TRADUZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TRADUZIONE

Enrico Arcaini

Teoria della traduzione. - Nel corso dei secoli, la t. ha avuto varie definizioni che sembrano coincidere con le esigenze particolari dei tempi. Si è parlato di volta in volta di strumento d'indagine filologica nei confronti dei testi letterari oggetto di t., di adattamento dei fatti originali alla ''sensibilità'' dei tempi o ancora di trasposizione o traslazione di opere ritenute fondamentali per la conoscenza della storia. Talvolta le traduzioni hanno rappresentato ''modelli'' da seguire.

Il traduttore è dunque un mediatore di cultura che opera incisivamente sulla lingua, innovando. La sua ''presenza'' è importante e l'opera tradotta è una vera e propria lettura adattativa dall'universo culturale dell'opera originale a quello della lingua del traduttore. L'opera di trasposizione dall'universo di origine a quello di arrivo comporta scelte e decisioni che dipendono da chi traduce, prima ancora che dall'adeguatezza sostanziale rispetto all'originale. La t. rimane a lungo legata a considerazioni esterne alla sostanza dei fattori che definiscono e regolano il testo in quanto tale. Il più delle volte essa si identifica con aspetti legati alla letteratura ed è confrontata con questioni di ordine critico-estetico che ne condizionano la fisionomia. Anzi possiamo affermare che la t. non ha una seria base di riflessione teorica. Essa, nel migliore dei casi, è considerata un'arte: è per ''definizione'' coincidenza di sensibilità artistica fra due personalità (traduttore e autore) che rendono un'atmosfera determinata, proprio perché legata a un particolare universo. È il caso fortunato di S. George che traduce Dante o di Ch. Baudelaire che capta il mondo di E.A. Poe. In Italia, la parziale e univoca interpretazione della (non) traducibilità della poesia secondo B. Croce (o meglio secondo una certa lettura di Croce) distoglie a lungo l'attenzione dal problema reale.

Ma oggi la t. investe primariamente il mondo non solo dell'uomo colto, del letterato, ma quello dell'uomo della civiltà tecnica, anzi del più comune fruitore di lingua che deve leggere le istruzioni sui mutevolissimi strumenti imposti dalla moderna tecnologia. Il concetto di arte, di personalità sbiadisce inevitabilmente di fronte alle esigenze di rapidità nella circolazione della comunicazione, di rigore tecnico, di assunzione di nuovi veicoli di cultura dalle più diverse provenienze. Per certe aree culturali minoritarie la t. è il tramite obbligato e irrinunciabile per assumere cultura e conoscenza e per testimoniare (attraverso la versione appunto) la propria cultura, condizione della sopravvivenza. Non vi è speranza di sopravvivenza per culture come quella ladina o quella quechua se non di essere trasposte in un altro sistema in grado di mediare i propri apporti originali. Questa esigenza − che era comunque di ogni tempo (e purtroppo certe culture si sono perse) − è imperiosa oggi. La t. non è soltanto un fatto tecnico, un esercizio, ma un fatto culturale di enorme portata.

Stando così le cose, era inevitabile porre il problema in termini nuovi. Impellenti necessità di contatto tra i popoli, determinate a volte anche dalle guerre, hanno costituito un fattore dirompente: l'esigenza di comunicare in termini precisi e nel minor tempo costringe a cercare soluzioni adeguate. In questa direzione la linguistica, in accordo con discipline affini (cibernetica, psicolinguistica, sociolinguistica, teoria dell'informazione), impone la propria riflessione scientifica e i suoi modelli. È una svolta che, particolarmente a partire dagli anni Sessanta, fa uscire la t. dall'empiria e dall'improvvisazione per raggiungere un livello d'indagine teorica sempre crescente. L'area degli interessi si estende alla t. classica dei testi (scritti o parlati), alla t. automatica, alle professioni (traduttore simultaneista, consecutivista e interprete), alla pratica didattica concepita su basi scientifiche.

