul piano dei rapporti Stato-Chiesa perché si giovò della piena collaborazione con i vescovi locali (in particolare con mons. E. Sterckx): furono così risolte le vecchie pendenze relative all'incameramento dei beni ecclesiastici e alle cause matrimoniali, alla situazione degli ordini religiosi e ai residui di giansenismo; fu inoltre data la sanzione formale di Roma alla nascita dell'Università di Lovanio che fu aperta alla fine del 1835 ma che il G. sorvegliò discretamente per evitare che diventasse la fucina del clero liberale.

Poiché tuttavia la salute malandata gli impediva una più sollecita conduzione degli affari dell'internunziatura di Bruxelles, all'inizio del 1837 il G. chiese e ottenne di essere richiamato a Roma dove arrivò molto malridotto a metà agosto. Alla testa della delegazione apostolica di Ancona, che gli fu affidata dal 21 nov. 1837, restò per poco più di un anno, costretto a misurarsi per la prima volta e contro tutti i suoi desideri con il malessere delle popolazioni dello Stato pontificio: e forse fu proprio per una ripicca contro il segretario di Stato L. Lambruschini che, invece di adoperare la severità richiestagli da Roma, evitò nei limiti del possibile il ricorso a misure poliziesche particolarmente vessatorie. Prese a formarsi allora la fama, del tutto infondata almeno dal punto di vista ideologico ma destinata a consolidarsi nel tempo, di un G. liberale e in qualche misura anche "garantista"; nel frattempo la sua carriera ebbe una svolta con la consacrazione ad arcivescovo di Tebe (18 febbr. 1839) e con la promozione a nunzio in Svizzera.

Si trattava per lui di un ritorno, ma in una situazione assai deteriorata rispetto agli anni Venti, tanto che la nunziatura, in seguito allo spirito di ribellione che dopo il 1830 aveva preso a soffiare sui Cantoni - perfino su quelli cattolici -, si era dovuta spostare da Lucerna a Schwyz. Qui giunto il 24 giugno 1839, il G. lavorò alla sua maniera a suscitare tramite il clero la protesta delle popolazioni cattoliche in modo da arrivare a una revisione delle costituzioni cantonali in senso meno punitivo per la Chiesa: qualche Cantone (Lucerna, Friburgo, Schwyz) rispose positivamente, altri (Soletta, Vallese, Turgovia, Zurigo) si mantennero ostili, e al nunzio non restò che il ricorso alle note di protesta e all'appoggio di Austria e Francia con la speranza di mettere in atto ritorsioni di carattere commerciale.

Il G. seguì le turbolenze svizzere anche dalla nuova sede di Torino dove il ministro C. Solaro della Margarita era riuscito a riportare la nunziatura nel 1840: con lui, fiero sostenitore dell'alleanza trono-altare, il G. si trovò in perfetta sintonia anche se talvolta dovette limitarne qualche eccesso di strumentalizzazione della religione in funzione antiliberale. In tal modo, pur nella stagione riformatrice da poco inaugurata da Carlo Alberto, egli riuscì a mantenere alla Chiesa l'antica posizione di preminenza in Piemonte guadagnandosi gli elogi del papa. E tuttavia, risultandogli nocivo il clima di Torino, anche stavolta la sua missione si concluse anzitempo con un precipitoso ritorno nella natia Ceccano nella primavera del 1843.

Uno strascico polemico fu provocato dal fatto che il G., riservato cardinale in pectore da Gregorio XVI il 12 luglio 1841, fu pubblicato il 22 genn. 1844 con il titolo di S. Pudenziana e con la precisazione che la porpora gli era data per suoi esclusivi meriti, cosa che sembrò al Solaro "una mancanza di riguardo alla dignità della Corona Sabauda […] parendo quasi che la condizione di Nunzio in Torino non fosse titolo bastevole alla elevazione alla porpora cardinalizia" (Lovera - Rinieri, II, p. 292).

Appena si fu rimesso gli toccò un'altra missione difficile come cardinale legato a Forlì. Era, quella, una delle zone più calde di tutto lo Stato pontificio, così sotto il profilo della criminalità comune come della cospirazione politica. Il G. seppe affrontare entrambe le emergenze evitando il ricorso alla forza, ma senza compromettere la dignità del governo, e reagì energicamente inviando le truppe solo quando il 23 sett. 1845 scoppiò a Rimini il moto cui lavoravano da tempo alcuni pericolosi elementi rivoluzionari. L'aver proceduto al licenziamento dei volontari che per difendere l'ordine ricorrevano anche alle provocazioni e, più tardi, l'aver rifiutato nella sua legazione la giustizia sommaria esercitata dalle commissioni speciali lo mise ancora una volta in conflitto con il Lambruschini ma gli procurò il caldo apprezzamento di M. d'Azeglio che negli Ultimi casi di Romagna elogiò "la sua umanità e la nobiltà del cuore che rifugge da ogni lordura di polizia" (Scritti e discorsi politici, I, p. 57).

