Tradizioni ecclesiastiche e letterarie copte ed etiopiche

Enciclopedia Costantiniana (2013)

Tradizioni ecclesiastiche e letterarie copte ed etiopiche

Paola Buz
Alessandro Bausi

La tradizione copta e quella etiopica rappresentano due momenti della cristianità alessandrina: la prima quello primario e centrale della sua origine e del suo diretto sviluppo in Chiesa e tradizione nazionale; la seconda quello della sua peculiare fortuna periferica in un paese dell’Africa sub-sahariana che del credo alessandrino ha fatto da quasi diciassette secoli uno dei suoi fattori caratterizzanti più marcati. Questa comune appartenenza giustifica pienamente la presentazione delle tradizioni copte ed etiopiche in una sezione comune.

La tradizione letteraria copta

La figura di Costantino il Grande è veicolata nella tradizione copta da quattro diverse tipologie di testi, che nell’insieme formano un significativo corpus documentario: 1. la produzione storiografica, essenzialmente rappresentata dalla Historia Ecclesiastica Alexandrina e dalla Historia Patriarcharum Alexandrinorum; 2. un considerevole numero di opere di tipo agiografico, spesso di formazione tardiva (VII-VIII secolo); 3. alcuni testi a uso liturgico come il Sinassario Alessandrino e un inno acrostico proveniente dal Fayyum; 4. un solo, eppure estremamente interessante, ostrakon rinvenuto nel monastero di Epifanio a Tebe.

Ciò nonostante, rispetto al ruolo predominante di Diocleziano, l’imperatore empio per eccellenza per i copti, costantemente affiancato dalla sua corte di persecutori e aguzzini, comprimari o comparse dell’imperatore dalmata in numerose passiones, Costantino sembra apparentemente avere una parte marginale nella storia della letteratura copta e spesso, ormai completamente privo dei suoi tratti storici, appare ridotto a un’astratta figura di ‘eroe’, tratteggiata in età tarda per rappresentare il modello ideale di sovrano più che per ricostruire fedelmente i fatti storici a essa legati1.

Da questo punto di vista è bene chiarire da subito che la tradizione letteraria in lingua copta – ma anche alcuni testi in lingua araba ed etiopica che da essa derivano (si pensi soprattutto alla già menzionata Historia Patriarcharum, ma anche alla Cronaca di Giovanni di Nikiou) – nulla aggiunge alla ricostruzione storica dell’età di Costantino, ma semmai la deforma, a tutto vantaggio della celebrazione dell’Egitto come terra d’elezione, in cui la politica del ‘primo imperatore cristiano’ dà i suoi frutti migliori. È in questo contesto che, come si vedrà, si deve inquadrare il tema di Costantino vincitore dei persiani, più volte ricorrente nell’agiografia copta, al quale talora si accosta un topos proprio della letteratura faraonica (Inno ad Aton di Akhenaton, Poema della battaglia di Qadesh di Ramesse II): quello del sovrano che, abbandonato dai propri uomini, può contare sul solo aiuto divino per sconfiggere il nemico2.

A fronte di una, tutto sommato, ampia documentazione letteraria relativa a Costantino, va registrata, di contro, l’assoluta penuria di rappresentazioni iconografiche, che solo futuri scavi archeologici e restauri di cicli pittorici, soprattutto monastici, potrebbero portare a rivedere: allo stato attuale è nota una sola immagine dell’imperatore, consistente in un affresco recentemente rinvenuto, sotto uno spesso strato di intonaco del XVIII secolo, all’interno della chiesa principale del Monastero dei Siriani, nel Wādī ’n-Natrūn, peraltro in pessimo stato di conservazione. Si tratta in effetti non di un affresco copto, ma di un’opera pittorica riferibile alla fase di occupazione del complesso a opera di un gruppo di monaci provenienti dalla Siria (da cui il nome del monastero)3.

Il lacerto pittorico, provvisoriamente datato al X secolo e situato sulla parete est del khūrus, ovvero della navata trasversale che nelle chiese copte, tra VII e XII secolo, separa il corpo della chiesa dal presbiterio, consiste nell’immagine di un cavaliere armato di lancia, che cavalca un destriero nero, a sua volta sormontato da una croce raggiata sospesa in un cielo stellato. La didascalia, in siriaco, che accompagna la pittura dirime ogni dubbio interpretativo: «Il re, quando vide il segno [della] croce [nel c]ielo, credette in Dio». La raffigurazione della conversione di Costantino era affiancata da quella di Abgar, mentre sulla stessa parete erano parimenti ospitati la conversione del ciambellano della Candace a opera di Filippo e Andrea e un’immagine di Gregorio l’Illuminatore, in un coerente programma iconografico4.

Non sarà infine inopportuna una breve digressione sui rinvenimenti numismatici. Nonostante la chiusura della zecca di Alessandria a opera di Diocleziano, intorno al 300, e la conseguente unificazione dei sistemi monetali dell’Impero, a Dionysias, nel Fayyum, sono state rinvenute monete e matrici in terracotta per la fusione di emissioni pertinenti agli imperatori Licinio, Massimiano e Costantino. Quest’ultimo, soprattutto, autorizzando emissioni locali doveva aver tentato di ovviare all’endemica penuria di circolazione monetaria che caratterizza la regione nel Basso Impero5. Emissioni di monete bronzee, per lo più folles, sono attestate in Egitto anche a opera dei figli di Costantino, soprattutto tra il 337 e il 340: si tratta del tipo che presenta al dritto la legenda dv constantinvs pt avgg6 con busto velato dell’imperatore defunto, mentre al rovescio Costantino, stante e parimenti velato, accompagnato dalla legenda vn mr7.

La produzione storiografica

L’Historia Ecclesiastica Alexandrina8 è certamente la più importante opera storiografica in lingua copta (sebbene, con ogni probabilità, originariamente redatta in greco) e rappresenta un chiaro tentativo da parte della Chiesa egiziana di narrare sé stessa, la propria evoluzione e le proprie specificità, che la distinguono – e sempre più la distingueranno – dalla Chiesa internazionale. Da essa traggono ispirazione e materiale sia Giovanni di Nikiou per la sua Cronaca9, sia l’autore della Historia Patriarcharum Alexandrinorum10.

L’opera si componeva di dodici libri, i primi cinque dei quali essenzialmente basati sulla Historia Ecclesiastica di Eusebio, con qualche manipolazione, mentre gli altri sette elaborati sulla base dei documenti ufficiali della cancelleria del patriarcato alessandrino e di tradizioni agiografiche11. L’opera si è conservata, seppur frammentariamente, attraverso due manoscritti, entrambi provenienti dalla celebre biblioteca del Monastero Bianco12.

È certo che prima della Historia Ecclesiastica Alexandrina fossero stati fatti altri tentativi di compilazione storiografica, come attesta ciò che resta di quella che Alberto Camplani definisce «Storia dell’episcopato di Alessandria»13, sopravvissuta solo attraverso alcuni testimoni, come la Historia acephala (o Historia Athanasii).

La prima menzione di Costantino nell’Historia Ecclesiastica Alexandrina è estremamente stringata e si riferisce a un presunto incontro avvenuto a Costantinopoli tra Costanzo, Alessandro, arcivescovo di Alessandria, Ario e Atanasio, futuro successore di Alessandro, all’indomani della morte di Costantino e delle decisioni prese durante il concilio di Nicea14:

Quando Costantino, il principe credente, morì in una buona vecchiaia, Costanzo suo figlio fu messo sul trono dopo di lui, ma non rimase fermo nella sua fede ortodossa […]. Allora Ario colse quest’occasione e mirò a prendere il controllo del principe, lo portò fuori strada, lo trascinò verso il suo volere, corruppe il suo cuore e lo indusse a portare l’impero verso la sua dottrina, fino a quando non mandò a chiamare Alessandro da Alessandria a Costantinopoli15.

La narrazione si sposta poi rapidamente su Alessandro di Alessandria, ormai «avanti negli anni», sul suo conflitto con Ario e sul determinante ruolo del giovane Atanasio, «interprete, scriba e portavoce» di Alessandro, nel contrastare l’eretico: nonostante Ario avesse corrotto i custodi delle porte reali per evitare che il giovane potesse rientrare nell’assemblea, Atanasio riuscì a rendere inoffensivi gli inganni da lui orditi, irrompendo nell’aula e ricordando a Costanzo i provvedimenti contro Ario già presi in passato da Costantino:

«Infatti l’imperatore tuo padre sottoscrisse la sua scomunica e lo sottopose al prefetto, e se indagherai troverai gli atti. Per quanto mi riguarda, non sarebbe per me poco pericoloso annullare una disposizione che stabilì l’imperatore. Soprattutto perché il tuo stesso padre presenziò alla sua scomunica al concilio a cui ci riunì a Nicea». L’imperatore, dopo che udì ciò, si astenne a causa di suo fratello Costante, affinché non lo incolpasse di trascurare le disposizioni dell’imperatore ed egli gli si levasse contro. Dunque lasciò andare Alessandro e questi se ne andò alla sua città, mentre Ario rimase nella scomunica16.

Si prosegue poi con la morte di Alessandro, il patriarcato di Atanasio, che «rinnovò subito la scomunica di Ario e la lesse a tutto il popolo nel mezzo della Chiesa», i suoi esili, fino alla morte di Costanzo e alla salita al trono di Costante, «che era ortodosso» e «subito convocò Atanasio e lo rimise sul trono»17.

Poco più avanti l’imperatore Costantino viene nuovamente menzionato, seppur brevemente, per ricordare che dopo «che morì Costante diventò imperatore al suo posto Giuliano, empio pagano, discendente dalla sorella del grande Costantino. Suo marito infatti era pagano». Si tratta evidentemente di un’affermazione inesatta, poiché Claudio Flavio Giuliano era figlio di Basilina e di Giulio Costanzo, quest’ultimo fratellastro di Costantino, essendo nato da Costanzo Cloro e Flavia Massimiana Teodora, figlia di Massimiano. Le imprecisioni continuano anche nel prosieguo della narrazione:

I figli di Costantino videro che il giovane era sfrontato, e lo disconobbero, in modo che non ricevesse il regno del loro padre. Presero il piccolo e lo consegnarono alla Chiesa e lo fecero lettore. Ma i fedeli di suo padre lo educarono nel paganesimo. Dopo che morì Costante, divenne imperatore al suo posto Giuliano, e subito adottò il paganesimo e provvide a riaprire i templi pubblicamente. Egli risiedeva nel palazzo di Antiochia, perché non era degno di abitare nelle residenze di Costantino18.

Anche in questo caso è ben noto che Giuliano, ancora bambino alla morte di Costantino, venne esiliato dapprima a Nicomedia e successivamente a Macellum, una località sulle montagne della Cappadocia, e posto inizialmente sotto la guida del vescovo Eusebio e poi sotto quella del vescovo Giorgio, senza per questo essere mai stato nominato lettore19.

Tali gravi errori si possono certamente imputare anche all’imperfetto controllo delle fonti storiche da parte del redattore, ma è probabile che dipendano soprattutto dalla volontà di enfatizzare la cristianità di Costantino e della sua casata, contrapponendola a quella di un imperatore empio, in questo caso Giuliano, che «non era degno di abitare nelle residenze di Costantino». In tale ottica, l’esattezza dei dati storici diviene evidentemente del tutto ininfluente.

L’Historia Patriarcharum Alexandrinorum, redatta in arabo a partire dal X secolo, riutilizzando in gran parte materiale greco e copto, si rivela nella stesura delle vite dei patriarchi Alessandro e Atanasio, che qui interessa prendere in esame, molto fedele alla Historia Ecclesiastica Alexandrina, limitandosi in molti passaggi a una mera traduzione.

Nella vita di Alessandro, in particolare, ritorna il topos della debolezza dell’ortodossia di Costanzo: «così Ario rimase in esilio sotto pena di scomunica per molti anni. Poi si recò a Costantinopoli e si lamentò davanti a Costanzo, figlio del benedetto principe Costantino, raccontando come era stato trattato e dichiarando che era pentito e che rinunciava alla sua falsa dottrina; e lo giurò».

Più ampio e interessante è il resoconto delle posizioni assunte da Costantino nei confronti dell’eterodossia di Ario contenuto nel capitolo dedicato alla vita di Atanasio:

E il concilio di Nicea fu tenuto a causa sua e i capi dei quattro seggi [episcopali] erano riuniti per giudicarlo, e precisamente i patriarchi di Roma, Alessandria, Efeso e Antiochia; e Costantino, il principe credente, sedeva con loro. Ed essi stabilirono la fede ortodossa e il tempo del digiuno e della Pasqua. E il principe disse ai vescovi nel concilio: «Io vi prego che facciate di Costantinopoli una sede patriarcale, perché è la città del principe […]». Così, quando videro la sua umiltà, fecero ciò che egli li aveva pregati di fare. Ed espulsero Ario l’empio. E Costantino, il principe credente, scrisse la scomunica di Ario l’empio con le sue stesse mani […]. Allora Ario fuggì in Africa e non trovò pace nei giorni di Costantino e nei giorni del patriarca Alessandro20.

Il racconto di quello che accade alla morte di Costantino riprende quasi alla lettera la versione della Historia Ecclesiastica Alexandrina: da Costanzo che «non rimase fermo nella sua fede ortodossa», alla descrizione del ruolo di Atanasio «interprete, scriba e portavoce» di Alessandro, al tentativo di Ario di corrompere i custodi delle porte reali perché impediscano ad Atanasio di intervenire nell’assemblea, fino all’invito rivolto a Costante perché cerchi i documenti di scomunica promulgati da Costantino.

Appare dunque evidente che le due Historiae fanno uso delle medesime fonti e che l’opera storiografica in lingua araba, almeno in tutta la sua prima parte, dipende quasi completamente dall’antecedente copto21.

La letteratura agiografica

L’approssimazione dei dati storici relativi all’età di Costantino propria della letteratura copta diviene ancor più evidente nell’ambito della produzione agiografica, che, fra traduzioni dal greco e produzione originale, si sviluppa nel periodo compreso tra il IV e l’VIII-IX secolo.

L’evoluzione della letteratura in lingua copta appare, come la lingua stessa, ordinata e ragionata, scandendo le fasi e le trasformazioni dottrinali del cristianesimo egiziano. È così che, tra il IV e il V secolo, archiviata la fase di traduzione di opere bibliche e gnostiche e avviata da tempo quella della traduzione delle omelie dei Padri della Chiesa e dei testi agiografici della cristianità internazionale, l’Egitto è ormai pronto a un salto decisivo: la creazione di una letteratura originale realizzata direttamente in copto, per la quale determinante è l’apporto fornito dal monachesimo.

Parallelamente alla produzione originale, continua tuttavia l’attività di traduzione di testi omiletici e agiografici, con particolare riguardo a quelli il cui utilizzo poteva essere d’ausilio per la direzione spirituale delle comunità monastiche. Nella stessa fase si diffonde inoltre sempre di più il gusto per i testi agiografici che, sfusi o più spesso riuniti in cicli, ereditano le caratteristiche generali delle analoghe opere tradotte in precedenza dal greco, ma hanno ora come protagonisti sempre più spesso martiri egiziani. Il materiale su cui si basano questi martirii, in circolazione già da tempo, a partire dal VI secolo viene rielaborato e riorganizzato a formare dei cicli, attraverso un processo che si protrarrà almeno fino a tutto l’VIII secolo. Si tratta di passioni caratterizzate da alcuni elementi ricorrenti: un empio imperatore (di solito Diocleziano), un editto di persecuzione, un giudice crudele, una lunga serie di supplizi imposti al martire e un’altrettanto lunga serie di miracoli operati da quest’ultimo.

La conquista araba non sembra inizialmente influire sulla produzione testuale in lingua copta, ma si tratta di un equilibrio precario: quando il controllo dei nuovi dominatori si fa più intransigente, fiorisce la produzione di ‘cicli pseudo-epigrafi’, non solo attribuiti a personaggi per lo più fittizi, ma, nell’impossibilità di un’aperta presa di posizione contro i nuovi dominatori, falsamente polemici nei confronti di anacronistici nemici dell’ortodossia (VIII secolo). L’ultima fase della letteratura copta è caratterizzata dalla sistemazione e dalla selezione di quei testi che, rielaborati – anche a mezzo dell’apposizione di un nuovo titolo –, si prestavano all’uso liturgico. Esito finale di tale lavoro è la redazione del Sinassario Alessandrino, consistente in una selezione di testi agiografici – abbreviati e molto spesso rielaborati – organizzati secondo il calendario liturgico.