La traduzione su basi scientifiche. - La t. si definisce come disciplina costruita su basi scientifiche intorno agli anni Sessanta. Gli studiosi cominciano allora a confrontarsi con il processo del tradurre, tentando di descriverne con criteri oggettivi le diverse fasi e di enuclearne i fattori coinvolti. Il problema non è più tanto di speculare sulla traducibilità da un punto di vista ideologico o filosofico, ma di affrontare la questione pragmatica collegandola a studi teorici in grado di giustificare un apparato concettuale scientifico. Sostanzialmente, la scienza della t. assume, come altre scienze, il concetto di totalità come elemento unificatore. Gli eventi particolari si spiegano attraverso le interazioni dinamiche delle singole parti: i singoli elementi costitutivi trovano la loro giustificazione mediante lo studio di configurazioni o livelli superiori (von Bertalanffy 1977). Applicato alle discipline linguistiche − e più particolarmente alla cosiddetta traduttologia - ciò viene a significare che l'interesse si sposta da una concezione statica a una visione dinamica della lingua, che privilegia le realizzazioni concrete dell'utente (la parole saussuriana, il linguaggio) più che la norma (la langue), anche se l'interrelazione fra i due momenti idealizzati appare evidente. Queste riflessioni appaiono significative e opportune in un momento in cui la linguistica ha affinato le descrizioni formali-strutturali dei diversi livelli del sistema (fonologico, fonetico, morfologico, sintattico, semantico), particolarmente con gli studi strutturalistici delle scuole europea e statunitense, ed è quindi in grado di integrare dati forniti da altre discipline affini come la sociolinguistica, la psicolinguistica e la semiotica.

Un nuovo interesse si manifesta per una visione allargata alle condizioni di produzione del fenomeno linguistico e alla loro incidenza sulla significazione. L'analisi interna del segmento linguistico si completa con la ricerca delle condizioni legate alla riconduzione del segmento alle sue coordinate spazio-temporali. Questa nuova visione situazionale-contestuale delle relazioni linguistiche incide fortemente sull'impostazione e sullo sviluppo della scienza della t., perché costringe il teorico a confrontarsi con nuovi concetti operativi: a) l'analisi non riguarda soltanto la singola categoria grammaticale o la costituzione della frase, ma la competenza linguistica sia dell'emittente che del ricevente di un intero testo, unica fonte della significazione. Si opera quindi nell'ambito della linguistica testuale (v. in questa Appendice) che tiene conto dell'impatto dei diversi livelli linguistici con le situazioni pragmatiche in cui si realizza l'evento, in relazione alla funzione comunicativa presa in considerazione; b) il concetto di equivalenza traduttiva, o meglio di omologia intertestuale, si applica al testo nella sua globalità, presupponendo analisi fini di tutte le coordinate di cui è costituito un insieme testuale, per renderle omologicamente in un testo di arrivo che abbia alla base la medesima analisi del sistema correlativo di dati: il che pone il problema delle comparazioni sostanziali-qualitative (contenuto e intenzione comunicativa) più che formali; c) il testo linguistico è visto come l'esito di una relazione fra segno linguistico e mondo extralinguistico. Il modello traduttologico più completo − e pertanto più complesso − è quello che è in grado di integrare nell'analisi tutte le variabili che interessano il segno linguistico, inteso come fattore simbolico che ingloba: il sistema linguistico (vale a dire la struttura del testo come insieme di frasi interrelate); le condizioni di istanziazione del fatto linguistico nel momento della produzione testuale; le caratteristiche culturali a cui si applica l'evento; le condizioni storiche che ne giustificano l'uso tanto in sincronia quanto in diacronia. L'operazione t. appare dunque come una procedura di grande complessità che necessita della conoscenza approfondita di tutti gli elementi di natura linguistica, integrati con le discipline collaterali atte a chiarire quale sia l'intenzione comunicativa del parlante.

Occorre notare il fatto che la scienza della t. si è sviluppata in relazione all'evoluzione della t. automatica, la quale richiedeva − per definizione − l'oggettivazione e la formalizzazione del processo traduttivo, al fine di disporre di istruzioni inambigue da fornire al computer. Si sa che queste pretese rappresentano un mito irraggiungibile. In effetti la presunzione di base della t. automatica si fonda sulla corrispondenza-equivalenza delle forme strettamente linguistiche fra le lingue, senza tenere nel dovuto conto l'aspetto pragmatico comunicativo del testo. Al punto che la t. automatica attraversa oggi una fase di ripensamento. Nondimeno l'apporto dei tentativi compiuti in questa direzione è stato utile, nel senso che il linguista − lo studioso più legittimato a occuparsi di t. − si è visto costretto a prendere coscienza di numerosi fattori non facilmente formalizzabili e pure importanti nella definizione del processo.

