TRASFORMATORI elettrici

Enciclopedia Italiana (1937)

TRASFORMATORI elettrici

Luigi LOMBARDI

Classificazione e cenno storico. - Si definisce in generale trasformatore elettrico ogni apparecchio statico, atto a modificare in determinato rapporto i fattori della potenza elettrica nei circuiti di corrente variabile, utilizzando il fenomeno dell'induzione elettromagnetica. Esso ha perciò come parti costitutive due o più circuiti elettrici affetti da mutua induttanza, e concatenati con uno o più circuiti magnetici destinati al passaggio dei flussi d'induzione. Per contenere nei limiti più ristretti le dimensioni dell'apparecchio, giova, a parità di potenza, che i circuiti magnetici assumano la minima riluttanza, e perciò essi sono costituiti con ferro di elevata permeabilità; per limitare le perdite inerenti al passaggio delle correnti attraverso ai circuiti elettrici, questi si compongono generalmente con rame, di alta conduttività. La forma e disposizione reciproca degli uni e degli altri si è necessariamente modificata nel tempo, in relazione ai progressi della tecnica e alle diverse condizioni dell'esercizio.

Storicamente possono considerarsi come primo modello rudimentale di trasformatore le due spirali accoppiate, mediante le quali M. Faradav nel 1831 eseguì le sue classiche esperienze sull'induzione elettromagnetica, e delle quali egli stesso accrebbe già l'efficacia munendole di un nucleo di ferro massiccio. Vent'anni dopo H. D. Ruhmkorff introdusse nei suoi rocchetti, alimentati con corrente primaria unidirezionale periodicamente interrotta, nuclei cilindrici costituiti con fili di ferro aperti alle estremità, per rendere più rapide le variazioni del flusso magnetico.

Nel 1877 P. Jabločkov tentò l'applicazione di apparecchi analoghi con le rispettive spirali primarie in serie per alimentare nei circuiti secondarî altrettante lampade ad arco separate; ma la disposizione poco adatta venne poi abbandonata.

Spetta al Gaulard e al Gibbs il merito di avere per i primi esperimentato a Londra nel 1883, e a Torino nel 1884 in occasione di quella esposizione internazionale di elettricità, veri apparecchi industriali per trasformazione di correnti alternate. Questi erano muniti di nuclei mobili, composti con fili di ferro a somiglianza dei rocchetti di Ruhmkorff; gli avvolgimenti primarî e secondarî erano suddivisi in sezioni, diversamente raggruppabili fra loro per modificare i rapporti di trasformazione (fig.1). Il collegamento in serie dei primarî aveva ancora l'inconveniente di asservire a un'unica corrente di alimentazione tutti i circuiti secondarî rendendone imperfetta la regolazione.

I risultati in tal modo ottenuti ebbero, tuttavia per effetto di richiamare l'attenzione dei tecnici sull'importanza che le correnti alternate potevano assumere nelle trasmissioni dell'energia e spinsero la casa Ganz a perfezionare il sistema collegando fra loro in parallelo i circuiti primarî, ed elaborando nuove forme costruttive.

Già nel 1886 veniva eseguito a Tivoli il primo modesto impianto con trasformatori in serie del sistema Gaulard e Gibbs, e a Roma quello più importante dei Cerchi con i trasformatori in parallelo del sistema Zipernowsky, Déry e Bláthy. In America la Westinghouse acquistava entrambi i brevetti, e sotto la direzione di W. Stanley iniziava quello stesso anno gl'impianti con trasformatori in parallelo. Due anni dopo Elihu Thomson, fondatore della Compagnia Thomson Houston che si fuse poi nella General Electric Co., ideava il trasformatore a spirale mobile, che permise di ottenere da una linea primaria a tensione costante una distribuzione secondaria di corrente costante, e che in forma quasi inalterata si diffuse poi negl'impianti d'illuminazione in serie di tutto il mondo.

Nei grandi impianti moderni di produzione, trasmissione e distribuzione dell'energia, le correnti alternate trovano impiego prevalente, e i trasformatori compiono fra i macchinarî una delle funzioni più importanti, in quanto permettono di modificare in ogni stadio i fattori della potenza adeguandoli con la maggiore economia alle singole esigenze. In via accessoria si rendono essi ancora preziosi come mezzi di regolazione e di prova, e indispensabili per le misure di forti correnti e di tensioni elevate, per cui sotto diversi aspetti meritano di essere separatamente considerati.

Trasformatori di potenza. - Tipi e materiali di costruzione. - La casa Ganz, bene intuendo l'importanza del frazionamento dei nuclei magnetici per limitare le perdite dovute alle correnti parassite, li costituì nei suoi primi trasformatori a guisa di mantello di fili di ferro avviluppante il sistema delle due spirali giustapposte, ovvero a guisa di una matassa di fili analoghi a forma toroidale, avviluppata successivamente dalle due spirali primaria e secondaria (fig. 2 a). Nelle costruzioni successive, a scopo di semplicità, i nuclei vennero costituiti mediante pacchi prismatici di lamierini di ferro, fra loro fortemente rilegati mediante opportune intelaiature (fig. 2 b), e tale disposizione si è sostanzialmente conservata nella maggior parte dei trasformatori moderni, monofasi e polifasi. I primi possono avere un nucleo centrale avvolto e due laterali di chiusura, oppure due nuclei simmetricamente avvolti e rilegati da gioghi trasversali. Nei sistemi polifasi, ove non si voglia ricorrere ad aggregati d'altrettanti apparecchi monofasi, possono gli avvolgimenti primarî e secondarî delle varie fasi distribuirsi per coppie sopra altrettanti nuclei o colonne principali, fra loro raccordate mediante gioghi di forma opportuna. Negli apparecchi bifasi, i nuclei paralleli sono tre con le mezzerie complanari, e di essi gli estremi soli sono avvolti e il mediano è destinato al passaggio del flusso risultante. Nei trifasi i nuclei avvolti sono tre, e per simmetria possono allogarsi con gli assi secondo gli spigoli di un prisma a sezione triangolare equilatera, o per semplicità disporsi nel medesimo piano. All'asse del prisma nel primo caso, ovvero lateralmente nel secondo, e in prosecuzione sul medesimo piano, possono anche aggiungersi una o rispettivamente due colonne ausiliarie, rilegate alle principali dai medesimi gioghi, ma sguernite di avvolgimenti, e aventi per scopo di dar passaggio ai flussi armonici inerenti alla saturazione del ferro, nonché a una parte di quelli principali, ove interessi di ridurre lo spessore dei gioghi trasversali. La costruzione normale di un trasformatore trifase a nuclei complanari è prospettata nelle figg. 3-5 In essa gli avvolgimenti primarî e secondarî hanno la forma di spirali cilindriche coassiali, separate fra loro e dal nucleo rispettivo mediante intervalli adeguati alle necessità costruttive e dell'isolamento; ai nuclei stessi, per la migliore utilizzazione dello spazio, suole attribuirsi una sezione a croce equilatera, con tale rapporto fra le dimensioni da realizzare la massima area iscritta. Nei trasformatori a mantello le spirali elementari sono generalmente a disco piatto, e quelle primarie e secondarie intercalate fra loro, allo scopo di rendere il concatenamento più perfetto e minore la dispersione magnetica.