L’anti-Diocleziano: Costantino il ‘liberatore’

In una siffatta, vasta e varia produzione agiografica Costantino è personaggio piuttosto ricorrente, sebbene raramente centrale, comparendo in numerose opere e incarnando soprattutto, com’è ovvio, il ruolo di antagonista di Diocleziano, cui si aggiunge tuttavia una funzione ancor più specifica: quella di responsabile della scarcerazione dei cristiani ingiustamente reclusi nelle prigioni egiziane.

È il caso della Passio Nabrahae22, un testo agiografico tardivo (VII secolo circa) tramandato da un unico codice rinvenuto nel Fayyum, in cui Costantino ha una parte non preponderante, eppure decisamente importante.

Nabraha, originario del villaggio di Pkalankeh, è vittima della spietata applicazione dell’editto di Diocleziano a opera di Ariano, governatore d’Egitto, che dopo un colorito alterco lo condanna a morte per non aver voluto offrire sacrifici ad Apollo e Artemide. Tra apparizioni del demonio, dell’arcangelo Raffaele e di Gesù, Nabraha viene sottoposto a ogni genere di tortura, senza tuttavia arrivare alla morte. Ariano decide allora di trasferirlo ad Antinoe – una delle sedi tribunalizie dell’Egitto imperiale –, ma la barca su cui si trovano sia il condannato che i suoi aguzzini si blocca al centro del fiume. Alle preghiere di Nabraha, un forte vento proveniente da nord scuote l’imbarcazione, sospingendo i passeggeri fino alla riva e provocando il terrore dei soldati. Chiuso nel carcere di Antinoe, Nabraha guarisce il figlio indemoniato del cubicularius Massimo, ma viene comunque trascinato in tribunale per essere sottoposto a nuove terribili prove. Solo l’adventus dell’imperatore Costantino restituisce a Nabraha libertà e serenità:

Il beato re Costantino si impossessò della loro regalità […] ordinò di rilasciare tutti i cristiani che erano stati imprigionati nel nome di Cristo. E quando furono rimessi in libertà coloro che erano nelle miniere e nelle carceri, da Alessandria fino ad Antinoe, fu rilasciato anche il beato apa Nabraha23.

Il tema di Costantino ‘liberatore’, contrapposto all’irrecuperabile empietà di Diocleziano, già accennato nella Passio Nabrahae, è ripreso più ampiamente in un’omelia probabilmente ancor più tardiva, sebbene basata su precedente materiale greco: la In Georgium attribuita in copto a Teodoto, vescovo di Ancyra in Galazia24, attinge dal vasto materiale del ciclo di Giorgio (miracoli e passioni), rielaborandone alcuni episodi e combinandoli in nuove forme, operazione che deve con tutta probabilità essere riferita al VII-VIII secolo. L’intreccio narrativo, che si apre con le lodi di Giorgio per narrarne poi le torture subite a opera di Dadianos, fantomatico re di Persia, la storia della sua stirpe e la sua decollazione, si conclude con la traslazione a Diospolis delle spoglie di Giorgio da parte del servo Pasikrates, la consacrazione di un santuario in suo onore e i miracoli da lui compiuti una volta morto. È a questo punto che s’inserisce la figura di Costantino:

Il giorno della consacrazione del santuario di San Giorgio, il 7 del mese di Hathor, si verificarono molti miracoli: Giorgio annientò il generale Euchios, accecò Diocleziano25 e lo cacciò dal suo palazzo, e mise sul trono Costantino al suo posto. E Costantino aprì le chiese di tutto il mondo, aprì le porte delle prigioni, manifestò la croce, confermò la fede ortodossa, costruì la chiesa della Resurrezione di nostro Signore a Gerusalemme e molte chiese in tutto il mondo. Ed egli andò nel santuario della chiesa della Resurrezione e pregò là, e andò nel santuario di San Giorgio con sua madre Elena e sua sorella Eudossia, e San Giorgio gli apparve di notte e gli disse che cosa avrebbe fatto, ed egli costruì il santo santuario di Diospolis, che prima era piccolo, e lo fece bello26.

In tanta profusione di dettagli colpisce l’evidente e grossolano errore storico che fa di Eudossia la sorella di Costantino: che si voglia identificare tale personaggio con Licinia Eudossia, figlia dell’imperatore Teodosio II e moglie di Valentiniano III, o con Elia Eudossia, figlia del franco Bautone e sposa di Arcadio, oppure ancora con Eudocia, moglie di Teodosio II e madre di Licinia Eudossia, è evidente che nulla ha a che fare con Costantino. Tale fittizia parentela è tuttavia ben radicata nella tradizione copta, come attesta la Historia Eudoxiae27, che attribuisce all’immaginaria sorella di Costantino l’invenzione della croce e del Santo Sepolcro28. Nella Historia Eudoxiae torna peraltro anche la condanna senza appello a Diocleziano, che, reso cieco per la sua empietà, affida personalmente il regno al suo successore:

«Chiamatemi tosto Costantino perché il Dio dei cristiani già gli ha dato il regno». […] «Fratello Costantino, re di giustizia, perdonami perché tu parlasti con me molte volte in segreto, dicendo: “Guardati dagli idoli e non dal Dio dei cristiani”, ma io non ti ho ascoltato. Ecco dunque oggi mi è stato tolto il mio regno ed è stato dato a te». Lo allontanarono allora i generali del palazzo e i suoi servi lo condussero fuori dalla porta di Antiochia e lo lasciarono lì a chiedere pietà a quelli che passavano […] fino al giorno della sua morte29.

Tale ammissione di colpa non gli assicura tuttavia il perdono divino, tanto che, dopo sette anni vissuti da mendicante, «la sua lingua si riempì di sterco e, divenuta verminosa, morì».

Un ulteriore esempio di contrapposizione tra l’empietà di Diocleziano e la pia rettitudine di Costantino, qui fugacemente menzionato, è rappresentato dalla Passio Camoul30, anch’essa un’omelia tardiva, giunta mutila e nata dall’accostamento di almeno due testi originariamente indipendenti. Il primo di essi ha per protagonista Camoul, che, rinchiuso in prigione e torturato per volontà del governatore Pompeo, viene miracolosamente guarito e riceve la visione di Gesù che gli preannuncia una fine gloriosa. A questo primo nucleo se ne aggiunge un secondo incentrato sulla figura di Giulio di Kbehs (o di Aqfāḥs), il cosiddetto ‘storiografo dei martiri’31, responsabile del trasferimento della salma di Camoul dapprima nel suo villaggio natale, Tarabia, nel Delta orientale, e poi a Peremun, dove riceve degna sepoltura, compiendo miracoli. La storia prosegue avendo Giulio come protagonista, impegnato a convincere il governatore Armenio a risparmiare la vita di molti cristiani, che verranno definitivamente salvati dall’ascesa al trono di Costantino. Giulio li accoglie e li ospita nella sua casa fino alla loro morte.

È interessante sottolineare come Giulio di Aqfāḥs sia figura ricorrente anche in numerose altre opere la cui conclusione è rappresentata dall’ascesa al trono di Costantino. È il caso della Passio Shenufe32, il cui intreccio è reso particolarmente complesso dal numero di personaggi, per lo più destinati al martirio, che vi sono coinvolti e dal continuo cambio di ambientazione, da Antiochia ad Alessandria, da Menfi ad Arsinoe, fino a Bubasti, dove Shenufe, insieme ad altri, trova infine la morte, alla presenza di Giulio di Aqfāḥs, che si occuperà di registrare gli atti del suo martirio, così come di quello dei numerosi altri personaggi che si affacciano in questa narrazione, affidandoli al segretario Trafane. Alla morte di Diocleziano, Giulio chiede di scarcerare i cristiani che ancora si trovano in prigione, ma il comandante si rifiuta di dargli ascolto, poiché crede che il nuovo imperatore non farà che convalidare l’editto di Diocleziano. L’adventus di Costantino tuttavia cambia completamente le cose: i cristiani vengono liberati e Giulio può inviare i suoi servitori in tutto l’Egitto per raccogliere notizie su coloro che hanno perso la vita durante la Grande persecuzione.

Ancora al tema della scarcerazione dei cristiani a opera di Costantino è dedicata la Passio Macarii33, che si apre con le torture inferte a Macario da Diocleziano, il quale minaccia di fargli subire il martirio per mezzo del rogo. Dopo essere passato per le mani di numerosi governatori locali, Macario viene inviato al suo ultimo carceriere, il governatore Ariano, che lo fa decapitare. Il suo corpo viene seppellito da una folla di fedeli, mentre il solito Giulio di Aqfāḥs ne registra gli atti. È a questo punto che entra in scena Costantino, eletto imperatore dai capitani del popolo e dal Senato, mentre Diocleziano, punito per volontà divina con la cecità a causa delle sue malefatte, viene cacciato dal regno. Costantino promulga immediatamente la devozione nei confronti di un unico Dio e ordina la confisca e la distruzione dei templi pagani, nonché la scarcerazione di tutti i cristiani ingiustamente reclusi, che vengono assistiti e compensati dei torti subiti per mezzo del tesoro imperiale. Gli effetti dell’editto raggiungono naturalmente anche Alessandria, dove tuttavia il governatore locale, pur scarcerando i cristiani, non provvede a chiudere i templi pagani. Avvertito dai maggiorenti della città, Costantino, irritato, invia nella metropoli l’eparca Eulogio, fratello di Macario, che uccide il governatore di Alessandria e inizia una sistematica persecuzione dei culti tradizionali, distruggendone i templi e costruendo nuove chiese, dal nord al sud dell’Egitto. L’omelia si chiude con il rinvenimento del corpo di Macario e la costruzione di un martyrion sulla sua tomba.

Nell’ambito del filone narrativo di Costantino ‘liberatore’, vale infine la pena di menzionare, seppur brevemente, la Passio Isidori34, la cui versione copta appare molto rimaneggiata rispetto a quella greca, riutilizzando materiale delle Passiones Philothei, Pantaleonis, Georgi e Victoris. La narrazione ha per fulcro la famiglia del governatore antiocheno Pantaleone che, con sua moglie Sofia e suo figlio Isidoro, rimane saldamente fedele al cristianesimo nonostante l’editto dioclezianeo. Per questa ragione Pantaleone e i suoi familiari vengono sottoposti a lunghe torture, impartite loro dall’imperatore in persona. Quando la provvidenza divina mette fine al regno di Diocleziano, e Costantino sale al trono, le loro reliquie vengono traslate a Costantinopoli. Ciò che rende la Passio Isidori particolarmente interessante è l’inedito racconto che vede il giovane futuro imperatore Costantino, spaventato dall’editto dioclezianeo, cercare rifugio proprio presso la famiglia di Pantaleone. È evidente che l’intento del redattore dell’opera è quello di provare le profonde radici della giusta fede di Costantino, acuendo così il contrasto con l’empietà del suo predecessore.

Costantino convertitore di terre idolatre

A una fase produttiva di poco anteriore rispetto alle opere sin qui analizzate appartiene l’In Michaelem, omelia composta durante quello che Tito Orlandi definisce «periodo di Teodosio» (VI secolo)35 e attribuita a Severo di Antiochia36. L’In Michaelem propone per l’imperatore Costantino un ruolo che non sembra avere avuto séguito nella successiva produzione agiografica, quello di convertitore di terre idolatre.

L’opera in questione ruota attorno ai destini della famiglia di Gesdon, mercante pagano originario di Entiake, il quale giunge con le sue mercanzie a Kalonia, dove rimane estremamente colpito da una cerimonia in onore dell’arcangelo Michele, tanto da chiedere di essere ammesso nel santuario per poter fare una donazione. Appreso che ciò non è possibile poiché non è battezzato, Gesdon chiede allora di ricevere il sacramento, ma il vescovo si rifiuta, poiché teme che i suoi familiari, ancora pagani, possano convincerlo a riabbracciare l’antica fede. Avvilito, Gesdon si avvia verso casa, ma viene sorpreso da una tempesta scatenata dal demonio. Istintivamente il mercante rivolge le sue preghiere a Michele, che prontamente gli salva la vita. Al suo rientro, Gesdon racconta l’accaduto alla propria famiglia, che, a sua volta profondamente colpita dall’evento, si reca a Kalonia per ricevere il battesimo.

La benevolenza di Michele nei confronti di Gesdon, battezzato con il nome di Matteo, si rivelerà in seguito in molte altre occasioni, come quando l’intera famiglia sarà accusata ingiustamente di furto o quando, morto Gesdon/Matteo, i suoi figli saranno tacciati di assassinio: Michele, sotto le spoglie di «potente generale dell’imperatore Costantino», riuscirà a sottrarre il governatore di Entiake agli inganni e alle lusinghe del diavolo, tanto da fargli recuperare la ragione e spingerlo alla conversione. Giovanni, figlio maggiore di Matteo, lo prega allora di scrivere all’imperatore Costantino perché invii un vescovo a santificare la città:

«Alzati e scrivi a Costantino, imperatore dei greci, e raccontagli tutto ciò che è accaduto e pregalo di mandarci uno dei vescovi della sua terra» […]. Kesanthos il governatore scrisse all’imperatore Costantino, dicendo: «Kesanthos, che gli uomini chiamano governatore, scrive al potente governante e imperatore Costantino, servitore di Gesù Cristo, saluti. Un portentoso atto di grazia è avvenuto» […]. E l’imperatore Costantino ricevette la lettera con grande prontezza, la lesse e si meravigliò molto di ciò che accadde e glorificò Dio. E scrisse al santo Giovanni vescovo di Efeso con grande sollecitudine, dicendo: «[…] Vai nella città di Entiake e guarisci coloro che sono malati nel nome del Signore e allontanati dal culto degli idoli contaminati, battezzali nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo […]». E Costantino mandò questa lettera ad apa Giovanni, insieme a quella di Kesanthos il governatore. E quando l’arcivescovo ebbe letto la lettera gioì molto per la conversione dell’intero paese.

Costantino tutore dell’ortodossia

L’interazione tra Alessandro di Alessandria e Costantino torna in un testo particolarmente interessante, l’In Lucam 11.5-9 attribuito ad Atanasio di Alessandria37 e tramandato da un codice, quasi integro, proveniente dalla biblioteca del monastero di Hamuli38. L’opera è un collage di testi originariamente indipendenti, incentrati prevalentemente sul tema della penitenza, che si esplica attraverso il commento esegetico del passo dell’evangelista, cui viene accostata la narrazione di un miracolo attribuito a Pacomio, ove si narra del pentimento di un ricco privo di sentimenti di carità. Si passa quindi all’analisi di un concreto problema teologico: il numero di mesi passati da Gesù nel ventre di Maria, evidentemente connesso alla discussione circa il carattere completamente umano o meno del corpo di Gesù. Protagonista della vicenda è un tal Carpocrazio, probabile pallida memoria del Carpocrate del II secolo, esponente dell’eresia ebionita:

Accadde che, quando fu riunito il sinodo dei santi padri vescovi a Nicea per volere del pio imperatore Costantino, vi era un tale, di nome Carpocrazio – che non è degno di essere nominato –, che sedeva anch’egli nel sinodo. E mentre i padri santi definivano il confine della fede, alla presenza dello Spirito Santo che li ispirava, quell’impuro discuteva con loro audacemente, attaccando briga. Dopo un po’ che contraddiceva alla verità, dicendo che non era la verità quella che dicevano i nostri padri, Costantino lo chiamò a sé e gli disse: «Come fai a sapere che non è quella la verità, mentre i nostri padri lo affermano? […]». Rispose quello […]: «Non è quella la verità, che Cristo stette nove mesi nel ventre di Maria, la vergine santa; ma solo sette mesi»39.

A dirimere ogni dubbio, come spesso accade nella tradizione letteraria copta, è un accadimento miracoloso: «poiché quel folle impuro persistette ad opporsi […], l’imperatore decise in questo modo: “Vengano portati i due mantelli, quello dell’arcivescovo santo apa Alessandro e quello di Carpocrazio l’impuro; vengano gettati ambedue nel fuoco; e quello che brucerà è di colui la cui fede è vacua”». Mentre il mantello di Carpocrazio viene divorato dalle fiamme, quello di Alessandro appare più splendente che mai. Ciò basta a stabilire quale sia l’ortodossia.

Costantino costruttore di luoghi santi

Un altro tema agiografico che vede la frequente, seppur molto marginale, apparizione di Costantino è quello che lo vuole infaticabile costruttore di luoghi santi40. In questo genere di omelie riferibili al ‘ciclo della costruzione dei santuari’, a Costantino viene ancora una volta riservata solo la parte conclusiva dell’omelia. Spesso si tratta di poco più che una menzione, utile tuttavia a comprendere come, ancora tra VI e VIII secolo, il suo regno, e quello dei suoi immediati successori, fosse considerato come la migliore delle epoche possibili.