Fondamenti teorici della traduttologia. - Per quanto ci sia un accordo abbastanza generalizzato fra gli studiosi sulla natura scientifica della traduttologia, ci sono opinioni diversificate circa i fondamenti della disciplina e particolarmente sull'importanza da attribuire al fattore linguistico. Da una parte c'è chi ritiene fondamentale il percorso strettamente linguistico delle analisi, dall'altra si fa osservare che attualmente sono carenti le analisi proprio sotto l'aspetto funzionale, al punto che sembra prematura una ''comparazione'' interlinguistica fondata su reali e approfondite descrizioni dei problemi comuni. La scienza della t. ingloba problemi riguardanti il genere del testo, l'aspetto linguistico, l'orientamento comunicativo.

Le ricerche quindi ruotano intorno a tre assi concettuali principali: il genere di testo, nella convinzione che il tipo di testo (letterario, scientifico, tecnico, per alcuni filosofico) richiede procedimenti sui generis nella t. ai diversi gradi: lessicale, sintattico e stilistico (Kloepfer 1967; Ladmiral 1979); l'aspetto strettamente linguistico (sintattico e semantico) con lo scopo di formalizzare le equivalenze formali esistenti tra due o più sistemi (Catford 1965; Kade 1981); l'aspetto comunicativo, in cui le problematiche traduttive sono equivalenti a quelle della comunicazione monolingue (Nida 1975).

Ma vi sono posizioni teoriche più elaborate che tengono conto dell'incidenza di vari fattori. Una posizione che si avvicina più realisticamente alle vere caratteristiche del problema traduttologico è quella secondo cui − qualunque sia il punto di vista messo in emergenza (prospettico, in quanto studio del processo, o retrospettivo, in quanto analisi dei risultati dello stesso) − l'obiettivo dell'analisi è quello della performance o realizzazione concreta del testo più che del sistema astratto della lingua. Questo punto di vista − molto fecondo − assicura che la t. sia condotta come un'operazione semiotica finalizzata a stabilire la comunicazione, tanto nella lingua di partenza (Lp) quanto nella lingua di arrivo (La) nella triplice dimensione di configurazione sintattica e semantica (descrivibili in termini di sistema) e pragmatica, tenendo conto delle teorie del testo e dell'emergenza delle coordinate spazio-temporali (Wilss 1980, Stein 1980, Bausch 1981). Viene recuperata in questo modo la configurazione normologica delle lingue (sistema di regolarizzazione degli eventi linguistici) e quella pragmatica, in quanto impatto dei fenomeni comunicativi e culturali. Vista in questa dimensione, la traduttologia è linguistica descrittiva comparativa che analizza globalmente ambiti particolari (microsistemi funzionali) tanto in Lp quanto in La, per stabilire relazioni omologiche: per es. la diversa modalità di rappresentazione della deissi spaziale nei verbi di movimento, in due o più lingue (Arcaini 1986).

In sostanza si possono ritenere acquisiti alcuni punti fermi riguardanti la definizione e l'ambito di una teoria della t. nelle sue tendenze attuali più promettenti. Una teoria linguistica del tradurre deve essere funzionale, per il suo carattere generale, a ogni testo; deve privilegiare l'atto linguistico, in considerazione della triade sintassi, semantica, pragmatica; deve fondarsi su una linguistica orientata alla prassi; deve estendere la comparazione interlinguistica a molteplici sistemi tipologicamente diversi.

