TRASCRIZIONE

Enciclopedia Italiana (1937)

TRASCRIZIONE

Giulio Cesare Paribeni

. Musica. - Termine che designa l'adattamento di una composizione a un mezzo (o ad un complesso di mezzi) d'esecuzione, diverso da quello per il quale la composizione stessa era stata originariamente ideata. La pratica del trascrivere appartiene essenzialmente ai tempi moderni, ma non ne mancano esempî precursori anche in secoli remoti di storia musicale.

In generale si può asserire che nel Medioevo la musica strumentale non sia stata altro che un adattamento della musica vocale agli strumenti atti alla polifonia, cioè una trascrizione. Per il liuto, per l'organo, per il cembalo, il ricavare le parti di polifonia e concentrarle su uno o due righi si disse più tardi intavolare.

Questo tipo di trascrizione talvolta fu parziale, come nella Frottola, la cui parte più acuta (la melodica) si lasciava alla voce, mentre si raggruppavano le altre per uno strumento. Il carattere di trascrizione era ancor più deciso quando nell'adattamento della musica vocale s'introducevano diminuzioni, passaggi e fioriture diverse. La monodia accompagnata, e le complesse forme a cui essa diede origine, fu cagione di un novello impulso all'uso del trascrivere. Melodrammi, oratorî in voga, o anche parti di essi, si pubblicavano nella riduzione per canto e cembalo, in cui le partiture orchestrali erano trascritte per lo strumento a tastiera. Quando il pianoforte sostituì l'antico strumento a becco di penna, la diffusione ch'esso prese nelle famiglie indusse i trascrittori alle cosiddette riduzioni per pianoforte solo.

Ma con ciò giungiamo alle soglie di quel secolo XIX, che vide l'arte della trascrizione fondersi col virtuosismo, per creare tipi, in cui l'abilità tecnica del trascrittore (quasi sempre un famoso esecutore) chiedeva ausilio anche all'arbitrio della sua fantasia. Questa pratica trascendentale culmina nelle cosiddette Fantasie e Parafrasi su motivi di opere teatrali, a cui vanno legati i nomi di Liszt, Thalberg, Tausig per il pianoforte, Paganini, Vieuxtemps e Wieniawsky per il violino.

Un aspetto più nobile - e anche più utile per l'arte - assunse la trascrizione col ritorno in onore della musica di J. S. Bach, e dei grandi organisti e clavicembalisti dei secoli XVII e XVIII. La necessità di diffondere tali musiche, adattandole al carattere e ai mezzi dello strumento a tastiera maggiormente in uso, il pianoforte, fece gareggiare i maggiori pianisti d'Europa nel fervore di trascrizioni, che ancora oggi adornano i programmi dei concerti. Più famose quelle di Liszt e di Busoni da J. S. Bach, di Respighi da Frescobaldi, di Saint-Saëns da Gluck e Haydn, di V. D'Indy da Rameau, di Martucci da Haendel, ecc.

Affini a questo genere di trascrizioni sono le rielaborazioni orchestrali di antiche musiche, in uso ai giorni nostri, dettate dalla convinzione che certe pagine racchiudano capacità espressive assai più ampie di quanto non fosse possibile, agli autori dei secoli trascorsi, rivelare coi mezzi a loro disposizione. In questo genere sono celebri le rielaborazioni di O. Respighi da J. S. Bach, da compositori per liuto del Cinquecento, da clavicembalisti italiani e francesi.

C'è infine da ricordare la trascrizione dotta, cioè quella in notazione moderna da notazioni antiche o in disuso. A questo tipo di trascrizione culturale appartengono anche le realizzazioni dal basso numerato di componimenti del Sei e Settecento, scritti in origine a canto e basso.