È quanto avviene nell’In Mariam Virginem di Cirillo di Gerusalemme41, opera legata a un ciclo cui appartengono anche due omelie sulla Passione42.

L’opera si apre con un’ampia introduzione di impronta teologica, che mira a dimostrare la natura umana e corporea di Maria contro chi la vorrebbe una mera dynamis. Si innesta a questo punto una digressione che narra la storia del monaco Annarico di Maiuma, convertito da Cirillo. La seconda parte dell’omelia è dedicata alla Dormitio Virginis: Maria, dopo aver contemplato la morte, si addormenta avvolta in un fascio di luce. Cristo ordina allora ai suoi discepoli di portare il corpo di sua madre nella valle di Giosafat, di posare lì la sua bara e di andarsene per evitare di essere scoperti dai giudei. Una folla salmodiante di angeli e fedeli trasporta il corpo della Vergine nel luogo convenuto. Il sinedrio, riunito poco distante, viene a sua volta informato della morte di Maria, e decide di impedirne la sepoltura perché la sua tomba non divenga luogo di pellegrinaggi e miracoli. La processione di fedeli abbandona la bara e lascia in fretta la valle di Giosafat, temendo l’arrivo dei giudei, i quali tuttavia trovano solo una bara vuota e cercano inutilmente il corpo di Maria, fino a quando una voce dal cielo intima loro di desistere. L’omelia si conclude con una sorta di riassunto della vita di Maria, che «visse 60 anni, partorì a 15 anni, seguì il Salvatore in predicazione per tre anni e mezzo, visse undici anni e mezzo dopo la Resurrezione. Sotto il regno di Costantino e di suo figlio, imperatori giusti, fu costruita una chiesa in onore di Maria nel giorno della sua commemorazione».

Il riferimento alla costruzione di chiese e santuari dovuta a Costantino torna, brevemente, nel De ecclesia Mariae Virginis, un’omelia più tardiva (VII secolo circa) attribuita a Basilio di Cesarea43, il cui testo è tramandato da due codici, entrambi provenienti dal monastero di S. Macario, nel Wādī ’n-Natrūn44.

Dopo un proemio dedicato alla consacrazione di una chiesa a opera di Basilio – celebrazione in occasione della quale si finge venga pronunciata la stessa omelia –, si racconta di un viaggio da lui intrapreso a Gerusalemme, durante il quale si reca alla casa che era stata di Maria, madre di Marco l’evangelista, nella cui biblioteca, tra le altre opere, trova una lettera di Luca l’evangelista che narra della costruzione della prima chiesa in onore della Vergine e che viene riportata per esteso45. Interessante è la precisazione che il viaggio compiuto da Basilio, prima di essere eletto vescovo, ha la finalità precipua di «venerare luoghi santi costruiti dal pio re Costantino».

L’invenzione della croce e le campagne militari contro i persiani

Uno dei temi più importanti sviluppati nella letteratura copta che veda il coinvolgimento di Costantino e della sua famiglia è senza dubbio quello dell’invenzione della croce46, attestato già nella produzione agiografica antica con la Passio Iudae Cyriaci47.

Nell’opera in questione l’apparizione di Costantino è poco più che episodica, dal momento che la narrazione si concentra soprattutto sulla figura dell’imperatore Giuliano. La Passio narra di come, durante il regno di Costantino «credente in un dio unico», Elena si rechi a Gerusalemme allo scopo di rintracciare il luogo in cui è nascosto il Sacro Legno, luogo che le viene rivelato da un ebreo di nome Giuda, che presto si convertirà al cristianesimo, divenendo in seguito arcivescovo di Gerusalemme con il nome di Ciriaco. Morti sia Elena che Costantino, il regno passa a Costanzo e Costante, ma Costanzo si rivela essere debole nella sua fede, tanto che Dio lo punisce sconvolgendo il suo regno. Costante, succeduto al fratello, ristabilisce la pace e la fede, ma alla sua morte sale al trono Giuliano, che riapre i templi pagani e perseguita i cristiani anche con tasse e confische di terre. Quando l’editto viene applicato in Palestina, Ciriaco con una lettera inviata in tutta la regione tenta di confortare gli afflitti, ma la notizia del suo operato giunge a Giuliano, che, al suo ritorno dalla Persia, lo convoca. Giuliano, che sostiene di essere sul trono grazie al favore di Giove, ingiunge a Ciriaco e a sua madre Anna di sacrificare agli dei, promettendo loro onori, ma entrambi rifiutano. La narrazione prosegue con il racconto delle torture e delle mutilazioni subite da Ciriaco fino al compimento del martirio. L’opera infine si conclude con la narrazione di una nuova campagna militare intrapresa da Giuliano contro i sasanidi e la vendetta di Dio che trafigge l’empio con una lancia invisibile48.

L’immagine della morte ingloriosa di Giuliano – che la tradizione storiografica latina attribuisce effettivamente a una ferita all’addome causata da una lancia49 – è ancor più efficace se la si accosta alle vittoriose campagne militari di Costantino contro i sasanidi più volte ricordate dalla letteratura copta.

Il tema dell’invenzione della croce si intreccia infatti con quello che vede Costantino vincitore dei persiani nella Passio Eusignii50, sfortunatamente giunta lacunosa. Si tratta di un’opera che, pur essendo la traduzione di un’omelia greca, se ne discosta in più di un punto. In particolare, totalmente stravolta è la narrazione dell’apparizione della croce luminosa a Costantino, che avrebbe visto il prodigioso segno non all’alba del fatale scontro con Massenzio a ponte Milvio, ma piuttosto in occasione di una battaglia contro i persiani, versione questa che viene ripresa anche dal Sinassario Alessandrino.

È lo stesso Eusignio, durante il martirio subito a opera di Giuliano, a raccontare dell’apparizione della croce sulla riva del Danubio, là dove Costantino aveva fissato il suo accampamento. Ma il nucleo più interessante della Passio è senza dubbio l’alterco con Giuliano, durante il quale Eusignio afferma trionfante che «Costantino – che era figlio di una prostituta – quando divenne imperatore conobbe il Signore Gesù Cristo». Affermazione questa che suscita lo sdegno di Giuliano, che vede così infangate le proprie origini (sebbene egli non fosse evidentemente diretto discendente di Elena). Il racconto continua con la narrazione di un’altra battaglia contro i persiani, nel corso della quale Costantino viene catturato in un’imboscata, trovandosi in balia dei nemici e assistito dal solo aiuto di Dio.

Il tema dell’invenzione della croce viene ripreso e assai più ampiamente sviluppato nell’In Crucem attribuita in copto a Cirillo di Gerusalemme51, la cui trama, molto complessa, si basa su numerosi nuclei narrativi, originariamente indipendenti, che qui si intrecciano ripetutamente gli uni con gli altri. Si tratta di un caso estremamente interessante per comprendere come avveniva la formazione di opere tardive, in cui frammenti di testi precedenti vengono accostati, a volte forzatamente, a formare una concatenazione di episodi, talora stridenti, racchiusi all’interno di una nuova cornice narrativa e preceduti da un nuovo titolo, spesso assai lungo.

Nell’In Crucem ritorna il motivo dello svelamento del luogo della croce da parte di Giuda/Ciriaco, ma la ricerca della reliquia è spostata dopo la morte di Costantino; viene inoltre ripreso ancora una volta anche il tema della guerra contro i persiani.

Come si vede, sia nella Passio Eusignii sia nell’In Crucem l’interesse per la verità storica è del tutto carente e le pallide memorie superstiti vengono adattate, senza troppo imbarazzo, allo scopo di esaltare la cristianità di Costantino, facendola risalire a un periodo anteriore a quello storicamente accertato.

Dopo un prologo dedicato alla regalità e all’umanità di Cristo, basato su passi biblici, la scena si sposta sulla storia del samaritano Isaac, originario del villaggio di Joppa, che, avendo appreso dell’intenzione dei suoi vicini di recarsi a Gerusalemme per adorare la croce, decide di cogliere quell’occasione per ottemperare alla tradizione samaritana di purificare ogni sette anni i propri beni; si unisce dunque al gruppo per poter bagnare alcuni oggetti preziosi di sua proprietà nella sorgente di Gabaon, là dove Giosuè aveva diviso la terra e circonciso gli uomini. Lungo il viaggio la folla raggiunge uno stagno d’acqua putrida, evento che Isaac interpreta come un segno di Dio, contrario a quella spedizione destinata all’adorazione della croce. Il presbitero Bachios, capo di una comunità monastica di Askalon, udite le parole di Isaac, dopo essersi informato sulla sua fede, lega due pezzi di legno a formare una croce, li getta nello stagno, e trasforma l’acqua putrida in un’acqua limpida e dolce come miele, che disseta la folla esausta; in fondo allo stagno, intanto, la piccola croce riluce come una fiaccola. Il racconto prosegue con il viaggio di Isaac, ormai convertito al cristianesimo, verso Gerusalemme allo scopo di ricevere il battesimo per mano di Cirillo. Si inserisce a questo punto la predica pronunciata da Cirillo in lode della croce che Isaac stesso ascolta nella chiesa della Resurrezione e la prima parte della quale tratta della miracolosa guarigione di Rufo, figlio di Cleopa, dopo che era stato inumato accanto al sepolcro di Cristo. Cirillo prosegue poi con la storia dell’occultamento del Santo Sepolcro da parte dei giudei, fino ad arrivare al nucleo narrativo più importante, quello del ritrovamento della croce da parte di Elena:

Voi udiste dell’imperatore pio, quello che splendette su di noi come una stella luminosa dal cielo, quello che glorificò la croce e la stessa croce gli diede ogni gloria e onore; quello che ornò tutte le chiese del mondo con ogni genere di ornamento regale, che ripose tutta la sua speranza nel Cristo aggrappandosi a lui in tutti i suoi giorni; che chiuse le porte dei templi agl’idoli, donò pace alla Chiesa ovunque; che fece sparire i nemici della Chiesa nel cuore della terra: dico il grande imperatore Costantino il pio, che glorificò Cristo e la sua santa croce. Egli non conosceva la croce dapprima, sennonché gli fu mostrata in cielo da Dio. Infatti Costantino discendeva da imperatori pagani e anche lui era della loro religione: infatti era come una lampada accesa ma non ancora posta sulla lucerna52.

Secondo il racconto dell’In Crucem, Costantino è impegnato in una guerra con l’esercito persiano («che era come la sabbia del mare nella sua moltitudine»), il quale è sul punto di conquistare Antiochia, quando, nottetempo, vede in cielo una croce di luce gloriosissima con alcune lettere su di essa. Fece attenzione, le lesse e c’era scritto così: «Costantino, per mezzo di questo segno tu vincerai tutti costoro». I sacerdoti sono incerti su quale dio si sia così manifestato, se Eracle o Fiblatorione, fino all’intervento del giovane tribuno cristiano Eusignio, che spiega che il segno è opera di Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, morto sulla croce. Costantino, fissando una croce alla sua asta e al suo cavallo, afferma allora: «Se questo segno mi darà la vittoria, apparterrò io pure a Colui che è stato crocifisso»53.

I persiani vengono sconfitti, senza che vi sia un solo caduto tra le file romane: «Egli comandò di chiudere la porta dei templi, e subito li cambiò al rito dei cristiani. Fece grandi benefici ai capi delle chiese ovunque nelle città e nei villaggi, a gloria e onore del suo regno». Prima di morire l’imperatore raccomanda a Costantino II di mantenere salda la fede e di recarsi a Gerusalemme per trovare il legno della croce. Questi parte dunque con la madre Elena e alcuni vescovi per Gerusalemme, dove interroga i «capi dei Giudei», i quali si mostrano inizialmente reticenti, sostenendo che il trascorrere del tempo e le devastazioni compiute da Vespasiano hanno reso il luogo del sepolcro di Cristo irrintracciabile. Solo le minacce dell’imperatore, che li fa gettare in un pozzo, convincono uno di loro, il già menzionato Giuda/Ciriaco, a parlare e a condurli nella vasta area che, sotto un cumulo di rifiuti, cela sia il Golgota che il sepolcro di Cristo. Saranno gli stessi giudei, sotto il controllo di Elena e di duemila soldati, a ripulire la zona, fino al rinvenimento delle tre croci, delle quali una, quella del Salvatore, riconoscibile dal titulus. L’imperatore, nel frattempo rientrato a Costantinopoli, con una processione trionfale raggiunge Gerusalemme e si impegna nella costruzione della chiesa della Santa Resurrezione, nel giorno della cui consacrazione una croce luminosa appare in cielo dall’alba all’ora nona, convertendo molti pagani e giudei.

Una variante della storia dell’invenzione della croce è rappresentata dalla già menzionata Historia Eudoxiae.

Costantino e l’esilio di Atanasio

A Costantino vengono attribuiti anche episodi assai meno celebrativi – e, per questo, più vicini alla realtà storica – di quelli sin qui analizzati. Si ha tuttavia la sensazione che, proprio perché tali accadimenti appaiono in contrasto – e in modo imbarazzante – con il ritratto di ‘imperatore giusto’ solitamente attribuito al figlio di Costanzo Cloro, si cerchi di limitarne l’impatto, riducendo la parte dell’imperatore, ancor più che in altre opere, a poco più che un cameo. È quanto avviene nell’In Athanasium54, un’omelia falsamente attribuita a Cirillo di Alessandria, da inquadrarsi nel cosiddetto ciclo di Atanasio, un gruppo di opere per lo più riferibili all’epoca del patriarca Teodosio, in cui Atanasio appare come il paladino dell’ortodossia contro la nascente e crescente compagine ariana. In tali opere le informazioni storiche relative all’arcivescovo di Alessandria si mescolano al mito, che individua ormai in Atanasio un nuovo fondatore della cristianità egiziana. La carriera di Atanasio è dunque seguita attraverso le varie tappe che lo portano a essere dapprima notarius e segretario personale del vescovo Alessandro e poi diacono. In tale veste, come già visto nella Historia Ecclesiastica Alexandrina, Atanasio partecipa al concilio di Nicea, contro «il discorso ad Ario l’empio, che si opponeva all’Unigenito facendone una creatura». Atanasio è dunque il vero protagonista del dibattito, il baluardo dell’ortodossia, ma ciò non gli risparmia di essere più volte esiliato. Il primo di questi esili, in Isauria, gli viene imposto proprio dal «pio imperatore Costantino», ingannato dai malevoli discorsi degli ariani. La restante parte dell’intreccio narrativo si svolge durante il regno di Costanzo, fino al prevalere dell’ortodossia e al rientro di Atanasio ad Alessandria, che tuttavia nel caso di questa omelia può solo essere immaginato, poiché essa è mutila della sua parte finale.

Non dissimile è l’impostazione nell’In Athanasium I, attribuito a Costantino di Siout55 e riferibile all’epoca del patriarca Damiano (578-605)56, in cui Costantino appare nuovamente in balia dei perfidi consigli degli ariani. Dopo il ritorno di Atanasio dal primo esilio, gli ariani convincono l’imperatore Costantino a imprigionarlo; il generale inviato a tale scopo arriva ad Alessandria mentre Atanasio sta celebrando la messa nel Caesareum, e ordina ai suoi soldati di circondare l’edificio per catturare il patriarca. Un intervento divino rende cieco il generale, permettendo ad Atanasio di uscire incolume dal Caesareum e vanificando, almeno per il momento, i piani demoniaci degli ariani57.

Il giovane Costantino

Alla tradizione agiografica copta appartiene anche un testo assai curioso in cui viene narrata la giovinezza di Costantino, la Passio Ter et Irai58, che, pur essendo contestualizzabile nell’ambito del cosiddetto ciclo di Basilide, si intreccia anche con la passione di Colluto e con quella di Pafnuzio. La parte più interessante della narrazione racconta del giovane Costantino che, ancora tribuno, chiede a Diocleziano il permesso di sposare la cristiana Calonia, nonostante la madre di costei si opponga fermamente. Le ragioni di tale opposizione vanno cercate nel nucleo narrativo portante dell’opera, che vede protagonisti Ter e Irai, fratello e sorella di Calonia. Il contesto ‘storico’ è quello del regno dell’«idolatra» Diocleziano e dell’editto di persecuzione, che vede la morte del primo martire antiocheno, Teopempto. Lo stesso Ter, soldato dell’esercito dell’imperatore per intercessione dello scomparso Basilide, esprime l’intenzione di votarsi al martirio, e per questo, dopo aver ricevuto una visione di Cristo, si imbarca con Irai per Alessandria, seguito da quattro sorveglianti a cui sua madre ha raccomandato di impedirgli gesti estremi. Diocleziano intanto tenta di convincere Romano, suo generale e zio di Calonia, a intercedere presso sua sorella perché conceda la mano della figlia al giovane Costantino. «Calonia divenne la moglie di Costantino fino al giorno in cui il Signore abbatté Diocleziano e Costantino governò al suo posto». Costantino scompare poi dalla scena, lasciando il posto al racconto della fuga di Ter e Irai, del loro viaggio attraverso l’Egitto, degli interrogatori e delle torture subite dai due fratelli fino al raggiungimento del martirio.