Il materiale impiegato nella costruzione degli avvolgimenti è quasi esclusivamente il rame, che ha la maggiore conduttività; per trasformatori in aria fu talora preferito l'alluminio. L'isolamento per basse tensioni può essere fatto con semplice treccia di cotone o con carta; per alta tensione questi materiali sogliono impregnarsi con vernici adatte, o sostituirsi con altre sostanze di rigidità dielettrica più elevata. Nella costruzione dei nuclei s'impiega ferro laminato delle migliori qualità, e dello spessore di 0,3 a 0,5 mm. All'isolamento dei lamierini venne dapprima provveduto mediante l'ossidazione superficiale all'atto della ricottura, o con sottili rivestimenti di carta o vernici; in molti apparecchi moderni viene applicato uno smalto speciale, dato a caldo e rapidamente essiccato, che può sopportare senza pericolo temperature più elevate.

I primi lamierini di ferro dolce davano luogo a perdite magnetiche relativamente elevate, pari o superiori a 3 watt per kg. con valori dell'induzione di 10.000 gauss e frequenze di 50 hertz; sotto l'influenza di un riscaldamento prolungato, essi subivano oltre a ciò un aumento di perdita considerevole (invecchiamento). Entrambi gl'inconvenienti vennero eliminati mediante l'impiego delle lamiere legate, contenenti 3 a 4% di silicio, la cui resistenza elevata permette di ridurre considerevolmente le perdite per correnti parassite, mentre i processi di lavorazione consentono di abbassare quelle per isteresi, così da limitare la perdita complessiva a meno della metà di quella originaria.

Nei trasformatori a gioghi e colonne separate i giunti si effettuano per semplice sovrapposizione dei nuclei, interponendo sottili strati di materiale isolante per evitare la circolazione di correnti parassite, e applicando opportuni tiranti di collegamento; le giunzioni magnetiche si rendono più perfette e la costruzione più leggiera, intercalando una ad una le lamine dei gioghi fra quelle delle colonne, tra loro opportunamente sfalsate, e provvedendo alla ritenuta dei pacchi dopo il montaggio mediante solide travi pressagiogo e bulloni passanti. Un bell'esempio è fornito dalla fig. 6 che rappresenta il nucleo di un trasformatore da 36.000 kVA e 220.000 V, costruito dalla Comp. Gen. di Elettr. per la centrale di Cardano; la figura qui sotto ne riproduce la veduta con gli avvolgimenti dal lato della bassa tensione.

I rapporti di trasformazione sono strettamente subordinati a quelli esistenti fra i numeri di spire. Nei trasformatori, i cui avvolgimenti sono suddivisi in due o più sezioni simmetriche, quei rapporti possono modificarsi collegando le varie sezioni in serie o in parallelo. Dei trasformatori trifasi si può ottenere un'ulteriore modificazione collegando gli avvolgimenti delle tre fasi primarie e secondarie a triangolo ovvero a stella, o per avventura componendo l'avvolgimento di ogni fase mediante sezioni concatenate con flussi magnetici di fase diversa (zig-zag).

Nei trasformatori trifasi per tensioni molto elevate conviene generalmente collegare a stella le tre fasi di tensione più elevata, per rendere possibile la messa a terra del neutro; in tal caso giova collegare a triangolo le altre, per ottenere il migliore equilibrio dei carichi, e attenuare le armoniche di 3° ordine, che tendono a prodursi quando i nuclei sono fortemente saturati. Ove nessuno dei due avvolgimenti possa collegarsi a triangolo, giova al medesimo scopo l'aggiunta di un avvolgimento terziario, collegato nel modo predetto, il quale, a somiglianza del secondario precedente, funziona come corto circuito per le correnti di frequenza tripla, e ha per effetto di smorzare grandemente le armoniche corrispondenti di flusso. In molti casi si trae partito di questo avvolgimento per l'alimentazione di macchine sincrone compensatrici, ovvero di reti accessorie di distribuzione; in qualche caso si utilizza il sistema dei tre avvolgimenti per convogliare ad un'unica linea l'energia di due stazioni generatrici. Trasformatori a quattro avvolgimenti vennero anche impiegati per risolvere problemi più complessi di interconnessione.

Per la saltuaria modificazione delle tensioni secondarie si utilizzano trasformatori a diverse prese, detti a gradini, nei quali può variarsi il numero di spire dell'uno o dell'altro avvolgimento incluse in circuito. Opportuni accorgimenti devono in tal caso adoperarsi per evitare che, con tali variazioni, si producano nella distribuzione relativa delle spire primarie e secondarie dissimmetrie, atte a provocare sforzi longitudinali eccessivi di carattere elettrodinamico, e che, durante lo spostamento relativo degli organi striscianti di contatto, compiuto sotto carico, si formino nei gruppi elementari di spire, posti momentaneamente in corto circuito, correnti d'intensità esagerata. Un dispositivo adatto a quest'uopo, il quale permette di effettuare in due tempi lo spostamento predetto, mantenendo la continuità della comunicazione attraverso una resistenza addizionale, è illustrato schematicamente nella figura qui sopra, dove i rappresenta l'inseritore a gradini, 2 l'interruttore parascintille e 3 la resistenza derivata.

Isolamento e refrigerazione. - I limiti di tensione si vennero nei trasformatori di potenza continuamente elevando, a mano a mano che aumentavano le tensioni delle grandi linee di trasmissione, molte delle quali funzionano oramai stabilmente a 220 mila volt, e parecchie vennero innalzate a scopo di esperimento oltre i 300 mila. In molti apparecchi di prova e di esperimento si raggiunge ora o si oltrepassa la tensione di un milione di volt.