La popolarità che gli derivò da un simile giudizio parve la sua carta migliore nel conclave apertosi alla morte di Gregorio XVI: entratovi come uno dei candidati favoriti, nei quattro scrutini che il 16 giugno 1846 portarono all'elezione di Pio IX il G. non ebbe mai più di un paio di voti, segno che il fatto di essere considerato "il papa d'Azeglio", come lo definì un cardinale, più che giovargli lo aveva danneggiato; ma anche prescindendo da ciò, è impensabile che il Sacro Collegio potesse scegliere un candidato giunto alla porpora solo da due anni, del tutto privo di esperienza pastorale e al quale per giunta una lontananza più che ventennale da Roma aveva impedito di crearsi in Curia la rete di rapporti indispensabile per il consenso. E tuttavia la fama di cui godeva accreditò la voce che proprio lui e non il Mastai Ferretti fosse stato fatto papa, tanto che la gente lo festeggiò, la servitù bruciò i suoi abiti cardinalizi e a Ceccano, come si usava in questi casi, gli saccheggiarono la casa. Comunque, prima affiancandolo ad altri cinque cardinali in una commissione consultiva di governo insediata il 30 giugno per definire un modo nuovo di strutturare i poteri dello Stato, e poi chiamandolo a reggere dal 1° ag. 1846 la segreteria di Stato, Pio IX ritenne di dare un segnale chiaro della propria volontà riformatrice e di rafforzare al tempo stesso il progetto di governo che gli stava a cuore.

Su questa via il G. lo seguì fino ad un certo punto, convinto che fosse urgente apportare miglioramenti alla macchina statale, ma timoroso anche dei pericoli di un processo di modernizzazione di cui intravedeva in lontananza gli sbocchi costituzionali. In principio, approvò tutte le iniziative del papa cercando al contempo di temperarle con la sua innata prudenza, che non era debolezza di carattere, come più di un osservatore del tempo (e tra gli altri M. Minghetti) sospettò, ma derivava in parte dalla sua esperienza di diplomatico bene al corrente degli equilibri internazionali, in parte anche maggiore dal suo attaccamento agli ideali legittimistici.

Più di una volta il G. giustificò le proprie cautele con la necessità di rinnovare prima tutto il personale dirigente, soprattutto quello della segreteria di Stato, ma non fece mai molto per cambiarlo; e, delle varie commissioni che istituì e delle molte circolari che emanò nei primi mesi del suo incarico, alcune furono bene accolte perché tese ad ammodernare la pubblica amministrazione o a creare un consiglio dei ministri, altre perché annunziavano una migliore tutela della sicurezza pubblica (24 ag. 1846) o autorizzavano la costruzione in concessione delle strade ferrate (novembre 1846) o introducevano una più razionale organizzazione degli uffici giudiziari sopprimendo talune giurisdizioni particolari (1° genn. 1847) poi affidate al tribunale civile di Roma (26 giugno 1847) o avviavano la formazione di una statistica criminale (30 genn. 1847) o ancora garantivano la libera circolazione dei cereali all'interno dello Stato (20 febbr. 1847); altre invece furono subito impopolari e dispiacquero allo stesso Pio IX perché invitavano le autorità a bloccare il fenomeno delle manifestazioni e dei cortei in quanto indebita forma di pressione sul papa (circolare dell'8 ott. 1846, rinnovata il 22 giugno 1847). Sembra che a questa divergenza fossero dovute le prime dimissioni del G., presentate a Pio IX all'inizio di aprile 1847 e subito ritirate dopo qualche generica rassicurazione.