La produzione letteraria a uso liturgico

Molti dei temi sin qui analizzati nell’ambito della produzione agiografica riappaiono, seppure in modo più stringato, nel Sinassario Alessandrino59, consistente in una raccolta di brani letterari, tratti essenzialmente da bioi e passiones tardive, rielaborati, sintetizzati e ordinati in base alle esigenze del calendario liturgico. Tale raccolta, redatta in arabo probabilmente tra il XI e il XII secolo, mostra una continuità di tradizioni tematiche che resistono anche all’introduzione – e alla progressiva imposizione – della lingua dei nuovi dominatori, in cui, dall’inizio del XI secolo, l’Egitto copto comincia a esprimersi.

Si ritrovano così nel Sinassario la consacrazione della chiesa della Resurrezione a Gerusalemme e la partenza di Elena alla ricerca della croce nel ventesimo anno del regno di Costantino (16 Thout), la commemorazione della sacra reliquia e le vicende del samaritano Isaac (17 Thout), i tentennamenti di Costanzo di fronte all’eresia ariana (5 e 28 Paope)60, la celebrazione di Costantino «costruttore di luoghi santi» (7 Hathor)61 e «liberatore» di cristiani incarcerati (9 e 10 Koiak), l’apparizione della croce e l’episodio di Eusignio (5 Tobe), lo scontro tra Ario, Alessandro e Atanasio (18 Mesore), e anche i motivi principali della Passio Ter et Irai (28 Thout).

Accanto a tali filoni narrativi il Sinassario ne preserva tuttavia degli altri che non compaiono nei testi agiografici copti. Si tratta di relitti di una letteratura perduta, la cui memoria si conserva esclusivamente attraverso la sintetica e tuttavia preziosa narrazione della raccolta liturgica.

È il caso della narrazione del pontificato di Silvestro, «la cui elezione avvenne nell’undicesimo anno del regno di Costantino il Grande», e del battesimo da lui impartito all’imperatore (7 Tobe). Assai interessante è anche un episodio della Passio Victoris che non sembra essere sviluppato nella superstite tradizione letteraria in lingua copta e che vede protagonista Marta, madre di Vittore, la quale, presentatasi nel palazzo imperiale di Costantino e informatolo che si recherà in Alto Egitto per identificare il luogo del martirio di suo figlio e per costruirvi un santuario, ottiene dall’imperatore un lasciapassare da consegnare al prefetto perché la agevoli nella ricerca (27 Hathor).

Inedita in copto è anche la Vita Agapiti, in cui si narrano le vicende biografiche del santo monaco arruolato da Licinio contro la propria volontà a causa della sua forza e delle sue virtù. Alla morte di Diocleziano, Agapito viene convocato da Costantino per sanare un adolescente indemoniato; l’imperatore lo ricompensa permettendogli di tornare alla sua vita solitaria. Estremamente interessante appare il passaggio narrativo in cui si precisa che «nel suo bios si legge che da lui, mentre era in vita, vennero compiuti cento miracoli», affermazione a cui segue un breve elenco di tali atti prodigiosi (24 Meshir). Si tratta evidentemente di una traccia importante del modus operandi dei redattori del Sinassario.

Uno spazio inconsuetamente ampio è dedicato poi nel Sinassario alla narrazione della vita di Bartanuba, che in copto sopravvive invece – a quanto pare – solo in pochi frammenti: la dodicenne Bartanuba decide di unirsi a una comunità monastica romana, fino a quando Costantino, istigato dal demonio, non esprime il desiderio di averla come moglie. Bartanuba viene condotta in lacrime nel palazzo imperiale, ma si rincuora quando nota che il trono dell’imperatore è decorato da un rilievo a forma di croce. Dopo un concitato scambio di opinioni, Costantino, rinsavito, restituisce incolume la vergine alla sua comunità. Ma il demonio non si arrende e sobilla allora il re dei persiani, il quale, dopo aver inviato a Costantino una lettera in cui si impegna a onorarlo se gli concederà di avere la giovane, la fa rapire. Bartanuba, giunta in Persia e comprese le intenzioni del sovrano sasanide, chiede e ottiene un giorno per dedicarsi alle cure del corpo in un luogo appartato e lì riprendersi dal lungo viaggio, cosa che il sovrano volentieri le accorda, non prima di averle promesso ogni genere di onore e di averle garantito che alla sua morte avrebbe restituito le sue spoglie alla comunità monastica cui apparteneva. Dopo essersi cambiata le vesti, Bartanuba si getta nel fuoco offrendosi a Cristo e sottraendosi alle trame del demonio (21 Tobe).

Il 28 di Paremhotep il Sinassario celebra la morte di Costantino, riportandone i principali tratti biografici con una precisione decisamente maggiore rispetto ai testi agiografici già analizzati (assai ben informato appare il redattore quando elenca gli Augusti e i Cesari e le rispettive aree di influenza). Segue la narrazione della delegazione degli ottimati che lo pregano di liberarli dalla tirannide di Massenzio (Massimiano, nel testo), dell’apparizione della croce – qui comparsa in un non meglio identificato circo e accompagnata dalla celebre frase espressa in greco –, e della successiva apparizione dell’arcangelo Michele che invita Costantino a decorare le armi con quel segno: tutti episodi che il Sinassario ambienta in Britannia nel settimo anno di regno di Costantino. La scena si sposta poi a Roma, dove l’imperatore affronta nuovamente Massenzio, le cui truppe indietreggiano alla vista delle croci. Segue il racconto del battesimo a opera di Silvestro, della spedizione di Elena alla ricerca del Sacro Legno e la fondazione di Costantinopoli, che l’imperatore consacra alla Vergine. «Costantino aveva vissuto in tutto sessantacinque anni, di cui trentadue regnando, essendo il suo regno iniziato nel 5834 dalla creazione del mondo». La medesima solida base storica, seppur con molte concessioni alla fantasia, è riscontrabile anche nel passo sinassariale che celebra l’inizio del suo regno (12 Mesore).

I riferimenti a Costantino nella produzione liturgica non si esauriscono tuttavia con il Sinassario. La collezione copta della Pierpont Morgan Library include un manoscritto (M574) rinvenuto nel monastero dell’arcangelo Michele, nella regione del Fayyum, che trasmette tredici inni acrostici62 strutturati ognuno in ventiquattro stanze, ciascuna delle quali ha per inizio una delle ventiquattro lettere dell’alfabeto greco. Si tratta con molta probabilità della forma più antica di una tipologia di inni, gli psali, che avrà un grande sviluppo in epoca altomedievale e medievale.

Il secondo degli inni acrostici di M574 è dedicato a Mercurio63, santo tra i più popolari nella tradizione copta, e ne descrive le imprese compiute all’epoca dell’imperatore Decio. A Costantino viene riservata una parte marginale eppure estremamente significativa, poiché riunisce alcuni tra i più ricorrenti temi narrativi relativi alla figura dell’«imperatore pio»: la costruzione di luoghi santi, l’invenzione della croce e la lotta contro l’idolatria, in questo caso rappresentata sia da Decio che da Diocleziano, dimostrando come tali tematiche siano passate dall’agiografia alla liturgia:

«Tu sai, o Mercurio, / che io ti ho attribuito molti onori, / vieni e sacrifica ai miei dei / e unisciti ai tuoi compagni soldati». / «I combattimenti di questo mondo / e i beni che deperiscono / non mi riguardano, o imperatore. / Io sono un servo di Cristo».

L’imperatore disse ai soldati: / «Mercurio, che io ho esaltato, / portatelo in Cappadocia / e decapitatelo là».

Due uomini zelanti / seppellirono il suo corpo opportunamente. / Costruirono un martyrion per lui / in cui avvennero grandi miracoli.

Essi ci raccontano nel decimo e nell’undicesimo / [capitolo] della Storia [della Chiesa] / – questi due vescovi – / i miracoli da lui compiuti.

Quando Decio morì, / Diocleziano divenne imperatore al suo posto. / Egli uccise molti martiri. / Dopo di lui Costantino divenne imperatore.

Fu lui che rivelò / la croce di Cristo. / Egli costruì santuari di martiri / dove avvennero grandi miracoli. / […]

L’ostrakon del monastero di Epifanio

In conclusione occorre menzionare un ostrakon proveniente dal monastero di Epifanio. Si tratta di un testimone estremamente importante poiché, oltre a essere, per quanto consta, l’unico documento di questo genere che menzioni Costantino, esso proviene da un contesto archeologico certo e molto ben documentato. Il monastero di Epifanio, situato sulla riva ovest di Tebe a ridosso della tomba di Daga, venne infatti scavato dal 1912 al 1914 dal Metropolitan Museum of Arts, sebbene i risultati di tale indagine archeologica siano stati pubblicati solo nel 192664.

L’ostrakon rielabora un tema più volte analizzato nella produzione agiografica, quello della guerra contro i persiani e della nube che, per intervento divino, assicura a Costantino l’incolumità:

Costantino, il re giusto, credette in Dio con tutto il suo cuore. Dio lo guidò in tutti i suoi percorsi e lo protesse dalle guerre con i de[moni e] dalle guerre […] con i pagani […] a causa della sua fede in Dio. Egli umiliò i suoi nemici sotto i suoi piedi. E quando i persiani scoccarono delle frecce contro di lui, Dio mandò una nube e lo sottrasse a loro con il suo cavallo. E quei barbari furono assoggettati a lui e pagarono un tributo per tutto il suo tempo. Ed essi non fecero guerra durante il suo tempo65.

Dalla disamina dei testi agiografici copti che veicolano la figura di Costantino – qualunque sia il filone che lo vede protagonista – appare evidente che il rispetto dei dati storici, ancora parzialmente preservati nelle fonti storiografiche, non preoccupa i redattori della letteratura più tardiva. In particolare non è da escludersi che l’enfasi attribuita alle campagne militari condotte o preparate da Costantino contro i persiani (296, 337)66 – di cui i copti dovevano avere solo una vaghissima memoria – possa essere spiegata come una sorta di compensazione storica, dal momento che le più recenti e più incisive guerre intraprese da Eraclio (610-641) contro i sasanidi di Cosroe II, che occuparono l’Egitto dal 619 al 629, non potevano costituire un motivo d’orgoglio per i copti: Eraclio, sostenitore della Chiesa calcedonese e responsabile, con il patriarca filocostantinopolitano, di vere e proprie persecuzioni nei confronti della Chiesa copta – come attestano numerose fonti, tra cui la Vita Samuelis Qalamun –, non rappresentava infatti di certo il prototipo dell’imperatore ideale.

Costantino diviene allora una confortante e credibile figura di eroe, il sovrano giusto per eccellenza, attraverso le cui gesta, vere o di fantasia, i copti tracciano con accurata determinazione la propria personalissima visione della parabola storica dell’Egitto cristiano.

La tradizione etiopica

La presenza di Costantino nella tradizione etiopica – soprattutto ecclesiastica e letteraria, nonché propriamente storica, seppure in minima, ma non insignificante misura – si distribuisce sulla scansione storico-culturale che abbraccia i tre momenti essenziali dello sviluppo della civiltà tra le coste del Mar Rosso e l’altopiano africano in modalità assai diverse: nel regno pagano di Aksum dalla sua origine alla cristianizzazione, comprendente il periodo coevo al Costantino storico, con una documentazione strettamente numismatica (I-IV secolo d.C.); nel regno di Aksum dalla cristianizzazione alla sua eclissi come entità politica, in echi letterari della tradizione costantiniana storica (IV-VII/X secolo); nell’Etiopia cristiana dal Medioevo alla fine dell’età premoderna (XI/XIII-XVII secolo), con le estreme testimonianze, talvolta interpretate in modo originale, della complessa eredità egiziana cristiana nelle sue varie stratificazioni: greca, copta, araba e infine etiopica. Da questo terzo momento discende direttamente la tuttora viva e presente Chiesa etiopica, che pure, in tanti aspetti istituzionali essenziali – nel dogma, nel culto, nel fondo più arcaico della tradizione letteraria, nella lingua dell’uso ecclesiastico e liturgico (l’etiopico o ge‘ez o etiopico antico) –, resta debitrice in primis della primitiva tradizione aksumita tardoantica67.

Presenze ed echi costantiniani nel regno di Aksum

Lo sviluppo della rotta commerciale dal Mediterraneo all’Oceano Indiano lungo il Mar Rosso a partire dal I secolo d.C., già testimoniato dal Periplus maris Erythraei68, ha presto fatto di Adulis (non lontano dall’odierna Massaua, in Eritrea) uno dei motori dello sviluppo di una civiltà urbana ellenizzata con centro ad Aksum, partecipe delle vicende del mondo romano e vicino orientale, sulla costa e nell’entroterra africani, di cui è attestazione eloquente dalla seconda metà del III secolo d.C. al più tardi la monetazione locale in oro, argento e bronzo, ininterrottamente attestata fino alla prima metà del VII secolo.

Le monete aksumite forniscono prova concreta e indiscutibile dell’influsso romano, e anche costantiniano, ad Aksum, sia sotto l’aspetto economico sia sotto quello ideologico. Il re Ousanas I, noto esclusivamente dalle sue emissioni monetarie e collocabile nella prima metà del IV secolo, adegua il conio pregiato aksumita, fino ad allora frazione di un aureus (1/120 = metà di un aureus pari a 1/60 di libbra) al nuovo valore stabilito dalla riforma costantiniana, che introduce il solidus (1/144 = metà di un solidus pari a 1/72 di libbra) anche in Oriente dopo la sconfitta di Licinio nel 32469.

Un secolo più tardi, a cristianizzazione avvenuta, il re di Aksum «Mḥdys», il cui nome ci è noto da monete esclusivamente in tale forma consonantica, adotta come legenda della sua monetazione bronzea un motto che presuppone il τούτῳ νίκα della Vita Constantini di Eusebio70, con l’ulteriore passaggio della identificazione esplicita del segno indefinito costantiniano con la croce cristiana: bz msql + mw’, letteralmente «vinci in/con questa croce», o anche «in questa croce vincerai», se al segno della croce, com’è probabile, si deve attribuire il valore sillabico di t (baze masqal temawwe’)71. Questo motto di stretto calco costantiniano fornisce anche la più antica attestazione nota della parola per «croce», etiopico masqal, che tanta importanza e fortuna avrà nel cristianesimo etiopico, e al cui nome – Gabra Masqal, «Servo della Croce» – diversi sovrani si intitoleranno: tra i più importanti, oltre a quelli leggendari, Lālibalā (XII/XIII secolo) e ‘Amda Ṣǝyon (1314-1344)72 .

Provata da una vasta serie di dati sia esterni sia interni73, la cristianizzazione di Aksum nella prima metà del IV secolo, o meglio la conversione del re di Aksum ‘Ēzānā – di cui una tradizione già attestata in Atanasio e Rufino fa artefice il cristiano Frumenzio, poi nominato da Atanasio primo vescovo di Aksum –, ha indotto nella moderna ricerca storiografica74 un parallelo tra ‘Ēzānā, primo re cristiano di Aksum, e Costantino, la cui portata è assai dibattuta, non mancando neppure interpretazioni assai estensive. Quel che è sicuro è che la cristianizzazione del IV secolo e il mutato contesto internazionale hanno necessariamente comportato un adeguamento politico e diplomatico e certamente anche un sorprendentemente tempestivo aggiornamento dell’apparato ideologico e iconografico, come ben si ravvisa nelle monete con la precoce sostituzione della croce ai simboli pagani e la comparsa di legende che in diverso grado alludono al cambiamento religioso75.