Sebbene sia ancora possibile isolare gli avvolgimenti e le parti accessorie di simili apparecchi semplicemente in aria, il contributo migliore alla sicurezza del loro esercizio fu conferito dall'immersione nell'olio, il quale ne migliora stabilmente l'isolamento in ragione della sua grande rigidità dielettrica; lo può ripristinare nel caso in cui si manifestino perforazioni accidentali di piccola entità nei materiali di rivestimento; e attiva la refrigerazione mediante i moti convettivi, impressi alla massa fluida dalle variazioni di densità ovvero da organi meccanici di circolazione.

Negli apparecchi di modeste dimensioni, come quello rappresentato dalla fig. 5, basta generalmente a smaltire il calore, dovuto alle perdite interne di energia, la superficie esterna del cassone metallico, aumentata eventualmente con opportune nervature od ondulazioni. Negli apparecchi di maggiori dimensioni la superficie di trasmissione può ulteriormente accrescersi mediante l'aggiunta di fasci tubolari, raccordati alla parte alta e a quella più bassa del cassone, ovvero con l'applicazione di radiatori a doppia parete, lambiti dall'aria esterna. La circolazione di questa può anche attivarsi mediante apparecchi adatti di ventilazione, che l'adducono attraverso canali o doppî fondi. Inversamente può forzarsi la circolazione dell'olio attraverso apparecchi esterni di raffreddamento con l'aiuto di pompe adatte. La scelta dell'uno o dell'altro sistema è essenzialmente subordinata alla disponibilità di acqua refrigerante e alle altre circostanze locali. La vecchia disposizione con serpentini metallici, immersi nell'olio alla parte superiore del cassone e attraversati dall'acqua, è ora meno frequente in Europa per la complicazione costruttiva e il pericolo d'infiltrazione.

È notevole il vantaggio offerto dalla grande massa d'olio, in quanto essa contribuisce ad accrescere l'equivalente in acqua di tutto il sistema, e ne aumenta la capacità di sovraccarico temporaneo, limitando le oscillazioni di temperatura.

L'olio impiegato si ricava dalla distillazione frazionata dei petrolî naturali. Esso dev'essere per quanto è possibile depurato da ogni traccia di alcali e sostanze resinose; non contenere quantità apprezzabili di acidi e di zolfo; possedere una viscosità relativamente piccola e una temperatura di accensione convenientemente elevata. La sua rigidità dielettrica si abbassa rapidamente col crescer dell'umidità assorbita, per cui assume particolare importanza il suo essiccamento con mezzi chimici (sostanze assorbenti) o meccanici (centrifugazione o filtramento), ovvero col prolungato riscaldamento a temperatura adeguata e, ove possibile, sotto pressione ridotta.

Per limitare il contatto con l'aria esterna, e il pericolo di assorbimento d'umidità, molti apparecchi sono muniti di un recipiente esterno, messo in comunicazione col cassone, e destinato a permettere l'espansione del fluido interno; esso prende il nome di conservatore d'olio.

Qualche costruttore preferisce invece riempire la parte superiore del cassone con un gas inerte come l'azoto.

Le norme, cui devono soddisfare gli olî per trasformatori, vengono elaborate e periodicamente rivedute dalla Commissione elettrotecnica internazionale, la quale ne stabilisce anche le modalità di prova e i limiti ammissibili di sovrariscaldamento.

Esempî di trasformatori di grande potenza. - La fig. 7 riproduce la veduta esterna di un trasformatore Ansaldo per la tensione primaria trifase di 60.000 V e quella secondaria esafase di 2280 V, destinato ad alimentare un raddrizzatore a vapore di mercurio della potenza di 2000 kW. alla tensione di 3000 V per una sottostazione delle Ferrovie dello stato. La circolazione dell'olio è naturale attraverso un fascio tubolare lambito dall'aria esterna, che circonda tutto il cassone; alla parte superiore è disposto il conservatore d'olio.

Nella fig. 8 è rappresentato un trasformatore trifase del Tecnomasio italian0 a tre avvolgimenti da 20.000 kVA per la tensione primaria di 150.000 V a circolazione forzata d'olio e con inseritori a gradini unipolari.

Un altro trasformatore a tre avvolgimenti di potenza doppia e per la medesima tensione, costruito dall'officina San Giorgio, con circolazione d'olio, è riprodotto nella fig. 9, la quale bene illustra l'importanza degli isolatori passanti che sorreggono i morsetti di alta tensione.

Nella fig. 10 è invece rappresentato un trasformatore monofase da 10.000 kVA con raffreddamento naturale e ad aria soffiata, munito di radiatori esterni, e destinato alla sottostazione russa di Dneprostroj, con tre avvolgimenti per le tensioni di 160, 37 e 6,3 kV.

Trasformatori destinati alla produzione di correnti molto intense, come quelle richieste dai forni elettrici ovvero dalle grandi macchine a saldare, hanno l'avvolgimento secondario composto di una sola o poche spire, ovvero suddiviso in parecchie sezioni fra loro raggruppate in parallelo; la fig. 11 ne riproduce un esemplare monofase da 5500 kVA di costruzione Marelli. La reattanza interna deve in questi casi offrire protezione adeguata contro gli eccessi di corrente nella condizione transitoria di corto circuito.

Quando il trasformatore dev'essere trasportato per ferrovia, le massime dimensioni sono subordinate al profilo delle sagome corrispondenti, e il peso alle massime sollecitazioni imposte dal tipo dei veicoli e dalla natura dell'armamento stradale. Le grandi case costruttrici sono all'uopo munite di appositi vagoni piatti, appoggiati agli estremi sopra carrelli a numerose ruote, per il necessario frazionamento del peso fra i diversi assi.

La fig. 12 riproduce un esemplare a cinque colonne di costruzione tedesca della potenza di 100.000KVA, e per la tensione di 220 kV, munito di scaricatori di sicurezza a protezione degl'isolatori passanti, i quali durante il trasporto possono essere rimossi, pure conservando il cassone pieno d'olio ed ermeticamente chiuso, così da poterne effettuare l'essiccazione presso l'officina costruttrice.

La difesa dei trasformatori contro il pericolo di sovratensioni interne è uno dei problemi più delicati nella tecnica della loro costruzione.