Purtuttavia, forse perché sollecitato anch'egli dai moderati piovuti a Roma da ogni parte d'Italia - M. d'Azeglio anzitutto, ma anche M. Minghetti e N. Tommaseo -, il G. legò il suo nome a due riforme importanti quali l'editto del 15 marzo 1847 che concedeva una limitata libertà di stampa e la circolare che il 19 apr. 1847 istituiva la Consulta di Stato aprendo la via alla partecipazione dei laici alla vita pubblica. Ma intanto l'opinione pubblica romana tendeva immancabilmente a scaricare su di lui le responsabilità degli intralci all'azione innovatrice del papa e questa immagine parve confermata dalla dura opposizione fatta dal G. all'introduzione della guardia civica a Roma e soprattutto in provincia. Si disse allora che, autorizzando una milizia cittadina, egli avesse temuto di determinare una situazione interna potenzialmente incontrollabile: in realtà la parallela consultazione degli inviati austriaci sull'eventualità di un intervento dimostra come tra le paure del G. ci fosse anche quella del coinvolgimento del Papato in una guerra nazionale. La conclusione fu che un giorno dopo aver firmato l'editto sulla guardia civica (5 luglio 1847) il G., che dal 12 giugno presiedeva il Consiglio dei ministri, presentò di nuovo le dimissioni, subito accolte da Pio IX. Lasciò il governo profetizzando per i successori l'impossibilità di "andar d'accordo con un uomo come Pio IX" (Martina, p. 143).

Da allora fece parte di alcune congregazioni e fu spesso consultato dal papa, ma la malattia gli fornì un buon pretesto per stare sempre più in disparte. Quando a fine 1848 si ebbe la crisi rivoluzionaria, il G. prima seguì il papa a Gaeta, poi si ritirò a Lenola dove morì il 3 giugno 1849 e dove fu seppellito nella chiesa di S. Maria Maggiore. Il 25 ott. 1992 i suoi resti sono stati traslati nella chiesa di S. Giovanni Battista a Ceccano.

Fonti e Bibl.: Sul G. è disponibile il lavoro di S. Gizzi, Il card. P.T. G., segretario di Stato di Pio IX, Frosinone 1993, condotto sul materiale d'archivio conservato presso gli eredi e sulle fonti vaticane (un condensato in Id., Il card. T.P. G., segretario di Stato di Papa Pio IX, in Pio IX, XXIV [1995], pp. 117-146); sui fondi dell'Arch. segreto Vaticano, in particolare delle nunziature di Lucerna, Bruxelles e Torino, si basa invece R. Pellegrino, L'attività diplomatica e politica del card. G., tesi di laurea, Università "La Sapienza" di Roma, facoltà di lettere, a.a. 1954; nello stesso archivio è consultabile, ma ha scarso interesse, una busta Gizzi nel fondo Spoglio dei cardinali. Dai fondi della nunziatura di Bruxelles proviene la documentazione utilizzata da A. Simon in Documents relatifs à la nonciature de Bruxelles (1834-1838), Bruxelles-Roma 1958, e in Instructions aux nonces de Bruxelles (1835-1869), ibid. 1961, pp. 39-64; per la Svizzera H. Bastgen, Der schweizer Nuntius G., in Zeitschrift für schweizer Kirchengeschichte, XVII (1924), pp. 237-281. Tra le fonti coeve si segnalano M. Minghetti, Miei ricordi, I, (Anni 1818-1848), Torino 1888, pp. 198-202, 216 s.; N. Tommaseo - G. Capponi, Carteggio ined. dal 1833 al 1874, II-III, a cura di I. Del Lungo - P. Prunas, Bologna 1914-20, ad indicem; Ed. naz. degli scritti di G. Mazzini, XXX, ad indicem; C. Lovera - I. Rinieri, Clemente Solaro della Margarita, II, Torino 1931, pp. 291-295, 382-399; G. Montanelli, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, Firenze 1963, ad indicem; N. Roncalli, Cronaca di Roma, a cura di M.L. Trebiliani, I, (1844-48), Roma 1972, ad indicem; G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, Milano 1980, ad indicem; M. d'Azeglio, Epistolario, III, (1846-1847), a cura di G. Virlogeux, Torino 1992, ad indicem. Molti i riferimenti nella storiografia, specie sulla carica di segretario di Stato: G. Spada, Storia della rivoluz. di Roma…, I, Roma 1869, pp. 52, 81, 99, 102 s., 111 s., 115, 129, 148, 188, 198 s., 227, 234, 246 s.; A. Simon, Le card. Sterckx et son temps (1792-1867), I-II, Wetteren 1950, ad indicem; R. Quazza, Pio IX e Massimo d'Azeglio nelle vicende romane del 1847…, I-II, Modena 1954, ad indicem; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad indicem; Ch. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad indicem; G. Moroni, Diz. d'erudiz. stor.-ecclesiastica (per la consultazione v. Indice generale alfabetico, III, ad nomen); R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, VII, Patavii 1968, ad indicem; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, sub voce.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Clemente solaro della margarita

Congresso di vienna

Opinione pubblica

Monaco di baviera

Massimo d'azeglio