Una presenza diversa, testuale ma assai significativa, di Costantino nel regno di Aksum si ha in due documenti la cui arcaicità, nonostante la brevità dei testi, non lascia spazio a sottovalutazioni di sorta. Si tratta di due epistole canoniche connesse alle vicende del concilio di Nicea e attribuite a Costantino: la Epistula Constantini imperatoris ad ecclesiam Alexandrinam e la Lex lata Constantini Augusti de Arii damnatione76. Le due lettere – note nel testo greco e in versione latina, tramandata tra gli altri dal celebre manoscritto di Verona, Biblioteca Capitolare, Codex Veronensis LX (58), ma ignote in altre versioni orientali oltre alla etiopica – sono tramandate in etiopico entro un’antica collezione canonico-liturgica di tradizione ristrettissima, attestata da un codex unicus e da pochissimi testimoni complementari parziali. Il codice che la veicola è il più antico manoscritto etiopico non biblico sinora noto. Tale collezione, nota come Collezione aksumita, rappresenta uno dei più interessanti prodotti della tradizione letteraria etiopica nella sua fase più arcaica. Tradotta con tutta probabilità nel periodo dei primi esperimenti letterari, a partire da un modello greco, la collezione testimonia degli stretti legami intercorrenti tra cristianesimo tardoantico egiziano e cristianesimo etiopico. È soprattutto importante rilevare che, a differenza degli echi e delle rielaborazioni della successiva fase post-aksumita, mediati e trasfigurati da un lungo processo di trasmissione linguistica e culturale, i testi della Collezione aksumita restituiscono il sapore genuino della attualità e della diretta, linguisticamente faticosa partecipazione della comunità religiosa etiopica – probabilmente del V-VI secolo – alle vicende del Tardoantico bizantino: nel caso specifico, la fissazione di una collezione canonico-liturgica, in cui, insieme ad altri documenti niceni, anche le due lettere di Costantino ricevono un posto di rilievo77.

Costantino nella cristianità etiopica medievale

Il richiamo ideale: Zar’a Yā‘qob, Costantino d’Etiopia

Se per il periodo aksumita al Costantino storico la storiografia moderna ha assimilato il grande ‘Ēzānā, primo re cristiano d’Etiopia, per quello post-aksumita è il re-teologo Zar’a Yā‘qob (1434-1468) che si incarica costantinianamente della rigida e inflessibile difesa della retta fede78. Di Costantino assume anche il nome di regno – nella forma etiopica Qwasṭanṭinos79 –, uso però che non gli è esclusivo e di cui nemmeno può vantare il primato, venendo almeno buon terzo dopo Sayfa Ar‘ad (1344-1371) e Dāwit II (1379/80-1413), e seguito poi da Eskender (1478-1494)80. Per la verità, diverse tradizioni, tutte relativamente tarde, annoverano come primo ‘Costantino’ etiopico un Gabra Masqal, o, secondo alcune liste reali, suo figlio. A Gabra Masqal, considerato unanimemente figlio di Kālēb – il grande e benissimo attestato sovrano etiopico dei primi decenni del VI secolo, condottiero nella spedizione in Arabia meridionale –, l’agiografia e la leggenda, in piena coerenza con il nome di trono, attribuiscono del resto – ovviamente – l’indefessa fondazione di chiese e monasteri81.

Propugnatore di una profonda riforma della Chiesa etiopica, sostenitore del culto di Maria e dell’osservanza del sabato nei numerosi scritti teologici e polemici che gli sono attribuiti, di grande interesse per la storia del XV secolo e dello sviluppo della cristianità etiopica più in generale – tra i più importanti, il Libro della luce, il Libro della Trinità, la Salvaguardia del mistero, l’Epistola sull’umanità82 –, e inflessibile persecutore dei suoi oppositori, a Zar’a Yā‘qob si attribuisce anche l’aver presieduto in armi la celebrazione dell’importante concilio di Dabra Meṭmāq del 1449 (o 1450), riprendendo ruolo, funzione e modi che immediatamente richiamano quelli di Costantino nel concilio di Nicea (325)83. Dopo di lui, nessun sovrano etiopico dell’età premoderna eserciterà più una tale guida carismatica, se non forse Fāsiladas (1632-1667), il restauratore della tradizionale fede etiopica, succeduto al cattolico converso Susneyos (1607-1632), reo di aver consegnato il paese ai gesuiti: e non è forse un caso se, nella congerie di testi documentari noti come Liber Aksumae, proprio a Fāsiladas – oltre la cortina della retorica celebrativa corrente nei testi storiografici, che vedono in Costantino il modello per l’esaltazione del re etiopico, lui «che riaprì le chiese e serrò i templi degli idoli»84 – spetta l’appellativo di Qwasṭanṭinos ḥaddis, «Nuovo Costantino»85.

Un documento importante sul legame ideale consapevolmente istituito tra il re Zar’a Yā‘qob e Costantino, e sulla questione niente affatto secondaria della invenzione della croce e delle reliquie connesse, fornisce una tradizione tramandata nel cosiddetto Maṣḥafa Ṭēfut, o «Libro dei grani di ṭef», una collezione di tradizioni storiche vergata a partire dal XIV-XV secolo in una scrittura così fine e minuta da sembrare grani del cereale maggiormente in uso in Etiopia, il ṭef, da cui il nome86. Vi si legge:

Ecco ciò che ha detto il re Zar’a Ya‘qob: «Il quindicesimo anno da che Dio mi ebbe fatto re [cioè nel 1449], il cinquantesimo dopo la mia nascita, io ebbi una visione che mi diceva: “Poni la mia croce su una croce”. Io mi chiesi allora che cosa significasse questa visione e rimasi un anno a chiedermelo». Parimenti Costantino ebbe una visione che gli diceva niqusṭāṭā, e questa visione era rimasta per lui un enigma finché Eusignio, l’eunuco di suo padre, gli aveva spiegato: «È il segno della croce e con questa croce tu sarai vittorioso sul tuo nemico, tu sconfiggerai l’empio Massimiano». Allo stesso modo il nostro re Zar’a Yā‘qob, che si chiamava anch’egli Costantino, ebbe una apparizione. Anch’egli interrogò al riguardo gli esperti della Sacra Scrittura, i giuristi e i più dotti dei suoi consiglieri. Essi gli risposero: «La croce di Cristo, che è stata data a tuo padre, si trova nelle mani del governatore musulmano de La Mecca e di Medina». «Allora – disse il re Zar’a Yā‘qob – io mi infiammai di una santa collera, riunii il mio esercito e discesi dal paese di Adā‘ewā per combattere Gāfḥar, capo dei musulmani de La Mecca e di Medina. Il re del Cairo Ašraf regna allora sui musulmani. Egli mi mandò a dire: “Non farmi la guerra. Io ti darò le reliquie che appartengono a tuo padre Dāwit, la croce e le immagini”, ed egli mi dette la croce, la spugna, la tunica, le immagini di Nostra Signora e il kwer‘āta re’esu [cioè l’immagine del ‘Gesù percosso’]. Gāfḥar, il capo de La Mecca, mi disse: “Prendi ciò che ti vien dato e ritornatene in pace”. Una volta ritornato, mi ricordai della visione che mi diceva: “Poni la mia croce su una croce”, e passai un anno nell’angoscia e il timor di Dio, chiedendomi dove collocare la croce gloriosa. Mi misi allora a costruire diverse chiese per collocarvela, ma l’angelo mi diceva: “Questo posto non si conviene”. Nel giro di un anno, con pena, giunsi al paese di Amsāl. Là io vidi una montagna che aveva la forma [etiopico amsāl] di una croce. Ne feci il giro in tutto il perimetro e constatai che questa montagna aveva esattamente la forma di una croce. Mi dissi: “Ecco il luogo di cui mi diceva la visione”, e ne misi a parte i metropoliti, i preti e i dignitari che mi accompagnavano. Essi mi risposero: “È ben il luogo che si conviene alla croce gloriosa”. Allora, io la portai alla sommità di questa montagna e vi celebrammo una festa. Era un 21 di Maskaram, festa di Nostra Signora, [il giorno] che collocammo la croce del Nostro Signore, ottenuta per lo zelo e la virtù di mio padre Dāwit II. Vi ho fatto costruire una magnifica chiesa, dedicata a Dio Padre e ornata d’oro, di pietre preziose, di smeraldi e di gioielli, secondo le istruzioni dello Spirito Santo. Vi ho fatto ugualmente venire della terra dal sepolcro del figlio di Dio e da tutti i luoghi santi, su ottantotto cammelli e cento muli. È su questa terra che è stata fondata e costruita la chiesa di Dio Padre. Ordinai allora che si deponesse la croce in una cassa d’oro, questa in una cassa d’argento, poi in una cassa di bronzo, poi in una cassa di piombo e il tutto in una cassa di ferro. L’Etiopia intera fu illuminata dalla potenza della croce di Cristo: i ciechi riacquistarono la vista, i sordi l’udito, i muti la parola, gli zoppi camminarono, dei demoni furono cacciati, dei morti risuscitarono. Molti miracoli e prodigi furono compiuti dalla croce, perché è su di essa che il figlio di Dio fu crocifisso e versò il suo sangue prezioso per la redenzione del mondo87.

Il Costantino storico nell’Etiopia medievale e premoderna

Ma che cosa conosceva del Costantino storico l’Etiopia del XV secolo? O ancora, nel primo periodo post-aksumita88? Pressoché oscurata ogni memoria della romanità e delle antiche relazioni dirette con il mondo bizantino, così vive e vibranti fino almeno al VI secolo, e oramai possibili i contatti con il Mediterraneo solo attraverso la mediazione del mondo islamico, spesso via Gerusalemme, nei secoli seguenti al declino di Aksum nel VII secolo, il recupero delle tradizioni, del passato e della storia è affidato a quel che resta, confluisce, o arriva alcuni secoli più tardi, nelle compilazioni agiografiche e di uso liturgico – riadattate quelle pochissime che sopravvivono, o sostituite e combinate con nuove traduzioni di testi copto-arabi –, in scarne liste di nomi deformati dalla tradizione, in sparsi lacerti, che anche se autentici sono oramai divenuti muti e incomprensibili, e quindi per lo più condannati all’oblio.

La testimonianza del Kebra nagaśt e le tradizioni raccolte nel Libro del mistero di Giyorgis di Saglā offrono due casi esemplari per un apprezzamento della fortuna e della conoscenza, in queste circostanze, di Costantino in Etiopia.

Il Kebra nagaśt, «Nobiltà dei re», la più importante opera letteraria etiopica, ov’è narrata tra l’altro, nella sua forma più elaborata ed epurata, la storia della connessione dinastica e ideale tra Etiopia e Israele89, il capitolo 72, dedicato a celebrare la nobiltà della dinastia degli imperatori di Roma, si apre con un passo che rievoca anche la visione costantiniana:

Riguardo all’imperatore di Roma. Anche dell’imperatore di Roma cominceremo a dirvi ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo trovato scritto, ciò che abbiamo visto. Quanto all’impero di Roma, esso fu parte assegnata e regno di Iafet, figlio di Noè. Mentre si trovavano là, fecero dodici grandi città, e le maggiori città del loro regno le costruì Dāryos: Antiochia [Anṭokyā], Tiro [Diresyā], Partia [Bārtonyā] e Roma [Romyā], e coloro che regnavano vi risiedevano. Costantinopoli [Qwesṭenṭenyā], dopo Cristo90, la costruì l’imperatore Costantino [Qwasṭanṭinos] nel proprio nome, quando gli apparve il segno della croce durante la battaglia, a somiglianza di stelle iscritte nel cielo, così che si salvò dalla mano del suo nemico. Da allora gli imperatori di Roma ne fecero la propria residenza91.

Come si vede, gli unici elementi rilevabili sono la visione, ridotta ai suoi elementi essenziali, ma anche l’allusione al miracoloso salvataggio di Costantino e la fondazione di Costantinopoli. Più avanti, al capitolo 93 – in un passo con tutta probabilità fortemente corrotto –, Costantino è menzionato in associazione con la regina Elena:

Riguardo a coloro che corruppero la fede di Roma [Rom]. Rimasero quindi per tre mesi – infatti Ṣeyon [cioè l’arca dell’Allenza] era giunta al paese d’Etiopia al principio del primo mese nella lingua degli Ebrei, e in greco Tārmon, in etiopico Miyāzyā, il 6 – e misero per iscritto questa legge e questi nomi, e li depositarono per memoria per gli ultimi giorni, perché fosse fatta la legge per il tabernacolo e perché fossero rese note la nobiltà dei re d’Etiopia e la nobiltà dei re di Roma [Romyā]. Perché essi sono fratelli invero, e nella fede in Cristo. Al principio rettamente credette nella predicazione degli Apostoli, fino a Costantino [Qwasṭanṭinos] e alla regina Elena [Elēni], che fece riapparire il legno della croce. Rimasero [così] per 130 anni, dopodiché si sollevò Satana92.

Nel finale del passo, venato di fortissima polemica anticalceldoniana coerentemente con l’impostazione complessiva dell’opera, Elena appare in connessione con la leggenda della ‘invenzione’ della croce. In questa sede si può solo accennare che il tema dell’invenzione della croce in letteratura e la venerazione delle reliquie della croce nella vita religiosa hanno conosciuto in Etiopia una fortuna amplissima, testimoniata, oltre che dalle brevi notizie del Sinassario, da numerosi testi inseriti in diverse collezioni agiografiche e omiletiche, che restano per la maggior parte ancora inediti93.

Il Maṣḥafa meśṭir, «Libro del mistero», è un trattato antieretico che costituisce la maggiore opera dottrinale della letteratura etiopica. Composto sul finire della sua vita dal teologo e abate Giyorgis di Saglā (m. 1425), è un testo stilisticamente arduo, concettoso, summa delle conoscenze religiose e storiche del tempo, e testimonia in non pochi punti di un sapere all’epoca ancora vivo, di cui oggi si stenta a identificare le fonti e i processi di tradizione94. Il capitolo secondo confuta la dottrina, nel testo attribuita erroneamente ad Apollinare, che sostiene che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono differenti:

Anche il re non deve avere tolleranza a riguardo dello zelo della fede. Costantino è lodato, per l’esilio di Ario e per la convocazione del Concilio di Nicea che sono i trecentodiciotto [Padri], talmente, che Cristo fu presente tra essi senza che si accorgessero che era uno di loro. L’imperatore Costantino ha eretto per sé una memoria di lode per generazione di generazione, perché sotto di lui la regola della fede è diventata retta, e sotto di lui è apparsa la croce di Cristo; si è calmata la tempesta degli increduli e si è tranquillizzata la sollevazione dei flutti degli eretici; è stato eretto dritto l’albero maestro della nave della Chiesa e i pastori delle pecore, cioè i vescovi consacrati dall’alito della bocca di Cristo, hanno esultato di gioia. Come fu celebrato il regno di Costantino per l’organizzazione della comunità ecclesiale avvenuta sotto di lui, così fu riprovato il regno di Marciano, re di Roma, che ha amato la fede di Nestorio […]. Ecco, inoltre, che la fede di Costantino ancor oggi è [tenuta in gran] lode e gloria; perché anche il ricordo del giusto rimane per sempre associato alla gratitudine, alla proclamazione di beatitudine e all’elogio. Quindi, l’assemblea dei santi [del Concilio] di Nicea stabilì la retta fede per tutto il popolo cristiano. Così essi, unanimi, proclamarono: «Siamo autorizzati da Costantino a risollevare e a consolidare la Chiesa nella fede di Gesù Cristo»95.

Similmente, nel capitolo terzo sulla condanna di Ario, si evoca il Costantino niceno:

Al suo posto [di Diocleziano] regnò Costantino, discendente della dinastia regnante di Roma. Si calmò la tempesta degli empi e si tranquillizzò l’onda del peccato; la Chiesa trovò respiro e la religione di Cristo uscì in pubblico e i trecentodiciotto vescovi si riunirono nel monastero di Nicea, che è la metropoli di Bitinia, e con loro era Costantino, terribile e vincitore, e scomunicarono Ario che aveva chiamato creatura il Creatore96.

Il capitolo sesto sulla confutazione della dottrina di Origene chiama ancora in causa il Costantino niceno:

Quanto all’epoca della sua apparizione, egli ha vissuto insieme all’eretico Ario e insieme a Miliṭis [Melizio], ambizioso di dignità. Ario disgregò la Chiesa a causa della sua eresia mandando in esilio i fedeli con l’aiuto del re. Ma in seguito [la Chiesa] stette ritta al tempo del concilio dei trecentodiciotto che si riunirono a Nicea durante il regno di Costantino dalla retta fede. Miliṭis assalì la Chiesa impossessandosi con la forza dell’episcopato di Pietro. La sua repressione però è dovuta non alle questioni religiose, ma all’ambizione di dignità. Argēnes, invece, per agitazioni e per cambiamento del credo religioso97.