Il concetto che le onde di sovratensione a fronte ripido, provenienti dalle linee esterne, dovessero trovare il più forte ostacolo alla loro propagazione nella forte reattanza degli avvolgimenti, e smorzarsi rapidamente nel loro percorso, suggerì a molti costruttori l'idea di rinforzare essenzialmente l'isolamento delle prime spire, contigue ai morsetti di entrata degli avvolgimenti di alta tensione, e il rimedio assunse un certo carattere di razionalità nei trasformatori con avvolgimento a stella e punto neutro collegato stabilmente a terra. Gli studî più approfonditi, corredati da riiievi oscillografici, mostrarono però che tutte le parti interne degli avvolgimenti possono in varia misura essere colpite da onde di sovratensione, soprattutto quando, per combinato effetto di autoinduzione e capacità, si fa luogo a fenomeni locali di risonanza. La General Electric Co., in America, ha perciò elaborato un sistema di trasformatori antirisonanti, nei quali la distribuzione della capacità verso terra e fra le spire è sostanzialmente modificata mediante l'aggiunta di schermi metallici isolati e convenientemente sagomati, allo scopo di rendere, anche per le onde d'impulso, uniforme quanto è possibile il gradiente di potenziale; un esempio di tale costruzione, peraltro non molto diffusa nella pratica, è riportato nella fig. 14.

Trasformatori di tipo speciale. - Il trasformatore normale di potenza, con avvolgimenti fissi e rapporto invariabile fra i numeri di spire, alimentato a tensione primaria costante, ha il privilegio di fornire anche fra i morsetti secondarî una tensione approssimativamente costante; esso perciò si presta all'inserzione in parallelo, così dei circuiti primarî come di quelli secondarî, sia nelle reti monofasi sia in quelle polifasi, e si adatta mirabilmente alla forma più comune di distribuzione dell'energia.

Per la sua attitudine a generare staticamente forze elettromotrici e correnti di grandezza e intensità qualunque, esso si presta peraltro egualmente bene a funzionare come organo di regolazione e di prova, nonché come apparecchio ausiliario di misura, oltre che ad altri scopi speciali.

Trasformatori di regolazione. - Funzionano da regolatori, oltre ai trasformatori a prese variabili già ricordati, quelli aventi il primario in derivazione e il secondario in serie col circuito principale, in modo da poter aggiungere o sottrarre alla tensione ivi applicata una forza elettromotrice regolabile mediante la variazione del numero di spire o della posizione relativa dei due avvolgimenti. Nei sistemi polifasi questo secondo artificio si presta soprattutto bene allo scopo, in quanto il doppio sistema di correnti primarie e secondarie può, attraverso un'ossatura magnetica simmetrica, generare un flusso rotante di ampiezza sensibilmente invariabile; questo induce nell'avvolgimento secondario un sistema di forze elettromotrici, costanti in ampiezza, le cui fasi possono modificarsi variando la posizione relativa dei due avvolgimenti, e che, componendosi con le tensioni di linea, ne possono modificare entro limiti ben determinati la grandezza risultante.

Rendendo indipendente il sistema di spire secondario, lo si può utilizzare come sorgente di forze elettromotrici di ampiezza costante, ma di fase variabile, per trarne partito nella tecnica delle misure elettriche, ad es. per la taratura dei wattometri e dei contatori; l'apparecchio prende allora il nome di variatore di fase (vedine qui sopra lo schema).

Collegando in serie un avvolgimento primario, che riceve la tensione dalla generatrice o dalla rete, con uno secondario, destinato ad alimentare gli apparecchi di utilizzazione, ovvero utilizzando come tale una porzione dello stesso avvolgimento primario, si ottiene un divisore di tensione o autotrasformatore; questo offre rispetto al trasformatore comune il vantaggio di una costruzione più economica, soprattutto quando il rapporto di trasformazione poco diverge dall'unità, potendosi adeguare la sezione delle spire comuni nei due avvolgimenti alla sola corrente differenziale.

Configurando in modo conveniente l'ossatura magnetica e rendendo mobile di fronte a quella primaria la spirale secondaria, controbilanciata in parte da un contrappeso esterno e in parte dalla sollecitazione elettrodinamica fra le due, si rende possibile la trasformazione da potenziale primario a corrente secondaria costante, adatta all'illuminazione con lampade in serie. Di questa disposizione autoregolatrice, ideata da E. Thomson nel 1888, la fig. 15 riproduce un esemplare costruito dalla casa Arcioni.

Trasformatori di prova. - Si adoperano come tali essenzialmente trasformatori a rapporto invariabile e molto elevato, alimentati da tensioni primarie regolabili, e capaci di fornire tra i morsetti secondarî differenze di potenziale più o meno alte per le prove dei materiali isolanti, ovvero per altri scopi di ricerca. In molti casi l'intero rapporto di trasformazione è realizzato mediante un unico apparecchio, del quale l'isolamento deve essere particolarmente accurato, e di cui l'avvolgimento secondario può avere un estremo a terra, e l'altro collegato all'unico morsetto esterno di altissima tensione. La fig. 13 riproduce un bell'esemplare di questo tipo, fabbricato dalla A. E. G. di Berlino per la tensione massima secondaria di un milione di volt. La costruzione si rende più economica frazionando la trasformazione in due o più stadî successivi, col vantaggio di limitare in ogni apparecchio la differenza di potenziale media fra gli avvolgimenti e il nucleo, nonché il cassone rispettivo, a una frazione di quella massima desiderata.

Per le prove cosiddette ad impulso s'impiega generalmente un trasformatore di alta tensione a caricare una batteria di condensatori in parallelo per il tramite di altrettante resistenze molto elevate; in derivazione su di queste sono disposti opportuni spinterometri, i quali chiudono in corto circuito le resistenze quando si eleva la tensione a segno da provocare in ognuno di essi la scarica disruptiva. Si ottiene così la momentanea inserzione dei condensatori in serie, la quale rende disponibile fra gli estremi una differenza di potenziale estremamente elevata.

Dispositivi analoghi vennero anche costruiti in America per generare, mediante la scarica simultanea di batterie di condensatori in parallelo, opportunamente caricate, correnti di impulso d'intensità elevatissima.

Trasformatori di misura. - L'impiego di appositi riduttori di tensione e di corrente si rende indispensabile a scopo di misura, quando le grandezze in giuoco non sono compatibili con l'uso di apparecchi a indicazione diretta, ovvero quando la misura deve effettuarsi a distanza dai circuiti considerati.

Nei trasformatori di corrente per forti intensità l'avvolgimento primario può ridursi a un numero di spire molto piccolo, o per avventura a un unico conduttore attraversante un nucleo anulare di ferro, sul quale sono avvolte le spire secondarie. Se si foggia il nucleo in modo che, attraverso ad esso, si possa far passare una o più volte un conduttore primario flessibile, si ottiene un riduttore portabile, il cui rapporto di trasformazione può variarsi fra vasti limiti. Entrambe le disposizioni sono riprodotte nelle figg. 16 e 17 secondo modelli della C. G. S. Per garantire entro un vasto campo di applicazione la costanza del rapporto di trasformazione è indispensabile ridurre al minimo, oltre alla resistenza del circuito elettrico secondario, la riluttanza del circuito magnetico. I nuclei dei riduttori di precisione si costruiscono perciò di preferenza con materiali magnetici di alta permeabilità, come le leghe di ferro e nichelio, che ricevettero il nome di permalloy, mumetal, permiminvar, ecc. Ove soprattutto interessi la costanza della permeabilità, come nelle spirali di reattanza destinate alla compensazione delle lunghe linee di comunicazione, i nuclei possono formarsi con materiali magnetici finemente suddïvisi, come la polvere di ferro impastata con sostanze non magnetiche, ad es. la paraffina, risultando in tal modo ogni particella soggetta a un campo magnetico interno debolissimo.