In questo senso, la linguistica del testo è in una posizione importante, perché in grado di superare il livello frastico per concentrarsi su principi linguistici ed extralinguistici che ne regolano la costituzione. In altri termini, s'impone uno studio del significato che va al di là del significato di singoli costituenti. Il testo è una sequenza temporale di atti comunicativi, nel quale emergono tratti caratteristici che lo definiscono tipologicamente e consentono di privilegiare aspetti particolari nella traduzione. Prevale la necessità di evidenziare non tanto i contenuti quanto le funzioni primarie realizzate attraverso l'espressione linguistica: la rappresentazione, l'espressione, l'appello. Nei testi a rappresentazione dominante si manifesta l'intenzione dell'autore a comunicare essenzialmente informazioni e conoscenze; la caratteristica in questo caso è l'informazione o la normazione: saggistica, bollettini, testi di legge, contratti. Nei testi a espressione dominante si afferma la funzione espressiva, vengono in emergenza fattori estetici e sono privilegiati i contenuti linguistici. La funzione di appello mette in evidenza l'intenzione dell'autore d'influenzare con atto perlocutorio (l'effetto sul destinatario) le opinioni del ricevente, attraverso strumenti retorici (discorsi politici), od orientare le reazioni dell'allocutore (propaganda giornalistica, religiosa, politica), o di provocare vere e proprie reazioni (testi pubblicitari o simili; Bühler 1965, Reiss 1978). La determinazione dei generi testuali indica quali siano le funzioni preminenti irrinunciabili in una t. e stabilisce anche il tipo d'intervento linguistico da effettuare per garantire una corretta omologia dei testi a confronto.

Il processo traduttivo. - Dalle scelte operate sul piano teorico generale dipendono le proposte di procedure traduttive. A seconda del punto di vista prescelto, tali proposte si specificano in altrettanti modelli che privilegiano determinati aspetti o fattori della traduzione.

Alcuni modelli privilegiano l'equivalenza sintattica come base di realizzazione della t. (Kade 1981) e tendono a scoprire le regolarità nel cambiamento di codice linguistico, vale a dire i componenti cosiddetti oggettivi del processo. Poca considerazione è concessa ai fattori ''casuali'', a quelle variabili legate all'individualità dei partecipanti, in quel particolare modello di comunicazione che è la traduzione. Non è approfondita la competenza linguistica e comunicativa, né viene in emergenza la situazione spazio-temporale dello scambio. Tutta l'attenzione è rivolta principalmente al codice. Equivalenza in questo caso significa corrispondenza tra elementi a livello sintattico e semantico. Il modello si definisce pertanto come un'analisi della situazione comunicativa ''ideale''. Ogni incursione nella componente pragmatica del processo traduttivo sarebbe inopportuna, dato che coinvolgerebbe una massa di problemi non ancora risolvibili allo stato attuale della ricerca linguistica.

Un altro modello (Albrecht 1973) evidenzia l'importanza nelle relazioni LpLa del referente extralinguistico, inteso come mondo esterno. I codici linguistici costituiscono delle potenzialità di significato. Quando si attualizzano designano un oggetto del mondo, un referente. Scopo del tradurre è trovare il codice adeguato per esprimere il medesimo referente in due o più realtà linguistico-comunicative. In effetti i codici (i segni linguistici) non rimandano necessariamente alla medesima realtà referenziale: per es., sul piano strettamente lessicale, ted. Holz, fr. bois, it. legno non ricoprono le stesse realtà. L'analisi del testo consente di disambiguare il significato, almeno parzialmente. Oggetto del tradurre è pertanto un testo, visto come combinazione di segni linguistici usati in una situazione comunicativa ben definita e avente lo scopo di realizzare una determinata intenzione comunicativa. Il referente non può essere dunque un evento ''identico'', perché non c'è mai sovrapposizione totale fra referenti dal momento che esiste uno squilibrio di fatto fra ciò che l'emittente ''intende comunicare'' e quello che il ricevente ''comprende'' effettivamente. Tradurre non significa stabilire identità totali, ma fornire approssimazioni. Di invarianza si deve tuttavia parlare per i livelli semantico e pragmatico del segno linguistico.