Il capitolo 27, dedicato alla confutazione di coloro che negano l’immortalità dell’anima, riporta invece l’episodio celebre della visione:

Anche Costantino, figlio di Elena, era lusingato dai sacerdoti idolatri, insieme a un rinnegato chiamato Giorgio, per convertirlo all’adorazione degli idoli. Però si oppose loro un eunuco di nome Eugenio, e il Signore li vinse con la potenza della fede di quell’eunuco. Poi Costantino, mentre stava sdraiato sul letto nei pressi del fiume Bādos, vide sulla volta del cielo un segno di quattro stelle e in mezzo a esse c’era scritto, in caratteri romani, ṭanṭiqā che significa «Vinci con questo [segno]». Come Satana si è manifestato a Diocleziano con il segno del serpente, così la religione di Gesù Cristo si è manifestata a Costantino con il segno di quattro stelle luminose formanti il segno della croce. Perciò Elena sua madre fu sollecitata nel cercare la croce di Gesù Cristo e fece fare per lui lance a forma di croce in oro e argento: una che lo precedesse e l’altra che lo seguisse. Spinta dalla premura religiosa, [Elena] riuscì a trovare il legno della croce che era stato sepolto dai giudei ormai da tanti secoli98.

La documentazione più corposa su Costantino presente nella tradizione etiopica, però, si ritrova in testi che sostanzialmente ripetono la tradizione copto-araba e che rappresentano l’ultima, estrema ‘stazione’ della catena tradizionale dell’Egitto cristiano. Tra questi rientrano la già citata Cronaca di Giovanni di Nikiou, che, tradotta assai tardivamente nel 1601 da un modello arabo sinora ignoto, ci è nota tuttora solo nella versione etiopica99; e gli Atti di Giulio di Aqfāḥs, anch’essi editi solo in etiopico, nella forma di ‘Atti’ seguiti da una collezione di miracoli, tramandati da un solo codice del XVIII secolo, sebbene non meno di quattro testimoni arabi, tra cui uno del 1392/1393, ne siano al momento noti100. Nei Miracoli in particolare ritorna la leggenda del salvataggio di Costantino dai persiani, questa volta direttamente per mano di Giulio, del cui martirio Costantino apprende da uno scritto trovato nel palazzo imperiale nell’imminenza dello scontro. Giulio, apparsogli miracolosamente, lo trasporta su una nube lucente all’isola di Lasedeyā, dove Costantino costruirà poi una città intitolata al suo nome:

Quando il Signore rimosse il regno dell’Imperatore Diocleziano, nemico abbietto di Gesù Cristo, e Diocleziano divenne mendicante alle porte della città di Antiochia, per beneplacito del Signore e per consiglio dei principi e dei grandi magistrati, fecero imperatore Costantino, al posto suo, nella città di Antiochia. E questo Costantino era stato prima nel paese di Roma e nel paese dei franchi molti anni. Poi quando i persiani si levarono a combattere i romani, egli lasciò la casa di suo padre; e, presa sua madre e la vergine sua sorella, se ne andò ad Antiochia e lì dimorò e lì ottenne insegne imperiali. Quando fu cacciato via Diocleziano dal palazzo imperiale, come abbiamo detto sopra, diedero il trono a Costantino, al posto di quello, per comando del Signore. […] E, quando i persiani furono in guerra coi romani, egli uscì a combattere i persiani. E, quando i persiani videro l’imperatore nel suo numero scarso ed esercito scarso, e cioè i romani, molto si allietarono. I persiani erano assai numerosi, come la sabbia del mare. […] Dopo essersi così consigliati, i persiani attaccarono l’esercito dell’imperatore Costantino. […] E questo Costantino, prima di impegnarsi nella battaglia, prese il libro del Palazzo e lesse il nome dei grandi del Palazzo e trovò scritto così: «Diocleziano uccise molta gente per il nome di Nostro Signore Gesù Cristo». Trovò poi scritto il nome di san Giulio e come questi era stato consigliere degli imperatori e accertò che egli aveva compiuto il suo martirio nel paese di Aṭfih per mano del magistrato di Ṭāwā, che è un paese in Egitto, non per ordine dell’imperatore, ma per comando del Signore. […] Poi scrisse il nome di san Giulio e lo prese con lui perché gli fosse di aiuto e pegno di vittoria sui suoi nemici. Ebbe in esso una forte fede. Andò così in guerra per combattere i persiani. Ma i persiani gli resistettero e lo presero mano per mano, Costantino allora volse gli occhi al cielo, dicendo: «O Dio di san Giulio, aiutami in quest’ora e salvami. E tu, o martire! perché io credo, o Signore, che Dio ti diede gloria ed onore sulla terra e facesti da padre a tutti i martiri […]». Allora il Signore mandò una nube lucente e san Giulio vi stava sopra. Tolse egli il cavallo su cui era montato [Costantino] imperatore; e, mentre tutti i persiani guardavano Costantino imperatore, questi prese a volare per aria sin che [san Giulio] lo fece arrivare a Lasedeyā, isola cui non era mai giunto alcun uomo101.

Dopo che Giulio si è rivelato a Costantino profetizzandogli il martirio di Pietro di Alessandria e la successione al patriarcato di Archelao e di Alessandro, gli chiede di costruire una chiesa che ospiti il suo corpo, quello del fratello Yonyās e quello del figlio Teodoro:

Quando Costantino vide l’aiuto a lui mandato da Dio e da san Giulio, si meravigliò molto e costruì una città nell’isola Lasedeyā, luogo nel quale era stato portato; e il paese ebbe nome da lui ed è detto ‘Città Costantiniana’ sino a oggi a glorificazione del nome di Nostro Signore Gesù Cristo e del purissimo martire san Giulio.

Il miracolo successivo mette in scena Alessandro, successore di Archelao, che parla in prima persona e chiude il racconto, rivelando anche la fonte, Costantino stesso, del miracolo precedente. Chiuso il concilio di Nicea, Costantino riceve di nuovo l’apparizione di Giulio, che gli preannuncia l’assunzione tra i santi e gli ricorda la richiesta di costruire una chiesa in suo onore. Costantino convoca Alessandro per comunicargli l’accaduto:

Poi prese di sua mano una carta e vi scrisse quanto era accaduto e quanto san Giulio per lui aveva fatto: di come l’avevano preso i persiani mano per mano e san Giulio poi l’aveva rapito e tolto di mezzo a loro; e di quel che gli aveva detto, mentre stava insieme con lui sopra la nube, e di come gli si era rivelato, nella notte in cui eravamo, perché noi fossimo congedati. Io allora glorificai il Signore e il Suo purissimo martire san Giulio. Quindi l’imperatore comandò a uno dei suoi principi di andare con noi insieme con molte truppe e molti attrezzi e quanto occorreva ad approntare la chiesa del santo.

È però il Sinassario, compilazione di notizie agiografiche distribuite secondo il calendario annuale, che attesta nel modo più compiuto la presenza di Costantino, commemorato il 28 di Maggābit, nella tradizione etiopica102. Senza poter in questa sede svolgere un esame comparativo dettagliato con la versione copto-araba, non è dato vedere che la versione etiopica, nel caso particolare dei numerosissimi passi che riguardano Costantino, si distacchi di molto da essa, come invece avviene in altri casi in seguito alle ripetute traduzioni (almeno tre in diversi momenti), ai rimaneggiamenti e alle aggiunte, per cui non di rado avviene che l’etiopico presenti un testo sensibilmente diverso da quello delle edizioni della tradizione copto-araba103. Qui di seguito segue un breve elenco sintetico dei temi toccati dalle principali notizie del Sinassario104:

Al 5 di Maskaram (costruisce una chiesa in onore di Sofia e delle sue figlie), al 15 (traslazione delle reliquie di Santo Stefano), al 16 (consacrazione da parte di Elena della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme), al 17 (invenzione della croce a opera di Elena), al 18 (commemorazione di Elena), al 25 di Ṭeqemt (commemorazione di Giulio di Aqfāḥs), all’8 di Ḫedār (apparizione della croce), al 9 (celebrazione del concilio di Nicea), al 15 (san Menna compie un miracolo su una figlia di Costantino), al 9 Tāḫśāś (liberatore dei cristiani dalle prigioni), al 18 (traslazione delle reliquie di Tito, discepolo di Paolo, da Creta a Costantinopoli), al 7 Ṭerr (Silvestro arcivescovo di Roma battezza Costantino nel suo undicesimo anno di regno), al 18 (menzionato per aver convocato il concilio di Nicea), al 22 (scrive una lettera ad Antonio monaco), al 27 (traslazione delle reliquie di Timoteo da Efeso a Costantinopoli), all’8 Yakkātit (lungo racconto su Ammata Krestos, l’‘ancella di Cristo’, nobildonna costantinopolitana moglie di un dignitario imperiale), al 24 (sul vescovo Agapeto), al 27 (menzionato per aver convocato il concilio di Nicea, Costantino punisce ingiustamente Eustazio di Antiochia, dando ascolto ad alcuni calunniatori), al 10 di Maggābit (doppia apparizione della croce, la prima ad Elena e la seconda al tempo dell’imperatore Eraclio), al 28 (commemorazione principale), al 9 Genbot (commemorazione di Elena), al 10 Sanē (commemorazione dell’editto di Costantino), al 23 Sanē (su abbā Nob, menzione dell’editto con la citazione di un supposto messaggio di Costantino), all’8 Ḥamlē (apologo di abbā Besoy, nel quale questi cita una visione e un dialogo con Costantino volto a dimostrare la superiorità della vita monastica), al 29 Ḥamlē (traslazione di Taddeo apostolo dalla Siria a Costantinopoli), al 12 Naḥasē (inizio del regno di Costantino sulla città di Romē), al 24 Naḥasē (Costantino onora Tommaso il confessore prima del concilio di Nicea).

I paragrafi La tradizione letteraria copta; La produzione storiografica; La letteratura agiografica; La produzione letteraria a uso liturgico; L’ostrakon del monastero di Epifanio sono di P. Buzi. I paragrafi La tradizione etiopica; Presenze ed echi costantiniani nel regno di Aksum; Costantino nella cristianità etiopica medievale sono di A. Bausi.

1 Non esistono per il copto opere di carattere generale dedicate all’imperatore Costantino, a eccezione di T. Wilfong, Constantine in Coptic. Egyptian constructions of Constantine the Great, in Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London 1998, pp. 177-188.

2 Per quel che concerne il topos del sovrano abbandonato in balia dei nemici e soccorso dal solo intervento divino, si veda soprattutto la Historia Eudoxiae (cfr. infra): «I romani, avendo veduto le grandi turbe della Persia, si perdettero d’animo, fuggirono e lasciarono il re solo; i carri dei persiani lo circondarono per ucciderlo, ma l’angelo del signore scese con una nube di luce in mezzo ai persiani, rapì il carro del re con il suo cavallo […] e lo trasportò a Costantinopoli». Per la sorprendente fortuna di questo motivo nella storiografia etiopica, cfr. P. Marrassini, Lo scettro e la croce. La campagna di ‘Amda Ṣeyon I contro l’Ifāt (1332), Napoli 1993, p. 32.

3 Per il monastero dei siriani cfr. H.G. Evelyn White, The Monasteries of the Wadi ’n Natrun, 3 voll., New York 1926-1933. Cfr. inoltre K. Innemée, The Iconographical Program of Paintings in the Church of al-’Adra in Deir al-Sourian: Some Preliminary Observations, in ΘΕΜΕΛΙΑ: Spätantike und koptologische Studien Peter Grossmann zum 65. Geburtstag, hrsg. von M. Krause, S. Schaten, Wiesbaden 1998, pp. 143-154.

4 K. Innemée, L. van Rompay, Deir al-Surian (Egypt): New Discoveries of 2001-2002, in Hugoye: Journal of Syriac Studies, 5,2 (2002), http://www.bethmardutho.org/images/hugoye/volume5/hv5n2innemee_vanrompay.pdf (17 nov. 2012).

5 J. Schwartz, H. Wild, Fouilles franco-suisses. Rapport I Qasr Qârûn/Dionysias 1948, Le Caire 1950, pp. 39-48, 87; A.R. Parente, Bakchias: i ritrovamenti monetali 1993-2002, in Fayyum Studies, 1 (2004), pp. 21-47, in partic. 24; H. Cohen, Description historique des Monnaies frappées sous l’Empire Romain, Paris-London 1888, VII, p. 178.

6 «d(i)v(us) constantinvs p(a)t(er) avg(ustorum)».

7 «v(e)n(erabilis) m(emo)r(ia)». Il rovescio può presentare in alternativa una quadriga che sale verso il cielo.

8 T. Orlandi, Storia della Chiesa di Alessandria, 2 voll., Milano-Varese 1968-1970. L’edizione aggiornata è consultabile sulla pagina web del Corpus dei Manoscritti Copti Letterari, http://cmcl.aai.uni-hamburg.de/ (17 nov. 2012). Per una bibliografia completa degli studi successivi si veda A. Camplani, A Syriac Fragment from the Liber Historiarum by Timothy Aelurus (CPG 5486), the Coptic Church History, and the Archives of the Bishopric of Alexandria, in Christianity in Egypt: Literary Production and Intellectual Trends. Studies in Honor of Tito Orlandi, ed. by P. Buzi, A. Camplani, Roma 2011, pp. 205-226.

9 H. Zotenberg, La Chronique de Jean, évêque de Nikiou, Paris 1883; R.H. Charles, The Chronicle of John, bishop of Nikiu. Translated from Zotenberg’s Ethiopic Text, London-Oxford 1916. Per i lavori successivi si veda G. Fiaccadori, John of Nikiou, in Christian-Muslims Relations. A Bibliographical History, I, (600-900), ed. by D. Thomas, B. Roggema, Leiden 2009, pp. 209-218.

10 Eusebe Renaudot, Historia patriarcharum alexandrinorum jacobitarum a D. Marco usque ad finem sæculi XIII, Parisiis 1713; History of the Patriarchs of the Coptic Church of Alexandria, Arabic text edited, translated, and annotated by B.T.A. Evetts, 4 voll., Paris 1907-1915 (PO I/2, I/4, V/1, X/5); Severus Ben al-Muqaffa‘, Historia patriarcharum Alexandrinorum, ed. by C.F. Seybold, Beryti-Parisiis 1904-1910 (CSCO, Scriptores Arabici, Series tertia, 9), rist. Louvain 1962 (CSCO 52, 59, Scriptores Arabici 8-9); Severus ibn al-Muqaffa‘, Alexandrinische Patriarchengeschichte von S. Marcus bis Michael I (61-767), nach der ältesten 1266 geschriebenen Hamburger Handschrift im arabischen Urtext herausgegeben, hrsg. von C.F. Seybold, Hamburg 1912. Per un elenco completo della bibliografia successiva e per il problema dell’autore della Historia Patriarcharum, cfr. J. den Heijer, Mawhūb ibn Mansūr ibn Mufarriǧ et l’historiographie copto-arabe: Étude sur la composition de l’Histoire des Patriarches d’Alexandrie, Louvain 1989 (CSCO 513, Subsidia 83).

11 Per la parte relativa al concilio di Nicea e agli avvenimenti immediatamente successivi, si veda anche la Passio Metrophanis et Alexandri, la Vita anonima copta di Atanasio e l’In Athanasium di Costantino di Siout. Cfr. T. Orlandi, Testi copti: 1. Encomio di Atanasio, 2. Vita di Atanasio, Milano 1968; Constantini Episcopi Urbis Siout, Encomia in Athanasium duo, a cura di T. Orlandi, Louvain 1974 (CSCO 349-350, Scriptores coptici 37-38).

12 Il primo di essi conteneva tutti e dodici i libri della Historia, mentre il secondo solo la seconda parte dell’opera. I fogli di entrambi i manoscritti sono attualmente conservati in diverse biblioteche europee.

13 A. Camplani, A Syriac Fragment from the Liber Historiarum, cit., pp. 208-212.

14 Naturalmente tale incontro è storicamente impossibile, dal momento che Ario era morto nel 336 e Alessandro ancor prima, nel 328. Si tenga conto inoltre del fatto che nell’Historia Ecclesiastica Alexandrina i nomi di Costante e Costanzo sono spesso confusi e i relativi regni cronologicamente invertiti.