Nei riduttori per tensioni elevate assumono particolare importanza le questioni dell'isolamento, laddove quelle inerenti al circuito magnetico si risolvono più facilmente, in quanto gli apparecchi industriali di questa categoria sono generalmente inseriti nelle reti di potenziale costante, e soggetti a flussi d'induzione pressoché invariabili.

Gli uni e gli altri, riduttori di corrente e di tensione, devono soddisfare a requisiti particolarmente delicati, quando sono destinati a misure di potenza, per l'esattezza delle quali non è sufficiente la costanza dei rapporti di trasformazione, ma occorre un'esatta concordanza fra le fasi relative delle correnti e delle tensioni secondarie e primarie. La tecnica costruttiva ha fatto anche a questo riguardo notevoli progressi, e i metodi di prova diretti e indiretti consentono di eseguire verifiche di funzionamento celeri e precise.

Trasformatori di fase. - Questi acquistarono importanza industriale per l'interesse che in molti casi si è manifestato di modificare il numero delle fasi nel passaggio dalle generatrici alle linee di trasmissione, ovvero da queste ai circuiti di distribuzione. Il sistema più conosciuto, e dal quale per analogia furono derivati parecchi altri, venne in origine suggerito dallo Scott, ingegnere della Westinghouse. Esso consiste in un aggregato di due trasformatori monofasi, i cui rapporti di trasformazione stanno fra loro come 1 a √3/2. Se i due nuclei sono identici e gli avvolgimenti primarî hanno lo stesso numero di spire, questi possono rilegarsi ai due avvolgimenti indotti di un generatore bifase. Connettendo ora un estremo del secondario del trasformatore, che ha le spire meno numerose, al punto di mezzo di quello che ha le spire più numerose, le tensioni risultanti fra gli estremi liberi risultano eguali in grandezza e spostate fra loro in fase di 120°, e sono perciò perfettamente adatte all'alimentazione di una linea trifase di trasmissione. Il funzionamento inverso permette di distribuire l'energia trasmessa in forma di correnti trifasi a una rete di utilizzazione bifase. Risultati analoghi possono ottenersi con aggregati più semplici di avvolgimenti, fra loro raccordati e funzionanti come autotrasformatori, essendo generale la proprietà che permette di ricavare da un sistema vettoriale polifase un altro sistema avente un numero di fasi qualunque.

Nel trasvertitore di Highfield, per es. (v. dinamoelettriche, macchine, XII, p. 900), da un generatore trifase si ottenne mediante una prima trasformazione, con avvolgimento secondario a stella e fasi prolungate oltre il punto neutro, un sistema intermedio di tensioni esafasi, atto ad alimentare mediante avvolgimenti primarî a zig-zag un aggregato di tre trasformatori a sei nuclei, e a produrvi un sistema di flussi con diciotto fasi equidifferenti.

Il sistema delle 36 forze elettromotrici, indotte in altrettanti gruppi simmetrici di spire secondarie, era adibito all'alimentazione di un singolo collettore stazionario, le cui spazzole rotanti a sincronismo permettevano di raccogliere una tensione continua di 10.000V; moltiplicando il numero dei gruppi secondarî e dei collettori, e collegandone in serie le spazzole, azionate solidariamente da uno stesso motore sincrono, si conseguiva la tensione risultante di 100.000V.

La trasformazione da sistema trifase a sistema esafase, mediante avvolgimenti secondarî a stella con fasi prolungate oltre il punto neutro, si è d'altronde generalizzata nell'alimentazione delle macchine convertitrici a un solo avvolgimento indotto, nelle quali il raddoppiamento del numero di fasi consente di realizzare una considerevole diminuzione delle perdite per effetto Joule, e quindi di migliorare il rendimento e aumentare la potenza specifica. Con lo stesso artificio si aumenta il numero delle fasi secondarie nei trasformatori che alimentano raddrizzatori di corrente a vapori di mercurio allo scopo di accrescere la potenzialità, e attenuare le armoniche superiori residue della corrente raddrizzata, che recano disturbi nelle linee contigue di comunicazioni telefoniche.

Trasformatori di frequenza. - Durante i primi sviluppi delle radiocomunicazioni con onde persistenti di grande lunghezza furono impiegati speciali trasformatori statici per la moltiplicazione delle frequenze, generate con gli alternatori multipolari di grande velocità. Il sistema, proposto quasi contemporaneamente da G. Vallauri in Italia e dallo Joly in Francia, consisteva nell'impiego simultaneo di due nuclei di ferro eguali e laminati, muniti ognuno di tre avvolgimenti. Una prima coppia di questi, simmetricamente disposta e collegata in serie, alimentata dalla sorgente di forza elettromotrice della frequenza fondamentale, conferiva ai nuclei una magnetizzazione alternativa di grande ampiezza; una seconda coppia di avvolgimenti, del pari in serie, ma disposti uno rispetto all'altro in senso contrario, era percorsa da un'intensa corrente continua, la cui forza magnetomotrice, sovrapponendosi a quella alternata della coppia precedente, rendeva sostanzialmente dissimmetrici i cicli di magnetizzazione, accrescendo la saturazione di uno dei nuclei quando diminuiva quella dell'altro, e modificando in senso inverso l'andamento periodico dei flussi rispettivi. La terza coppia, collegata a sua volta in serie opposta, utilizzava la differenza delle forze elettromotrici indotte, assumendo un diagramma di forza elettromotrice risultante a frequenza doppia, suscettibile ove occorresse di ulteriori moltiplicazioni. Disponendo di tre nuclei eguali, fortemente eccitati mediante correnti primarie trifasi, e collegandone gli avvolgimenti secondarî a triangolo, si annulla in questi la forza elettromotrice risultante della frequenza fondamentale, laddove si sommano quelle armoniche di terzo ordine, dando luogo a una vera triplicazione della frequenza, suscettibile di pratiche applicazioni e di moltiplicazioni successive.

