TORIO

Enciclopedia Italiana (1937)

TORIO

Paolo Misciatelli

. Elemento radioattivo di peso atomico 232,12, e numero atomico 90. Venne scoperto nel 1828 da J. J. Berzelius sotto forma di ossido, in un minerale della Norvegia. L'elemento prese il nome dall'antica divinità nordica Thor: il dio del tuono, e il minerale fu chiamato torite. Il torio allo stato di tracce è diffusissimo in natura. Nella crosta terrestre esso raggiunge una percentuale di 0,002% (Clarke). In Italia è comune, sempre allo stato diffuso, in molti materiali eruttivi vulcanici: nel terreno intorno a Roma G. A. Blanc ne trovò una concentrazione del 0,0014%. Il torio accompagna sempre in piccola quantità le terre rare nei minerali che le contengono. In concentrazione maggiore si trova nella torite, nell'orangite, e nella torianite. Sono questi però minerali assai rari e i giacimenti dei primi due in Norvegia sono ormai esauriti. La torianite si ritrova ancora in piccola quantità a Ceylon; essa, oltre all'ossido di torio, contiene sempre anche ossido di uranio.

Il solo minerale torifero al quale si ricorre per l'estrazione dell'elemento è la monazite. Questa si trova come costituente delle sabbie monazitiche del Brasile, delle Caroline e dello stato di Travancore nell'India, mescolata con granito, rutilo, zircone, e varî minerali di ferro. La monazite è una miscela isomorfa di fosfati delle terre rare e può contenere da 1 a 18% di ThO2 (v. anche radioattivi, minerali).

Il torio metallico si presenta come una polvere grigia che contiene sempre dell'ossido. In forma compatta rassomiglia al platino ed è duttile e malleabile. I metodi impiegati per ottenerlo sono basati sulla riduzione dei suoi alogenuri per mezzo dei metalli alcalini. Il torio più puro che si sia fino ad ora ottenuto è stato recentemente preparato insieme con lo zirconio per decomposizione termica dei ioduri.

All'esame con i raggi X, il torio presenta un reticolo cubico a facce centrate di 5,04 Å di lato, con una distanza minima fra gli atomi di 3,54 Å. Il peso specifico è circa 11. È poco attaccato dagli acidi diluiti, si discioglie invece facilmente nell'acido cloridrico fumante e nell'acqua regia. A temperatura elevata reagisce con gli alogeni, con lo zolfo, e con l'azoto.

Il nitrato di torio è impiegato nella fabbricazione delle reticelle incandescenti per le lampade a gas. Nell'anno 1913 vennero preparati a questo scopo 150.000 kg. di nitrato ricavato da 3000 tonn. di monazite. L'ossido di torio viene aggiunto in piccole quantità al tungsteno nella fabbricazione dei filamenti delle lampade a incandescenza; per la sua piccola permeabilità ai raggi X serve bene in radiodiagnostica, come mezzo di contrasto nell'esame dell'apparato digerente. È impiegato anche in varie specialità farmaceutiche. Il fluoruro, in miscela con altri sali, si usa come materiale di riempimento nei carboni animati per le lampade ad arco. Il nitrato viene talvolta impiegato in miscela col magnesio per i lampi in fotografia.

Composti del torio. - Il torio si comporta sempre come tetravalente ed elettropositivo; appartiene quindi, insieme col titanio, zirconio e afnio, al quarto gruppo del sistema periodico degli elementi. Rassomiglia però nelle proprietà chimiche alle terre rare che invece sono trivalenti e appartengono al terzo gruppo.

I composti del torio sono generalmente incolori. L'idrossido si differenzia da quelli degli altri elementi del quarto gruppo per la sua qualità nettamente basica assomigliando sotto questo aspetto maggiormente al cerio.