Centrale diventa, in talune proposte, la posizione del traduttore. Il modello traduttivo è così concepito come la combinazione di diverse competenze: traduttiva, contestuale, linguistica. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un processo che intende rendere possibile la comunicazione interlinguistica. L'assunto di partenza è un testo; il traduttore è un lettore particolare che deve comprendere e trasmettere nel destinatario gli effetti di senso riscontrati e le funzioni comunicative espresse. Recepiti chiaramente questi compiti, il traduttore analizza il contenuto semantico-informativo e, tenuto conto delle caratteristiche stilistiche, opera scelte linguistiche assumendo in tal modo la dimensione di autore, in una fase che ri-crea il testo. Il traduttore ha quindi in questo modello un ruolo di primaria importanza. Il concetto di resa e di equivalenza è in stretta relazione con le capacità del traduttore; né si può parlare di equivalenza assoluta tra testo in Lp e La, poiché questa è solo potenziale, appunto perché legata alle conoscenze del traduttore, alla sua ''cultura'' in senso generale. Si delinea una particolare figura di traduttore: quella del bilingue perfetto. A questo punto si può porre il problema della direzione della t. sul piano operativo. Essendoci normalmente squilibrio nelle conoscenze dei sistemi linguistici in chi traduce, appare necessario privilegiare la lingua materna che sembra offrire un maggiore ventaglio di possibilità a chi è tenuto a scegliere, con adeguatezza sostanziale, soluzioni determinate.

La t. centrata sul testo − punto di forza di tutti gli approcci teorici − è concepita come insieme di istruzioni (Guenthner 1978, Stein 1980, Arcaini 1991). Il tradurre è parte di un processo di comunicazione che ha una sua particolare dinamica nelle diverse situazioni. L'analisi linguistica acquista una importanza notevole; i costituenti del testo sono fattori reattivi che chiedono di essere ricondotti in una situazione contestuale atta a chiarirne le valenze significative. Si delinea una figura di traduttore che ha una competenza a diversi livelli e ne sa rendere conto per sé nel processo di comprensione (ermeneutica) e per altri nell'operazione traduttiva. La t. si concepisce come un insieme di due fasi correlate in cui le analisi si fanno con lo stesso grado di approfondimento, il che non è normalmente richiesto a un ''lettore comune''. Per la t. scientifica non si può più parlare di conoscenza intuitiva, ma di competenza consapevole dei fenomeni linguistici, quando siano collocati in situazioni comunicative specifiche. L'operazione di decifrazione − delicata e fine − da parte del traduttore presuppone il perfetto possesso dei codici a confronto e degli universi di riferimento culturale sincronici e diacronici. Il traduttore è quindi il linguista che analizza i dati sulla base di una concezione del segno linguistico che tiene conto di tutte le istruzioni che portano alla costituzione del testo e rivela l'insieme delle intenzioni comunicative, la tessitura intenzionale (Arcaini 1986). Si tratta pertanto di mettere in luce il processo complesso di natura sintattica, semantica e pragmatica (sostanzialmente la struttura profonda del testo, responsabile del senso) nel suo ancoraggio storico. Il segno − e quel particolare macrosegno che è il testo − è fenomeno simbolico che si concepisce come una equazione semantica a quattro variabili: struttura (sistema sintattico-semantico, atto illocutorio, modalità proposizionale); segno, inteso come le regole e strategie derivanti dall'impegno dei parlanti; personalità (insieme delle condizioni psicosociologiche della produzione); cultura (storia, condizioni empiriche e relazioni contestuali).

Appare evidente che in questa ottica la t. non è trasposizione formale degli elementi linguistici, ma ricerca delle adeguatezze omologiche in diverse condizioni di comunicazione: tra diversi sistemi a confronto (t. interlinguistica) o fra testi storicamente distanti (diacronia), anche se all'interno di un sistema linguistico ritenuto sostanzialmente identico. Nel confronto, gli strumenti di realizzazione dei medesimi fini comunicativi possono essere diversi formalmente e sostanzialmente, ferma restando la realtà da comunicare: la struttura soggiacente, l'obiettivo intenzionale. La t. − scienza linguistica integrata dal suo interno nel senso semiolinguistico − diventa oggetto teorico di studio e assume la duplice caratteristica di scienza mediante, per l'acquisizione di lingue a confronto e di scienza finalizzata per la preparazione, anche professionale, del traduttore.