Eccitando d'altronde fortemente con corrente sinusoidale un nucleo magnetico, le variazioni di flusso risultano in esso fortemente distorte; esse perciò inducono in un avvolgimento secondario una forza elettromotrice ricca di armoniche superiori, delle quali una qualunque, mediante un circuito accoppiato e con essa risonante, può utilizzarsi e convenientemente amplificarsi. La risoluzione di tali problemi, essenzialmente interessanti le radiocomunicazioni, ha peraltro perduto una parte della sua importanza col diffondersi delle valvole termoioniche, le quali consentono con minori difficoltà la produzione diretta di onde persistenti di frequenza comunque elevata.

Teoria generale del trasformatore. - Teoria analitica. - La teoria generale del trasformatore può svilupparsi analiticamente risolvendo il sistema di altrettante equazioni, quanti sono i circuiti posti in presenza gli uni degli altri, per ognuno dei quali si porti in conto, oltre alla forza elettromotrice applicata dall'esterno, quella internamente indotta per la variazione del flusso concatenato, e la caduta di potenziale inerente alla resistenza. Prescindendo dal caso di avvolgimenti a spire eccezionalmente numerose, quali si richiedono per apparecchi di tensione molto alta, gli effetti della capacità distribuita si possono generalmente trascurare, almeno in presenza delle correnti stazionarie di modesta frequenza, la cui intensità si ritiene pertanto uniforme in tutta la lunghezza dell'avvolgimento. Ciò nonostante, il sistema delle equazioni risulta notevolmente complicato quando il loro numero aumenta, come nei sistemi polifasi e negli avvolgimenti multipli, se per avventura non ricorrano ragioni di simmetria a semplificarlo. Anche in presenza di due circuiti soli, uno primario e uno secondario, la complicazione si accresce per il fatto che la variazione del flusso non segue proporzionalmente e con la medesima fase quella della forza magnetizzante, in causa della permeabilità variabile e dell'isteresi magnetica del ferro.

Si rende accessibile il fenomeno a una trattazione sufficientemente rigorosa, attribuendo al ferro, entro i limiti della sua magnetizzazione, una media permeabilità costante, e un ritardo angolare di polarizzazione adeguato. Assumendo per le diverse grandezze alternative forme sinusoidali, il sistema di equazioni trigonometriche permette di determinare per ognuna di esse l'ampiezza e la fase in relazione a quelle delle forze elettromotrici o delle tensioni impresse, subordinando le variazioni dei flussi a quelle delle correnti magnetizzanti mediante le note relazioni dei circuiti magnetici.

Su questo concetto Galileo Ferraris impostò originariamente il problema nella sua classica memoria Su le differenze di fase delle correnti, sul ritardo della induzione e su la dissipazione di energia nei trasformatori, presentata nel 1887 alla R. Accademia delle scienze di Torino; ivi egli dimostrò la possibilità di tener conto in forma analoga anche dei fenomeni secondarî, prodotti dalle correnti parassite nei nuclei indotti, e di valutare l'energia per essi consumata. Il prof. H. F. Weber di Zurigo completò su quelle basi la teoria del trasformatore, di cui diede un breve cenno nel suo rapporto sopra la Trasmissione di energia da Lauffen a Francoforte pubblicato nel 1894. Sotto forma leggermente modificata la stessa teoria venne più tardi ripresa e ampliata da C. P. Steinmetz, E. Arnold e J.-L. La Cour, e da numerosi altri trattatisti. Senza addentrarsi in lunghi sviluppi analitici, le principali conclusioni si possono qui facilmente ritrovare e riassumere graficamente.

Teoria grafica. - A fondamento di questa sta ancora l'ipotesi che il flusso d'induzione segua nel ferro una legge sinusoidale e tenga dietro alla variazione ciclica della forza magnetomotrice con un ritardo angolare di polarizzazione θ. La costanza di questo, al pari della proporzionalità tra i valori singoli del flusso e quelli corrispondenti della forza magnetomotrice, sono sufficientemente giustificate dal fatto che i trasformatori di potenza, cui si fa essenzialmente riferimento, sono in pratica quasi sempre soggetti a tensione costante; perciò le variazioni di flusso sono contenute fra limiti ben definiti, entro i quali quei parametri magnetici, sperimentalmente determinati, non subiscono modificazioni essenziali. La stessa presenza di armoniche superiori nel valore della forza magnetomotrice, quando il flusso è vincolato a una variazione sinusoidale fra limiti molto ampî, non porta alcuna conseguenza nella valutazione delle perdite magnetiche.

Considerando per semplicità un trasformatore monofase, il cui flusso massimo o efficace sia rappresentato nel diagramma qui a fianco dal segmento OΦ costante, dovrà rimanere tale anche la forza magnetomotrice rappresentata dal segmento OA, che precede dell'angolo θ il vettore del flusso, e risulta dalla composizione delle due forze magnetomotrici parziali, create dalla spirale primaria e da quella secondaria. Queste sono proporzionalmente misurate dai prodotti dei numeri di spire N1, e N2 per le correnti rispettive I1 e I2 col dovuto riguardo alle fasi corrispondenti. Indicando con I10, intensità della corrente primaria a vuoto (circuito secondario interrotto), la forza magnetomotrice da essa creata deve ancora conservare la stessa grandezza, per cui il vettore OA costituisce il lato invariabile di chiusura del triangolo, di cui gli altri due lati OC e CA rappresentano le due forze magnetomotrici componenti, variabili col carico, e nella loro stessa scala misura il prodotto N1I10.

Risolvendo il triangolo, si deduce immediatamente la relazione fra le correnti. Detto β l'angolo compreso fra I10 e I2, si ha:

Quando il circuito secondario alimenta apparecchi privi di reattanza, la direzione della corrente I2 coincide sensibilmente con quella della forza elettromotrice, ritardata di 90° di fronte a quella del flusso, e l'angolo β si riduce a 900° + θ. Risulta perciò:

Nei buoni trasformatori moderni la corrente primaria a vuoto non eccede mai alcuni centesimi di quella normale sotto carico, e l'angolo di isteresi è del pari contenuto fra limiti molto ristretti. Il primo e l'ultimo termine del secondo membro assumono perciò un'importanza assai limitata di fronte al secondo, e la relazione fra le correnti nella condizione di pieno carico si riduce con sufficiente approssimazione alla forma semplicissima:

Sotto carichi ridotti e in presenza di apparecchi reattivi, i due termini precitati possono assumere un'importanza relativa non trascurabile. Se, per es., gli apparecchi di utilizzazione assorbono correnti ritardate rispetto alla tensione secondaria dell'angolo ϕ2, l'angolo β si approssima al valore θ + ϕ2.