I sali di torio, subiscono in soluzione una leggiera idrolisi quando sono riscaldati. Per la maggiore sua basicità la tendenza a formare complessi è nel torio minore che negli altri elementi dello stesso gruppo. La maggior parte dei suoi sali si combina con quelli dei metalli alcalini per dare sali doppî (acido-toriati). Fra questi hanno particolare interesse quelli del nitrato giacché difficilmente i nitrati hanno tendenza a dare sali doppî. La solubilità dei carbonati doppî viene sfruttata nell'analisi.

La sostanza di partenza per la preparazione di tutti i composti del torio è il nitrato. L'ossido si può ottenere per calcinazione del nitrato o del solfato o dell'ossalato e, a seconda della temperatura di preparazione e del sale impiegato, presenta variazioni notevoli delle proprietà fisiche e della reagibilità chimica.

Riscaldato all'incandescenza, quando è mescolato coll'1% di cerio, emette un'intensa luce bianca. Venne perciò impiegato dal chimico austriaco K. Auer von Welsbach nelle sue reticelle a incandescenza, le quali provengono dalla calcinazione di uno speciale tessuto preventivamente imbevuto della soluzione dei nitrati.

Dall'ossido, riscaldato in corrente di ossido di carbonio e cloro, si può ottenere il cloruro anidro. Sciogliendo l'idrossido in una soluzione alcoolica di acido cloridrico si hanno invece per essiccamento i cloruri idrati e l'ossicloruro. I solfati si ottengono pure a partire dall'ossido trattandolo a caldo con acido solforico concentrato. Il solfato idrato: Th(SO4)2•8H2O è più solubile a freddo che a caldo.

Dal punto di vista analitico, il torio rassomiglia allo zirconio. Come questo infatti, trattato con solfuro di ammonio, precipita l'idrossido bianco. Il medesimo idrossido precipita con gl'idrati alcalini, l'ammoniaca e il carbonato di bario: l'idrossido è solubile in carbonato di ammonio allo stesso modo dell'idrato di zirconio. I due elementi si differenziano solamente nel comportamento con l'acido ossalico: l'ossalato di torio è insolubile in eccesso di acido ossalico ma si scioglie in ossalato di ammonio dal quale riprecipita per aggiunta di acido cloridrico. Il torio si può separare dalle terre rare che spesso lo accompagnano, profittando della diversa solubilità degl'idrossidi nei carbonati alcalini. Per la determinazione quantitativa si trasforma sempre in idrossido, oppure con acqua ossigenata in perossido; in entrambi i casi per calcinazione si ha l'ossido ThO2 che viene poi pesato.

Radioattività. - Il torio è il capostipite della famiglia di elementi radioattivi che da esso prende il nome. La sua radioattività venne scoperta nel 1898 indipendentemente da G. C. Schmidt e da Madame Curie. La radiazione che accompagna i sali di torio è dovuta principalmente ai radioelementi da esso generati in successive trasformazioni: torio→mesotorio I→mesotorio II→radiotorio→torio X→emanazione di torio→deposito attivo del torio. L'attività è dovuta principalmente al radiotorio e suoi prodotti; i tre elementi che lo precedono dànno solo una minima parte della radiazione γ e solo la metà di quelle α e β. Il torio è sempre accompagnato dal suo isotopo radiotorio. Una separazione è teoricamente possibile ma in pratica è lunghissima, dovendosi ripetutamente per anni togliere il mesotorio man mano che si forma, finché tutto il radiotorio presente all'inizio si sia disintegrato. Il torio da solo emette particelle α di cm. 2,87 di percorso nell'aria, trasformandosi in mesotorio con un periodo (T) = 1,65•1010 anni pari ad una vita media (τ) di circa sedici miliardi e mezzo di anni ed una costante radioattiva (λ) = 4,2 10-11 anni -1.

L'attività dei suoi sali preparati di fresco (in equilibrio col RaTh) cresce per circa un mese (accumulo del ThX) e poi continuamente decresce. L'attività dei preparati di torio sarà quindi una funzione complessa della loro età ed è questo che ne limita in pratica l'impiego. (V. mesotorio).