La traduzione automatica. - La t. automatica nasce da esigenze concrete: la necessità di t. scientifiche in relazione con il rapido sviluppo tecnologico internazionale. Lo studioso avverte il bisogno di una rapida comunicazione, essenzializzata e rigorosa. Si ritiene che l'aspetto stilistico del testo sia secondario rispetto al fattore strettamente informativo. Molta attenzione viene rivolta all'aspetto lessicale della trasposizione, nella presunzione che il significato univoco della parola tecnica garantisca la possibilità di decifrare correttamente il testo. Scartata l'ipotesi di un'applicazione ai testi letterari, la t. automatica si rivolge al testo tecnico. L'apparato concettuale di base poggia sulla teoria della comunicazione, sulla statistica lessicale e su un indirizzo della linguistica statunitense che fonda la struttura e il significato di una frase sul calcolo probabilistico.

Emerge, quindi, nei primi tentativi, il problema del lessico. Il lessico è, per sua natura, polisemico; ma usato in un segmento particolare (il sintagma, la frase) le sue valenze tendono a ridursi a mano a mano che le costrizioni delle diverse categorie grammaticali restringono il campo interpretativo possibile. Così il termine ''operazione'' in un contesto in cui appare ''chirurgica'' si disambigua di fronte a un gruppo sintagmatico in cui si trovi ''matematica''. L'assunto teorico è quindi quello di fornire per il lessico specializzato una serie di tratti tali che possa essere disambiguato in relazione ai contesti nei quali viene a trovarsi. Ma si incontrano problemi teorici di difficile soluzione. La stessa delimitazione della parola appare insolubile e graficamente e foneticamente. Le classificazioni proposte dalle teorie tassonomiche non risolvono il problema della divisione automatica delle parole e dei fatti morfologici complessi (morfemi discontinui) nel caso di particelle separabili o affissi. L'intervento umano appare decisivo per disambiguare il senso lessicale. Ma è evidente che il significato non è soltanto lessicale: esso è legato alla struttura sintattica e semantica dell'insieme frastico testuale, oltre che agli idiotismi o frasi fatte che caratterizzano ogni sistema linguistico.

D'altronde il linguaggio tecnico non è soltanto una questione di lessico (ammessa la ''corrispondenza'' termine a termine fra le lingue); anch'esso si configura come una serie di atti linguistici in cui spesso il fatto linguistico in senso stretto è solamente strumentale. Ciò pone il problema dei linguaggi settoriali che si esplicitano più che per la specificità lessicale (c'è sempre osmosi fra lingua comune e specializzazione tecnica; v. per es. il termine "metabolizzare") per il tipo di logica argomentativa che li definisce con un maggiore o minore grado di coesività interna del discorso. La resa di un testo si identifica quindi con la resa omologica dello stesso tipo di argomentatività.

Questa massa di problemi con cui è confrontata la t. automatica spiega la difficoltà di trovare una soluzione soddisfacente. Storicamente sono stati fatti parecchi tentativi interessanti.

È stato privilegiato l'aspetto lessicale, con alterna fortuna, a seconda che le lingue siano più o meno sensibili al fatto morfologico derivazionale (due esempi paradigmatici sono il russo e l'inglese). È stato studiato anche l'aspetto morfologico isolando le radici o la base lessicale e fornendo una serie di istruzioni atte a ricostruire le parole nel contesto. Un'analisi fine in questa direzione ha dato indicazioni utili per la realizzazione di un dizionario automatico russo-inglese e per la costruzione di frasi a partire da istruzioni grammaticali (A.G. Oettinger, Z.S. Harris, N. Chomsky). Ma i problemi che rimangono da risolvere sono ancora quelli legati al valore semantico degli insiemi costruiti sintatticamente. Per tentare di risolvere il problema di fondo dell'informazione lessicale, alcuni studiosi russi e statunitensi (N.D. Andreiev ed E. Reifler) hanno cercato di definire tratti semantici da collegare alle basi lessicali secondo un criterio di frequenza statistica, per limitare la possibilità di errore. È una proposta che può dare risultati, ma non considera l'aspetto fondamentale del significato testuale. La ricerca continua e tende a specializzare i settori di applicazione, in modo da ridurre al massimo il margine di indeterminatezza. Essa si fonda sulle più recenti acquisizioni della teoria della traduzione. La t. automatica dei testi scientifici presuppone alcuni interventi ''meccanici'' e successivi riaggiustamenti umani. Significative sono le ricerche effettuate presso l'università di Saarbrücken in Germania.

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