15 T. Orlandi, Storia della Chiesa di Alessandria, cit.

16 Ivi.

17 In realtà Costante muore prima di Costanzo, cosa che dimostra, ancora una volta, la poca attendibilità cronologica della Historia Ecclesiastica Alexandrina. Particolarmente interessante, tuttavia, è la contrapposizione tra Costantino e Costanzo, che risente della prospettiva atanasiana.

18 T. Orlandi, Storia della Chiesa di Alessandria, cit.

19 Per la biografia dell’imperatore Giuliano e le circostanze che lo portarono al trono, cfr. I. Tantillo, L’imperatore Giuliano, Bari 2001. Per il periodo trascorso a Macellum, cfr. Giuliano, Orationes IV («Epistola agli Ateniesi»).

20 T. Orlandi, Storia della Chiesa di Alessandria, cit. Si notino la particolarità della citazione di Efeso tra le sedi patriarcali e l’anacronismo della menzione di Costantinopoli quando la città doveva ancora essere fondata.

21 Per i rapporti tra la Historia Ecclesiastica Alexandrina e la Historia Patriarcharum cfr. T. Orlandi, Studi Copti. 1. Un encomio di Marco Evangelista, 2. Le fonti copte della Storia dei Patriarchi di Alessandria, 3. La leggenda di S. Mercurio, Milano-Varese 1968, pp. 53-86; D.W. Johnson, Coptic Sources of the History of the Patriarchs of Alexandria, diss. Catholic University of America, Washington 1973; Id., Further Remarks on the Arabic History of the Patriarchs of Alexandria, in Oriens Christianus, 61 (1977), pp. 103-116.

22 CPC 0522; H. Munier, Un nouveau martyr copte: Saint Nabraha, in Bulletin de l’Institut Français d’Archéologie Orientale, 15 (1918), pp. 227-259.

23 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

24 CPC 0390; E.A.W. Budge, The Martyrdoms and Miracles of Saint George of Cappadocia, London 1888; I. Balestri, H. Hyvernat, Acta Martyrum, 2 voll., Louvain 1924 (CSCO 86, Scriptores coptici 6), pp. 183-269. Cfr. anche F. Cumont, La Plus Ancienne Légende de saint Georges, in Revue d’Histoire des Religions, 114 (1936), pp. 5-51; G. Garitte, Le panégyrique de S. Georges attribué a Constantin d’Assiout, in Le Muséon, 67 (1954), pp. 271-277; W.H.C. Frend, A Fragment of the Acta Sancti Georgii from Q’asr Ibrim (Egyptian Nubia), in Analecta Bollandiana, 100 (1982), pp. 79-86; R.-G. Coquin, Complément aux Miracles de Saint Georges, in Bulletin de la Société d’archéologie copte, 28 (1986-89), pp. 51-73.

25 L’accecamento di Diocleziano torna nell’In Crucem attribuito a Cirillo di Gerusalemme, nella Passio Macarii e nella Historia Eudoxiae.

26 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

27 CPC 0201.

28 H.A. Drake, A Coptic Version of the Discovery of the Holy Sepulchre, in Greek, Roman and Byzantine Studies, 20 (1979), pp. 381-392; T. Orlandi, B.A. Pearson, H.A. Drake, Eudoxia and the Holy Sepulchre. A Constantinian Legend in Coptic, Milano 1980; F. Rossi, Trascrizione di tre manoscritti copti del Museo Egizio di Torino, Torino 1885.

29 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

30 CPC 0264.

31 P. Dib, Jules d’Aqfahs, in Revue de l’Orient chrétien, 15 (1910), pp. 301-306; T. Mina, Jules d’Aqfahs et ses œuvres. À propos d’une icône conservée dans l’Église d’Abou’s-Seifein, in Bulletin de l’Association des amis de l’art copte, 3 (1937), pp. 41-47. Sul ciclo di Giulio di Kbehs/Aqfāḥs cfr. É. Amélineau, Les actes des martyrs de l’Église Copte. Étude critique, Paris 1890, pp. 123-161; inoltre Atti di Giulio di Aqfaḥs, a cura di E. Cerulli, 2 voll., Louvain 1959 (CSCO 190-191, Scriptores aethiopici 37-38).

32 CPC 0302, BHO 302; H. Munier, Fragments des actes du martyre de l’apa Chnoubé, in Annales du Service des Antiquités d’Égypte, 17 (1917), pp. 145-159; Four Martyrdoms from the Pierpont Morgan Coptic Codices, ed. by E.A.E. Reymond, J.W.B. Barns, Oxford 1973, pp. 83-127. L’omelia rappresenta una contaminazione del ‘ciclo di Basilide’ e del ‘ciclo di Giulio di Kbehs’.

33 CPC 0285, BHO 578; Les Actes des Martyrs de l’Égypte tirés des manuscrits coptes de la Bibliothèque Vaticane et du Musée Borgia, éd. par H. Hyvernat, Paris 1886, I, pp. 40-77.

34 CPC 0281, BHG 960.

35 T. Orlandi, Teodosio di Alessandria nella letteratura copta, in Giornale Italiano di Filologia, n.s. 2, 2 (1971), pp. 175-185; E.A.W. Budge, Saint Michael the Archangel. Three Encomiums, London 1894.

36 CPC 0346, CPG 7043.

37 CPC 0057.

38 Omelie copte, scelte e tradotte, con una introduzione sulla letteratura copta, a cura di T. Orlandi, Torino 1981, pp. 47-57; L. Depuydt, Catalogue of Coptic Manuscripts in the Pierpont Morgan Library, New York 1993, I, pp. 353-356 (n. 172).

39 T. Orlandi, Omelie copte, cit., p. 53.

40 Ampio spazio avrà, soprattutto in relazione a Costantinopoli, l’immagine di Costantino artefice di una nuova edilizia. Cfr. G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974.

41 CPC 0119; CPG 3603.

42 E.A.W. Budge, Miscellaneous Coptic Texts in the Dialect of Upper Egypt, London 1915, pp. 49-73; e Ps. Cirillo di Gerusalemme, Omelie copte sulla Passione, sulla Croce e sulla Vergine, a cura di A. Campagnano, Milano 1977, pp. 152-195.

43 CPC 0073, CPG 2970, BHO 73.

44 M. Chaîne, Catéchèse attribuée a Saint Basile de Césarée: une lettre apocryphe de Saint Luc, in Revue de l’Orient Chrétien, 23 (1922-1923), pp. 150-159, 271-302.

45 Si noti che sia la finzione dell’omelia pronunciata in occasione della consacrazione di un luogo santo sia il rinvenimento di un antico testo dimenticato sono topoi ricorrenti nella letteratura copta. Cfr. W. Speyer, Die literarische Fälschung, im heidnischen und christlichen Altertum: ein Versuch ihrer Deutung, München 1971, pp. 69-70.

46 Tale tradizione agiografica, che attinge materiale dall’agiografia greca, ha, come è noto, ampio sviluppo anche in latino e fino al pieno Medioevo, come attesta la Legenda Aurea di Iacopo Da Varazze.

47 CPC 0438, BHO 233; I. Guidi, Textes orientaux inédits du Martyr de Judas Cyriaque évêque de Jérusalem, II. Texte copte, in Revue de l’Orient Chrétien, 9 (1904), pp. 310-332.

48 Secondo l’In Crucem di Cirillo di Gerusalemme, Giuliano sarebbe morto di sete e sarebbe stato privato di degna sepoltura, mentre per l’Historia Patriarcharum «fu ucciso per mano del glorioso martire Mercurio, e dopo di lui Gioviano il patrizio fu intronizzato e durante il suo regno diede pace alla Chiesa» (B. Evetts, History of the Patriarchs, cit., I/4, p. 403).

49 Amm., XXV 3,7.

50 CPC 0506, BHG 638-640; R.-G. Coquin, E. Lucchesi, Une version copte de la passion de Saint Eusignios, in Analecta Bollandiana, 100 (1982), pp. 185-208.

51 CPC 0120, CPG 3602; E.A.W. Budge, Miscellaneous Coptic Texts, cit., pp. 183-230; A. Campagnano, Omelie copte sulla Passione, cit., pp. 76-149. Per la figura di Cirillo, cfr. T. Orlandi, Cirillo di Gerusalemme nella letteratura copta, in Vetera Christianorum, 9 (1972), pp. 94-100.

52 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

53 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

54 CPC 0108; CPG 5273; T. Orlandi, Testi Copti, cit., pp. 11-70.

55 CPC 0123.

56 T. Orlandi, Constantini Episcopi Urbis Siout, cit., e Id., La traduzione copta dell’Encomio di Atanasio di Gregorio Nazianzeno, in Le Muséon, 83 (1970), pp. 351-366.

57 Non può sfuggire la somiglianza di questo episodio con quello del generale Sisinnio che, nel tentativo di arrestare Clemente mentre celebra la messa, viene reso cieco dall’intervento divino. A differenza dell’omelia precedente, pur nella sovrapposizione di Costantino e Costanzo, qui fusi in un unico personaggio, lo In Athanasium rispetta maggiormente i dati storici, così come li trasmette Sozomeno.

58 H. Hyvernat, Les Actes des martyrs, cit., pp. 78-113.

59 Synaxarium Alexandrinum, ed. J. Forget, Louvain 1905-1926 (rist. Louvain 1953-1954; CSCO 47-49, 67, 78, 90, Scriptores arabici 3-5, 11-13); R. Basset, Le synaxaire arabe Jacobite (rédaction copte), 6 voll., Paris 1904-1929 (rist. Turnhout 1980-1994; PO I/3, III/3, XI/5, XVI/2, XVII/3, XX/5).

60 Ancora più esplicito in merito al vacillare dell’‘ortodossia’ di Costanzo, è il passo riportato in occasione del 7 Pashons: «ma quando Costantino morì, gli succedette il figlio Costanzo che era ariano» (Synaxarium Alexandrinum, cit., II, p. 106). Ancora, il 12 di Pashons riporta delle esortazioni di Cirillo a Costanzo perché mantenga la saldezza e l’integrità di fede di suo padre Costantino, ivi, II, p. 116.

61 Tra gli episodi sinassariali che vedono Costantino come responsabile della costruzione di luoghi santi vale la pena di riportare la traslazione a Costantinopoli del corpo della martire Sofia e la costruzione di una chiesa in suo onore (5 Thout), ivi, II, pp. 7-8, o la consacrazione ad Alessandria di una chiesa in onore di Giulio di Aqfāḥs (25 Paope), ivi, I, p. 87. Entrambi gli episodi non risultano conservati in lingua copta. È ben noto invece il martirio di Pietro, la cui versione copta tuttavia non sembra tramandare la costruzione a opera di Costantino della chiesa a lui intitolata, di cui nel Sinassario si specifica che era collocata «nella parte occidentale di Alessandria» e che rimase attiva «fino a quando gli arabi invasero la regione» (1 Meshir), ivi, I, p. 451. Per l’Encomio di Pietro, cfr. T. Orlandi, La versione copta (saidica) dell’“Encomio di Pietro alessandrino”, in Rivista degli Studi Orientali, 45 (1970), pp. 151-175; C. Schmidt, Fragmente einer Schrift des Martyrerbischofs Petrus von Alexandrien, Leipzig 1901.

62 H. Quecke, Untersuchungen zum koptischen Stundengebet, Louvain 1970, pp. 91-96; L. Depuydt, The Coptic manuscripts, cit., I, pp. 113-121 (n. 59). Per l’edizione dell’inno cfr. K.-H. Kuhn, W.J. Tait, Thirteen Coptic Acrostic Hymns from manuscript M574 of the Pierpont Morgan Library, Oxford 1996, pp. 27-35.

63 Per la figura di Mercurio, cfr. T. Orlandi, Studi Copti, cit., pp. 89-100; Passione e miracoli di s. Mercurio, a cura di T. Orlandi, S. Di Giuseppe Camaioni, Milano 1976. Per gli inni dedicati a Mercurio cfr. M. Cramer, Koptische Hymnologie in deutscher Übersetzungen, Wiesbaden 1969, pp. 4-12.

64 The Monastery of Epiphanius at Thebes: I, The Archaeological Material, ed. by H.E. Winlock; II, Coptic Ostraka and Papyri, ed. by W.E. Crum; Greek Ostraka and Papyri, ed. by H.G. Evelyn White, New York 1926. L’ostrakon è edito da Crum, Ep. 80, pp. 25, 171-172, xv (Addenda). Cfr. inoltre D.V. Proverbio, Le recensioni etiopiche della Passio Mercurii, in Studi Classici e Orientali, 43 (1993), pp. 453-466.

65 Traduzione dal testo copto a cura dell’autore.

66 Cfr. ad es. Eus., v.C. IV 56; R. Stewart, s.v. Constantine I, in Coptic Encyclopedia, ed. by A.S. Atiya, New York 1991, II, pp. 588-590; RE VII, [C.] Benjamin, s.v. Constantinus der grosse, cc. 1013-1026, in partic. 1014 (con Galerio in Asia) e 1028.

67 Non si dispone di alcun contributo complessivo o parziale su Costantino nella tradizione etiopica. Su quest’ultima, in generale e per ogni suo aspetto, cfr. Encyclopaedia Aethiopica, 4 voll., ed. by S. Uhlig (vol. IV in cooperation with A. Bausi), Wiesbaden 2003-2010 (= EAE), con dettagliata bibliografia aggiornata nelle singole voci; sulla cristianizzazione del regno di Aksum, in sintesi, H. Brakmann, Die Einwurzelung der Kirche im spätantiken Reich von Aksum, Bonn 1994; per le tradizioni etiopiche, si veda ora A. Brita, I racconti tradizionali sulla «seconda cristianizzazione» dell’Etiopia. Il ciclo agiografico dei Nove Santi, Napoli 2010. Per una presentazione rapida delle tradizioni ecclesiastiche e letterarie, cfr. Le antiche Chiese Orientali. Storia e letteratura, a cura di P. Siniscalco, Roma 2005: Id., La chiesa d’Etiopia, ivi, pp. 118-136; P. Marrassini, La letteratura etiopica, ivi, pp. 137-150. Per la rappresentazione di Roma si vedano almeno E. Cerulli, Gli imperatori Onorio ed Arcadio nella tradizione etiopica, in IV Congresso Internazionale di Studi Etiopici (Roma, 10-15 Aprile 1972), Roma 1974 (Problemi attuali di scienza e di cultura 191), I, pp. 15-54; P. Marrassini, Giustiniano e gli Imperatori di Bisanzio nella letteratura etiopica, in XXX Corso di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina. Seminario Giustinianeo (Ravenna 6-14 marzo 1983), Ravenna 1983, pp. 383-389.

68 Periplus maris Erythraei 4-6; cfr. L. Casson, The Periplus maris Erythraei, Princeton 1989, pp. 52-55.

69 W. Hahn, Die Münzprägung des aksumitischen Reiches, in Litterae Numismaticae Vindobonenses, 2 (1983), pp. 113-180, in partic. 120; S. Munro-Hay, B. Juel-Jensen, Aksumite Coinage. A revised and enlarged edition of The Coinage of Aksum, London 1995, pp. 45-47, ove si sostiene una tesi diversa da S. Munro-Hay, Aksum. An African Civilization of Late Antiquity, Edinburgh 1991, p. 202; cfr. anche G. Fiaccadori, s.v. Ousanas I, in EAE, IV, pp. 82-83.

70 Eus., v.C. I 28; cfr. G. Fiaccadori, s.v. Eusebios of Cesarea, in EAE, II, pp. 454-456.

71 G. Fiaccadori, s.v. MḤDYS, in EAE, III, pp. 947-949; cfr. anche G.W. Bowersock, Helena’s Bridle and the Chariot of Ethiopia, in Antiquity in Antiquity. Jewish and Christian Pasts in the Greco-Roman World, ed. by G. Gardner, K.L. Osterloh, Tübingen 2008, pp. 383-393, che non tiene però conto del fatto che l’aureo di MḤDYS è certamente un falso, e così con tutta probabilità alcuni dei conii argentei; e ancora Id., Helena’s Bridle, Ethiopian Christianity and Syriac Apocalyptic, in Studia Patristica, 45 (2010), pp. 211-220; Id., Empires in collision in Late Antiquity, Waltham, Massachusetts 2012, pp. 1-28 (Byzantium, Ethiopia, and the Jewish Kingdom of South Arabia).

72 EAE: M.-L. Derat, s.v. Lalibäla, III, pp. 477-480; J. Mantel-Niećko, D. Nosnitsin, s.v. ‘Amdä Ṣǝyon, I, pp. 227-229; per il re leggendario, S. Munro-Hay, Red., s.v. Gäbrä Mäsqäl, II, pp. 623-624.