Il rapporto fra la tensione primaria e quella secondaria è subordinato a sua volta, oltre che alla grandezza del carico, agli elementi costruttivi del trasformatore, i quali ne caratterizzano le resistenze ohmiche e le dispersioni magnetiche. Le prime possono essere calcolate per ogni avvolgimento in base alle dimensioni dei conduttori e alla loro resistenza specifica. Le seconde sono subordinate all'accoppiamento più o meno stretto fra le spirali primaria e secondaria, e al loro concatenamento più o meno perfetto col circuito magnetico. Esse invero traggono origine da quelle parti di flusso, che vengono abbracciate unicamente da uno dei due circuiti, e non inducono forza elettromotrice nell'altro; fisicamente possono perciò attribuirsi a due induttanze supplementari, poste rispettivamente in serie con i due avvolgimenti, dei quali appare così aumentata la reattanza propria, senza che ne risulti accresciuta la induttanza mutua. Indicando con S1 ed S2 quelle induttanze supplementari, le forze elettromotrici corrispondenti al passaggio delle correnti I1 e I2 con la pulsazione ω diventano:

Esse nel diagramma delle tensioni devono portarsi in quadratura con le correnti, laddove le cadute ohmiche r1I1 e r2I2 dovute alle resistenze sono da considerare in opposizione con esse. A caratterizzare lo spostamento di fase della corrente secondaria rispetto alla forza elettromotrice, la reattanza interna contribuisce solidariamente con quella degli apparecchi esterni di utilizzazione; se questi posseggono un'induttanza L2 e una resistenza ohmica R2 risulta perciò:

Lo spostamento di fase della stessa corrente rispetto alla tensione esterna è legata invece agli elementi di questo circuito dalla relazione:

e la tensione alla corrente dalla relazione:

Tenendo conto dell'ordine relativo delle varie grandezze, poiché nei trasformatori di potenza considerevole le cadute ohmiche non sogliono eccedere alcuni millesimi e le forze elettromotrici di reattanza alcuni centesimi delle tensioni applicate, si ricava dal diagramma la relazione approssimata:

Costruendo in modo analogo il vettore della V1, che ha come componenti la controforza elettromotrice primaria E1 la caduta ohmica interna di potenziale r1I1 e la tensione di reattanza ES1, si ricava analogamente:

Gli angoli di fase ϕ1 e ϕ2 nelle condizioni di carico normale non differiscono fra loro se non di una piccolissima quantità, attesa la esiguità del lato N1I10 di fronte agli altri due nel triangolo delle correnti.

Se si disegna il diagramma delle tensioni primarie in una scala ragguagliata col rapporto N2/N1 a quella delle secondarie, i vettori delle due forze elettromotrici risultano fra loro eguali, intercedendo fra di esse esattamente il rapporto dei numeri di spire. La relazione finale e approssimativa fra le due tensioni, riportata agli elementi del carico secondario, diventa pertanto:

Poiché il primo termine del secondo membro rappresenta la differenza di potenziale secondaria a vuoto, i due successivi misurano le cadute interne dovute alla resistenza ohmica e alla reattanza di dispersione complessive. Il termine inerente alla resistenza è sempre estremamente esiguo, data la necessità di contenere fra limiti molto ristretti le perdite di energia per effetto Joule; esso va anche diminuendo proporzionalmente al fattore di potenza del circuito di utilizzazione. Il termine inerente alla reattanza si annulla invece per i carichi non induttivi, ma cresce rapidamente con lo spostamento di fase, e, per l'ordine relativo di grandezza dei termini contenuti in parentesi, a parità di fattore trigonometrico può raggiungere un'importanza molto maggiore del primo.

Questa circostanza soccorre utilmente ove interessi limitare le correnti di corto circuito a difesa di quegli apparecchi, che al pericolo di esse vanno maggiormente soggetti, come i trasformatori che alimentano forni elettrici e macchine da saldare e, in minor misura, nei servizî di trazione. I metodi per aumentare le dispersioni sono in sé stessi abbastanza semplici, bastando per gli scopi ordinarî accrescere gl'intervalli che separano gli avvolgimenti fra loro e dai nuclei, o, in casi di eccezione, intercalare fra i primi adatte lamiere di sostanza magnetica. Giova invece a diminuire la dispersione mantenere i nuclei e le spirali alla minima distanza, ed eventualmente frazionare queste in un certo numero di sezioni primarie e secondarie, le une fra le altre intercalate come è d'abitudine nei trasformatori a mantello.

Perdite di energia e coefficiente di rendimento. - Determinazione teorica. - Lo studio teorico del trasformatore implica la predeterminazione delle sue dimensioni, a cui sono subordinate le perdite di energia, il coefficiente di rendimento e il soprariscaldamento.

Le perdite di energia negli avvolgimenti sono inerenti alla loro resistenza elettrica, e quelle nei nuclei all'imperfetta polarizzazione magnetica del ferro e alle correnti parassite. Il calcolo non differisce per questo riguardo da quello delle macchine elettriche, ma possono differire più o meno sensibilmente i valori relativi, attesoché il trasformatore è essenzialmente statico, privo cioè di parti in movimento, e incapace di provvedere da sé stesso a un'intensa refrigerazione. A parità di utilizzazione elettrica (densità di corrente) e magnetica (frequenza e intensità di magnetizzazione), risultano bensì nei trasformatori di diversa potenza eguali le perdite unitarie; ma, al variare delle dimensioni fondamentali, le perdite complessive variano in ragione del cubo di queste, laddove la potenza sviluppata varia con l'esponente 4, e la superficie di raffreddamento solamente con l'esponente 2. Questo spiega perché, al crescere della potenza e delle dimensioni dell'apparecchio, da una parte i coefficienti di rendimento si elevino rapidamente, e dall'altra si renda necessaria una più intensa refrigerazione ad evitare il pericolo di un eccessivo sovrariscaldamento, mentre si acquista il beneficio di ridurre il peso per unità di potenza. L'immersione nell'olio giova a quello scopo, come si è già accennato, indipendentemente dai vantaggi che essa arreca migliorando l'isolamento, poiché permette di ampliare le superficie di trasmissione verso l'esterno, e di sottrarre quantità di calore più ingenti mediante opportune circolazioni.

Subordinatamente alla costanza della tensione e del flusso, le perdite magnetiche risultano a loro volta sensibilmente costanti, e possono calcolarsi in base ai parametri caratteristici del ferro, ai valori massimi dell'induzione e alla frequenza. Le perdite nel rame, attesa l'esiguità della corrente primaria a vuoto, variano con grande approssimazione come il quadrato della corrente secondaria, in ragione della quale cresce, a parità di spostamento di fase, la potenza sviluppata. La perdita relativa totale risulta perciò minima, e massimo il coefficiente di rendimento, per quella corrente di carico che rende la perdita parziale nel rame eguale a quella nel ferro, e in questa condizione converrebbe far funzionare l'apparecchio, ove il suo carico variabile restasse costante nel tempo. Negli apparecchi a funzionamento intermittente, o comunque soggetti a carico variabile, la condizione più economica si verifica con quella minore saturazione del ferro, che rende minima nel determinato periodo la perdita integrale complessiva in relazione all'energia totale sviluppata, e che può determinarsi caso per caso.

La perdita magnetica unitaria suole denunciarsi dai fabbricanti delle lamiere in corrispondenza di taluni valori normali della frequenza e della saturazione, in base ai quali può ricavarsi per ogni altra condizione. Alcuni forniscono ancora per diverse saturazioni le curve caratteristiche della corrente magnetizzante, che permettono di individuarne a priori il fattore di forma e la percentuale delle armoniche superiori, e di prevedere l'andamento della corrente primaria in ogni condizione di carico.

I limiti di sovrariscaldamento sono fissati dalla Commissione elettrotecnica internazionale in relazione alla natura dei materiali isolanti impiegati, come per le altre categorie di macchinario. Nei grandi apparecchi è conveniente disporre opportuni termometri di segnalamento o altri rivelatori, atti a fornire a distanza l'indicazione delle massime temperature interne, e a provocare l'interruzione in caso di riscaldamenti eccessivi.

Verifiche di funzionamento. - Data l'esiguità delle perdite complessive in relazione alle potenze messe in giuoco, la determinazione sperimentale del coefficiente di rendimento, soprattutto per i grandi trasformatori, viene quasi sempre effettuata con metodo indiretto, misurando separatamente le perdite singole. Quelle nel ferro possono determinarsi facilmente mediante una misura wattometrica, mentre l'apparecchio è alimentato a vuoto con potenziale e frequenza normali dalla parte dell'alta ovvero della bassa tensione, essendo in tale condizione trascurabile la perdita nel rame per l'esiguità della corrente magnetizzante, e priva d'importanza l'influenza della temperatura. Ove non possa disporsi dell'esatta tensione desiderata, può effettuarsi la misura sotto diverse differenze di potenziale, e ricavarsi il valore voluto per interpolazione. Analogamente possono determinarsi col wattometro le perdite nel rame, chiudendo uno degli avvolgimenti in corto circuito, e alimentando l'altro con una tensione adeguata a mantenervi la corrente normale. In questo caso si rendono trascurabili le perdite nel ferro, per l'esiguità del flusso occorrente a produrre la forza elettromotrice che vince quella di reattanza; se gli avvolgimenti vennero portati con un'operazione preliminare alla temperatura di regime, il risultato della misura non abbisogna di correzioni ulteriori.

La somma delle due potenze così misurate rappresenta la perdita totale nel trasformatore, corrispondente alle condizioni effettive dell'esercizio, e tiene conto dell'eventuale disuniforme distribuzione dei flussi e delle correnti, della quale non è possibile una determinazione teorica senza gravi complicazioni. Le due prove, unitamente a quelle di rigidità dielettrica e di sovrariscaldamento, nonché alla misura del rapporto di trasformazione e delle cadute interne di potenziale, formano la base delle verifiche di funzionamento di questi apparecchi, e non possono omettersi all'atto del loro collaudo.

In molti casi è prescritta anche la prova di corto circuito sotto piena tensione, intesa soprattutto a verificare la resistenza meccanica degli avvolgimenti alle forti sollecitazioni elettrodinamiche che possono essere occasionate dai massimi eccessi temporanei di corrente. Più di rado è richiesta la prova di resistenza elettrica alle sovratensioni applicate in forma di onde d'impulso mediante generatori esterni, ovvero provocate all'interno mediante il funzionamento intermittente di spinterometri inseriti fra i morsetti. Le prove normali di rigidità dielettrica si eseguono generalmente, applicando sovratensioni permanenti fornite da sorgenti esterne di frequenza normale, ovvero provocandole nel trasformatore stesso, alimentato con tensione e frequenza sopraelevate.

Bibl.: Le prime ricerche teoriche e sperimentali sul generatore secondario Gaulard e Gibbs vennero compiute da G. Ferraris su gli esemplari presentati alla Sezione internazionale di elettricità dell'Esposizione generale di Torino nel 1884, e descritte in una sua memoria all'Accademia delle scienze di Torino l'11 gennaio 1885 (s. 2a, XXXVIII, Opere di G. Ferraris, I, Milano 1902, p. 163). Una teoria rigorosa dei trasformatori venne dallo stesso autore sviluppata in una seconda memoria Su le differenze di fase delle correnti, sul ritardo della induzione e su la dissipazione di energia nei trasformatori, presentata alla R. Accademia di Torino il 4 dicembre 1887 (stesso tomo. Opere di G. Ferraris, I, p. 261). Sopra i trasformatori di carattere industriale, presentati da varie ditte all'Esposizione internazionale di elettricità di Francoforte s. M. nel 1891, riferì il prof. H. F. Weber nella Relazione ufficiale di quella mostra (ed. J. De Sauerländer, 1894), nella quale è parimenti contenuto il suo rapporto già citato sulla trasmissione di energia da Lauffen a Francoforte. E. Arnold e J.-L. La Cour hanno consacrato alla teoria, al calcolo e alla costruzione dei trasformatori il vol. II della Wechselstromtechnik, ristampato in 3a ed. da J. Springer nel 1933. La teoria dei trasformatori venne successivamente ampliata da F. Bedell (The principles of the transformer, Londra 1896), G. Kapp (Transformatoren für Wechselstrom und Drehstrom, Berlino 1896), J. A. Fleming (Alternating Current Transformer in theory and practice, New York s. a.), C. P. Steinmetz (Theoretical elements of electrical engineering, 4a ed., New York 1915), R. M. Vidmar (Die Transformatoren, Berlino 1925, 2a ed.; Der Transformator im Betrieb, ivi 1927); R. Richter (Transformatoren, ivi 1932); B. Cerretelli, Progressi nella costruzione dei trasformatori di grande potenza e altissima tensione, Milano 1934; id., I trasformatori, in Nel cinquantenario della Società Edison. Sviluppo storico del macchinario elettrico e della sua industria, I (1884-1934). Da quest'ultima monografia sono riprodotte parecchie delle figure contenute nel presente articolo.

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