73 Rufin., hist. X 9-10; Ath., apol. Const. 29-31; la presenza di monetazione continua di uno stesso re ‘Ēzānā prima pagano e poi cristiano; la presenza di iscrizioni aksumite in etiopico e anche in greco fatte eseguire dallo stesso re ‘Ēzānā, di tenore prima pagano e poi cristiano, cfr. anche S. Black, “In the Power of God Christ”: Greek inscriptional evidence for the anti-Arian theology of Ethiopia’s first Christian king, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, 71 (2008), pp. 93-110, da prendersi con grande cautela; S.C.H. Munro-Hay, The Dating of Ezana and Frumentius, in Rassegna di Studi Etiopici, 32 (1988), pp. 111-127; EAE: G. Fiaccadori, s.v.‘Ezana, II, pp. 478-480, e Id., s.v. Sälama (Käśate Bǝrhan), IV, pp. 484-488.

74 E. Littmann, Th. von Lüpke, Deutsche-Aksum Expedition, I, Reisebericht der Expedition. Topographie und Geschichte Aksum, Berlin 1913, pp. 48-51; E.A. Judge, The date of Ezana, ‘Constantine’ of Ethiopia, in New Documents Illustrating Early Christianity, I, A Review of Greek Inscriptions and Papyri published in 1976, ed. by G.H.R. Horsley, Macquarie 1981, p. 1434; Th. Natsoulas, s.v. Byzantine Empire, in EAE, I, pp. 657-659; Chr. Haas, Mountain Constantines: The Christianization of Aksum and Iberia, in Journal of Late Antiquity, 1 (2008), pp. 101-126, interessante per la prospettiva ampia, ma del tutto inattendibile nel dettaglio per quanto riguarda la presentazione della situazione etiopica.

75 Nubica et Aethiopica [vormals Nubica] IV/V, hrsg. von P. Nagel, P.O. Scholz, Warszawa 1999: W. Hahn, Symbols of Pagan and Christian Worship on Aksumite Coins. Remarks to the History of Religions in Ethiopia as Documented by its Coinage, ivi, pp. 431-454; assai più cauto H. Brakmann, Religionsgeschichte Aksums in der Spätantike, ivi, pp. 401-430; T. Tamrat, Church and State in Ethiopia 1270-1527, Oxford 1972, pp. 22-23.

76 Rispettivamente CPG 8517 e CPG 2041 = 8519.

77 Cfr. A. Bausi, La Collezione aksumita canonico-liturgica, in Adamantius, 12 (2006), pp. 43-70 (nn. 14 e 15); Id., La “nuova” versione etiopica della Traditio apostolica: edizione e traduzione preliminare, in Christianity in Egypt, cit., pp. 19-69.

78 E. Haberland, Untersuchungen zum äthiopischen Königtum, Wiesbaden 1965, pp. 46-47, 94, 238.

79 Il nome di Costantino è attestato per un errore della tradizione manoscritta, non privo di significato, al posto del corretto «Giustino», o «Giustiniano», nella traduzione etiopica del Martyrium Arethae; l’errore è però già presente nel modello arabo da cui dipende la versione etiopica, cfr. A. Bausi, A. Gori, Tradizioni orientali del «Martirio di Areta». La Prima recensione araba e la Versione etiopica, Firenze 2006, pp. 116-117 (§ 1).

80 M.-L. Derat, s.v. Säyfä Ar‘ad, in EAE, IV, p. 568; Id., s.v. Dawit II, ivi, II, pp. 112-113; S. Chernetsov, s.v. Ǝskǝndǝr, ivi, II, p. 383 (senza menzione del nome di regno). Appunto a un testo che parlasse di Zar’a Yā‘qob aveva erroneamente pensato R. Pankhurst, On Two Portuguese folios in a Medieval Ethiopic MS, in The Book Collector, 35,4 (1986), pp. 463-474, esaminando il testo scritto nei primi fogli di un salterio illustrato – cfr. E. Balicka-Witakowska, Un psautier éthiopien illustré inconnu, in Orientalia Suecana, 33-35 (1984-1986), pp. 17-48, in partic. 17, 22 e 32, e G. Fiaccadori, Prototipi miniati dell’Ottateuco etiopico, in Bollettino del Museo Bodoniano di Parma, 8 (1994), pp. 69-102, in partic. 100 nota 66 – ove si leggeva il nome di Qwasṭanṭinos nella difficile e non intesa versione etiopica della Lex lata Constantini Augusti de Arii damnatione; cfr. anche L. Ricci, Enbāqom apprendista?, in Rassegna di Studi Etiopici, 31 (1987), pp. 252-257, in partic. 254-255.

81 S. Munro-Hay, Red., s.v. Gäbrä Mäsqäl, cit.; G. Fiaccadori, s.v. Kaleb, in EAE, III, pp. 329-332; per l’attestazione nella cosiddetta Cronaca abbreviata, cfr. F.A. Dombrowski, Ṭānāsee 106: Eine Chronik der Herrscher Äthiopiens, Wiesbaden 1983, A, p. 34; B, p. 150.

82 Cfr. Taddesse Tamrat, Church and State, cit., pp. 206-247; M.-L. Derat, Le domaine des rois éthiopiens (1270-1527). Espace, pouvoir et monachisme, Paris 2003; Id., Les homélies du roi Zar’a Ya’eqob: la communication d’un souverain éthiopien du XVe siècle, in L’écriture publique du pouvoir, éd. par A. Bresson, A.-M. Cocula, C. Pebarthe, Bordeaux 2005, pp. 45-57.

83 P. Piovanelli, Les controverses théologiques sous le roi Zar’a Yā‘qob (1434-1468) et la mise en place du monophysisme éthiopien, in La controverse religieuse et ses formes, éd. par A. Le Boulluec, Paris 1995, pp. 189-228, in partic. 217 nota 102; M.-L. Derat, s.v. Däbrä Mǝṭmaq, in EAE, II, pp. 34-35.

84 P. Marrassini, Lo scettro e la croce, cit., p. 31, con riferimento alle cronache annalistiche dei sovrani Sarṣa Dengel (1563-1597) e Iyāsu II (1730-1755); ivi, pp. 22-39, un’ampia ed efficace rappresentazione dei topoi più comuni della storiografia annalistica etiopica.

85 K. Conti Rossini, Documenta ad illustrandam historiam, I: Liber Axumae, 2 voll., Parisiis-Lipsiae 1909 (rist. Louvain 1961-1962; CSCO 54, 58, Scriptores aethiopici 24, 27), II, p. 95. Per i documenti in questione cfr. anche G. Lusini, s.v. Aksum: Mäṣḥafä Aksum, in EAE, I, pp. 185-186; E. van Donzel, s.v. Fasilädäs, ivi, II, pp. 499-502; L. Cohen, s.v. Susǝnyos, ivi, IV, pp. 770-772.

86 C. Bosc-Tiessé, M.-L. Derat, s.v. Ṭefut: Mäṣḥafä ṭefut, in EAE, IV, pp. 887-888. La collezione è stata replicata – con poche eccezioni, tra cui il testo qui in esame, forse aggiunto successivamente alla copia – nel manoscritto London, British Library, Or. 481, cfr. G. Fiaccadori, Prototipi miniati dell’Ottateuco, cit., pp. 72-80 e 92-98.

87 A. Caquot, Aperçu préliminaire sur le Maṣḥafa Ṭēfut de Gechen Amba, in Annales d’Éthiopie, 1 (1955), pp. 89-108, in partic. 101-102. In assenza di una edizione del testo etiopico, si rende in italiano la traduzione francese.

88 Cfr. G. Lusini, L’Église axoumite et ses traditions historiographiques (IVe-VIIe siècle), in L’Historiographie de l’Église des premiers siècles, éd. par B. Pouderon, Y.-M. Duval, Paris 2001, pp. 541-557; A. Bausi, The Aksumite background of the Ethiopic “Corpus canonum”, in Proceedings of the XVth International Conference of Ethiopian Studies (Hamburg July 20-25 2003), ed. by S. Uhlig et al., Wiesbaden 2006, pp. 532-541.

89 P. Marrassini, s.v. Kǝbrä nägäśt, in EAE, III, pp. 364-368; cfr. anche G. Fiaccadori, s.v. Makǝdda, ivi, III, pp. 672-679; tra gli studi più recenti, le cui conclusioni non sono facilmente condivisibili, cfr. M. Debié, Le Kebra Nagast ou La Gloire des rois: une réponse apocryphe aux événements de Najran?, in Juifs et chrétiens en Arabie aux Ve et VIe siècles. Regards croisés sur les sources. Le massacre de Najrân II, éd. par J. Beaucamp, Fr. Briquel-Chatonnet, Chr. J. Robin, Paris 2010, pp. 255-278. Sull’eredità israelitica in Etiopia, cfr. P. Marrassini, Un caso africano: la dinastia Zague in Etiopia, in Tracce dei vinti, a cura di S. Bertelli, P. Clemente, Firenze 1994, pp. 200-229.

90 «Dopo Cristo», così letteralmente nel testo, è una piccola, ma presente difficoltà testuale, che, come spesso fa, E.A.W. Budge, The Queen of Sheba and her only son, Menyelek, London 1922, p. 72, rimuove tacitamente nella sua traduzione; cfr. un altro caso evidenziato da G.W. Bowersock, Helena’s Bridle and the Chariot, cit., p. 387.

91 C. Bezold, Kebra Nagast. Die Herrlichkeit der Könige, 2 voll., München 1905, I, pp. 90-91; II, p. 72. Per altre traduzioni, cfr. G. Colin, La gloire des rois (Kebra Nagast). Épopée nationale de l’Éthiopie, Genève 2002; R. Beylot, La Gloire des Rois ou l’Histoire de Salomon et de la reine de Saba, Turnhout 2008; O. Raineri, Kebra Nagast. La gloria dei re. Salomone e la regina di Saba nell’epopea etiopica tra testo e pittura, Roma 2008.

92 C. Bezold, Kebra Nagast, cit., I, p. 126; II, p. 99; E.A.W. Budge, The Queen of Sheba, cit., p. 164. Cfr. anche D.A. Hubbard, The Literary Sources of the Kebra Nagast, diss. University of St Andrews 1957, pp. 172-173.

93 Cfr. W. Witakowski, Ethiopic and Hebrew Versions of the Legend of the Finding of the Holy Cross, in Studia Patristica, 35 (2001), pp. 527-535; Id., s.v. Mäsqäl: Legend of the Finding of the Holy Cross, in EAE, III, pp. 842-843; E. Balicka-Witakowska, s.v. Relics of the True Cross in Ethiopia, ivi, IV, pp. 357-358, con G. Fiaccadori, L’Etiopia, Venezia e l’Europa, in Nigra sum sed formosa. Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana (catal.), a cura di G. Barbieri, G. Fiaccadori, Vicenza 2009, pp. 27-48, in partic. 36-38. Tra i pochi testi pubblicati, cfr. L. Guerrieri, S. Grébaut, Récit de la manifestation de la Croix, in Revue de l’Orient chrétien, 25 (1925-1926), pp. 276-308; W. Witakowski, Theodoxia and her finding of the Holy Cross: An Ethiopic version of the legend of the Finding of the Holy Cross in the Miracles of Mary, in Warszawskie Studia Teologiczne, 12,2 (1999 [2000]) = Miscellanea Aethiopica Stanislao Kur, pp. 253-269.

94 A. Bausi, s.v. Mǝśṭir: Mäṣḥafä mǝśṭir, in EAE, III, pp. 941-944; G. Colin, s.v. Giyorgis of Sägla, in EAE, II, p. 812.

95 Yaqob Beyene, Giyorgis di Saglā. Il libro del Mistero (Maṣḥafa Mesṭir), 4 voll., Lovanii 1990-1993 (CSCO 515-516, 532-533, Scriptores aethiopici 89-90, 97-98), II, pp. 27-28.

96 Ivi, II, p. 31.

97 Ivi, II, pp. 87-88.

98 Ivi, IV, p. 104.

99 S. Weninger, s.v. John of Nikiu, in EAE, III, pp. 298-299; G. Fiaccadori, Māsidis (Giovanni di Nikiou, Chron. XC 54-60), in «In partibus Clius». Scritti in onore di Giovanni Pugliese Carratelli, a cura di G. Fiaccadori, A. Gatti, S. Marotta, Napoli 2006, pp. 113-135. Di Costantino si tratta in diversi punti, cfr. H. Zotenberg, La Chronique de Jean, cit., pp. 264-265, descrizione del prodigio sopravvenuto in occasione della chiusura della chiesa di Sosthenium, che si rivela in realtà dedicata a un angelo, cioè a Michele (cfr. Vita anonyma Constantini, 25); pp. 285-286, conversione in chiesa dedicata a san Michele dell’edificio costruito da Cesare e intitolato al figlio Cesarione; pp. 296-310 (cap. 77): l’intero capitolo è dedicato a Diocleziano e Costantino (pp. 301-310); p. 314 (cap. 78): Giuliano distrugge l’opera di Costantino; menzioni minori a p. 317 (cap. 80), p. 340 (cap. 84).

100 E. Cerulli, Atti di Giulio di Aqfaḥs, cit., II, pp. i-iii; Id., La «Conquista persiana di Gerusalemme» ed altre fonti orientali cristiane di un episodio dell’«Orlando Furioso», in Orientalia, n.s., 15 (1946), pp. 439-481, in partic. 444 nota 2. Cfr. inoltre U. Zanetti, Une pseudo-homélie d’Alexandre d’Alexandrie sur Saint Jules d’Aqfahs (CPG 2017), in Analecta Bollandiana, 115 (1997), pp. 130-132; Y.N. Youssef, Recherches sur Jules d’Aqfahs, diss. Université de Montpellier III (Paul Valéry) 1999.

101 E. Cerulli, Atti di Giulio di Aqfaḥs, cit., II, pp. 39-41.

102 L’edizione completa del testo si deve a I. Guidi, S. Grébaut (anche con G. Nollet), Le Synaxaire éthiopien, Paris 1905, 1910, 1913, 1927, 1945 (PO I/5, VII/3, IX/4, XV/5, XXVI/1, mesi di Sanē, Ḥamlē, Naḥasē, Tāḫśāś e P̣āgwemēn); e a G. Colin, Le Synaxaire éthiopien, Turnhout 1986-1899 (PO XLIII/3, XLIV/1, XLIV/3, XLV/1, XLV/3, XLVI/3, XLVI/4, XLVII/3, XLVIII/3, mesi di Maskaram, Ṭeqemt, Ḫedār, Ṭerr, Yakkātit, Maggābit, Miyāzyā, Genbot, e un volume di indici); comoda traduzione in E.A.W. Budge, The Book of the Saints of the Ethiopian Church, 4 voll., Cambridge 1928.

103 G. Colin, Le synaxaire éthiopien. État actuel de la question, in Analecta Bollandiana, 106 (1988), pp. 273-317; Id., A. Bausi, s.v. Sǝnkǝssar, in EAE, IV, pp. 621-623.

104 In altre date Costantino è menzionato in forma ancora più breve: al 18 Maskaram (su san Mercurio), al 22 (su san Giulio), al 5 Ṭeqemt (sul padre dell’ariano Costanzo II, indicato, come spesso succede, con lo stesso nome di Costantino), al 28 Ṭeqemt (su san Marciano e san Mercurio, menzionato come padre dell’ariano Costanzo II); al 7 Ḫedār (su san Giorgio, menzionato come successore di Diocleziano, fondatore di chiese e distruttore del paganesimo), al 13 (su Timoteo di Enṣenā [Antinopolis], menzione dell’editto), al 22 di Tāḫśāś (su Anastasio, o Antonio, trentaseiesimo vescovo di Alessandria), al 27 Ṭerr (su Bifāmon), al 1° Yakkātit (su Pietro di Alessandria, nel cui nome Costantino costruì una chiesa), al 2 (su P̣āwli, menzione della veste che Costantino dette ad Atanasio), al 6 Maggābit (su Teodosio vescovo di Corinto, menzionato come liberatore dei cristiani), al 13 Maggābit (sui 40 Martiri di Sebastia), al 7 Genbot (su Daniele di Scete), al 25 (brevissima commemorazione di Costantino e di sua madre Elena), al 12 Sanē (su Michele arcangelo), al 25 Ḥamlē (su Ladimādyos, menzione delle chiese costruite da Costantino), al 30 Ḥamlē (su Mercurio ed Efraim), al 18 Naḥasē (su Alessandro vescovo di Alessandria, menzionato per la scomunica di Ario al concilio di Nicea).

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE